NAZIONALE
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CAVA UER marino
Con gli Argomenti del Conte
FORT VNI ano SANVITALE,
E J’A'llègoric di
f>on lorbnzo scoto.
^igtontovi la TA’vota deÙ€ Cofe ì^ot abili , Con
le Lettere del tnedefimo Cavaliere^.
VOLUME SECONDO-
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LA PRIGIONE
CANTO DECIMOITERZO.
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ci fa fcorgcrc eifccti della Su-
perbia quando per cilcr dilprcz-
zaca entra in furorc»& la vita
1 j— ,1 » oua
^^^aLSSts^fSi *aca entra in furore ; & la vita
tribulatadcl peccatore , quando
^dorinentaco nel vitio. Se impigrito nella con-
luctudine , fi lafcia legare dalle catene delle pe.
vitio. Se impigi^ncr con
luctudine , fi lafcla legare dalle catene delle pe
ticoloCc tcntatione 11 cangiarli in uccello è
mi/lcro della legecrezra giovanile , che vaneg.
‘^^aodononhd ntTuoi amoroli penficn giamai
?r ITI /•fji
ua leggerezza giovani!»^
»hà nt-fuoi aSorofipcnficr. g.ama,
La Fontana.
il oi ìt t ^fCe^rc , allude alla di-
■pi ritorna al Caop^ìmoeffèrc . allude alia di-
delHnato ^rne. L u- I
minificrlo delle Adone . cerca I
- ^®vcrc l’bavcr fottopo-
•cjdcr/o. Et l’altro dop pj-ocuraintut-
;^uomoa/la Tua tiranni^ che Mcrcu- ‘
^w^Tiorce .^iranim^- :^n*aJocon- i
mr
ri
4
llchc inficile. Le noced’oro, ch’aperta fommini-
ftra altrui lautiffime mcnfe) oltre relTer (imbolo
della perfetdoue, & della bontà, vuol fignificare
che l’oro (i fa abondanza Inc^ual (i voglia luogo
ancor che fterile , & che al ricco non manca di
vivere morbidamente nelle penurie maggiore
L’interelTc con rorecchieafinili , che non gode
della dolcezza deìl’armonia, anzi l’abhorre,cÌ
jrapprcfenca l’ Avaritia , & l’Ignoranza , che non
fi curano di Poelie , nc fi compiacciono di Mufi-
che. La trasformationc della ¥ata& Tue don-
zelle in bifee adombra l’abominevole conditio-
ne delle bellezze terrene, & delle dllitie tempo-
rali, le'quali paiono altrui in vlfta belle, malon
piene eli difformità, & di veleno.
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A1.GO*
I w- -• •
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^ '°K^c delT* *
CicI sforzar glM3ei»
«corregge.
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E’taìpnm > auubtuclirc a i aceti
alcnto, o timor qixalcHegli movo-
Tantoprea&rprodigiofo cnoveì
’■ “'f' quante volte de Iciiervi rote,
iwrtlfr^,^ ? ^ poli,
im.moce
n'koli?
i^ijqi
-, J v*^ x«_
^ficfivol^onslracto inco imo
Veduto ha con ftupor rcftarfì i
Giove l*im iTì^n f5“ ^ fVi-i i n *- ^ I
««* ^vjnxtupor rcitciiri
Giove rimmenfe e rmiftì rate nioii?
Quante vid’egli a le malvage note
Illune in Cicl moltipllcr arii, e i Soli?
Cx • A ^ t ♦ 1 _ - -
4
LA PRIGIONE,
4 . Turbafi al fuon de’murmurati accenti
L’ordine de le cofc, c fi confonde.
Nettun lenza procelle, c lenza venti
Gonfio, i lidi del Ciel batte con Tonde.
, Poi quando più del mar fremon gli armenti
Ritira il piè da le vicine Iponde j
£ ricurvando in sii Th umide fronti
T ©rnan per l’erta i fiumi a i patrii fomL
5. Ogni fera più fera, e più rabbiofa
La (uà rabbia addolcilce e dil'acerba.
Non è Leone altier, Tigre orgogliofa ,
Che non deponga allhor l’ira Luperba.
Vomita il Ilei la Serpe velenola,
E i livii’orbi luoi Iteude per Therbaj
E fmembrata la Vipera e divifa
Vive, e rintegra ogni tua parte incilà,
4. Ma com’è poi, che i verfi habbian potere •
Di feparare i più congiunti con?
E’i commercio reciproco , e’I piacere
Santo impedir de’maritali amori?
Come de l’alme il libero Volere
Anco Icaldar d’involontari ardori?
Et agitar con empie fiamme infanc
Di maligno furor le menti fiumane ?
7. FALSIRENA afpettò, che piene haveffe-
Cinthia de Torbe l'uole parti feeme .
Et opportuno alfin quel, tempo elelVe ,
Che congiunte havea già le corna eftremc.
E veggendo anco in Ciel le ftelle iftelfe
S^nde a l’arte fua volgerli iiifieme,
Nel loco ufato a celebrar fen venne
Dc’facrilegii Tuoi Toprafollenne,
Sorge
TERZO. 2
Sorge nel più folto ,e più confufb
D’unbofcoamicounfolitarlo altare,
D’alù ciprcffi incoronato e chiufo
Ladondeil Sole Orientale appare.
Aperto a quella parte, ov’hà per ufo
Depor la luce, & attufforfi in mare.
Opaco horror l’ingombra, e lo nafeonde
Sotto perpetue tenebre di fronde.
5* Quivi Idoletti vari, e firn alacri
L’innamorata Incantatrice accoifi;,
E quivi a più color tré veli lacri
Con caratteri, e fegui intorno^avoilef ^
E poiché a’membri fiioi nove lavacri
D’un’acqua fé, che da tré fonti tolfe,’
Difcinta, c fcalxadel finiftro piede
Il foco, c l’hoiiia ad apprettar ù diede.
IO. Con la calla verbena, e*lì»a(chioincen(c>’
Lt fiamme pria de l’holocautto alluma,
E di vapor callginoCb c denfo
£ l’ara, e l’aria horribilmente attuma.
Poi di virtute occulta al noftro fenfo
Dentro il magico Incendio arde c confuraa
Mille coU falce tronche herbe maligne.
Herbe a pena ancor note a le madrigne.
IL Dclo.ttrldulo alloro afperfe in elio
Le nere bacche innanzi dì recife.
De la fico Selvaggia il latte efpreflb ,
Edc la felce il leme ella vimife,
E laradicc,x’hà commune il felTo
De l’eringc fpinofa anco v’intrife, <
E fra gli altri velcn, che dentro v’arfe.
La violenta hippomenc vi fpaiTc.
■ ^
Alfe
LA PRIGIONE,
Ji. Arfe l’herbe, e le piante ad una ad una ,
Sette volte l’altar circonda intorno.
Tré s inginocchia ad adorar la Luna,
Tré la contrada, ove tramonta ilgiorng.
D una pecora poi lanofc, e bruna
Conia manca tenendo il manco corno.
Con ladeftsa il coltei i tra i fochi, e i fumi
Trecento invoca fconofciuti Numi.
15* E mentre che di Stige, e Flegetontc ’ '
L’occulte Deità per nome appella ,
Verfa di nero vino un largo fonte ^
Infra le corna a la dannata agnella,
Non pria però, che da la folca fronte
Di lana un hocco da fua man non fvella
E che noi glcti entro le brage ardenti
Quali primi tributi, e libamenti.
14. Pofeiaron ferro acuto apre le ferifee
La gola a 1 agna, e le trafige c fvena,
E del far^ue , che fuor nefeaturifee
Caldo e minante, un’ampia tazza ha piena.
Con 1 eftremo del labro indi il lambifce
Lievemente cosi, che’lguftaapena.
,Poi con oglio, e con mele in copia grande
Ala madre commune in fen lo Ipande.
15. Una colomba ancor vaga e lafciva
Uccife di candor fimile al latte,
E poiché quante piume ellaveftiva
Tarpate l’hebbe a penna a penna e tratte ,
Donollein cibo a quella fiamma viva
Finche fur tutte in cenere disfatte i
Ma prima le leg^ ne l’ala manca ,
Con roflb fil la calamita bianca..
Ciò
9
CANTO DECIMOTERZO.
lé. Ciò fatto , ftrinfc in tré tenaci no di
Una ciocca di cr'm, eh* IO non sò come
Dormendo Adon, con Tue fagaci frodi
Glitolfcldonla datè%ronde chiome.
Sputò tré volte, e’n tré diverfi modi
Difle, ramante lao chiamando a nome. i
Rclli legato , nè mai più fi fcioglia '
11 crudo fprcziator d’ogiM. mia aoglia.,.
17* Afcmbianiadilui di vertìn cera -
Imaglnpoimìfteriofaamaffa, •
E con un ftecco di mor tella nera
Bcn’aguzzoc pungente il cor le pafiàu
E mcnir’appo l’arlura atroce e fiera r.
A pocoa poco dlftillar la ladla
Dice volgendo il ramofccl del mirtp>
Cosìfocod’Amor ftrugga il fno {pirco.
iS. D'Hippopotanjo un core al fine ha prefb^
Ne la riva del Nil nato, e nutrico.
Che dela nova Luna ai raggi appefb,
Eralafuafrcdd'ombrainaridita >
E di faville oltra cocenti acc:e£b,
E di fpilli acutiflìmiferito ,
L’agita, il move, il trahe come più volc.
Mormorando tra fé quelle parole.; •
19. Ecco il cor di colui, ch*io cotaàt’arao.
Ecco ch’io ^i hòCett’aghi in mezo affiffi»
Ecco chc’l tirò a me poi con qiielfhamo
Già fibricato lòtto fette ecclilfi.
Ecco fette carbon latti del ramo.
Che già colfe mia madre entro gli Abiffi.
Dcfti dal facro mantice v’aggiungo,
Efcctc volte incoino il pungo.
A S IDa'
J
IO
la prigione,
IO. Da’facrlficiabomia^di& empi
Cefsò la Fata, e (i pa^Tti ciò detto,
Perche contro colui, che duri feempi
0<^nor facea dea del fuo piagato petto,.
Sperava pur dopo raill’altri eflempi
Diveder nova prova, e novo effetto.
Ma di tante fatiche al vento fpefe
Alcun frutto amorofo indarno attefci.
2 1. E come.pcr magie mai, nè per piantk
Sperar poteajìmedio a sì gran male.
Se la Dea de gli amori, e de gli amanti;,.
Ch’invocava propitia, havea rivale ?
Se colei , c’hà ne gli amorofi incanti
Sovrano impero, e poteftà fatale,
Havea malconcia de le piaghe iftelTe,
In quel ch’ella chiedea tanto intcfeflc ^
22. Poiché con lungo ftudio in van compofe;
Suggelli, e rombi, c turbini , e figure,
Nè Spp e mai con quefte & altre cofe
Quelle voglie efpugnar rigide e du;e^,
Tornoffi in voci am are e dolorofe '
Con Idonia a lagnar di fue fventuf e:
Lafla (diceale) in che mal punto il guardo»
Volfida prima a.que’bei raggi ond’ardo-
2j.,Per mia fata! (crcd’io) morte e ruinas
Vidi canta beltà non più veduta.
Infin di quanto il Giel quaggiù deftina
Difficilmente il gran tenor u muta.
Chi può per molte feoffe in balzaalpina^
Benrobufta piegar quercia barbuta?
Quercia, eh’ Auftro prendcdo.e Borea e fcher-
1 occa col capo ifCiel) col piè l’in&rno? [no*
Amo
XI
* V/ Nrf I. JtT*. ^ ^ JCV.
M* Amoftatuadinevc, anxi di pìccra.
Pertinace rigor, fermo defio.
Egli gela a le fiamme, a i pianti impetra.
Nè di voglia cangiar mi voglio anch*io»
Io non mi pento, ei non però fi. fpe tra ,
Guerrcggial’odiofuo con l* amor mio.
L’uno in elVer nemico , e T altra-am ante
Nonsò chi di noi duo fia più cofiante.
*5* Veggio moverfil monti anco a’miei verfi,«
Non ammoUirfi un’animato Tafio.
Tallhor de’finmi indietro il piè converfi»
Fermar nonsò d’ un fuggitivo il palio.
I moftri humilia-i fieri c p erverfi.
Nè d’un’akier Garxon 1* animo abbafl o-
Da me l’Inferno ifteflb e vinto e domo,
Nèfonpofféncca fogglogarc ùn’huomoi
*6. Scitfino in onda, e fiabrico in arena,
Pcrfuado lo fcoglio, c prego il vento.
A l’afpc Egittio, & a la Tigre Armena
Scopro la piaga mia, narra il tormento*
Idol crudel, di cui mi lice a pena
Sol la vifta goder, di placar tento*
Se far potcfl'e a qucfta alcun riparo,
iorfe di quefia ancor miforaavaroi
xy. Pregando, amando , lagrirnandb (ahi folle)
Ottener l’impolfibilc credei.
Far una felce impenctrabil’mollc ^
Più tolto che quel core, io fpererci.
Quanto più foco in me vede chebollci
Tanto fchcrnifee più gli aÉfiinni mici.
E pur volta ad amar bellezze ingrate.
Di chi mifàr'dolcr prendo pictats.
A 6 Nè
O
Dsgltizcxi :
1.A PRIGIONE»
pi correr dietro a chcs’iru^amota>.
°^*'?»orFoa^hcn;tócUfc«
Sebene il che l’addolora, i
r *-:Tuv rToSnl '
Premio de ° haverne tolto,
Serva lon di colai, cue
*1 ^4’animave dicorc
5. o beata colei, che’l
pelici qae begli PJ[.intender vaga
gs.:rvM»>,É“'E
Sii;asrX«“
poiché giovan ri poco ?
Malie tenaci, ò magici 1^0 -i
crudo
•iT
Ma tu che badh & a cui meglio lice
^pUr d'ua«lfec.«oU
Ponili ben tu de’ fatti efploratr ice
Sforzar oUabifli aconfeflartul vero,
Ke?Uoctafeinel’artiafcofe,.
li laicojcanto del’ ofcuie cole*.
:o..
CANTO DECIMOT ERZO. f}
ji, Qmtacc,&cUaai\ior vche poffiede
Quante hàTheffalia incognite dottrine» ^
Noneiàdl odo itripodi richiede ,
Non di odfo ricorre a le cortine ,
Non di odonaaifacriborchl il piede-’
Volger per fu.ppKjcar querce indovine,
Non a qualunque Oracolo facondo-
Habbia più chiaro, e più (amofo-rl' mondo»
jj. Nonil moto , e’I color cura de gliefti
Ncl’hoftieinvcftigar dc’facrifici.
Ne de gliaugeile cal giocondi, ò n'cftì
Seeonooil ▼olo,Ìmerptctar gli aufplci>
Nè deliri , ò manchi i mltni ni cel elH
0(Terva,ò fieno infaulli, ò fien felici.
Nè fpccolando và le ftelle, e i Cieli t
Mà più tacite cofe, e più crudelk • • • ^
Noct»cra, allhor dal diurno moro
Hà requieogni penfier, treguaogni duofo-^
L’onde gi'acean^ tacean Zenro, e Noto,
E cedeva il quadrante a rhorivolo , *
Sopra l'huom la fatica, il pefee il nuoto».
Laleraiicorfo,e l’augéllcttoìlvoloi
Appettando il tornar del novolumc
O tra Taighe, ò trà’rami, ò sù le piume» -
5j. Qaand’cllaprelc à proferir poffenti ' ,
Con lungo mormorio carmi, c parolcj'
E bifbigìiando i Tuoi profani accenti.
Atti a fermar nel maggior corfo itSolie ^
Il corpo-s’impinguò- di quegli unguenti»,
Onde volar qual Plpiftrello mole,
E per la cui virtù fpelTo s’è fatta
Cagna» Lupa, Leooza, Istrice, c Gatta*
^0*aE20*0E3Di0£
^ LA PRIGIONE, '
56. Sovra un Montonvlè plùche Corvo ncrOy
Che la lanate la barba hà folta, e lunga.
Monta, & acconciò ad ufo di dcftriero.
Vuol cbe’n brev’hora aBabilonia giunga *
Quel più ch’alato folgore leggiero
Per l’aria va, fenza che fprone il punga.
Ella a le corna attienfi, e non le lafla.
Cavalca i nembi, c i turbini trapalTa.
J7. Nata tra quel Soldano era pur dianzir
£’l Rè d’AiCria afpra difeordia e dura,
£ venuti a giornata il giorno innanzi.
Colma di morti havean la gran pianura^
Giace an de’buftl non curaci avanzi
Sparfi foflbvra in horrida miftura,
£ gonfio con le corna infanguinate
A favarfinel' mar correa l’£ufi:ate.
Le campagne d’intorno, e le forclle
Son di tronchi infepolti ingombre e piene,;
Veggionfi tutte in quelle parti e’n quelle.
Porporeggiar le fpatiofe arene,
Parte d’elea crudel menfe fun^c
A Lupiingordi, & altre Fere ofeene,
Ch’a monte a monte accumulate in tcrca^
Le reliquie a rapir van de la guerra.
Ma dàla Maga, chedalCieldifcend’b,
Son le delitie lor turbate e rotte.
Onde lafciate le vivande horrende,
Puggon digiune, ^e umide a le grotte.
Elia di fofche nubi, e fofche bende.
Che raddoppiano tenebre a la notee^
Avolta il capo, inviluppata i crini,
iDi quclt{;àgico pian Icorre ì confioi.
I
I
CANTO DECIMOTEKZO. q*.
A°‘ di iàngue faumidi e tinti'
V^cne col favor de l’ombra cheta, *
E la confiifion di tanti cflinci
Volge e rivolgc'tacita e fccretaj
Ementredc’ cadaveri indiftinci, - ,,
A cui l’^nor del cumulo fi vieta o v
Calcando và le fanguinole membra^
Ofeura cofa, c formidabìirembra.
_ 41* Non ffòfc’n viltà si- tremenda creai
lane la notte più "profonda c mura
Per la fpiaggia Coleo ufeir Medea’.
L’herbefacre à caccor fu mai veduta
Quand'ella già rinovellar voica
Del padre di Giafon l’età canuta.
A troppo forfè fola a lei s’agguaglia
Qualhpr d’alcun mortai lo ftame taglia,
4x. Scelfe un mefohin di ijuella mifchiaUbrZÉi
Che padaco di frefeo era di vita.
Intero il volto, incera ha vea ja ftr ozza ,
Ma d’uncroncon nel petto ampia ferita*
Se fia guaito il polmon, fc rotta ò mozza-
Sia l’alpra arteriai ond’hàJa voce ufiica^*
Prendendo a perferutar , trova la Maga, .
G’hor le vifccrc intactci efenzapiaga.^
Pende il fato dà lei dimoiti uccifi.
CUe de l’alta Sentenza indubbio ftannoì,
E qual di tanti dal mortai divili
Voglia a. la luce rivocar, non làmio.-
Se vuol tutti annodar gli danni incifii
Convicn checeda l’infernal Tiranno,.
Eie leggi de rHereWdiftrutcc,
fieadaalc IpogUe lor.fanimcttttttf*
Hòir
'i» LA PRIGIONE, ^
44- Hor del mlfero corpo, a cui preferita
l’ultima lineaancor non era in forte.
Lubrico intorno al collo un laccio gitta'
E con groppi tenaci il lega forte.
Indi acciocne più lacera e trafitta
Refii la carne ancor dopo la morte.
Fin dov’entra nel monte un cupolpeco
Sù per fafli, e Ipinc il tira feco,
[4j. Fendefi il monte in precipitlo, e fotta
Apre la cava rupe antro profondo ,
Ch’arriva a Dite, e difeofeefo c rotto
Vede i confin de l’un’e l’altro mondo.
Quivi il mefio cadavere è condotto,
Loco làcro per ufo al culto immondo.
Nel cui grembo giamai non s’introduce
Se non fetta per arte, ombra di luce.
Nei fen che quali ancor tepido lanme,.
Fa nove piaghe allhor la man perverta.
Per cui lavando il già corrotto fanguc, •
Il vivo, e’I caldo in vece fua vi verfe.
Glifparge ancora in ogni vena efiangue
Di varie cofe poi tempra diverfa ,
Ciò che di moftruofo unqua , ò di criRo-
Partorifee Natura, entro v’hamiftoi
'47* De la Luna la {puma ella vi melce ,
La bavaj quando in rabbia entra il maftino*.
E’I fiel vi mette del minuto pefee ,
Che’l volo arreda dei fugace pino.
Ponvi l’onda del mar quando più defce, .
E di Cariddi il vomito canino ,
E de runicoaugello Orientale
U redivivo cenere immortale.,
' ' L’k
CANTO DÉCIMOTERZO.
48. L’Incorrottìbil cedro, e Tamaranto,
L'immortai mirra, e’I balfamo v’interoa.
La feconda virtù del grano infranto,
E de la Fera fertile diLcrna,
Del fegato di Titioancor’alcjuanto, ~
Che fe medefmo rinafecndo eterna,
E del feme del bombice v’hà meflb ^
V erme poflente a fufeitar fc fteflo,
A9» II ccrebro de l’afpido vi ftilla,
E la raidolladel non natoinfàntc,
E ùel nido Aquilino, onde rapilla.
Vi pon la pietra gravida, e fonante.
Haovi l’occhio del Lince, e la pupilla
Del Bafilìfeo, e del Dragon volante.
De l’Hienà la Ibina, e la membrana
* De la Ceraftà Wribilc Africana.
Jr;
J n
50. Le polpe del Bifeion , che nel mar roflev ''S' '
Guarda in pretìofa margherita, m - ■>
Infra l’altre foftanze, e’nfieme l’oflb
Del Libico Chelidro anco vi trita.
La pcllev’è, c’hà la Cornice adofio
Dopo ben nove fecoli di vita 5 ^
Nè vi mancan le vifcerc col fan^e '
Del Cervo atpin, die divorato ha ranguc,
51. Ferri di ceppi, e pezzi di capcftri ,
Fili arrotati di rafoi taglienti,
Punted’aguzzi chiodi, e fangui, e meftri
Di donne uccife, c di fvenate genti,
De’fulmini la polve, e de glialpeftri
Ghiacci il rigore, e gli aliti de’venti, '
E i (udori del Sol, quand’arde Luglio
Yi dUtempra confeh in un mifeuglio.
4
lA PRIGIONE,
<1. V’agglunfc d’Etna rhorridc faville.
Di F Icgra i xolfi, e di Cerauno i fumi.
Del gran Cocito le cocenti ftille.
Del pigro Assito i fervidi bitumi ,
E di mill’altri ingredienti e mille
Abominande fece, empi foxxumi,
Infamie, e pelli, onde la Maga abonda^
Incorporò ne la miftura immonda.
5 j. Poiché tai cofe tutte infieme accolte
Ne le fibre, e nel core infufe gli hebbe,
E dal fuo fputo infette altr’herbe molte
Yirtuofe e mirabili v*^accrcbbe,
Sovia il corpo incurvofli, e fette volte
Infpirò’l fiato a chi riforger debbe.
Al miracolo cftremo alfin s’accinfc ,
* TE'l proprio fpirto adanimarloaftrinfc*
« rt
Veftefi pria di tcnebrofe fpoglie ,
/•Poi prende ne la ma\ì verga nefanda ,
Et a le chiome, che’n sù’l tergo accoglici.
Fa d’intrecciate vipere ghirlanda.
Viepiù ch’altra efficace indidifeioglie
La fiera voce, ch*aPluton comanda,
E move a i dettlfuoi, fommefla c pian*
Lingua, ch’affai difeorde e da 1‘humana»
5;. Dc’Cani imitai queruli latrati,^ »
Et cfprime de’Lupi i rauchi fuoni ^
Ferma i gemici horrendi , e gli ululati
De le Strigi notturne, e de’Buboni, \
1 fifehi de’Scrpenti infuriati , ^
Glifpaventofiftrepiti de’cuoni.
De Tacqi’c il pianto, il fremier de le fronde,
Tante voci una voce in se confonde.
Laer
CANTO DECIMOTERZO. if
L’aer puro cfcren s’ingombra e dgae
A quel parlar di repentina ecclifle.
lagrimar ftille lànguignc ~
L’alte luci del Ciel moblLì, e falle.
Bendo fafciadi nubi atre e maligne > -
Come la terra pur la ricopriflè, ^
E le vietafte la fraterna villa , ^
De la candida Dea la faccia trifta.
57. Dop o i preludii d’un fuflurro Interno
Seco pian pian fommormorato alquanto.
Cominciando a picchiar l’ufcio d’ A ver no^
In più chiaro tener diftinfe il canto:
T artarco Giove, che del foco eterno
Reggi rimpero, e de retcrno pianto,
Al cui feettro foggiacc, al cui diadema
T utto il vulgo de l’omlwe, efer ve, e tremai
58. Perfefone triforme, Hccate ombrofe, ^
Donna de l’Orco pallido, e profondo.
Al più crudo fratel congiunta in fpofa
De tré Monarchi j ond’e divilb il mondo^
Notte gelida, pigra, e tenebrola.
Figlia del Chao confufo & i nfecondo,
Huraida madre del tranquilla Dio ,
De rhorror,del rdeniìo, de Toglio.
5^ Dive fetali , c rigorofi Numi,
Che fedete àfilar l’humane vite,
£ novoilamc achl giàchluli hai lumi
Per di novo fpezzar lo, ancora orditCf
Cocito, erutti voi perduti fiumi,
Voi,ch1rrìgatelacittàdi Dite.
Dolenti cale, antri nemici al Sole,
Aprite il pafib a l’altc mie parole.
ORegli
u LA PRIGIONE,
# T
6o. O Regi, c voi de le mal nate genti '' J
Conofeitori, & arbitri Teveri, . ^
Ch’agiufti, e del follir degni tormenti ^
Condannate gli fpirti iniqui e neri. ^
JE voi miniftre a i miTeri nocenti
Di fuppliciì, di ftratii acerb'i e fieri, ^ • .
Vergini horrende, che gli ftigii lidi ^
fate Tonar di deTperati ftridù
^1. E tu vecchio Nocchier , ch’altrui fai fcorca ^
I A quelle tegion malvage e crude.
Solcando Tonda ognor livida e Tmorta
De la bollente, e fetida palude.
E tu vorace Can , che’n su la porta
De la gran reggia, ov’ogni mal fi chiude.
Per che chi v’entra più non n’e Tea mai ,
Con tré bocche, e Tei luci in guardia Itai.
Se voi Tovente nc’miei Tacri verfi |
Conlabra pur contaminate invoco; ,
Se mai di langue human grate v’offerfi
Vittime impure in effecrabi) foco ,
Se le minugia de’banibin dllperfi, ^
E dal materno Ten tratti di poco \
Polì gTaborti in su lamenfa ria, ’ ' .
Affiftete propitii a l’opra mia. v ' ^
éj. Già ritor non pretendo à i regni voftri ^
Le pofledute, e ben devute prede ,
Nè Tpirto avezzo a converlar tra’moftri ^
Per lungo tempo, hoggi per mefi chiede» - .
Quel che dimando, de' temuti chioftri
EoTe pur dianzi in su le foglie il piede,
E di quefta vital luce ferena
Ha quafii raggi abbandonaci a pena.
Non
CANTO DECIMOTERZO. xi
Non nego a Morte fua ragion nè degglo^
Del giufto dritto, defaudar. Natura. *
Sol de le lìellc, e non del Sol vi cheggio
Si conceda a coftuipicciolaurura.
Godan quegli occhia che velati hor veg^o
Di caligine cieca, e d’ombra ofeura,
Poiché per Tempre pur chiuder gli deve.
Di poca luce ua’intei vallo breve.
• Quinto ignudo, anima errante, .
Odi e ritorna al tuo compagno antico»
Solo qual fia l’amor, qual ha ramante
Rivela à me del mio crudel nemico.
Riedifublto al loco, oiTeri innante, , •> >
Dato c’havrai rilp olla a quatft’Io dico, ;
Ritornaalma raminga e fuggitiva , , , "
Rivcfti il manto, e’I tuo contorte aviva»
• Ciò detto, n(^ lontan mira, & aCcolta .
Del trafitto Guerrier l’ombra che geme, >
Perche del carcer primo, onde fu tolta , .
Tra nodi rientrar pavenra e teme, i
E nel petto fquarciato un’altre volc4 :■ u
Rìhabitar dopo l’cflequie eftremc, , ,
Chifin laggiù (prorompe) inrivaaLcthe
Mi turbaancor la mifera quiete?
• Latto, c chi de la Spoglia, ondalo fon fcarcfl^
L’odiato pefpafoftcner m’af&etta ? ; ,,
Dunque contro II deftìn Leverò e parco v ^
11 fil tronco afaldar doto è coftretta ? r
Deh ch’io ritorni per l’ombrpfo varco
A la requie interrotta hor fi permetta, . j
Mifcr, qualfato si mi sferzae lega , , , yo
Che di poter morire atico mi nega ì
^ - • Ch’cl
tA PRIGIONE,
^8. eh el fià sipoco ad ubbidir veloce
^ Donna fpirital difdcgno prende,
Onde con sfèrza rigida c feroce
Di viva ferpe il morto corpo offende,
1 oi con piu alta , c più tcrribil voce
Solleva il grido, che fotterra fccnde ,
E penetrando i più profondi horror!
Minaccia a l’alma rea pene maggiori.
^ informar queft’olTa?
^al piu forte feongiuro ancora attcndiì
l’ Abillo, e ne la fofla
arrivar, fè mcl contendi ?
O eh e^rim« cjuc’nomi hor’hor non podi
j“cdfabili, tremendi ,
^*A M ^ davante
Ciò ch’io t’impongo ad efl'cguir tremante}
70* Megera, e voi de la fpictata Cuora
degne, e degne Dee del mal^
M udite } a cui pari’io? tanta dimora
Dun<]ue vi lice? e si di me vi cale?
E non venite i e non trahere antera
^or del penofb baratro infernale
Da ferpenti agitata, c da fkcellc ,
L alma infèlicc a riveder le ftcllc? ' -
71* vi farò de le maglon notturne
A forza ufeir di fcollfe, e di flagelli.
1 legiiro per ceneri , c per urne , ‘
VI Icaccerò da‘roghi,c da gli avelli,
^rete voififordcjc taciturne ,
^laud’io co’propri titoli VappclPi »
O’con note più Acre & cflccrande
. ; deggio pur ^ucl nome grande
CANTO DECIMOTERZO. il
71* A tai detti (ò jprodigio) ecco repente
Il fangue intepidir gelido, c duro,
E le vene irrigar d’huraor corrente f '
Che già pur dianzi irrigJtchiro.
Rlpien (U fpirto, c d'alito vivente
Mo\ efi già rimraobil corpo ofeuro.
Già già palpita il petto, & ogni fibra
Nc’fi^eddi polfi fi dibatte c vibra.
75. I nervi ftende a poco a poco, e forge *
E comincia adaprir l^cgrc palpebre.
Torna il calor, ma fomminiftra e porge
A le guance un color,' ch'è pur funebre?
Tallidczza si fiitca in lui fi feorge
Che fomlglia fquallor di lunee febres
£ con la morte ancor confiila e mifia
Oioftra la vita, che pian pian racquifta»'
74. Di, di {dic’clla ailhor) per cui fi ftrugge
Colui, per cui mi ftruggo.? alzati, e dillo*
Qual’il cor fiamma gliconfumae fugge?
Qual laccio il prefe? e quale ftral feriilo?
Dimmi,ond'avien,cbe più m’abhorre e fugge
Quant’io più’l feguo, e più per lui sfavillo
Sefia mai che fi muti e quando, e come
Narra, e dammi del tutto il loco, c*l nome
75. S’averrà , che tu chiaro il ver mi fcopra%
Non come fan gli Oracoli dubbiofi ,
Degna mercè riceverai de l’opra
In virtù de’mieiverfiimpcriofi
Farò che più non tornerai di fopra,
Nc più verrà chi rompa i tuoi ripofi.
Da chiunque incantar ti vorrà mal
jFjr«inco per tutti IfccoUraral* '
fW
la prigione,
76. Così gli dice, c carme aggiunge a quefto,
Per cui quanc’ella vuol, favergli kàdato.
Quei fparge alfine un flebil fuon c metto , "
Arcicoìando in tal favella il fiato.
Non io , non già nel .mondaempio c funetto
Donde, giunto pur’hor fon ricchiamato.
De le Parche mirai gli alti fecrcti,
Nè vi Icflì del Fato i gran decreti. . . , .
77. Pur quanto foftener potè il bre-Zufo
D’un a ruga ce e momentanea vita.
Dirò ciò che d’udirnehoggi laggiufo
Mifti permetto innanzi a la partita
Hoggi hòdi quel ch’atuanotitia è chiufo.
Da Tempia Gelofia Vhlftoria uditaj ... >
Dai'empiaGelofia,Furia perverfa,
Che con Taltrc tal W Fune converfa. 1
^8. Ditte, che’l bel Garzon, ch’a te sì piacque » » j
£ che de Tamor tuo cura non piglia,
Dal Rè di Cipro è generato , e nacque
Perfraude giade Timpudica figlia. ) j
' Ama la bella Dea nata de Tacque. '
Ella Polo il protege, ella il configlia, >
È fé ben’hor fe n’allontana , c parte, ^
Ama pur tanto lui, che n’odia Marce. '
I
75. Marte di fttegno accefo edifurprc > . -
Morte già gli minaccia acerba c rea*
Onde s’c Tamor tuo fterilc amore ,
Infaufto anco è Tamor di Githcrea,
Volger ricu fa a le tue fiamme il core , , .
Perche fitta vi ticn l’amata Dea
Poi cotal gemma lo difende c guarda,.^
jCh'etter non può, che d’altro loco egli arda.
^ E p^ii-
t
dANtO DEC IMO TERZO, if
10. E polche tu c'on fiero abufb e rio
Derarti'tue mi togli a i regni bafiì,
E^cnmeurioibe van defio
Fai che Sclge di novo a forza io pafli.
Nè mcQ crudcljch'a l’alma, al corpo mio,
Ucclfo ancor, d'uccidermi non laflì,
Alicolta pur, ch’io voglio bora (coprirti
Quel che nonintcndea prima di dirti.
11. PfermcFtcil^uftoCl^pcr qucfto feempio,
Epèrl’a^adaciafoldcltao pcccatqj .
Ch’osò con ftranó e non udito eflempio
SforzarNatura, e violare il Fato}
Chenons’adctnpià mai del tuo cor’crapio
U malvagio appetito e rcelerato, ^
Nè tel’amato.bcnc amerà mai. ^ ^
Nc tttdclbené amato unqua godrai.
8a..Piunondlfs’egUcclòIaMa»aadltai . -•
Digelofodifpctto cbras’àccc^f
• E’ibufto in negra pira incenerito» . ;
Alfin più di morir non gli cc>ntcfe. . '
Ritornò pur quel mlfeto feti t.o, ,
Poich’a terra ricadde, e fi diftelc, •
Mandando l’ombr.i a le T arcaree porte,
Dopo ddevite c la feconda morte.
Màglàs’aprellglardindc l’Orizontc,
Già Clori U del di frefcKcrorc infiora.
Già l’Oriente il piano intorno, e’I nome
D’oftro, e di luce imporp®*^*» ^ ij'dora;
E già con r Albaa piè , col giorno in fronte ;
Sovra un nembo di folgori l’Aurora
Ter l’ aperte del del fiorite vie
le ftellefugM dinanzi al die.
'• VoU. Il* ®
l6 tA prigione» I
84. PIÙ veloce di ftral, ch’efcadi nervo#
Torna, ov’Idoniail fuo ricorno attende
Qnefto Barbaro (dice) rnpio c protervo
N on è qual fembra, anzi d’ Amor s’ac cend^
^ Miièra, c pur (benché d’Ainor fia fervo)
Di chi langue d’ Amor pietà non prende. • '
Diftintamente il tutto indi lefpiega,
B di configlio In canto affai la prega.
gj. Non per quello dei tu ( l’altra rifponde|[
Abbandonar rincominciata imprefa.
Almachebellafiammainfe nafconde» '
E di quel bel rimpreflìone hà prefa ,
finche foco nove! non venga altronde#
D’una folabelca fi moflra acccfa. fbrama#
Mentr’hà l’occhio , e’I penùero in quel che
Altro non conofcendo, altro non ama.
Sé.Qualunque amante Amor infiamma, e punge
Ama l’oggetto bel ,che gli è prefente,
Mà la memoria fol ne tien da lunge»
Ne la ricien però già lungamente.
T ofto eh’ altra fembianza a mirar giungct ^
Gli efee la prima imagine di mence#
Sempre il defir di nove cofe amico
Fè che’l novello amor fcacci l’antico.
87. S’una volta averrà, che tu pcrvegna
Pur di quel core ad occupar la reggia ,
Ch’hoggi la madre di colui, che regna
Nel terzo Ciel, s’ufurpa, tiranneggia#
Efl'endo tu. fe non di lei più degna # ^
Di bellezza almen tal, che la pareggia#
Credimi, il primo ardor porto in ooUo#
L’inert'orabU tuo diverrà pio,
X.-
u
^odobcntrnl '
O >« fro<fa7p/r ?' ">“*
Coiuro l'arte c?i/ fia tolta
Far-alll,„r„,i '■"fe
® 7 * Cùi.ereL^r"H" -“oltai
gradoalfin J- f.; !^^P«to.
«o P ir
♦^^lufcnaaoii.af 4* /* .
E novo ardire enr
^crò chc'i favllhjfV ‘^^ia,
pi co[k conrcguir apporta
PiTufcitando fa balda *
creder volflnfl
Quindi a colei cIm vorria.
* Ìn*3l^^J^M“^«oni«oAJone
PaiTandolSiS5““"!"'<>. ^ ‘
^uallido affi* Cagione
«tre iJ di6®“ T“ ’«°-
E IVflir del fuo bV„ ^ Ptigionc.
forre accrefee “li ' P"™-
Del crudo Hidrafpe U reCwlo^r^SsUo.
naSr^'r-5.'®SÌ?rdimlU?^„rd
«paOà in Im d ogni tormento i fe^txi
«onovo marcir, che troppo il puaec
^‘afltiawlial>cttmuIos'agsiun|r^^^
^ * IFcronj
^7.
LA PRIGIONE,
pi. Feronia è più d’un dì, che l’hà inffoverno, C ^
Una Nanae cofteidifforme,eveccnia,
La qual fera c mattin con onta e fcherno
La vivandagli reca, e gli apparecchia.
Furia (credo) peggior non ha l’Inferno,
Può fe fteflà abhorrir, fe mai fi fpccchia.
Sembra, (sì laida e Tozza è ne l’alpecco,^
Figlia de la Difgratia, e del Difetto.
j}. Più groppi hà che le viti, òche le canne.
Et ha corpo fi ravolto, e faccia fmorta,
Sbarrat.Q il nafo , e lungo oltre due fpanne.
Ricurvo il mento, ampia la bocca, e torta*
Come Cinghiale infuor fporge le Zanne,
E sù Vhomero unfcrigno porta.
Ne le doppie pupille il guardo iniquo
Fa gli occhiftralunar con giro obliquo.
Dopo molte ignominie , c molti feorni.
Che gli fc quefto moftro, e beffe, e giocchl.
Mentre con arti fconciamente adorni
D’alimenti il nutria debili e pochi.
Motteggiando! pur’un fra gli altri giorni -
Con parlar balbo, e con accenti rochi
Sciolfe la lingua, e poiché l’hebbe fciolta f
Intoppò, fcilinguò più d’una volta.
, O'ferainella vii, ch’ad huom sì inetto*
Altro nome ( dicea) convienfi male, .
Nèvò rimproverando il fuo difetto •
Far’a Natura un vituperio tale. : < »
Hor fc non fai d’Amor prender diletto,-
Il tuo fedo virile cheti vale ? . !
O qual beltà ci fcaldcràgiamai,
S’ad arder de la mia feolo nonhaU
Mcrau;
Canto e>eciMOTEr^^^
Meraviglia non
Sprczzaftì, ancorché vanto
Quando di vagheggiar ti
Più vagatane?, e Sgnor xl donzellai
Nè per haverne Tagio a P**^“ ^
Solo confola in sì remota cella, ^
{Sciocco che fei) richiedermi damoj.^
T’è mai ballato in tante volte il core.
J7. Se non che certo aifeciirata iofui,
Chuom non fe’ta, fi come gli altnfoj^^ ^ .
Anzi un freddo Spadoiij ^ *
Che qui ci guarda, a
Te fol correi , come fol de;^” > ctn >
Faceffi di me ftefTa .
Dandoci imin co’miei
(Suo mal grado) a goder cibi miglio,.j^
58. Polche fonduncjue i 5*^®^
Eciechialofplcndor de ragg
Convien che tu mi moltri , e c jp toccM
Hor'hor fi! marchio, 6 par °<=f ‘
E quando avenga, che le mani, ^ i oc^u.
Ti trovinpoi.qual mai non creder^-,,
Troncar civò quel Porgano intecondo^
Che tu pofliedi inutilmente al mondo.
Ma pjerche dubbio alcuno in te no
E le bfllczxe mie non prenda nfo. «*•,
Mira ciò che tu perdi, c cio c avref^ì ^ ^
Ecco t’apro il chcfordcl **"-* ^
Guarda le bella pur fbtto le ve i ^
Altrccamo (bivio, quanto uc vi o. ^ ^
Così dicendo, s’accorci^ ? , r
E fi gli fè veder, ch’cU’era Donna,
; ^ ^ Boi
JO LA PRIGIONE,
100. Poi le luci girò bieche ctraverfe
5iche mirgtulo lui, mirava altrove
B quella bocca ad un forrifo aperfe,.
Che la fepoltura par, fe s’apre, ò move*,
E innanzi a lui sìofccne, c sì diverfe
Di fua diftioneftà prefe a far prove,
Che di foftidio ogni altro cor men franco
fora affai meno afofferir già ftanco.
101. Un tratto pur rimpatienza il vlnfe.
Che fdc^^no degno e gencrofo il moffe.
Mcntre°che la bruttarclla aluili fpinfc
sfacciata per baciar più che mai foffe,
Adone il pugno iritamente ftrinfe,
E la finiftra tempia le percoflc.
N el mal polito crin pofeia la prefe, -T
Et a forza di calci al fuol la ftefe.
joi. LafieraGobbaintornoalni s’attorfe
Aviticchiata in m oftruofa lutta,
E conl’ùgne il graffiò, co’denti il morfe.
Quanto arrabbiata più, tanto più brutta.
A i romori, a k ftrida Hidrafpe corfe ,
che rifonar facean la cafa tutta,
E fgridando il garrì che laScrignuta. ^
Deputata a fervirlo, havea battuta.
103. E con la sferza in mano anco il minaccia.
Ch’egli il correggerà, fe non s’emenda.
Idonia allfior vi iovraggiunge. e fcaccia
La coppia abominabile & horrendai ^
Poi con più grata, e piùpiaccevol faccia
Vuol che’l latto da capo adir leprcndaw
La olpa (diffe) è del tuo cor protervo,
Che potendo effer Re , vuol’effer fervo.
'"‘“'"“Terzo.
iv°^®"0 blr? "J° af «ttar u‘ movi
‘i giovi,
S “ioirvuó: 00°”'» chiami.
"“>.'hecriidelcàconvienti.
j
meglio, &tc fteflb
tanto raalci
fiocci-a K nc fia promélTo,
^tai onl «J’urcir ti fia conceflb ,
terra eguale.
^ailjp^.’^t-icchezzaamorcongiunto
in un punto.
Màs’av-
Si^’ oteii <f!f c^*^tra nebbia a l'alma ingrata
^ i)Oùf>^ j^^gionc habbia si cliufi
^^conol^^ ^ **c la benigna Fata
làppla, anzi l'abtifi,
zjttiijaccia ®fini credere opinata
Sf s’accufi
per tal cagion t'avcgna,
J07 furor quando fi fdeg na.
1 ^anto
nobi] a],§t*^Ita ^ più > vl3 piu s’avanza
i“&*“riata^^^iiumanit3 corcclè.
^ muta Tu/ànza,
« ? ?? i'amor, ebe pria racccfc.
i!' . ‘*'^fue freno abafiranza
i:*^^opiii^l-raa vendicar roftefe.
^ ®agj^j^olto avien qual hor fi (prezza
^^a Donna aita bellezza. .
s 4 Gaar^
LA PRÌGIONE,
108. Guardati, quando haverla bora aon TOgl2
Supplichevole amante e lufinghiera,
D’haverla poi con pene , e con cordogli ;
Tiranna formidabile e fevera.
Conchiudo infin , che fe non Ikghl c fciogl
Chi del Tuo prigioniero e prigioner a , t
Senra trovar pietà fra tanti affanni ,
In villana prigion perderai gli anni.
J09. Adonichcfenzafcampo, efenzaaltA . ^
Le cofe in ftato peflimo yedea.
Pensò, che s’egh cara havea la vita , >
Cara, fe non per sèi per la fua Dea, \
JMoftrar gli convenia fronte mentita,
E di cangiar penfier finger devea*
E l’opreal tempo accommodandoin par^i,
far virtù del bifognò, & ufar l’arte,
110. Comincia a fcrcnar l’aria del voltoV'
E più grato a moftrarfi, e men rubello ,
E fperando In tal guifa efler poi fciolto > .
Qualch’inditio gli dà d’amor novello. . {
La prega intanto almen , che gli fia tolto »
De la N ana importuna il gran flagello ,
Poichc gli c fovr’ogni altra arpralciagura ;
Si malvagia miuiftra a foffrir dura.
111 . Lieta Idonia promette , e perchc’l cred^
Da lunga fame indebolito e fmorto, '
Riftorarlo s’ingegna, e gli concede
Di foavi conferve alcun conforto ,
Mà ne l'anel, che Citherea gli diede, '
Volgendo adhor’adhor lo (guardo accorte, ,
Tenia come glieTrubi, e gli prefenta
Alloppiato vafel , che l’addormaita. ' '
D“op-
c A NTO. DECIMOTEKZa
ComSo gMvofo-è <jael licow
Gi-atlà loto.
Wà recre^"? %“« . .
“=5 fean.
^^’opprim,. r ’ , «SPre.
Atto ^°S'‘= il *nfo,e'l mo.
M’eria, e di Scigc il i>rago , e’I Cane.
Nè^tarda m » Adone il beve, i
Chr’un fi operar Telfetto,
Che fij qn, ' ^onno il p refe in breve
^ vinto da /• ^ vacillar coftretto,
Cirfen si'i /» . profondo e greve
Idonia , cb ^ riverfar del Tetto,
^afciollo,? '^‘itto era prefaga,
^^antòi ■& appellò la Maga^
^*+- LaMaffo •
» el dito^trar j S^i fece -t
Un’altrofuo * adamantino» anello.
SonuVlianf fiippole in vece
che pa«a quello. ;
® ' ‘■‘gi «foro?? ‘l'tce groppi e dieoe
raddon ^ onxello, ^
PercbcnuijW^i^^^ele capcne groic
ntia, nulla ii mofle.
X15. Salvo un f j .
La cui cliiav * chiavilleM’acciaio duro, ' "
Tutta vuol altrui fidar non ola ,
Qucllaricca ^ d’of fernpKce epuro
Sì perche pi,' ^^tcna c prctioia,
x> cl più luci metallo ólcuro,
Slperchc’tì i efinò c copioiaj
■yuglconutx^^^iod’óro ellcndoftrctt^
d*f»r- fitfQC venoett^.
^ S
Dopo
OO
oc
l4 lA PRIGIONE,
né. Dopo lungo dormir, quand'ci lì della >
E fi ritrova in auree funi avinto,
I3a lo ftupore , onde confufo refta ,
Lo ftupor del Lethargo in tutto è vinto*
La cara gemma a contemplar s’apprefta ,
Non facendo però, ch’è l’anel fintoi
E perche non vi feorge il volto amato,
Teme non contro lui fia forfè irato.
117. Amor’Infidìofojì tuoi piaceri
Com'han Pali ( dicea^ veloci e lievi 5
Come fehernifei altrui? non fia chi fpcri
Gioie da te, fe non fugaci e brevi.
Perche levar tant’alto ì miei penfieri.
Se poi precipitarmene volevi ?
Mi fomraergl nel porto, a pena giunto »
E mi fai ricco, e povero in un punto.
«8. fortuna lngluriofa,i*non credei
Perder’in herba la fudata melTc,
Nè ch’una ftolta e temeraria Dea
Ne l’impero d’Amor ragione haveflc»
Così dunque fen van, pèrfida e rea.
Con le fpcranze mie le tue promelfc ?
Dunque dal tuo furor perverfo e dura
Trà le milcrie ancor non fon fecuro l
H9- Non preftai fède a la tua madre Amore ,
Quand’era (c’hor non fon) contento e lieto*
Dicea, ch’eri un mal dolce, un dolce errore,.
Sagittario crudel, Regc indifereto,
Latifiato di fraude, e di dolore.
Libera fervitù, porto inquieto.
In cui fè, ne pietà mai non fi trova,
Lafib, bòi tardi U«onofco> c’I sòper prova.
V
*»l>:.Scmf*‘' ‘■“SSio.
*Cco J; un fi gran torc^
al 'f ^efìabi 1 raggio ,
C^Iufoun i? S’ogo a^pro cfervile
tuo pngionfcro in carccr v3c.
^ar^^i cruda Fortuna,
^ogni Dar^v^ cftrano^
^PogllaL?^ Qo ben fiiT de Ja cuna
E (ciò cJiV rnand^
I>alSoJ calciarmi «a nottebruna
Ch-aggianEeti'’^' “’'T’
Epuribcttr- ^ a nodi ancovorefti
& Jìonor ini promctteftL
Qi*alprivil^ Ipiettatc c ngTd’armi
Se con chi ha vran- diademi, e troni »
Se ne pur*^''Sueemuor non le Tifparxui »
Sefontra^*^^® * * '
Quc/le Jv ache piulaetrarmi?
Precipini ove mfponi?
A chi dunque- hai pre^<^
'^«gUfoctogUAbiflii
tj. AhiVK; ,
efilE
Ahi'chi j ^
Chi nega ^ Ipcrar mi priva?*
Giunger^ occhi miei l’amara Aurora?*
Godrò rna^.^^ tanti Ararli a riva ?
5*J.ai di tanti ftrani a riva ?
Com’eflet*^ ^*^ta,© conlòlacaun’hora?
Sarà pur che feaza vita io viva?
Deh che ti o» m or end'o io mora?’
Coftvoipa p? com’bavrò'pa:cc alcuna?
* 4mof ’cjnpi® , empia Fortum
foitu
-«JTtlV-
tff-^3lttf“
LA PRIGIONIE,
114. Fortuna empia, empio Amor, qual pene, i
N6 foftié dii per voi piagne c foipira? (danni
L’un è fanciul fallace, e pien d’inganni ,
Femina l’altra, ebra d’orgoglio, e d’ira,
Quefta Covra la rota, e quei su i vanni,.
Quei Tempi e vola , e quefta Tempre gir*U
Cieco 1 un, cieca l’altra ,& ambidui
Aquila, e Lince a Taettare altrui.
115. Con quefte note bordi Tua Torte dura •
Hordei crudeTamorTeco diTcorrej
Venere incolpa, che di lui non cura.
Di Mercurio Ti diiol, che noi Toccorre ;
Qiiand’ccco entrato in quella ftanzaofcura
Mercurio iftefib a la Tua vifta occorre.
Ch’a diTpetto di toppe, e di Terragli
Viene a porgergli aita in que’travagli. '
it6. Mercurio, a cui già da la Dea commefta .
Fii il patrocinio di cn’il cor le tolTe,
Li aflìftea Tempre, e’I vifitava Tpeflo ;
Se ben laTciar veder mai n on lì volTc.
V eggendol dal digi un talvolta oppreflo, .
Cibi divini e delicati accolTc. .
Et al inefto Garzon poi la Colomba
Gli recava nel becco entro la tomba.
X17. Hor colta hà l’herba rara, e vigorofà, -
Non sò ben dire in qual’eftrania terra,
Contro la cui virtù meravigliofa.
Con mill«i chiavi in danno uTcio fi fcrray
E Te le piante alcun deftrier vi poTa,
Ne Tvellc i chiodi, e lo difeae sferra.
Con queftafenza ftrepito ò fracaft'o
Xnvifibilc altrui, s’aneiTc il paflb.
Carna,
CANTO DECIMOTE Bl ZO.
218. Caraa> Dea de le porte^ e de le cHiavi^
Di quella entrata agevolò le frodi,
£ di volger per entro i ferri cavi
L’adunco grlmaldcl móftrogU i modi.
Le fibbie doppie, i catenacci gravi,
Legroffe £barre,ibenconfitti cKiodi,
E le guardie falcar d’intorno al buco
Fè così pian, che non Ludi TEunuco. .»
12.9. Uditic’hebbe il mei^ggier del Ciclo
Del tribulaco Giovane i lamenrix
A lui feopriffi, e con un molle velo
Gli venne ad afeiugar gli occhi piangenti.
Poi tutto pien d’affettuofo zelo
Dolce il riprende, c con fommclfi accenti,'
Che de la Dea tra’fuoi maggior perigli
Così mal cuftoditi habbia i co «figli.
13O. Ech’avifato in prima, & aver tiro ,
Statofia sì malcauto, e sì leggiero.
Che lafciato levar s^babbia di dito ^
Quel don maggior di qual (ì voglia impcroii
Edato agio a colei, che l’hà rapito,
DI porvi un falfoancifimileal vero. »
Poi de la gemma adultera c mendace
Gli fa chiaro veder l’arte fallace.
J31. L’altro inganno di più gli fpiana c fno<^
Del còntrafatto e magico tencihiante,
E dice, che non miri, c che non oda
L’iftcfla Dea, £c eli verrà davante , \
Ch’altro non fia ch’infidia, altro che froda»
Che s’apparecchia a la fua fè coftantci •
Che (otto finta imaglne e furtiva
SwàTa DouQa. c fcinbisifù U ^
LA PRIGIONE^
iji. L’inftruifcé del tutto, e gli ricòrda , ; i
Ch’ella d’ogni malia porta le palme t
Che più con verfi horrendi a morte ingordx
Far vomitar le trangugiate falme y
Tor malgrado di Dite avara, e Torda,
A l’urne i corpi, & agli abLQTi l’alme^
Puòfommerger il Sol nelmarprofondòr
Sotterràii Cielo, e ne l'Inferno il mondo.
1J5* Diccgli, che bifbgno ha che fi guardi
Dalelufinghe fue qual hor ragiona^
Ch’ogni Fata hà per efche accenti, erfguardr>
Onde gli animi allctta, e gl’ìmprigjLonai,
Ma dopo i vcazi perfidi c bugiardi
Satia dfin gli fchcmifcc, c gn abbandona.
Molti ucci^r ne fuol, tal un n’incanta
V olto in fieia,in augello^in {afib,ò in pianta:
JJ4* Soggiunge ancor, che non dia punto ioàc.
A le lolite lue leggiadre forme,
Poiché tuir'artein lei quanto fi vede,
E. l’eflère al parer none' conforme >
^fe ben d’anni, e di laidezzaeccede
Qualunque fiifl'e mai vetchia difforme ,,
SuppTilceslcon l’artificio ch’ella
N c viene a comparir gio vanè e bella.
che ciò fò perche vezzofà in vifta
D’alcun fcmplice amante il corfoggioglu^
"Con cui (che raro avien ch'altri rc^a^
Sua sfrenata libìdine disfoghi^.
Mà fc’ 1 perduto and giamai racquifta,,
Ofeìto tiror di que’profondi luogh^.
E con effe averrài, ch’égli la tocchi,
J ofio delvcr «'accorgeranno gli occhi.
Final-
CK't^'TO X>12.01K1.0nr
^^6. ’SvnaVmciv^c lo flcga^ c Ac lo. Foj^lio
l>otxo gli fià, cKcpiviAcl ferro e force ».
B, l’ammacfVra ancor ,corrwe fi. Ccloglia,
Quando allcnrar vorrà V*a.Cpr e ricor ^
Sc^en fuggir non può fiior Ac la. foglia.,.
Mentre liner guardiate girar Aa le porre
Baderà V>cn> cliccjnanAo alcri^nol rnm^
Difgragaco del peCo^ al meri rifpli^l--
1x7. StupifceAdondicpaarrrocgti racconca»
L’altro. di fen G traKc cVxc *
Pofl'cmea riftorarta
Lettraai lìnee i*or gaca
l.a rofa»cl«cn £UgS?““^^> fi J^carta^
Mo0ra omte vegna, edx chi n-^Stta».
SSela riga in s^ V
Al Cuo bcOcritor la Dea trafteta.-
„8. X.a rciolfc. e
” L'almadal core. .. ^
Poi quanre noce .
Xamihactr ciuaodo hi left«
Pecche- confi^erero n ta fcrifte.
Oaarainor ta n
Pù det gran C/”'?forpir non Varfc.
Sola mercè, fe co E j.ormcd,
«a Veggio (il ^c“gìo ri?forxi.
coml>a<t:otap^^> V lauree catene.
Ciu^
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40 LA PRIGIONE^ >
140. Cruda prigion , rnaviè più cruda molto .
Quella che qui mitica legata e (Ire tta,
Ch’oltre, cbcde’begll occhili Sol m’ha tolto
A chi mcrtoglic ancor mi ia foggetea
Bramo il piè , come il core haverne iciolto>
Ma la fpada può più che la faettai
E fe ben la lua forza ogni altra avanza,
Amor contro Furor non ha poflanza.
141. Che mcl fenz’aghi, e rofa fenza fplne
Coglier mai non li polla , è legge eterna,
Stan le doglie a i piacer Tempre vicine.
Così piace, à colui, che ne governa.
Mà fperiam pur, che liberati al fine
Io d’un’inferno, e tu d’una caverna, ^ ^
Tornando in breve aTallegrczza antica
Scherniremo Pamantc la nemica.
141. Sò che m’ami, c fe m’ami , ami te ■
Perche più che’n te ftcllb, in me tu (ci.
Se t’hò nel core immortalmente impreflb ,
S’ardon tutti per te gli affetti miei,
Io noi vò dir. Se tu non folli in elio, ^
Anzi fe me non folli, io tei direi.
Chiedilo a te, però che’n tè cor mio
più che’n me ftefla, anzi pur te fon’io.
J45. Cor de l’anima mia, vivi fopportit> ~-i
E viva teco il tuo ben nato ardorej '
E con un fol penfier ti riconforta.
Ch’altri giamai di me’non fia Signore>
E fe forza a’fer’altro hor mi tralportar
Scu&biPè non volontario errore.
PIÙ non ti dico, a quanto a dir mi refta
Supplirà ceco U remoi di quefU*
Letti
CAJS/T<y 'R.’Z.O.
J44^ Lccti I bc£ vcxii 9 Jiccon-cl^ i ferri , e fpa.r'v^
Jkfcrca.r{o^ e qviln.^1 era Cpaxlro a pena»
Qic la rivai di Venere v’appar^ve» J
tal, cKe non parea pl^t a\firc.n.a, ^
Qaaft deiuCo dasiteiia. lar'vc, ^
K prima v\l\a A.don non\>en s*a£Brerkas ^
t'bcn cixe fappia efler V>eit.a fc.llace> ^ ^
Vin^anno è però ra\> cViT a occVxi pxac«-
145. IL fe non ciac del ver tofto s*ac<^rfe»
Tal fò dei Bdo meCfo li canto
5cndo fcnxa ranci , fiior d’ogna forte
Creduto havrcbbealBm^lajo Vito ,
Perche di OUbcrea tutti in
Portamenti, e fatexxc,
Ella in entrando U Cainto per
JMà volendo parlar* non fep pe
I4<. GU lontana la
Che nel cor le l^ciò f^^gradita,
Hor cWella avampa-
,,1 Fatta da qnca*ardore^q«»“^° ^^
A l'u fata battaglia al^or s
Volfe bacciarlo. c fi . Itanfoco-
n.,r .nnderò Ce fteOa in a»
r
?
'X
VoUe bacciarivj» *r eA eran
Pur moderò Ce ftefta in si gian
7. Per occnltar, per
Biafimadi F^^^^^VdffteaUa
E cruda. vin tanto “* “ :
Che a si tort r Quanto t am
^nc a a.» ^ crliira Pf r,a tratto.
.m
n corto - ouanto
. Pcomette.egi««»?f^Ptgìii'‘i»“%T
1 D^fer-ancor, f^“^‘J^ori:eftl
1 Pur ch'eU^d^l^^^^V^ » lei U6«»-
ILafci poi
m
lA PRIGIONE, '
«
148. Gli s’àilìde da 4to ) e «li difteiide
Mentre ragiona, insù la fpalla il bracciOi
E tuttavia con la man bella il prende
Per annodarlo in amorofo laccio.
Ben che legato ei lìa, pur fi difende,
£’l collo almenderviada quell’impaccio^
La tefta abbafla , e da le labra audaci
Torce la bocca, e le nafeonde i baci.
Fittofi in grembo il volto, a Ieil*invola>
Anzi per non mirarla i lumi ferra;
Ma poiché pur’aflai d’una man fola
Durata è già la faticolà guerra ,
Lu Ma ica ella gli pon fiotto la gola,
E con la deftt a il bionde ' "
Con una mano il crin g
Con l’altra il mento gli
Jjo. O sì, ò no, ch’a forza ella ilbacciafli^
V eduto riuficir vano il difiegno.
Stanca da l’opra fua dur fi ritrafiè.
Et onta ad onta crebbe, c fidegno a fidegno!>
Le luci alzando allhor torbi£, e baflc.
De la favella Adon ruppe il ritegno,
E diflc , Hor quando mai Dea de gli Amori,
Fù ch’Amor ad amar sfbrzafle i cori ?
Iji» Non è quello, non è vero godere,
Nè modo d’appagar nobil delire,
E^qual gioia clTcr può, contro il volere
Di chi non vuole, alcun piacer rapire?
Mà che? de delitie & agi ama il piacere»
Tramifierie, e dolor chi può gioire ?
Non fidennodubbiolcemal fiecure
Le dolcezze mifichiar con Icficiagutc.
> crm gli altera
li tiraellringc,
fiolleva e fipmge.
canto t>EClM0T««.2.O.
'2*1? "? ' ferri to r*«ccare*ri> -
*‘ fembra atto a i aUecti?
Più a miglior tempo i velari,
Arr/„J- importuni affetti.
Attendi pur , che s'apra. & che fi Cpez-ei
ì
r
L
5t
l
h ^5 J* Ba£Hti, cK*io Ai tc non arAo meno, ' -J
il corpo A* arxiina privo, ^
alterca ceco, e xxcltiio feno
Vive vita rtiigiiot* , cVi*io xiotì vi'vo, "
I^è dei carcere ancico il Avito Freiao
l^*alcral>elTBk. nai laCcia efler cacci'vo $
/Nè c^ixancuru^vie Asnaiaata a si rea (orre^,
Lamlavira per ce recne laxnorcea ’ i
154- l-*oro creCpo e loccil, roroivaccTvce
Di quella V>ionAa crcccia, otvA’io
Quanco ò qvxajaco c più forc©--jre più. poilci^C
Di qu-cfto ricoo mio tenace pelo.
Quefta carena è ral, che folamenrc _
ILitieneil corpo, e non n’èll core ofrelo*
Quella, cl>c mi legò la prima 'vol^, *.
Kli Uringe il core, enonfarù mar CcroUa.
135. Così Aicea AllIimulanAo, e cerro
Ogni altro, a col da i o.
Stiro non folTc ixn tanto
O che non fUab In leaitate
Oal aolee
l^c^es aca pare! da quell M
t
41 LA PJIIGIONE;' V
E con Idonlafar rultimeprove
Del beveraggio magico rifolvc.
Qual guaftadahabbia a torre, e comc.e dove
^ L'infegna, e qual llcor mifto a qual polve.
Quella il filopo a preparar fi move,
Che gli humani defir cangia é travolvè» ^ I
E nel fecrcto ftudio, ove la Fata '
Chiude gli arcani fiioi, s’apre l’entrata * '
il
1J7. Prende l’ampolla abominanda cria, ' i
E quel forte velen tempra e compone.
Che fc fiifle qual crede , e qual defia, '
- Non che le voglie infervorar d’ Adonc^i '
Far vaneggiar Seuocrate poria,
E d’illecite fiamme arder Catone.
Mà non tutto qiiel male , e quello fcempió
Permette il Ciel, che promette l'fcmpio,
j^8. La rea minlftra, ch’ai Garzon la menfa . ; t
Dopo al Nana ha d’appreftare in ufo ,
Mefce il vin con quel fugo, c gli difpenfa :
Ne l’aurea coppa il maleficio infufo.
Ma non pari l’effetto è quel che penfa, j
Il difegno fellon lafcia delufo. - {
A pena ei l’acqua perfida hàbevuta, '>
Che fubito di fuor tuttofi muta. '
Tutte le membra fue (mirabilmoftro) ; 1
5 impicciolir, e fi velar di penne, *
E di verde, d’azzurro, e d’oro, e d’oftro
Piumato il corpo in aria fi foftenne. ' j*
S afeofe il labro , anzi aguzzoffi il roft^o, > »
La bocca, il mcn-^o, il nafo oflb divenne. i
Divenne carne l’ircarnata vefta, '
E fi fece il cappel purpurea crefta. ■
' - Nc
x-ziiNiu JVl O TERZO.
■^0. Ne la dita, che fatte Iià più ibttili,
Spuntan curve, dorate unghie novelle,
Frcglanrlftrctto il còllo aurei monili,
Sì ricpglic ogni braccio entro la pelle,
Siritiran le man bianche e gentili,
E s'allargano in ali ambe l’aicélle. (lume.’
Due gemme hà in fronte ^ ond'efee un dolce
Si più vago augel non batte piume.
y enere bella, ahi qual perfida, ahi quale
Forte ventura il mo bel Sol t’ ha toltoj
Labehà, del tuo foco efea immortale.
Ecco prende altra fpoglia, & altro volto*
Strano malor del calice infernale,
In cui tolco maligno era i^accolto. . ,
L’incantata bevanda hebbe tal forza,
' Che fiipofl'entc a trasformar la feorza*
1^1. Fufle dèi Nume , che*l difende e guarda^.
Profridenza divinai c fuflTc calo .
Quando il vetro piglio la Maliarda
Scambiò per fretta, e per errore il vafo.
Quel che fa, che d’amor ogni cor’arda, -
(Simile in tutto a quefto) era rimafoi
Et ingannata da T ifteffa forma
Infila vece adoprò che quel trasfornla, ^ '
1^5. Tofto che s’è del fallo Idonia accorta^ ‘
Mezo riman trà ftupida, e dolente.
Per trafeuragin fua vede, che porta
Tamòrofo rimedio altro accidente.
Oimè mlfera (grida) oimè fon morta,
E piange in vano, in van s’adira c pente,
. 11 crlnli fvelle, il petto fi pcrcote,
Stracciafipanni,egra£afile gote* - - ^
XA PRIGIONE,
1^4. Già fiior de lapriglon libero vola ‘
D’habitonovo il novo augelveftito,
Lamcntarfi vorria ma la parola
Non forma (come fuol) lenfo fpedico,
E gorgheggiando da l’angulla gola
De la favcila in vecceCce il garrirò i
Ne de l’humana fua prima lembianza
(Tranne fol'incellccto) alerò gli avanza..
l6j. , L’intelletto, e’I difeorfo hà foto intero , j -
Ondequal’è, qual fu conofee a pieno.
Rimembra ildolccfuoftato primiero,
£ difegna al Tuo ben tornar in Ceno.
Poi fentendafi andar cosi leggiero
Per Timmenfo del Ciel campo fcreno r
Mentre al albergo ufato il camln piglia
Di tanta agilità li meraviglia.
lC6. Lafcia di quella ricca aurea contrada ^
Il fottoraneo infaufto empio foggiorno,
Paflà la grotta, e per la nota flr^da
Fa nel fuperior mondo ritorno.
Ferma il Sole i deftrieri, ovunque cl vada.
Fermaniì i venti a vagheggiarlo intorno,
£ fecondando il và da tutti i lati
Mulico Ituol di cortegiani alati.
i6j. Del fUperbo diadema, e del bel manto
Le pompe a prova ammirano , e i colori,
£ con olTcquii di fedivo canto
Gli fan per tutto il Ciel publici honorL
Non hà mal la Fenice applaufo tanto
Da l’humil plebe de gli augcl minori •
Qualhor cangiando il Tuo fepolcro in culla.
Ritorna di dicrepiu, fanciulla.
Mà
% T>HC1M.0 O-
^ //)2e quAtkte £brcULn.e»e <^ta.ax\cl
ffrjf^yj/sòtrÀ'vìj3L rlCcìxi c perigli?
^ai taraci incontrò xnoftri volaxati,
CVicvoVfcr ne^l ino len cinger gli a.r cigli?
Aqallcy ctAlbi^ a cui Ccampar Sa'vaxvcl
r^co g;vovato Havrian Forxc» ò cocafìgli»
Sc*l ccJcftcTacor, icKe n’Kavea cura»
NongUbaveCCe la via £acca leccar a.
Non però d’angcl fiero 'vmgKia, nò rofira
Gli nocquc tanto in «^tacila Cor ce averla.
Quanto il moftro pcggior d’ogni alrro mo-
Dico laGclolia cruda e pervcrfa-t
U Ceka quella del feto cicco cHloltiro ,
Con Tamaro veien, clic Cparge e v
Lo Dio nd ferro armar già parve poco.
Se non fàcca gelar lo I^io del roco.
t70. Venne» Vulcano, e l« ' ’
Far nel Cuo cote foofa
Che per prova et V
D omiffaude'tit taicafi cflcr eap^^
Ro^ineaU^l^^^
Chenon£ala2oanacitte,e imo p
171. Mentre di to c* vinto,
Dal dolor, ftiiouU al petto
A raddoppiargita^ Arcicr di Cinto,
Vi fovragiungc a} 1>^ - . foCpctto
Quelli de l^cagaoo^ ^ oifidìftinto.
ih
4 LA PRIGIONE, ^
17 Somiglia il monte IftclTo, ov’ei dimora.
Che tutto è carco di nevofa bruma.
Ma da l’internc vifccrc di fora
Le faville ellalando, a vampa , c fuma. '
Nè così’l proprio mantice talhora
Le fiamme Incita e i pigri ardori alluma ,
Come qucU’inveftigar gli foffia e fpira
Ne gli fpirtl inquieti impeto d’ira. .
173^ Da lo fdcgno, che l’agita) e rirrita ,
Sofpinta fuor del nero albergo borrendo ,
Con la fcorta di Febo, c con l’aita
' Tràsè machine nove ci và volgendo. ;
Quindi fu pofcia di fua mano ordita
La catena, ch’Adon ftrinfc dormendo.
L'aurea catena, ch’en prìgion Icgollo,
Fu di lavor di V ulcan, penfier d’ Apollo.
1^4* E non folo il lavor de la catena
L’un di lor cònfigllò, l’altro efl'egiAo,
Màriftcfla prigion diFalfircna
Fu fabricatadal medefmo Dio.
Come ciò fulTc , ò fc notitia piena
N’hebbe la Fata allhor, non sò dir’io.
Prefe d'un vii raagnan ve Ila, c figura,
E di tefler que’fcrri hcbbc la cura,
£75. Tuttavia d’hor’in hor quanto fiicccdc
Gli và fcoprendo il condottier del giorno.
Che del vaticinar l’ arte pofliede ,
E d’ogni lume e di fcienza adornoi '
E ficome «;olui, chc’l tutto vede
Scorrendo i poli , e circondando intorno
De la terra, c del Cicl la cima, e’I fondo ,
Può ben fave! ciò che fi nel mondo.
V '
/
Tu
Canto DECiMOTERzo. 4,
Tu fai ben (gli dicea) quanto mi calfc
uchuo mai fernpre , anzi pur noftro honprc
iichc’nme quefto debito prevaJiè
A 1 odio ifteuo de laTDea d’ Amore.
Laqualpcrtua caelon , benché con falfc '
Dimoftranzeil veten copra del còrc.
Per la memoria de l’ingiuria amica
Mi fu da indi in poi iCemprc nemica.
177. Hor chepur d’Himeneo le facrc piume
Quefta indégna del Giel , Puria d’Iiiferne
Connovofcoruo dl macchiar prefume,
Vuolfi ancora punir con novofehernoi
E pofeiache’lluo indormico cofturae
A corregger non vai freno, ò governa ,
DelalVirpc commun penfar bifogtia
A cancellar la publica vergogna.
i78.Sc l’obbrobrio, c de l'infamia in ciò n6 vale
Vagliane homai la crudeltate, eT (àngue.
Io tl darò queft’avco, e quello llralc,
Che’aTheffagliaferl l’horribil’angue.
Poi quel rozobercon , quel vii mortale.
Per cui fofpirainnamorata, elanguc,
10 vòch’appoftisiconlaguida,
C’hoggi di propria man cu glie l’uccida,'
175». Gon quelli detti a vendicar quel torto >
11 torto.Dlo perfidamente indueej
Poi là donde pafiàr deve di corto
Il trasformato Giovane il conduce, '
E di tutto il fucceflb il rende accorto ,
Il portator de la Diurna luce.
Gli disegna I augel , gl’infcgna l’arte
Pcltrattarl'arco, cglierco^cgna, c parte,
. VoU Ih C Mà
p LA PRIGIONE,
l3o. Ma qual fatto è sì occulto* , il qual non fia
Al tuo divin favcr palefe e noto, ^
Virtù del tutto cfploratrlce e fpia,
Intelligenzadel fecondo moto?
Non conofeente Mercurio opra sì ria,
Mà vuol che quel penfier riefea a voto,
E dal rilchio mortai campando Adone', 7
L’arte Icher iiir de Taflaflin fel Ione.
181. La* ve foggiorna il pargoletto alato
L’alato melìaggier volando corfe,
E per fomma ventura addormentato
Solo in difparte entro’l Giardinlo fcorlc.
Difcefe a terra, e gli fi mife alato
Lcggier così, ch’Amor nonfen’accorfc.
Quivi pian pian, mentr’eipofava fianco.
Un’aurea freccia gl’involò dal fianco.
l8i* E’ di tal qualità la frefeia d'oro.
Che dolcezza con feco, e gloria porta,
Ra^a falute altrui , porge rifioro ,
IlQor rallegra, e Vanì ma conforta,
Et^ ha virtù di rifvegliare in loro
La fiamma ancor, quand’è fopita, ò mOrta^
E fe’l foco none morto,© fopito,
Rifcalda almen l’amore intepidito.
183. Senz’altro indugio e’Hfe ne vàcon efià
Dove il fàbro crudel guarda la pofta,
E con la fotti! defirezza iftclTa.
<jU (cambia l’altra, ch’ha nel fuol depoft^j
Nè veduto è da lui quando s’apprefla,
eh’ altrove intanto ogni fua cura hà pofta.
Mentre la caccia infieme , e la venduta
Jnfidiofo uccellatore, afpetta*
Tenia
[0
)
jrfc.
rTc.
iCOi
Canto DEciMOTERzo.
baffe il ruolo
^'tadeudo, e l-adocchiò Vulcano
per troncagli inuu U vita . e’ivolo
lotco incurvò con la fpictata mano,
«‘^b’avezzofolo i
Wa 1 colpi d Amor, co^o inhumano.
Malafaettad or da la ferita
Sangue non tralTe. c non fù pur fentict.
L inltnfibilc ftrale aventuroCb
Colfelosi, ma fc TuCato effetto.
Che per novo miracolo amorofo
In. vece di doloragli diè diletto;
^ ^uciramor, che forfè era dubbiofb,
Per Tempre poi gli ftàbili nel petto; f
Così chi tende altrui froda & inganno
E’miniftro talhor del proprio danno.
]S6. Pulito Adon lo fcelerato oltraggio
Del feritore infuriato e pazzo, °
Stanco, mà quafi a fin di filo vlago-io
Giunt’era vifta del di vin Palazzo,
Quando trovò lotto un’ombrofo fro’gi® ‘
Due Ninfe de la'Dea ftarlì a fbllazzo*^,
Et havean quivi a i femplici u0ignuoli,
C he trà’rami venian, tefi i laccivolL ^
clTi 187. Tràquellefìla fottilmcnccintefte
;» Pafsò,mànclpaflar diè nc la rete,
E le donzelle a corrervi flir prefte
Forte di preda tal contente e liete.
Belle ferve d’Amor , le voi fàpefte
Qual fia l’augel, ch’imprigionato havete,
Perch’a fuggir da voi mai pi ù non habbia,
Q come ftrptto il chiuderefte ingabbia.
O z Cor«
la,
ìpolh,
0
yv * LA PRIGIONE,
i88. CoTPQti liete a la j^reda , e tofto c’haninò •
Tra’aocU indegni il t'empUcetco involto, ' ^
Perche ben di Ciprlna il piacer fanno,
Stimano, che gradire il devrà molcoi
Quindi al’ hoftel del Tatto elle fen yapno,
E’I lafcian per quegli horti andar difeioitei^
Secureben, chedaGlardinsibello
Benché Ubero fia, non parte augello.
»
l8p. Giunto al nido p ri mier de'fuoi diletti
Sii’l ramofccl d’un placano fi pofe,
E vide (ahi dura vifta) in quc’bofchetti
Sovra un tapeto di purpuree rofe
Venere, e Marce che traheanfoletti
Intraftulli d’Amor l’horc otiofe ,
Alternando crà lor vezzi furtivi, , . ^
-Baci, moti, forrifi, attilafcivi.
1^0. Pendean d’un verde mirto brando criidc»)-
La lorica, l’elmetto, e l’altro arnefe
Onde, mencr’ei facea feiiz’armi ignudò
A la bella nemica amiche offefe,
Era il limpido aciaf del cerfo feudo
Specchio lucente a le fue dolci imprefe,
E con l’oggetto de’piacer prefenti
‘ Raddoppiava a l’ardor faville ardenti,
1^1. Volava incorno aquel felice loco
Zefiro, il bel cultor nel vicin prato,
E de fofpiri lor temprando il foco
Con la frefeura del fuo lieve fiato.,
E con vago ondeggiar, quali per ^ioco
Sventolando il cimier de l’elmo auratOj!
pacca concorde a le frondofe piante
' r L’armatura fonar vota c tremante. ^
Sopì
CANTp tjfiClSiO'TÉRzo.
Komàl <le la tenzoti la/civa
G fcWU=Iufinghc. c le càf/zze.
Gm^rang,a tràftu I leggiando a riva.
Del artiorofelor prime dolcézze,
^ladormendo pian piati dólce languivi,
^ Rema immortai de le bellezze}
Nè m<m che’l forte Dio. la bellà Deà
A atte le fpogUé fuè depóftc havca.
il>i- Pàrgoleggìariti éfiTercitl d’Ariiori
Fan mille Ichethi al bellicofb’ueo}
E qual guizM tra*ramì, e cjual tra'fiorl
Qnal fende l’atia-, e cjual diguazza il rib,
E peichè carchi d’itc , e di fifròri
Non cede in ttitto aincor gli occhi a l’oblió ,
Tal v’hà di lor, che *nlui ta'citó àventà
- VJn-fdnnàcchlofo ftral, che l’addormenta.
f^4. Làfciafi tutto alllidf cader ri verfo
Il Feroce fhotor del cerchio quinto , •
E nel fondò di Lcthc apidno Iniróerfo
Sefrhbrà viè più, ch’addòrmentató, eftinto.
Di fangue molle, é di fadore averlo ,
Dal mòtoflanco , e dal Lethàrgo vinto.
Rallentati non fcioltii nòdi cari,
Soffia il Tonno dal petto, c dà le nari.
1^5- O che rlfo, òche giùbilo, che feda
La fchicra allhor de’pargoletti affale.
Scherzandovaà di quella parte in quella
A cento a cento, e dibattendo Tale.
Un fuggè.un torna, un falta, & un s’arrefta
Chi su le piume, e chi fotte il guanciale.
Le cortine apre l’un, l’altro sfafeonde
Tra le‘ coltre odoràteiis tra le fonde.
C 5
Tal
LA PRIGIONE,
„é. Tal polche laffo, e difarmato U vide
IDopo mille pofar moftri abbattuti.
Oso già d’ailàlire il grande Alcide^
Turba importuna di Pigmei minuti.
Così su’ l lido, ove Cariddi Itride ,
Sogllon con thirfi e canne i Fauni attuti
Del CiclopoPaftor , mentre ch’ei dorme,
Mifurar Fotta immenfc, e’I ciglio informe^
Altri il divinGuerrier con sferza molle
piede di rofe, e lievemente otlende.
Altri àia Dea più baldanzofo e folle
Fura gli arnefi, & a trattargli intende.
Altri la cuffia, altri il grembiallctollc.
Chi de gli unguenti i bettoli le prende.
Chi lo Ipecchio hàper mano,e chi’l cocarno
Chi fi pettina il crin col raftro eburno.
i^S.Un ve n’hà pofcia,U qual mcntr*ella attfoim^
Del fuo cinto divino il fianco cinge,
E vette i membri de la ricca gonna,^
E con l’auree maniglie il braccio ttrlnge,
E ogni getto , e qualità di Donna
Rapprelcnta, compone , inita c finge.
Movendo sù per quegli herbofi prati^
Gravi al tenero piede, i fiocchi auratL
jpp. L’andatura donnefea , e’I portamento
Nc’paffi fiioi di contrafar prefume,
E’ntantoconunmorbido ftromento
Di canute concetto, e molli piume,
Ond' allettare, & agitare il vento
Cithereane’gran Soli ha per cottumc,
Un’altro de la plebe fànciullefca)
L’aria fcotcndo, il volto elirinfrefca.
\fnal-
CANTO DEGIMOTERZO. «
Urfaltro a l'arsi ben forbite e b<;Ile
Uatoàipi^liodel'Heroe cclefte,
Convièpluaudace man gl-invola e fveUe
Usllucid elmo le £uperbe creflc}
E’I vìfo ventilandogli con quelle,
Nc fgombra l’aure fervide e molcflc.
Poi da le fronte gli raG^iuga c terge
Le c^de ftille j on.de*l Gidor Lalpcrge*
101. Alcun’ altri divifi. a groppo a groppo
In varie legioni, in varie (quadre,
• Con l’armi dure, e rigoroie troppo
Movon guerre tràlor vaghe e leggiadre.
Chi cavalca la lancia, e di galoppo
La fprona incontro a la vezzofa madre*
Chi conun Capro fa gioftrc,etornciy
Chi de la fua vittoria erge i trofei..
loi. Parte piantan gli approcci, e vanno a porre
L’affedloaun troweo, c fanmontonde l’Kafta
Batton la breccia, c fon caftello, e torre
La goletta, c la corazza vaila.
Chi combatte, chi corre, c chi foccofre.
Altri fugff e, altri foga, altri contraila.
Altri per rampie e ibaciofe ilrade
Con amari vagirl inciampa, c cade.
xoj. Queilid’Inrcgnain vece , il veldifciolto
Volteggia à) l’aura , e c|uci l’afFcrra, c ilracda.
Colui la teilalmpam itOjC’! volto
Ne la celataper celarli caccia ,
E dentro vi riman tutto fepolto
Colbuilo, con la gola,c con la faccia.
Coiluì volgendo ji l’averiario il tergo
Corre a iàlvariicutro al capace uibergo.
. - LA PRIGIONE,.
204. Ma ecco ih tanto il Principe matóiorè
C c l’alato fquadronj c^ìe lor comanda.
Comanda dico a gli altri Amori Amore,'
A gli altri Amori, i quai gli fan ghirlanda^
Ch’ad onta fia del militare honore
Toftp legata a la purpurea banda
1 a brava fpada,e’nguifa tal s’adatti, ' ,
Ch’a guifa di timon lì tiri , e tratti.
105. Senzadimorailgrave ferro afferra * -
Sudando a prova il pucril drappello -
Cialcuno in ciò s’ellercita, e da terra
Sollevarlo fi sforza lior quello , hor quello
Ma perche’l pefo è tal, cn’a pena in guerra
Colui chel tratta fuol può foftenello ,
Travaglian molto, & nan tra lor divilc '
le vicende, e le cure in mille guife. ^
iiC6. Chi cur voi & anhelante andar lì mira '''
Sotto il gravofo efaticofo incarco
Chi la gran mole affetta, c chi la gira"
JDov’c più piano, e più fpedito il varcO« v.1
Chi con la man la fpinge, e chi la tira * - ,
O’con la benda, ò col cordon de l’arco.
L’orgogliofofanciul guida la torma
Tanto che con quell’aUc un carro forma.
107. Pon quali trionfai carro lucente
I cl fovrano Campion lo feudo in opra ,
E per feggio fublime & eminente
Alto v’acconcia il morion di fopra.
Quivi s’affide Amor, quivi fedente
Trionfadel gran Dio, che l’armi adopra-
Trahendo in cauto il van di loco in loco
In vece di dcftr icr, lo Scherzo , c’I Gioco,
AccU*
CANTQ Dé;CTMOTER:20. 57
08. Acdama, applaude con le voci, e igeili
L’infana mtba de ^li Arder feguacl,
Dkeanper ónta> e per dilpregio. E’quc^
L’invuto Du.ce, i'idomàtor de’Thraci?
Loftupor dc’mòrcalìj c dc’celelli?
llicrror de’trerà'endiye de gli audaci?
Chi vuol favCr, dii vuol veder s*è quegli» ,
Dehvengàloà rìiirat pria chefì fvegli.
109. Ecco i falli , c i trioni Uluftri & altL
Ecco gli allori, ecco le palme, e i fregi
Più non lì vanti Uomai, più non s’ellalci
’Pcr tanti Cuoi si glorlofi pregi>
QuantTiebbe uncqua vittorie in mille adàlct
Soggiacciòn tutte a i noftri fatti egregi.
Scrivali quella imprefa in bianchi marmi,
'Vincan vincàn gli amóri, c cedarn l’armL
XI o. A quel gridar, fonnóche l’aggrava,
Marte fi fcuote, e Cìtherea fi della,
E poiché gli occhi fi forblfce, clava.
Le fparfe Ipoglie a rìvellir s’apprella ,
Adon , che lo Ipèttacolo mirava,
T^on Ceppe contener là lingua mella;
Ne potendo sfogar la doglia in pianto,
f ù coftràtò addolcirla alnren col tanto.
III. Aiftót (cantò) nel più felice fiato.
M’alzò, che mai godefle alma terrent^
E’n sì nòbile àrder mi fè beato,
Che la gloria del mal temprò la pena.
Hot col ricordo del piacer palTato
Dogliofi oggetti a rilguardaf mi mena, ^
Là dove in quel bel fen, che fu mio feggio>
Altri gradito; c me tradito io veggio,
c s.
La
LA PRIGIONE»
xix.La Dea, che del mar nacque,e da cui nacque
11 crudo Arder, che m’arde? e mi faetta ,
Si compiacque di me , ne le difpiacquc
A mortale amator farli foggetta,
O più del mar volubil, che irà Tacque
Pur fermi fcogli e ftabili ricetta}
Ma’n te naca dal mare, oimè s’afeonde
Un cor più variabile de Tonde.
aiV lo per ferbar l’antico foco intatto
SofFerfi in riaprigion miferie tante.
Ne perche lieve augello ancor fìa fatto>
Facto ancor lieve augel, fon men collante*
E tu sì torto il giuramento, e’I patto
Ingrata hai rotto, e difleale amante?
Ahi ftoltoè ben chi trovar più mai crede
Poi che’nCiel non li trova, in terra fede*
Qui tacque, e quel cantar, benché da Marte
Filile ò nonben’udito, ò maTintefo,
L’indull'epure aforpettare in parte
Del Tuo rivale, e ne rertò fofpefoi
P temendo d’amor Tln^anno, e l’arte,
£ bramando d’haverloo morto, ò prefo ,
AMercurio il moftrò, che quivi giunto
Con Amor ragionando era iùquelpunto*.
215. Il peregrino augel fobico allhora
Po erge dal vicin ramo, e fi dilegua*
E’I meflàggio divin non fa dimora
Fnr come id per ritenerlo il fegua.
M» poiché fon di quel bofehetto fora»
Del fugace il feguace il volo adegqa,
E là dove più folta è la corona
Dft’ oditi ombrofi il ferma, egli ragion^ ^
Omefebi*
CANTO DEC IMOfTERZO. p
0 mcfcKinel » che per qucft’aere aperto
Su le penne noa tue ramingo vai»
Dl tanto mal fenza ragio loiFerto
fuorché te fteffo, ad incolpar non hai,
Ch’eflendo pur de Taltrui fraude cerco.
Dar voleftl materia a i propri guai.
Non però dcfperar, poi ch’a ciafeuno
Bùl’aiuto del Ciel iempre oporruno.
0
•>
ire?»
crek
felle*
117. Già de la della a ce cruda e nemica
CctTanglinflaffi homai maligni e trifti.
Mà pria che n un con la figura antica
Lama perduta ancor gemma racquifti
Durarti converrà doppia fatica,
Tornairdo,alloGO onde primier partifK,
Blavartibenben nc la fontana
Poflente a riformar la forma humana.
prefo»
iato
ra
r
a
a*
•ota»
i^a,
Xj8. De l’acqua, ove li tua fata entra abaguarfi
Quando depon la ferpentina fpoglia,
Poic’havrai fette volte i mcrnbri fpafff.
Pia che larva magica fi fcioglia.
Tornato a rcfl'cr tuo, vanne ove ftarfi
In guardia troverai di ricca foglia
Moftro il più ftravagance,.il piu diverfo,
Che li fcorgclTc mai ne l’Univerfo.
119. Ha fatteexe di Sfinge, e tien confixfc
Quattr’orecchie, quattr’occhi, altrecant’alr.
Due luci ha Tempre aperte, altre due chiufir
E le piume, e l’orccchie ancor fon tali.
Luut^hel’orecchìe, a’bei difcorlìotcufe.
Non cedono d’ Arcadia a gli animali.
La tua faccia fi mura, c fi trasforma
X^\X tu»* ***-w-- ,
Ou CJiunAlcoutC) iu formi*
^ Ci»
L;a PRIGjlONE,
111. Vario fcmpre il color lafcU} c ripiglia.
Nè mai certa fcmbianza in fe ritenne.
Come veggiam la eretta, e labarbiglia
Del Gallo altler, che d'india in prima venne
Bianca a un punto apparir, verde, e vermiglia
Quallhor gonfio d’orgoglio apre le penne.
Così Tua qualità cangia fovente,
Secondo quel thè mira, c che fente ,
111. La vetta ha parte d’or, parte diTquarci •
Divifaca a quartieri, c fatta afpicchi,
Quindi di cenci logorati e marci ,
Quinci di drappi ^retiofi e ricchi.
Non afpetti chi va per contrattarci.
Che ne le vene il denfe ei gli conficchi,
Però che morfo ha di mignatta, e d’ance,
Chenonftraccialà carne, e fogge il (angue,
iiii Tagliente , aguzza , & uiicinuta ha l’ugna,
E dritto il piè manco, e zoppo il deliro.
Ma nel corfo però non è cn il giugna,
E è d’ogni arte perfida maellro.
Son Tarmi lue , con cui combatte e pugna,
In mano un raffio , a cintola un capeftro.
Tira l’un le genti, e le foggioga.
Con Taltro poi le ftrangola, e Tattòga
113. Non fi cura d’Amor quelli ch’io dico.
Altro che Tutil proprio, ama di radoj
• E ne’guadagni fuoi Tempre mendico.
Sta Tempre intento a cuftodir quel grado.
Sol per diflegno applaude anco al nemico.
Nè conofee amittà, ne parentado,
L’amrcitic, le leggi, e le promelTe
Tutte fon rotte alfiin da Tlnterettc.
\ ^ ^
lQt&<
CANTO DECIMOTERZO.
Intereffe s’àppella il moftro avaro
t)elcncche2ze c del chefor cuftodc.
Del thcforo , ove chiufo è l’anel raro,
■’ Non rifguarda virtù ,ragìon non ode.
Ticn’ ci le chiavi de T albergo caro.
Nè vale ad ingannarlo- aftucia,ò frode.
E perche vcgghiaognor con occhi attenti,
V uolfi modo trovar, che l’ addormenti
115. Per Indurlo a dormir >dc Tarmonia
L’arte, ond’ Argo delttfi. in ufo porre
Vanità fora inutile , c follia,
Gh’ogni cofa gentile odia & abhorre,
E di qual pregio il Tuono , e canto fia . ^
Nonconofee , non cura,e non difeorfe.
Come colui , che ftupido & inetto
' D’ Afino ha inun V udito , e Tintelletto.
116. A far pcrò,ch*ebro del tutto,e cieco
Difonno profondiflìmo trabocchi.
Baderà, che’lbafton , ch’io porto meco.
Un tratto folben leggiermente il tocchi.
Farò nèpiù ne mennel cavofpecó
Al Serpente incantato appannar glroccKì,
Acciocnc fuor di quc’dubbiofi palli
Senza intoppo fecuróf andar ti lalfi
» «
az-^. È mìa cura far àfrir poi dormire ,
lie guardiane ancor de gli aurei frufti.
Perche non ti difendano à l’ulcirc
La porta , che vietar fogliono a tutti.
Giu^o adempia rtiadon, mille apparire
Afpettl vi vedrai fqnaTIIdi e brutti.
Vedrai la Donna rea con altra faccia
A che fciaguraiBlfor^ foggiaccia.
Entra
'4^ LA prigione,
xi8. Entra allhor ne r£rario,e quindi preRo
Prendi il gioiel,che de la Dea m dono.
Ma nuU’dcr'o toccar di tutto il redo.
Ben ch’apparenza in vida habbia di buono^
Quante cofe v’hà dentro(io ci procedo)
Contagiofe , e sfortunate fono,
Eciafcuna con fece avien che porte
Augurio crido di ruina > ò morte.
Ufeito al fin de la gran pianta^avcrci.
Poi eh’ una noce d’or colta n’havraì,
Fà ch’appo ce nc’ tuoi viaggi incerti
La rechi ognor , fenza lalciarla mai.
Perche valloni derilij e deferti
Badar convienti inhabitati ad'ai, •
Là dove fianco da sì lunghi errori
Penuria havrai di cibile di licorL
130. Il gufeio apprendo allhor de Taurea noce.
Vedrai novo miracolo inudito.
Vedrai repente comparir veloce
Sovra raenfa reai lauto convito.
Da minidri incorporei , e fenza voce
Senza làver da cui, far ai fervito.
Nè mancherà d’intorno in copia grande
Apparato di vini, e di vivande.
131. Con.quedI ultimi detti il Corrler Divo
De’ Numi eterni il fuo parlar conchiufe,
E la tornato, ove lafciò Gradivo,
La bugia colori d’argute feufe.
Ma poi con Citherca cheto e furtivo
Lungamente in difpar te ei fi difRife ,
E le narrò dopò la ria prigione
11 calbmifeiabUed’Àdone.
Indrutto
canto decimote
loflrutto Adon dal confi^lcr
Perle due volte già varcate vie ^
Monwrdò punto a prendere ii camir^o
Verfo le cale federate e rie.
Era quand’egli entrò nel bei
Tra'l fin de l’Alba, e’I cominciar «Ad dio
Già s’apriva del Ciel l’occhio dlvirrao *
Et cr a a punto il dì (acro a Sat VI r lao ^
IJ5* Ode intanto fonar tuuo il Palarlo
Di lamenti , che van fino a le flcllo»
C^afi infelice & horrldo^ preTagìo
Di dolorofc c tragiche novelle.
Et ecco vede poi lo ftuol malvallo
Sbigottir , fcolorir de le doiaxe Ile ^
Equafi di cadavere, ogni gviaxxjcla:
Di vermiglia tornar UvidajC r axxclsu.
434. Vedele horribilmcntc ad wna ad. una
Vcftir difozzafquamail cor^o
E (falcun ver me putrido clalcuna
Prender difforme cfpavcntoCa ima^o
Vede tra lor con non miglior fo-r runa
La Fata iftelTa tr asfor mafi. in "Drago ,
E’n fogge formidabili c lugub» r x
Tutte al 5n divenir bifee, c col uV>ri-
,11. Mir»A<lt>ne,eftuvxfce,c sv. per 1 herb»
Hmmondofeopa tttaCcroat le IaC&,
I BOU’huroiHat quella iuperba
Inial smfa hi veduta,al fonte paflà,
t .7rÌhc l'alto avifoin mente ferb^
tA PRiGIOlStÈ,
zj6. Ritolto dunque a pien Vedere antlqao,
Volge al thefor di Falfireria il pad'o,
E ritrova su Vufcio il moftro iniquo
Dormir sì£brtethente a capo bauo,
Che par mirato col fuo fguar^o obliquo
L’habbiaMedufa, c convertito in fallo.
Onde pria che lì rompa il foniio grave.
Non lenza alcun timor gli toc là chiave,
137. Quand’egli hàbén quelle fémbianze feoirtre.
Quando il crudo rampin gli mira apiedi.
E quando il tocca , non ha il cor sì forte.
Che non gli tremi da l’intcrrie fedi.
Pur la chiave feiogliendo , apre le porte
De la conferva de’ più ricchi arredi.
Era grande la ftanza oltre mifura,
E di gemme havca’l fuolo,c d’or le muràì^.
138. Di lampe in vece, é ili doppieri acccfi
Sfavillanti piropi ardono intorno,
eh ’a m'eza notte aVàuree travi ap>pefi
Fanno l’uffició del Rettor del giorrio.
Dodici Segni altretaiiti Meli
Rendono U loco illullrémente adorno.
Statue fcolpire di finiliim’òro, .
Che per ordine ftanne’ nicchi loro.
HauvI ancora i Pianeti , c gli Elementi,
Tré Provincie del mondo, e quattro Erari,
Rilievi pur d’artefici eccellenti.
Del metallo medefimo intagliati.
Parte poi di bifanti,é di talenti,
Di medaglie, c di ftampe haiivida I Tati,
Parte di zolle cariche , c di ipafle
Ampi forzieri, c ben capaci caflé.
Trù
orno,
'O.
Ictncntu
•o Brati»
C 1 3Ml O T E. 'IL Z. O.
tavolini
D cftramt pietre.c gàbbìnetti molti.
Che di vezzi di perle , c di rtiBlrti,
A f mticclii, c c\iiTxu.li ^'accolti*.
Altri lapilli gcncrofi c fini
In più groppi vi fon legati i e fciolii.
Scettri, c cofonc ,v*hàbrancHi&li , cx’<^ic>
E catene , e cinture,dc altre cofifc.
^41» Vi conofibe trà mille Ì\ bel di arnantè
Adon,clte già la Nlàga e itipia gli tol£c.
C r>io coti cjnanti baci,o 13io con. ^tiaiitb'
Aficttuolè lagrime il raccolfit-
Ma quando poi col fido
Gli occKi aPamaca iitiagine
Traboccò di Iccicia ib canto
Chrfclic^Pirtiagixiax refta in
14Z. Sorge in rhezó a la fsila atiireo cdlbflb
Maggior de gli altri affai tutto d’uti pezzo^
I>*un pezzo fèl,ma si mafficcio e grofid.
Che non è fabro aFabricarne avezzo* •
Di Forttma Hà l'cfligie > e tiene adono
Tante ^Ydrnc,fe nel rcn,cbe non hà prettò;
Tal’è la rota ancor,tal*è la pa'lla» .
Tale il Dclfin,cbc la foftlcnc m Cpalla.
X4}. A piè di quella un
R.iccamente legato
E vergata ogni linea ,
In idioma Arabico fi
De lo ftranio volume
Ornamento nonè>cbc
La coverturain ogni par^
Di fin topatlo clviddo collrtvrta.
« LA TRIGIONB,
244* Son le fibbie alla (poglia ancor (Imlli,
Di zaffiri compoftc , e di gì acinti.
Son d’or battuto in lamime Cottili
I fogli in bei caratteri difiinti.
Ha di fregi ogni foglio , e di profili
D’azurro , e minio i margini dipinti,
Sfigurata di grottefche antiche
LemaiuCcolc tutte, e le rubriche.
14;. C^nti ha thefori il mondo a parte a parte^
Ciò die la terra hà in fen di pretiofo,
Opra fia di Natura , o lavor d’ Arte,
In miniere diffiifo , o in arche afeoCo,
Tutto fcritto e notato in quelle carte
Moftra l’Indice pieno , e copiofo.
I propri lìti infegna , e’I lor cuftodi,
E per trovargli i contrafegni , oi modi.
Gira Adon gli occhi c’n quefta parte c*n
Scorce diverfc,e’n sù diverfe bali [quella
Ricche reliquie, e’n rotolo,© in tabella
De le memorie lor deferitti ì cafi.
V’hàdc la pioggia , in cui per Danae bella
Scefe Giove dal jCÌiel , colmi gran vali.
E verghe v’hàd( traboccante pondo.
Che dal tatto di Mida hebbero il biondo,
*47* V’hà l’aurea pellejche d’haver fi vanta
Rapita a Coleo il nobile Argonauta.
E v’hà le poma de l’Hefperia pianta,
Ond’Alcidc portò preda sì lauta.
Le palle v’hà , che vinfero Atalanta ,
Pur troppo il corfo ad arreftarvi Incauta,
Et hauvi il ramo , che fterpar dal piano
Fè la Vecchia di Cuma al pio Troiano.
Vide
panel?
•ofo,
ree,
ifcofo,
Canto oegihaott z. o. <7
X48. Vide firà l’alcre pompe in. un paliftiro
Pendere un fkCcio di £clvaggi arnclL.
Y*hà laureerà con lottile incaftro
l^i perle riccamata , e di turcHeli.
V*hà gli ftrali per man d’egregio maftro
Difin* or lavorati, inlieme appeii.
N’havrla (credo) non cK’alrri invidia ApoUg^
Nè so le tale Amor la porta al collo*
1.4^ L*arco non mende lafaretra adorno
D*oro e leca 1i3l la corda attorta iniiemc>
Ed nervo il bullo ,e di £L»rbito corno
Di quello capo e onci le punte eltr^xne.
Brama Adon quefle fpoglie Haver
Ma di Mercurio il duro annuncio teme.
Vcdc,chc de la fcritta erpUcatrice
Armi di Meleagrcsil breve dice-
uefU
itabclii
an vifi*
onàot
Ubloo^
>r(ìr^
iuta-
ora»
ca»
ocaorai
piano
^tlO
xs*. Di tutto ciè , cH-ivi raccolto ei vede,
^ Nefluna punto avidità
Si cUedi tante , e sì ^,alia-
Pur’una(ancorche
Quefta fola delia, jperc
lui ben proprio , c nccefl^arF B
Et eflèndo fonx’arco , e fo _ j ^ai talL
IJayernoa^cra altronde ai mi tn
%St. Adon che ^/ofoo infette?
Armi a toccar d i f_r.f«nnato mira
Ahi trafcuraco » “J’* . ciucile facttc.
Chi ciacU-arco 1 ira.
Vi A Diana e maledette.
Son.fotalmentc * f^aalor ,„orta.
Da che ia Fcm m ^ porta-
Infelici l'ba fotte a c»
*gR
fji
LA PRIGIONE,
x;i. Eglijch’a ciò non penfa,ò ciò non cufji.
La faretra difpicca , e pi'ehHfe Tarco,
E di queftajC di quel tienfi a ventura
Render Thomero cinto, c’I fianco càfcò.'
Poi per la via piùbréve jèpiù fecufa
Del tronco d’or fi riconduce al varco
Nè trova a corre il frutto iiTìpàccìo.ò nòia
Col favor di Mercurio, ede la gioia.
Tatto quel giorno, che fra gli altri fette
E’ di ripolo , & ultimo fi conta.
Convertita inDiagòn la Maga ftetre,
PocopofTente a vendicar qileironta.
Nacquer le Fate a tal deftin foggetee.
Che da che folge il Solffn che tramontài
E dal porre ài levar la brutta feorzà
Ogni fettimo di perdon la forza.
134. Hor qual doglia la punfe,e la tràfilìe
Poiché (puntar de l’altra lucè t raggi?
Quanto allhor fi turbòpquanto s’afmlTe
Quando s’accorfe de fuoi nòvi oltr aggi?
Ma vanne ingrato pur , vattene (difl’e)
Che là vendetta mia teco né traggi.
c Tacque , & a sè chiamò con fiera voce ^
De le fuè guàrdie un Caporàl feroce,
*-51 • ha nome, altri l’àppella Ordente j
De la Superbia , e del Furore è figliò.
In bocca fernpre ha le minaccie,è l’orite,
. Travei fo il guardo , e nubilofo il ciglio.
Due gran corna di Toro lià su la frónte,
D’ortò la branca , é di Leon rartiglio.
Ha zanne di Martino /occhi di Drago:
Figurar nonli può più fóz:tàirtìago.
Grolfa^
veMriira
fianco tìitcfl.
ùftcun
aWarco
picelo, ò noi
la gioia.
tIì altri fcK
\a ftettó,
[l’ontà.
^ettc,
e tranioflU
:orzà
:a.
CANTO DECIMqx£j^20,
GroCa,c rauca bvQcè^elailamra '
veHrora Emula de le corri , ha di Gigante,
venriira ^ membruto corpo a la mifiira
Lo fmifurato fpirto è ben fembiantc. \
Pietà , ragion, rcligion non cura.
Perverrò, ineflqrabile , arrogante.
Bruno il vifo , irto il crine, il pelo hlffuto.
Temerario cosi, come temuto.
157. Poich’a coftui narrate ha Falfircna
L’ingiurie fue con pianti, e con querele,
Udita ei la cagion di tanta pena.
Sorride d’un lorrifo.afpro e crudele,
E ne la faccia , e ne la bocca piena
D’amaro aircntio, gli verdeggiali fiele?
E’I parlar^ ch’egli fece a la Donzella,
E’muggico , eruggito ,enon&vella.
ij8. Mancini tra le Sfingi, c tra i Plthoni, -
V andrò (diceairenzameftlerd’aìuto. '
Mandami tra i Centauri c i Lcftriti-oni
Dov’ogni altro valpr refti perduto. ^ •
Forami pur tra i Procuri , e i Ceriom'
Tutto ardifeo per te,nulJa rifiuto. *
Darti in pezzi fraembrato lin vii fanciullo
Fora di quella man fcherzo,e traftullo. ^
1;^. Imponimi cofe pur,ch’altri non poflà, ‘
Dimmi,ch’io domi il domator ^’Antco
? ^ ^ foljd’una percoflà
Polifemo t’abbatta , e Briareo,
Vuoi , ch’io ponga foiTovra OÌImpo, & Ofià}
Strozzi Efialte , e ftrangoli Tefèo?
Vuoi, che Ibrani ad un cenno, echcdivoid
: Cclgiardmo diColco iDraghi,e ì Tori?
Ch’io
2 tralf^
riigp-
.'annue
jlcragg»?
Offe)
voce
dee*
hOtp^
;llo.
l’oure,
l'glio.
rdnf^»
riio.
,go*.
LA PRIGIONE,
t6o. C h’Iofcacci di laggiù l’cmplc forcUéJ
Ch’io fnidi di lafsù la Luna , c’I Sole?
. I denti fvellerò da le mafcclle
Al rabbiofo Maftindalctrè gole.
Carenato trarrò giù da le ftelle
L© pio ch’efler invitto in guerra fuole* .
Facll mi fia,fe punto ira mi move,
Tor l’Inferno a Plutone,il Cielo a Giove. .
Porterò (bvra il tergo, e su la fronte
Soma m^glor d’ Atlante, e maggior pondo.
Nel Nil folcon un forfo il vafto fonte
Afciugherò,quand’hà più cupo il fondo ,
Se venilTe a cader novo Fetonte,
Se minacciaffe pur ruina al mondo.
Meglio di chi l*hà fetto,e ftabilito
A forza il fofterrei con un fol dito.
i6t. I poli fgangherar de raffe eterno
( Pur che’n grado ti fia ) mi parrà poco.
Il gran globo terren vò con un perno
A guifa di paleo librar per gioco.
Il fulmine paflar del Rè fuperno
Al corfo, e di vigor vincerei!' foco,
E ftracciar’a due man l’iftefsò Cielo
Nè più ne men come le fuffe un velo.
^^5*. Le bravure de l’un l’altra afcoltando,
Si divora di (Uzza , e di tormento.
Tempo (dicc^non è d’andar gittando
L’hote , o mio fido,e le parole al vento.
Malagevoli imprefe io non dimando ,
Noto m’è troppo il tuo (bmmo ardimento.
Sò le tue forze,il tuo valor ben veggio,
Ma molto men di quàto hai dettolo dileggio
om,
ilSoIci
CANTO ©TERZO. 71
itf4. Prendimi fol quel fijggìtivo ingrato,
' Pcrfido>diilealc , e ^r^ditore.
:oIe.
la
55 .
aGiOT^
Prendilo ^'e traUo vivo a me legato.
Ch’io sfoghi a lenno mio l’Ira , e’I dolore.
Vivo dammi il crudel , che m’hàrubatos *
Difle il thefor , ma volfedire il core.
Oltre via, farò pur (foggiunfe Orgoglio; [glio;
Quel che vuoi, quel che deggio,c quel chefo-
roDtc
lorpo»>>
oait
fbfldoj
16S- Non molto ftà dopo tai detti a bada,;
E s’accinge al partir l’anima altera.
Prende un fcelto drapel di Tua mafnada»
Gente fimile a lui malvagia e fera.
Seguendo il vanper non battuta ftrada
Il Difprezzo , e’I Dilpetto in una febierd.
Lo Icherno è feco , e feco ha per viaggio
L’Infolcnza,il Terror, l’Onta, c l’Oltraggio,
c(J.
%66. ^afeorre i campi, e fi raggira & erra
Spiando del Garzonla traccia in vano.
Porta ovunqu’egli va tcmpefta,e guerra.
Fa tremar d’ogn’intorno il mpnte,e’l pii
L’elci robufte , e i grolfi faggi atterra,
Zpeia i bofehi con la (concia mano.
piano*
Col loffio (bl par ch’ammorzar preluma
La gran hunpa del Clel,che*l nmndo alli
allum^
Il Fini Dbl De c imo t b 1. z o,»
Can t 0.
GLI
gli errori
CANtO DECIMOQ.VARTO. .
ALLEGORIJ*
L travcftirfi d’ Adone in amefi dà
L’eflcrprelo da ladroni il faggi-
re, il poi di nuovo incappare , il
alla fiacl’efler fatto un’ altra volta prigioniero,
può dimoftrarci le difficoltà c i pericoli , che fi
attraverfano al godimento della Humana con-
tentezza. La morte di Malagorre uccifb da
Orgontc,ciavifailgiudìcio della divina ^iafti-
lia, che molte volte a punire i malvagi £liol
fervirfi del mezo de gl’iftefii malvagi. La ca-
duta d’Orgonte ci dinota il fine , dove va a
parar la Superbia , la qual quanto più arrogan-
temente prefume d’opprimere altrui , tanto
piy profondamente viene a precipitare. Il cafa
di Filauro, &dlFilora, cheinfindal nafeimen-
to fono accompagnati dalle feiagure, cl di^gna
la vita travagliata di quegl’infelici orfani,, che
mfeono alle tribulationì, & alle mlferic. L’au vc-
nimcnto di Sidonio , &diDorl{be , le cui tragi-
che fortune vanno à terminarli in allegrezze, ci
rapprefenta il ritratto d’un vero & leal amore,
che quando non hà per fcmplicc fine la libidine»
ma è guidato dalla prudenza , & regolato dalla
temperanzajSc dalla modeftia , fpcflb fortifee
buòn fuccefio. La feverità d’Argcnc , la qual
Donna vuole avertirci l’habito
molle della gioventù effeminata.
dar nelle mani del Selvaggio , &
pure
lì
mre al compaflìoncTolc oggetto de’ loro amo-
:ofi accidenti alla fine fi placa > & muove a pie-
:à,cifignifica il rigore del divino fdegno,il
i^uale ( lecondo il noftro modo di parlare] fuole
intcnerirfi quando vede patire per bontà l’In-
nocenza, ò dolerfid’hav?r peccato per debolea^
u ia fiagllicà.
Vtl, lU
b
ASLG O*
74
ARGOMENTO.
• )
Afcoltn dì Sidonio i trìjll amori
piu 'volte ptefo , e liberato Adone.
Condotto a Pafo,e dal gentil Barone
Difcfo pohritorna a i primi errori.
X. come fatta è vile a’ giorni noftri
I I La malitiajch’un tempo era sì degna.
_1 A Non manca già chi ben cavalchi,e gio-
Nè chi con leggiadria l’hafta Coftegna. [ftri
Non vi manca giierrier, ch’armato moftri
Sovravcfta fuperba , e ricca infegna,
Non già per acqniftar nclmo|ido fama»
Ma fol per farfi noto à colei i ch’ama.
1. Vie più fi (India in cittadina piazza
Tra lieti palchi, e ben’ornatcfchierc
A far dove (i fcherza , c lì follazza
Fregi , c divife al popolo vedere,
Che fotte grave , e ruvida corazza
In campo ad alTalir fqaadre guerriere,
E dimoftrarfi in alcun gran conflitto
PIÙ con ardir , che con vaghezza invitto.
Son forbiti gli u(bcrghì,e rifplendenti/
Tcrfi gli feudi, e gli ©Imi luminofi.
Perche non fono ancor chiari c lucenti
Coloro che ne van cosi porapofi?
Poveri di riccami , e d’ornamenti.
Anzi rotti , fmagliati , e fanguìnofl
4Da gran colpi dì flocchi , c di quadrella,
Q^utoo guanto ^rianvlfta più bella*.
Quanto
CANTO DECIMOQVARTO 7f
-4. Quamosfora il miglior fpada , ò bipenne
Trattar nV duri aflalti , o Cavalieri
Che per gioco fpezzar fragil’ antenne.
Stancando al corfo i Barbari , egl’Iberi?
Che vai gli augelli impoverir di penne'
Per difplegar’al vento alti cimieri.
S’honor mercandoinfra’l nemico fluolo.
Non impennate a’ voftri nomi il volo?
5. V uolfi pili tolto con qualch’atto egreo-ì )
Honorar l'armi, &Uluftrar gli arnefi,^
C'haver con procacciar da quelle il pre^^io
Da rugin di viltà gli animi olFefi °
Far devrebbe non men corona, e fregio
A color , c’han di gloria i cori accefi,
Connonmenbella& honorata falma
Che l’acciaio , è che’lferro,alloro,epalma..-
6. Hoggi pochi ha tra noi veri foldatl,
Che per vero valor veftan lorica.
Calzan più per jfiiggir , fproni dorati,
Che per feguir talhor l’hofte nemica.
E con abufo t il fon tralignati /
Da la virtù, da la prodezza antica.
Che fol rubando , e violando al fine
Son le guerre per lor fatte rapine.
7. Tai forfè efler devran gli empi villani,
Che far al noftro Adon vogliono oltraggi?,.
Non già tal è il Campion,che da le mam -
Lo fcanipa poi dal predator felvaggio.
Iva per monti Adone , iva per piani
Contlnovando il mifero viaggio.
Poiché fuor de*rhegni,onde fu chiufo,
DelaFataogn’ingannohebbedclufo. .
D t Ma
7^ GLI ERRORI, «
8. Ma perche da la fame è fpinto a Forza,
E da la fc tc a dd'iar riltoro,
T ofto da l’aurea nóce apre la fcorza,
E credenza gli appar d alto lavoro,
E la fece , e la fame iniin gli ammorza
Vall'ellameiuo di criftallo , e d'oro,
Pien di quanto la terra, c’I mar difpen(a*
E non v’hà fervi , & è fervicoa menlà.
Non molto dopo , giunto a la marina,
Vide,chc pur’allhor per rinfrefcarfi,
Scefo ne l’acqua chiara e criftallina
Stormo di villanelle era a lavarli.
Ciafcuna havea di lor ne la vicina " - ^
Sponda lafciati i veftimenti fparfi;
E tutta a fcherzi , & a traftulli intente,
A i pianili , & al Garzon non poncan mente.
10. Ei fofpettando pur , che Falfirena
Dietro gli manderà gente a la pefta,
Penfa.che fe trà lor Fortuna il mena.
Potrà meglio celarfi in altra velia.
Prende un’habìto allhor da quell’arena,
E perche’l crin gli è già crefeiuto in refta,
Sovra il farfetto pollafi la gonna.
In ogni parte fila rall'embra Donna. :
11. A la fpoglia , a lachioma,a l^atto,al vllby
A l’andar , al parlar fallace e finto
Chiunque il vede, hà di veder’ avifo
V aga N infa di Menalo , ò di Ci nto.
Ne la felva ricovra , c quivi alfifo
In un pratel di mille fior dipinto,
P4:ende la gemma, che nel ricco incaftt<i
Fù già legata da sì dotto mallro.
CANTO DECTMOQJV' ARTO.
II. Mira nel facro anel la cara i mago
Di lei, eh’ ancor per lui tra^ge fo/pirf,
E dietroaVocchio ingordo il pen/fer vago
Fermando in elio, inganna i fuoi deliri. °
Reftaìn parte pero contento e pao^o
De gliamorofifuoi lunghi marcir?,
Veggendoalmen.cKe pur da lei fi parte
Per girne altrove il furiofo Marte.
13. N on gli lafcia ferrar gU occhi doleotl
1 1 folto ftaol de le noiotc cure;
E volgendo irà fe gli afp ri accidenti
De l^affate fue difaventure,
-*?iperation de le prefènti,
E l*alpcttatlpn .dele future.
Per trovar* alfuo mal (gualche conlìgtio
^Scaccia ogni requie da lo ftanco clglm.
14. Purda’travaglidcl’afHitta mente,
E del corpo affannato , faticofo
Vinco torza coavien , che finalmente
UbbldifcaaNaturafl cor dogliofo.
Cosi Inai volenticr cedere confente
A la necelfità d’alcun ripolb,
Nè più defender occhi egri fiponno
Dal dolce allàlco d’un piacevolfonno.
13. Mentre giace dorinendo.ecco il circonda
TurbadI mafnadleri , e di ladroni,
Gente fcherana, errante, c vagabonda,
Son forfè trenta , e fon tutti pedoni.
Alcuni di lonran rotati lafionda,
Molti fogUon da prelTo ulàr fpuntoni.
Troppo lì ticn chi dì metallo armato
Porta in braccio il brocchkr, lo Hocco a Iat6i
J> i De
I
78 GLI ERRORI,
16. De l’armije de l’armar fon vari 1 modi.
Hall camice di maglia, & han corazze.
Adunchi raffi , pali acuti, e fodi
Adufti in cima , e capelline , & azze,
^empcftatidi punte ,irte di cliiodl
Adopran parte e niazzafruftrì,e mazze,
Giaverine , e lanciotti , e curve, e larghe
Le ftorte a’ fianchi , a’ gonjiti le targhe, "
17. Vien a tutti davante il Capitano, • i
Capo conforme a compagnia fi fatta, i
Malagorre s’appella i è Rhodiano
Di natione e di non balla fc blatta.
PIÙ d’una volta in guerra armò la mano,
Ch’a nobil’opre , a grand’imprefe er’attsHt
Ma di vendette cupido , e di prede
A l’indégno meftier pofcia fi diede.
xi8. Nera , e folca labarba , il vifo ha bruno, - r
Occhio fchizzato , e piccolino,e roflb.
Monca la manca, c fenza dito alcuno.
Fregiato il nafo , Ove s’incurvaTofib,
Afciugator di tazze, e del digiuno
Mortai nemico,huom sìpefante.c groflb,
Ch‘a pena il cape il ruginofo ulbergo,
Nc può portarlo alcun deftricr su’ l tergo.
ip. La defrra ticn di lungo fpìedo armata.
Dì cuoio cotto a l’altro una rotella.
Unatefta di Lupo ha per celata,
Celata inlìeme e fpaventofa , e bella,
Che la bocca (barrando ampia e dentata.
Le fauci formidabili rrnafcella.
L’hifpideorecchie, ch’irtein altoftanno,.
In loco di cimici’ creda le fanno.
AppreG
CANTO DECIMOCLVarto, 75
i *
iO* Apprcflìiiti coftofo al ^aiovinetro j
Chedag,\iocchi dal Conno ancor Copici
Spiravaua dolce , e languido dilecto,
Stupefatti reftaro ,c fblgotcici,
Quafi a la viftadi quel primo aCpetto
Da repentino folgore feriti.
De l’armi intanto al Cuon,che tpcchc c molTj
Faceanftrepitoinficme,ei fi riCcoile.
ai. Nons’atterrl{che vago era di morte)
In mirar gente si feroce e cruda.
V enitc I diffc;c con l’eftrema Corte
La mia favola lunga homaì fi chiuda.
Il Bargel de la (quadra accefo forte *
Dibeltatanta> alzo la deftra ignuda,
E confortollo , e fé che fidrizzade.
Poi pian pian prigionier dietro Cel trafCc.
xt. Di firada ufcito,c c]|uindi hor.’alto, hor bado
Tra I erte piu difficili d^iin monte
eiunCer torcendo il calle, a piè d’vn Caffo,
C he d’alte^ querce ombrofa havea la fronte»
> Torre in cima forgea, curdavailpaffo
Sovra doppie catene angufto ponte.
Queft’ era de’ Ladron la cova, e’I nido,
Quefto il refugio lor Cecreto c fido.
xj. D altri ladri babitantnn cjuefta torre
NumeroCafamilia anco s’accoo-lic,
Che cura bande l’albergo, e di riporre
Dal Capitan le riportate (*pogIie.
Ognun l honora , Incontro ognun o'IL corre
Si come a proprio Rè,fuordeleCo S^ici
Et eflaltacdo il Duce , e la Donzcita,
X.odan di forte l’un, l’altra di bella.
■D 4
Entrato
So GLI ERRORI,
&4. Entrato Malagro difle , Compagni,
Da ch’io Rodo cangiai con queftobofco,
HuorPjche non m’ami, ò che di me fi la^ni.
Tra voi fin qui non veggio,c non conoico.
Sapete, ch’ogni parte hò de’ guadagni
Sempr’ egualmente accommunatavofco.
Dividendo prigione', vcfti, ò danari,
Sempre tratcatirv’hò meco del pari.
xf. Che quando elcflì una tal vita.e quando
lo declinai de’ miei l’alte veftigia,
Non tento agir fuor de la patria in bando
De l’or mi mode l’avida ingordigia.
Quanto con atto illuflre e memorando
De’ nemici mandati a l’onda Stigìa
Da fronte a fronte,e lol per valor d’armi>
Generofo defio di vendicarrnL
Hor fé non di mercè tanta indegno, -
Vi cheggio in cortefialola coftei.
Ben per la poteftà,di cui già degno •-
Mi giudicafte , torlami potrei»
Ma tolga il ciel,ch’io nulla haver con (degno
Voglia giamai de’ famigliari miei. ^
D a voi torrolla , e fotto i voftri aufpici,
Qiwndo vi piaccia,io vene prego Amici,
X7- Tutti d’un voto acconfentirò a lui,
E gradir moltoil ragionar cortefe. <
Ei rivolto acolei,ch’eracolui,
Parlolle affabilmente, eia richiefe
A dargli parte de fuccelTi fui.
De lo ftato,del nome e del paelc.
Adon, che vuol celarli al’empie genti.
Copre con pianti veri i falfi accenti.
Di/Tc^
CANTO DECIMOCiyARTO. Si
2.8. Difl'eglljche’l fuo nome era Licafta,
N at ia del vago e peregrino Alfeo, ^
Che frequentava con la Dea più calla
JDel Parcneuip le felvCje del Liceos
E che l’onda folcando horrida e vaila
Per girne a Deio , del profondo Egeo,
L’havea di quella fpiaggia in sù la cofta
Tempcilojfa procella a forza efpofta.
zp. f ù meiTo in compagnia libero e fciolto '
D’una fanciulla Adone , e d’un donzello
Che nel bofco vicin,non era molto,
Furpreiì,e tratti a quel medefmo hoilello.
Non sì tofto il donzei mirò quel volto '
Unico, c fcnza pari in efler bello,
Ch’avido d’involarnc i ral leggiadri,
Prefe con gli occhi ad imitare 1 ladri.
30 . Ladri fon gli occhi, & a rubarè arditi
Van per le ftrade publiche d’Ainore,
E tutti i furti a la beltà rapiti j
Per nafcondcrgli ben, portano al core.
11 C3r,poicheglihàprelìe cuftodlti.
Fa che d'eflì il defio fcelga il migliore ;
• Ma quantunque al defio la fcelta tocchi.
Contento è. il cor, le fi contentan gli occ hi,>
ji. Il fanciul , che non sa ciò che Jiafcondc
Di vero , e di viril gonna bugiarda,
Hor’i bei lumi,hor Pauree chiome bionde
Fifo contempla, e cupido rilguarda. .
Ma quanto mira più, più fi confonde,
E più convten,che fe n’accenda & arda.
Così iv’ata dietro al cor, che fuo-cre,
E’alina fi perde , & egli invan
ns
Cfc GLI ERRORI,
yL Mentre cerca horcon gefti, hor con parolte
^coprirgli fliqual plaga ha il core oflFefo>
Adon ben fen’accorge,ebenfi dole
Di fua follia jche’l lefl'o in cambio ha prefb*
Pur fc n’infinge, e de’ begli occhi il Sole
GU volge, per temprar quel foco accefo,
Ch’a fconfolato cor, che vive in guai.
Anco i finti favor fon cari aflai.
Ma così fcarle c il refrigerio , e breve.
Che tante fiamme a mitigar non vale,.
Anzi quel van piacer che ne riceve,
E mantice a l’ardor,cote a lo ftralei
Hor mcntr’ci langue, c fi disfa qual neve-
A Sole eftivo , ò pur’ a vento Auftrale,.
Chi fia colei, qiial’egli fiafi , e donde
Adon dimanda, e’I giovane rifponde.-
j4. E’ proverbio vulgar,c'havcr conforti'
Ne le mifcric ai miferi pur giova..
Ma veri non fem’io quefti conforti
Che’i mio mal per l’altrui pace non trova.
Anzi veggendo, ch’a gli antichi torti
Fortuna aggiunge ognor materia nova,
Mentre me piango, c inun dite m’incrcfce,,
Nel tuo dolore ilmio dolor- s’accrefee.
. E.fe non temefs’io , che nel tuo petto
La doglia , e la pietà de gli altrui danni
, Fàrebbon forfè ancor l’ifteflb effetto,.
Parte ti conterei de’ noftri affanni.
Nolofo è troppo e tragico il fùggetco,
E d’afiài giìnforcunii eccedon gli annij
Jyia pur tacere almen non fi conviene
efii fiaino , equal cagionqvu ne ritiene..
Hab^
Canto decimocì^arto. sj
tìabblatno a la {quadriglia infame e ria-
• La verità fou’altro velo involta, l
Che benché falfa e mentitrice fia,
Leggiera ò la menzognaanco talvolta, ' •
Quando giova a chi mente il dir bugia,-
E non noce U mentire a chi Tafcolca.
Poria,s’clla de 1 ver fufle avertìta,
Per occultar'ilmal,tor la vita.
y7.0ranta,che d’Armenia ha hebbe il governo^
Suora fu di Morafto il Rè d’Egitto ,
Ghe’n compagnia morì di Galiferno,
Già di lei fpolo , in un mortai conflittoj
Nel marital’eccidio , e nel fraterno
Le-fu da tanta dogliail cor trafitto.
Che gravida dlfpcrfe,& abortivi
. Partorì duo gemelli iutcmpcftlvi.
j8. Intempeftivo il parto , & improvlfo
Per affanno lallallc innanzi l’nora.
Perche fiibito giunco il duro avìfo,
I duo tener i infanti efpofe fora.
E per l’a mor del gran inarito uccifa
Chiamò fiiauro Viin , l’altra Pilota,
ligll di madre afflitta 5 e padre efl'angiic.
Prodotti- nel dolor , nati trà’l fangue.
jS. Queftl fummo noi duo , che comeroti
L’inftabil Dea, del mondo agitacrice.
Provato habbiam,d€Ì dì che tra’ fuoi moti
Aprimmo gli occhi al Sol, coppia infelice.
Argene poi, di cui noi fiam nipoti,
Xn vece n’allcvò di genitrice.
Però che quella in su l’angofce cftrcmc
.Voniina efprefTa inficme.
j) ^ N^n
84 GLI ERRORI,
40. Non è gran tempo , che per bando cipreflò
Cipro incorno mand^ publici gridi,
Ch’a corre il regno al più beU’huom promcffo
V enga chiunque in fua beltà confidi. .
La nofiraZia, c’hà pretendenza in effb,
Pè da Menfi tragitto a quelli lidi»
E ftimandoci ancor tra'l popol Greco
Degni di comparir , ne menò feco.
41. L’altr’hier ( però che qui noftro coftume
Era fovente eflercitar le cacce^
Per un Cervo fegulr , ch’entrò nel fiume
• Spaventato da gridi , e da minacce.
Perdemmo infieme col diurno lume
De la Fera , e de’ noftri in un le trace.
Così fmarrici in altri lacci cefi
Fummo di cacciator cacciati e prefi.
41. Tacque, c volendo dir,ch’altra prigione
Tenea le voglie fue ftrette e legate,
Sofpirò si, che ne forrife Adone,
E parte di quel male hebbe pietate.
Che già dotto in Amor, di ciò cagione
Ben conobbe etler fol la lua belcace:
Behà, principio, e fin d’ un gran tormento,
Vifta.amata, e perduta in unraomento.
43- G ià da l’orabrofe Tue ripofte cave
i e la notte campagno , aprendo l’ali.
Con lento , e grato furto il Conno grave
Togliea la luce ai pigri occhi mortali,
E con dolce tirannide e foave
Sparfe le tempie altrui d’acque lethall,
I tranquilli ripofi e lufiughieri
S infignoiian de’ l’enfi , e de’ penfierì.
gluan-
CANTO DÈCIMOQVARTO. Sj
44. Quando le lor parole al mero rotte
Repente fur da fubito tuinulco.
Fracaflì d’armi, e ftrepidi di botte
Ferivan l’aere d’un remore occulto,
gonfufa dal timore, c da la notte
Va la cafa folFovra al novo infultoj
Et ecco aUhor di quel drappel protervo
Viene anhelante a la lor volta un fervo.
df IB-plrota,
Che ^lafci volte almeno è da la rota
. Per gran forte fcampato, e dalcapeftfo.‘
^gnatotien con indcbil nota
De ia.bollareall’homero defh-o.
Barro di carte , e ficcator di dadi-
Tutti d ogni bell’arte ha fcorfi i gradi.
4^. Di Filerà la bella, e più de’fuoi
Ricchi ornamenti havea l'alma invaghita
Venia per violarla, e torle poi
Con lemifercfpoglieancola vita.
V a 11 mondo a fangue (ei diOe; qui fol voi
e gendo, al mal commun non dare aita
Pai b a te bel Garzon , che pur mi fembri
Ultore core, e di robufti membri.
47- Gente comparfa a l’improvifo efpuo-na
on terribile afledioilnoftromnro, °
fi combatte e pugna,
E .fi fa la battaglia a Cielo ofeuro^
Tuttavia crefee ladubbiofa pu<r.ia
Ne oer voi quello loco è ben ffeuro.
Gl. fuor con gli altri tutti è Malagorre
De la vita a difcfa, e d« la torre.
Sesa
GLI ERRORf, I
48. Scbcn folca Furcillo efler mendacc;^ L
Cloche narrava allhor, ^uct’cra vero. I
N’era Orgonte l’autor, d'*Adon feguacc' I
C’havca dr lui tracciato ogni fcntiero'. I
Ch’ei fiifle in preda a lo iquadron rapace |
Non sò come fapefle il calo incero.
Di quanto ei fatto havca nè più nè meno*
Da che partiflì, era informato a pieno.
49. Di làpaflando jOvellmedcfmodie '
Uniti havea’l fanciul drappi donnefchi,
Intefe il tutto, e da fagaci fpic
Gli giungean d’hora in bora avift frefchi.
Qual cacciator, che per diverfe vie
Cerca com’augel vago al ramo invefcbi >-
Tenendo fempre inlbliti camini.
Pervenne a la magion de gli aflalTinL
50. Non era il ponticel levato in alto, -
Onde con fuà brigata entrar vi volle >•
Ma da’ ladroni opporti al fiero aQalto
Fù per forza refpinto a mczo il colle.
Incominciò di fanguinofo 1 malto
L’herba a farfi vermiglia, e’I terren molle*
E i fofchi horror! a l’horridofcompigllo
(Come il fervo dicea) crefcean periglio.
jr. Hor più tempo non è da far dimora
(Sogginnfeil ladro) ognunpenfia fe rtelfo.-
. ElTeguir mi convien l’ordine hor’hora.
Che di falvar cortei mi fu commeflb. • '
Così diflè , e per man prefe Filora,
Che fu coftrecta à forzalrne con elTo;
Pianfe, e gridò, ma pofe freno alquanto 1
Efpavento dclfcrro al grido, al piane .
CANTO DECIMOQyARTO. ti
5 • „ Filauro, in cui per Taccrbeta etade
Erangli (pirti ancor debili e infermi ,
Oltre che fra tant'hafte, e tante fpadc
Le forze havea d’ogni difefa Inermi,
Contro quel fier nemico di pietade
Fu mal pollente a far ripari, ò fchermi.
Nè feppe altro il mefchin, che con quereli
Seguir la vergin mefta, e l’hom crudele.
Tal rondine talhor , che veggia lingue
Guaftarla il nido, e divorar la prole ,
E le vifcere care, e’I caro fangue
Crudelmente languir, s’afflige e dolc.
Tra paura, e dolor paventa, e languc ,
Teme accoftarfi, e dipartir non vele ,
E con pietofo gemito dolente
L’orecchie aflèdiaa chi pietà ncn fcntCi
Veduto Adon , fra tanti cali averli
In quel punto Fortuna efl'ergli delira,
Sì ch’cflendo i ladron tutti difperlì ,
Kimanea folo in quella cafa al pelila.
Pigro non fu del tempo a prevslerfi ,
E Lalfe, ove s’apriva alta finellra
Quindi affacciolfi a rifguardar nel monte >
E vide in vive fiamme ardere il ponte.
Havean gli alTalitori ih quella parte.
Dove il legno s’incurva in su la folla.
Che molt’acque otiofe intorno fparte
Raccoglie, e forma una palude grolla..
Accefo il foco, onde Vulcano^ e Marte-
Ea fer torto apparir fervida, eroll'a.
Ardea la tSrre, e de lo ftuol rapace
Re rapine rapia-fiamma predace..
jó. Sorge in groppi di fumo il foco al Cielo,
eonfulb, e fcorrein quelle parti e’n quelle i
Poi rompendo de l’aria il folco velo,
S’allarga, e fnoda in lucide fìanlmelle.
Ricovra Cinthia al cerchio Tuo di gelo,
A gli epicicli lor fuggon le ftelle ,
Que quella teme inaridir gli humoii.
Quelle disfarfi a sì vicini ardori.
57. Per mille bocche, e con ben mille e mille
Lingue e ftridendo, e mormorando fvanipa,
Con acque ardenti, e liumide faville
Bolle lo {lagno, e’I raargin tutto avampa ,
Qtiivi fi pugna , che di laiiguine llille
Spruzzata adhoradhor crelce la vampa,
Che Ipranghe, & afledi.& ogni altr’elca fecca
Divora, e i falli morde, e 1 onde lecca.
58. Chi da l’orlo del ponte in giù trabocca»#
Chi da la rilpa, e nel follato affonda.
Altri dal ferro, che’l perfegue e tocca,
Fugo^e, e nel foco inciampa, o inuor ne 1 onda
Di su larvetta de l’eccelfa rocca.
Da cui difeopre Adon la fponda,
Chiaro il tutto glimollraa l’ariabruna
Lo Iplendor de l’incendio , e de la Luna.
59. La chioma, che crefcluta,iifeminile
Ufo imitando, infin’ al fengli feende,
Difcloltaallhor , con rozo ferro e vile
Tronca quell’or, che fovra l’or rifplende.
Poi de gli Itami del bel crin fottjle
Treccia forte e tenente attorce e ftende >
Qnafi lubrica fune in linea lunga ,
Tanto che dal balconea terra giunga.
CANTO DECIMOQVARTO. 8P
Ma Malagor, che’nque’mortall ardori
La nova fiamma Tua ierba ancor viva.
Nè trà Tarmi, e le furie oblia gli amori,
Ripeniando a la Vergine cattiva.
Per falvarla, ove falva i Tuoi thefori,
Lafcia la zufià, & a l’albergo arriva
A pu^to allhor, che per 1 aurata fcala
V cde, che fdrucciolando in giù fi cala.
6i. Adpn, che’n preda de lo iniquo Duce
Si trovapur,dclfierdeftinfi lagna.
Fermano il prende, e fiotto dubbia luce
A la valle vicina e Taccompagna.
In una occulta grotta indi il conduce ,
Che le vifeeretora la montagna
Dentro i cui penetrali ermi e ripofti
I boccini più ricchi ei ciennaficofti.
6i. Opra dì non di Natura è qnefta grotta.
Qual de {‘altre efler fiuol la maggior parte
Ma la man dc’Iadronl clperta e dotta
Pur come naturai, cavolla ad arte.
E’ftrjctta, obliqua, e diroccata, e rotta,
E nel mezoin due parti fi diparte.
Scende la prima entrata oblcura ebaflà
Fin doveaTantro interior fi pafla.
(j. Tfà gli fpatiidel primo, e del feconda
Un làfib s’interpon, quali parete,
Acconcio in guifa, ch’è leggiero il pondo.
Purché note altrui fien le vie fecrecci
Ma de lo fpeco par Tultimo fondo
A chi trova il confin di quelle mete,
E queft’ufcio di fterpi è cosi folto ,
C he trale fpinc ognor giace fepolto.
90
GLI ERRORI, f
64. Ne la figlia, e ne l’arco è di tal Torte ,
Qual riparo commeflb,e fitto in terra.
Che non fembra la tana haver due porte,
E s’apre agevolmente, e fi riferra.
Daindiinlaper ftradeanguftee torte
Quafi Meandro, fi ravolge & erra,
E polche molti giri intrica e mefee ,
Ne la coftadel poggio alfinriefcc^
6;. Riefceinsii labalzaalpeftra& erta,
D’alni infecondi fertile, e di faggi.
Cola dove la pietra alquanto aperta.
Ma riturata d’albori felvaggi , ■ -
Riceve pur dal Ciel di luce incerta
Per un breve TpiragUo ombrofi raggi
E da l’un fedo a l’altro il Tuo gran Teno
Tiene un miglio di tratto, ò poco menou
66. Fù dentro quella inhofpita caverna i
Non sò fe pur depofitata io dica ,
Ne la maggior profonditate interna, ^
O fepolta da lui l’amata amica.
Quivi baci, e parole infieme alterna ,
E molto a confolarla ei s’afFaticaj . ^
E poic’hà lo fportel chiufo co’marmi,
Lafcia i traftulli, e fà ritorno a Tarmi,
6j. Filauro Intanto, ilqual ne Tiftefs’hora
La Torella, e la donna hà inun perdute.
Del nomedi Licafta, e di Filora
Fà Tombre rifonar tacite e mute.
De Tuna la beltà fofpira, e plora,
^ De l’altra Thonefiate, e la falutc i <
E fadencroil Tuo cor fiero duello
L’amor dei iai^ue con l’amor del bello.
Can'xo r> e c I mo arto.
?^pro^rita^<li fìizgel tenera cera
Si laida in se non lerba, e non ricicne,
Conie un cor giovinel de la primiera
Beltà l’effigie, ov’a feontrar li viene.
Coftui del prinao aimor la viva c vera
Sembianza imprcHa lià nel penlier sì bene,
Chenon vai del bel foco, ond’ e gli a vampa.
Altro accidente a cancellar la ftampa.
6p. Mentre cKe per la lelva erra, c s’imbofca ^
Dcfperato, c dolei-ktc in quella guifa.
Incontro. a sè venir per l’ombra folca
Vade pcribna, che non t>en ravifa,
Epoflibil nota è, ch’ei la conolca.
Se ben^ntento aliai l’occhio v’affilà.
Che lontano è l’oggetto, c l’aria obfcura,
Mà per femina pur la raffigura.
,70. L’atrclc, c polche donna efler s’àccorfc.
Con cor tremante avicinoffi a' quella.
Scfial’una, ò lìa i’alcra è ancor in forfè,
Alfin conofee pur, cH’e la fbrella.
Con quaraffètto ad abbracciar la corfe.
Con quai fegnid’ainor l’accoHc anch’ella,
Conquai baci iterati,, e c<m quar lenii,
Chi può dirlo, e peritarlo il dica, c’I penfi.
I. La Giovane al frarcl conta pisngenao,
Poic’hà l’anima alquanto m s e raccolta.
Come fù tratta entro il burroachorrendo
D’unaforeftaaefviatae tolta.
Là dove foco II mafcalxon volendo
Trarfi la voo-Ua fccletata c ftolta,
Gu“fò per nSn P-fara alta ventura
Interrotto U piacer de la paura.
Perche
GLI ERRORI,
71. Perche di genti, c tl’armi intanto udifli
Repentino romor giùperla valle ,
Onde villanamente egli fiigeifli .
E a loro, & a lei volfe iefpaUci
E eh elk , polche il traditor partiflì.
Per io piu deftro, e mcn fegnato calle
Timidadlduo rifehi, in fretta diede
La chioma al vento, & a la fuga il piede.
73- yegro Garzon, ch’occultamcntc havea
Damorofa ferita il fen piagato,
Vi» • ^ ^ feguirvolea.
Che dietro a chiferillo era volato. ^
Olile } Di guefta gente infime e rea
XT ' u ^ ^ armato}
N.C ben fecuri fiam di novo inciampo, . ;
ienonfiftudiaaprocàcciarlofcampo. '
74. Buon farà dunque alcun ripollo loco
Cercartraoueftepiante.e quellifaffi,
Dov IO finch a fpiar vada del foco,
E del ferro i fuccelTi, almen ti lalfi.
Tu la m’attenderai;, ch’a te fra poco
Ritornerò con ben veloci palili
M^tre parla così, vede non lungc
La fpclonca de’ladri, onde foggiSngc.
75. Quella mi par per breve fpatiollanza
Commoda, & opportuna al tuo foggiornò.
Cara mora le m’ami., babbi collanza
Infino al venir mio, ch’io parto, c torno.
Cosi le dice, & ella ogni baldanza
Perdendo, & fcolorando II vifoadorno ,
Stupida cella, c conturbata tanto ,
Che rifpondcr non sa, fe non col pianto.
Pu
CANTO DEC IMO QUARTO.
». Pur rivolge ndo in lai gli humidirai,
I-o ftringe con dolclilìme ragioni.
Frate (dicea la milera) cu. vai, ^
E tra Fere mi laici» e crà ladroni,
E mi predice il cor , ctc più giamai
Non c*liò da riveder, le na’abandoni.
Se non lenri pietà del mio dolore.
Murato hai bendi rigid’Alpeil core.
7- Con Io Fprone, c col Fren Fin lite in lui
Natura, Amor, c tenerczxa. ^
Mà convien, che cortei ceda a colui.
Che ^di ragione ogni ritegno Fpezzai
Nàcura haverde la Ibrclla altrui
Può chi la propria madre anco diiprezui •
Sì dopo molte alfìn lacrime Ipartc
Al del la r accom rn aridà, c lì diparte.
Come, s’allhor che più Fpc^to corre
Pcrl’OlimpicapolVc, ò peri ^
Travia carro li Fchiodac vicnfia Fciorrc
Una de le due rote,
Arrcrta il moto, c
La gemina union, che*l loften I ■
Gemono gli arti, c
Và ferperao il timori Ipexzat® e zoppo.
Cosi rimale ne già ramingo,
Del buon german, cl^ fc nc g 6
Pallida, lagrimola, *=,^”rror Folingo.
LaVirginellain
La fcaramuxxa arringo,
E Malagor cornac , apparire
TràTuoi li a.»imofa ardire.
Vergogna a i vOr, ^ ***
Nel
74 GLI ERRORI,
50. Nel cominciar dela battaglia un pezzo j
V antaggi 0 hebbero a Bravi i Farinelli,
Dw’cjuai ciafeuno era gran tempo avezzo
In cjuel fito, ove gli altri eran novcllii
• E le vite vendendo a caro-prezzo ,
Si difendean da quelli aflalti e quelli,'
Saltando hor macchie, hor folTi^nor pruni, hoi
Scudo fi fean de fralfini, e de l'elci. (felci]
Sj. Il Signor de la ciurma alza la fpada, ^
E comincia a ferir colpi sì duri,
Che la rupe ne tremo, e la contrada,
E temoli d’appreflarlo ipiù fecurì.
Fere Armonte il primier, che non vi bada,
Qual’huom, eh’ altrove intenda, ò poco i curi
Ma mentre al fuon del ferro il volto ei volfc,
Tra la fron^e, c le ciglia il colpo il colfe.
51. La fibbia gli tagliò, che de le ciglia ^
Con gl i fquamoli mufcoli confina.
Onde ferìla fronte (ò meraviglia) '
E la luce ammorzò, ch’era vicina.
Tronca del deliro gomito a Scarmiglia
La chiave, e’I braccio ingiù mozzo mina.
£ da la fpalla in un medefmo inflante
A la forca del petto apre Mimante,
£). L’elmo, e’I capo a Tricollb in un divide, ^
£ di vita, e d’orgoglio in un rhà privo.
£ per la fchiena Dragonetto uccide.
Mentre corre anhelante e fuggitivo.
Ilfcrrapoi , che lampeggiando ftridc.
Là dove è l’huom piò palpitante e vivo.
Cacciando a Bricco entro la poppa manca,
Le latebre de L’anima fpalanca.
<^ANTO r>EC I M O QV ARTO.
^4. Ne la noce del collo Hà d*un rivcrfo
“ Coleo Squarcon con £liria> e forza tale,
® Che quinci il t>uflo ni ftiol cade converfo,
'■ Q^ndi il telcliio per l*aria in alto falc.
Difendente àCreufo è per rraverfo
Prcla del cinto la mifìira cgnale,
^ Si cheben moftra altrixi <qu.al’ira n’habbla
Tra le vilccre aperte ilfìel» cK’arrabbia.
Trovavafi di quàpoco lontano •
Armiiloil cacciatore, Armillo il bello,
Ciprioto non già, naa Soriano,
Ganimede fecondo, Adon novello,
Mcntr’ci con l*arco,‘e le faetteinmano
Quello guerricr và provocando, e quello,
A Tarmi, a gli atti, al viCo, Se a le membra
(Tranne la b^nda, e l’ali) Amor radembra.
6. Havendo il gran Tiranno di Soria
Mandato in don pur dian zi al, Kc d OrmulTc
Perche 1-alrabclta, chc’n lui fioria
Del Serraglio rcal delicia tulle. ^ ^
Ma rottlTt morti i condo^icr via,
S eri To' li prisio*' compagno.
r. Va
De
affhezza pucrit (fi come è l’ufo
^nezza \ . . pugna il mena.
i-»c fanciulli sparto ^atio chiufo
Non haveaqucm ^ -JP ferena.
De la ftagton P‘“ l fufo
Però c havea del aebu ni
doto feaici g»rt «'"Ilio nè motto
Nè
YclUgiopuf ai nova F»
9^
GLI
88. Semplicetto credea, la tra le fchicrc
Dove Tira, e’I furor fere, c minaccia.
Quel traftullo trovarli, e quel piacere.
Che per le felve havea trovato in cacciai
Echc’l feguir de le fugaci fere
• Co’cani a latò, e’I dardo in man la tracciai
Non fuilc ardir men cora^iofo c forte,
Chc’l girne in campo ad affrontarla morte*
9^.: Il fianco, e*l tergo ha fenz’altr*armi armad
D’una pelle di Lince ofeura, e bianca.
Gli è cuffia il tefehio, e pendon d’ambo i lati
Con Tunghie intere e l’una, e l’altra branca.
Duo di fiero dinghial denti lunati.
Un da la deftra parte, un da la manca
Gli efeono innanzi e con due fibbie ftrettò
Gli fan vagò fermaglio in mezo al petto.
^o. A que’fèmbianti angelici diventa •
Qual più rigido cor molle e cortefè.
Trattiene icolpl, e con man lieve e lenta .
Scherno fi fà dà l’innocentl offèfe.
Ma’l Garzon più s’inafpra, e più s’aventa
Tràle più dubbie, c men fecure imprefci
E chi gli cede, irrita, e. di chi’l mira
Contro fe ftefko, c fiia beltà s’adira.
ji. Mclanto nato al freddo Tronto in riva
Là tra l’Alpe Picena, e la Pcligna,
Suo curator, fuo difenfor veniva.
. EfecoinunfaceaPherbafanguigna.
. Per la calca maggior quefti il fèguiva,
E fermando càlhor l’hafia ferrigna ,
Volgeafi a rimirar quai più mortali
Pc l’occhio} ò de la man fufier gli iUali.
CANTO DECIMO QVARTO. 57
GU cergo,& hor da’ fianclù
Gli Ulciaya i gaerricr ferUi.e viuti.
Perche g!i avanzi Cuoi ftorditi e ftanchi
Fimer eia luKoa minor Tirchio eftìnci.
Incotal guifa , ove i più fieri c franchi
Segnalar fi vedea di fatigue ciati.
Le fatiche icemando al feci fanciullo.
Di fpianargli la ftrada haveatraftullo.
Cosi ftrozzicroal’aghiron talhora
Spuntandoli lùngo roftro, ci curvi artigli,
/ Al falcon giovinecto,e non ancora
Ufo a lé cacce, agevola i perigli.
Cosi Leon , trahendo il bofeo fora
De rafpra cova i non chiomati figli,
Caprio , 'ò Torci , cui di branar dlCdégna,.
Lor mezo uccUb a divorare infegna.
D
Va tra* nemici Arinillo,e l’arco tende, '
Ch*è di fin’or |>on:mofamcnte adorno,
E*1 cordone ha di leca,e tutto fplendc
Di fottìi minio , edllucentccorno.
Con la manca nel inezó il nervo prende,
Et al dritto delbcchio il gira intorno,
Conl'alcrail laccio cìra,e fuor di legno -
fa guizzar l’hafte,& accettar ricl fegno. . ^
Hor chi può dlr,quanti da te far morti.
Baldanzoso donzel , prodi guerrieri?
Fcrracozzo fu il primo un de’ piti forti
Partigiani d’Orgonte , e de’ più fieri}
Ebcn volg^a, fe non volgcasì corcij
I fttoi ftami la Parca , alti penfieri.
Ma gli pafsò crudel iaccca , & etnpi^
Tutto il cervcl da Pana a l’altra ccrnoia.
VoLn, JE ' poi
58 GII ERRORI,
^6. Poi vide Orcan,chc la fua fiime ingorda
Pafcea di ftrage,c facea prove eccelle,
E d’holHl langiie diftillante e lorda
La fcimitarrahavca fin fovra l’elfe.
Tofio per porlo in sù la tefa corda,
E commetterlo a l’aure, unftrale ei fcelfé,
E torcendo il e;a2;liardo arco legsilero,
Fc d’una Luna iccma un cerchio Intero.
57. Volea gli accenti allhortrar de la gola ‘
L’altro , e fcior contro luì la lingua irata.
Quando in aprir labocca, ecco che vola
A chiuderla al mefchin la morte alata,
E la vita in un punto , c la parola
Per mezo il gorgozzul gli fu troncata. '
La voce intanto infra le fauci mozza
Gorgogliava beftcmmie entro la ftrozza.
58. Volto a Bravlcr, con quanta forza ei potè
Lo ftral pungente in sù la noce incocca.
Poi là fu ne a sè trahe fin sù le gote,
Scaglia la canna, e fovra’l braccio il tocca,
Ncrpefce apiinto il calamo il percote.
Col pafmo aterrail povcrel trabocca.
Egli noi cu^, e palpitante il laflà.
Indi fovra terauno ardito paflà,
55. Haveva allhor’allhor fpogliato e fcarco
D’alma, e d’armi in unpunto e Vefpa,eGrillo,
Quando fegnollo, e come fera al varco,
L’attefe, e giunfe il fiiretrato Armillo.
Con l’arco in pugno , e con loftral sù l’arco
r i traverfo nel fianco egli ferillo.
Quei cadde in giù rivolto , e la faetta
. Scrivea note di fanguc in sù l’herbctta.
Sovra*
CANTO DECIMOCXy /l'Erto* 9$
ri IO®- Sovraglungc à Gulxirro Lin.* altro ftrale.
Et aprc> aprendo al caldo lannaor l’vilclca^
. Ncla guardia del cor,viva e vitale-
Officina del Cangue , ampia Ferita.
Palla la manca colla oltra quell’ale,
jjt Che mlnlUran col moto aura a la vita,
E nel centro del petto a Fernaar vieni!,
’ JOove il trono , han gllFpìrti,ll Fonte 1 Fenfi.
xoi. Furiaflo 11 gran guercio ,lnFra lo lluolo
Più d’unl>andito a piè 1! tene à morto-
E’ non havea coftui , eh* u nuoccialo Colo,
E quello ancora il volgea torvo,ctorco-
Piega l'arme bicorne , e manda a volo
Anco una Freccia il Sagittario accorto,
Freccia,cK * eguale al tulminc congiu ntc
In sè tortc,3c agux.a.e havea trò punte.
lOi. Dal triacntc mortal.che per lacava
Conca de rocchio oltre la coppa il hede.
Colui ad lume , onde la
Drbo rimane in mito , e pm n° Ten et! lava
Pur mentre il ‘'arvftueU voUo.e 1 ren_gU
r>r?xxa ver lù,d.on.d. u-fcio I colp > P '
uriz-zavci ..««t-tain man due <pade,
ckduta inciampa, e cade
tot. Saetta U fierGariond^^ ,
è^^?rlmneu“ uàclealglan^^^
C’ Havea ae d'oro.
C’ Havea ae ^ ella d* oro,
I>iovorxo a m-rllc ^ofeo tuttoi
ciu\ s’a-ffrenaan
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tcìo Gli ERRORI,
T04. Già la faretra homai di dardi hà vota,
E’I.braccio cjuafi indebolito e laflb,
Quand’ecco il fiero Orgonte, eccol’cKc rota
La Ipada a cerchio, e s’apre intorno il paflb.
Fermo l’afpetta,econ Io fguardo il nota.
Poi trahe l’ultimaftral fuor del turcaffo.
Et accelera il piede, ov’empia forte
II fa quali volar contro la morte.
1&5. Prefto.ovunque’egli vada al fuo foccorfo
Melante Ilfcgue pur,nè l’abbandona,
E come il vede in sì gran rifchio.il corfo
Colà fubito volge , e gli ragiona.
Raccogli homai jfauciul malcauto, il morfo
A l’ardir, che tropp’oltre hoggi ti fprona.
Orme fin qui del tuo valor lafciafti
Fra’ nemici all’aichiare.hor tanto balli. ' ^
106. E quegli a lui. Deh quell’altier , che tanto
Spaventa altrui, confenti aimcn ch’aflaglia.
Non mi difdir , ch’io’l provi quanto
(Poiché in viftaè sìficro ) Infatti ei vaglia.
D i ciò ti prego fol.caro Melante,
Non cheggio dopo quella altra battaglia.
Se vincerò , tu mio fedel cullode
N'havrai l’armi ,c le rpogHe,Sc io la lode.
y07. Ciò detto il lafcla,e pcrl’horribil mifehia
Dove Orgonte combatte,! n fretta giunge.
Et aventa lo llral.chc llride e fifehia,
Ma’lberfagliojovcvà.pnnto non punge.
Contro il mefchitijch’oltrc l’età s’arrilchla.
La villa gira , c guatalo da lunge.
Indi s’accolla, e con forrifo acerbo
C osì’l motteggia il Barbaro fupcrfao.
I
S A M T O
^ E C I MI O
A TT O.
*°A lWofr"° ^ effer potrà, che tardi
A l incontrar ciò cKc’l tuo cor defia,
il c liuomla morte,cUc d’haver tanc’ardi,
^nciullctto inaportnn.o>al fin cl dia?
Hor*io non vò,cKe più. gli altrui riguardi
cacciano infolentlrjtanta follia.
So, che per tc miglior forala sfcrz.a,
^a la inia fpada ancor talvolta fcherza.
Tacque, e con Ini fi. firlhrc,c qnl finarrlto
Quando mirò la Cpaventofa frorlte
V olCc fuggir , ma nel fangulgno llto
lor
— t>“— »-*». Cangne Innehrico Orgonte.
Melanto il vede , Se a-l Clarion caduto
Corre per dar nel gran periglio aiuto*
ZIO. Bda per die and cru.de! moftro inliumano
Gid l*Hd gimaco in nn fatto, c già g,H liaprcfà
La chioma d*or con lafinlftfU: inano*
E l’altra per ferirlo alTata c ftefa, ,
Et el non può , per cCTcrne loirtano, ^ *
A tempo rltrovarfi ala dìFela.
Citta la fpada > e dà. di piglio a ^ *
E già rVià tefo In vtn momcnto,c care .
XII. O’ia fretta Coverchia.&U
Oa la mira io ftrai tvavo ^
Si che del empi"
Del ficr nemico i\ colpo
rj.
Jel nemico , che pu.
Et era di ferirlo fcoito
E forfè pii* dapreu _r»»\
rucl bH vifo E }
morto.
Paffa
lOX
GLI ERRORI,
111. Parta il cuoio macchiato à nero e bianco^
Spinto dal braccio del’Arcier gagliardo>
E, fiede al caro Armìllo il miglior fianco
Il diilcalc , e difpietato dardo.
Qui la manbella in sil i coftato manco
^ Si pone,e dice aruccifor col guardo.
Io moro ( ahi crudo ) ma la tua faetta
Porta infieme l’ofiefa,e la vendetta. ^
113. Come fonte talhor lìmpido e puro> ^
Dove il piè foizo il zappador fi lavi.
O’ come bel giardin,cui l’afpro e duro
Raftro de Varator fieda,& aggravi ,
Così del volto pallido, & ofciiro,
Così de’ torbidettl occhi foavi
E fecchi , e ftenti da’ mortali oltraggi
Languirò inori, e s’oflufcaro i raggi.
114. Sofpendeilfcirojcvolgefi a Melante
Piendi difdegno Orgonte,e di fierezza,
E vede,che’l gran duol gli ha tolto il pianto
Alo fparìr di quell’alta bellezza,
E de la piaga involontaria intanto
L’arco ingrato miniftro aterrafpezza.
La delira errante , alfuo diletto infida.
Si morde e brama pur, eh’ altri l’uccida.
X15. In un punto al mefehino ardono il petto
Due fiamme, anzi dùe Furie, Amore, & Ira.
Quello il move à pietà del Giovinetto,
Quella in fé llertb a vendicarlo il tira.
Ma mentre la fua mente un doppio affetto
Hor quinci hor quindi irrefoluta aggira, ^
Dal bufto il capo Orgonto ecco gli ìciodic,
E dal dubbio, c dal mondo infieme il toglie.
CANTO i>eciiaocì:v A^-ro. »oj
II6 Chidcfcriver Moria Vinfana rabbia
Di ^uel prodigio liorribil di Natura,
1 ra qixai^i mai la terra armati tx’lial>bla
Moftruofodi forxe, c di ftatixra?
¥umo le «ari FuordcViiuma le labbia
Gictan , cbe’l del Cereri turbasse o ferirà.
Se arrabbiato
^ foco,e fiamma > è folgore , cioo fiatò*
Il T* ~Q«afi vento il crude! và Coriando,
piovendo di Carigocafpre tci=npefte,
Cioccano i colpi , ovu.nc|U.*ci vieii paCCniKlo,
Graadiriand*ogriirit or no e braccia>e celle.
Tuona col grido, e Culmina c librando.
Sono i Culmini fu. oi piai^lie Cu.icfle,
H Creme , e ftride > e fo^ i > e tbu£Ca,e (pira
Procelle d V Cur or > turbini ddra-
11^
Cinta d’un naar vcrmlglio^inalco forge
Del corpo dganteo l’ìfbla viva.
J-/C1 corpo ^rganteoi iloaìì viv**..
V ol pino il mira , e perebe ben s’accorge
DI ciò ebe fia,Cb c]^uellamai\ V arriva,
Cac elafi in fuga s ci che Cuggir lo icorge,
P..atto 11 prende a iegnlr lungo la riva,
E minacciando il và coi^ emacili d^cti,
Ivlal fc mi Fuggi , c peggio ic in alpecci.
:olà<love
lio. Tra le plance più folte , c colà<lov<
Lo fiuol de'fidi amici era pi*-'
Per campar da la morteli paio move,
^^uand’ecco vi teri o, cnt. Y** rn.rr
LUncaiitc» Truffarci prciylc m roftetTo.
Truffi^et . cUnVluftrò col nalc.mcmo
i uuuorcal
idi
104 GLI ERRORI,
110. Quefti in pace viè più, che per battaglie.
Con man fottili , e di rapina ingorde
Sà meglio, ch’adoprar fpade,e zagaglie,
T rattar chiavi , e trivelle, e fcale,e corde.
Porta ©gnor feco,ovunque va, tanaglie.
Grimaldelli, ac^ue forti , e lime forde,
E di rubar con Ina deftrezza tanta
Le ftcllc al Ciel,la luce al Sol fi vanta.
111 . Iva , pur troppo in fua malitia fciocco.
Spogliando i morti , ond’era pieno il foflb.
E per torre a Giafler la banda, e’I fiocco.
Ch’eran di feta,c d’or , s’era già moffo.
Oliando dal fiero inafpettato fiocco
Irreparabilmente ei fù percoflo.
Ladron ( glidilfe Orgonte)io non t’incolpo.
Vantati pur, che mi rubarti il colpo.
111. Torna a feguir Volpino , c non fi fianca
Tanto che’l giunge , e perle reni il parta.
Fende a Ronciglio la mafcella manca,
L’afcelladeftra aRampicon fracafl'aj
A Cavicchio , a Fregurtb il feno,e l’anca.
L’un quafi cftinto , e l’altro eftinto larta.
Folchetto atterrapoijche cade, e languc
Mordendo il fuolo , c vomitap,do il fanguc,
iij. Duo germani eran quì,Trinco,e Trlfcmo
Da la natura l’un , l’altro dal cafo, ^
Privo già quei del pofolino e (Iremo,
Quefti del deftro Sole orbo rimafo.^ [nio.
Tronca egli II nafo aqucl che l’occhio hafee-
E fcemafocciiioa quel c’hà tronco il nafo.
Così sà , così fuol con cgual forte
C^:'i difngguaglianza aeguagliar Morte.
Rotte,
CANTO DEOIMO A TC T* ® . roy
1^1 ivxaiagorre laoiTijai le genti fono.
Onde pian pian conainciano a ricraritc,
E poi prenàon la fuga in abbandono.
Volgete il vHTo,(ei cHc di fdegno n*arre,)
Gridò con fiero c mlnaccevoliuonoi
Nè^cr tanto à fuggir fon già naen tardi.
Pero che’l tergo è vi vifode* codardi.
. 12.5. Celiando’ Il feroce al fin mira cjne’pocKi
Oe le relicjuie Cue fgombrar le pia^S^c»
E’ncencrltc da* ne ini ci fiioclvi
Le si fiip>erbc gì à c^fe lelvagge,
E, ebe gli aiuti fivoi fon fcarli e fìoclil,
EcKc Pimpeto altrui feed nel traggo.
Va beftemrniando in faonrrabbiolo cri»
Il Clclo,o’k Sole , e laNaturai'fe Dio.
%2.6 il ladroni , rtia la tciribil FaccU
»V
Olv* altri
I>o raro da. lolla , t
A lagrorca
iDicoxjttKaiC
to nè foftrir potendo,
la apoffeder Pacquifto amato.
^o6 GLI ERRORI,
iiS. Hloraln sù l’entrar del cavo fpeco
Guidollo a ritrova'r crudo deftino,
E l’ombre abbagliato, e fatto cieco
Dal furor de la rabbia, e più del vino ,
Del vin, che tolto a un navigante Greco
Bcbbequcl di foverchioil malandrino» j
Prellando fede al feminì l’arnefe,
In cambio di Licafta egli la prefe.
US. Senz’altro dire allhor la (bada ftrinfe»
E nel bel feno il perfido Vaicofe,
E’I vivo latte arrubinando tinfc
Di calde porporette, e rugìadofe;
De gli occhi il lume in unbalen s’cftinfc»
E tle le guance impallidir le rofe,
Ella giacque gemendo, e fenza moto
Lafeio l’anima ignuda il corpo voto.
130. Ciò fatto, quel pietofo angue d’ Egitto)
Ch’uccide altrui, poi fi lamenta e dole,
Tra fe fteflb piangendo, e forte afiUtta
Del fuo ecdilfato, tramontato Sole ,
In unvkinfepolcro il vel trafitto
(Già de’Regi di Cipro antica mole )
Preftamente trafporta,equìviil ferra,'
Poi con rabbia maggior ritorna inguerrav
iji. Torna di pieno corfo, ove diftrutta-
Vede fua gente, e ratto oltre fi fpinge.
Trova Orgonte, che’n villa horrida, e brutta
Di queVfangue villanlaterra tinge)
E dal pome a la punta ha rolla tutta
Quella, ch’ai fianco s’attraverfa c cinge,
Laqual trai fofchi horror raflembla quella,
Che vibra k Ciel la procellofailella.
CANTO DECI MOQV ARTO. 107
lii. Trovata luvea pur dianzi al muroappcfa
De capelli d A-don, l* auree catena >'
E n pegno di venactta a l’alta ofFefa
Per un niello mandata a Ealfirena
Hor feguicando l’ollìnata ìmprefa.
Vici! per la via, ch’a la fpeloncail menai
Ne lafda in paga de’faoi molti cftinti
D’inrupeiblr, d’incrudelir ne’ vinti.
IJ5. Et ecco in Malagor quivi s’abbatte,
Cbe’lpiè rivolge da rinfauftabuca,
E ben di quelle, fquadre honial disfatte
Clilarainence comprende elTere il Ducai
Q^eigli s’aventaailhor di fianco, e’I batte
D’un gagliardo man dritto insù la nuca,
Ma la tempra de l’elmo adamantina
Manda in pezzi la fpaJa, ancorché fina.
154- Spezzato il ferro a fuol cade, e recilbi
E fuol l’impugnatura in man gli refta.
Ride il Gigante, ma fomigiia il rifa
Di Cometa crudel luce funefta.
Un Mongibello ha di faville in viló, - -
Alza la fua, poi nel ferir l’arreda,
E dice,Hor’hordi noi vedrem laprova,
Chi non polfo migliore libraccio mova,
IJ5. Ma pria che’n polve ben minuta e trittx
lo mandiPoflà, e dia la polve al vento,
t Se mi dirai, dov’c colei fuggita,
Ch’io fon più giorni feguitate intento,
Efler potrà, ch'a toglierti di vita
Al quanto il furor mio caggia più lento.
li Malagorre a quel dir contro la guancia
Delbjcaado fouoij^;:^aaico gli lancia,
1 . . £ 6 Et
108
GLI ERRORir
J36. Etoltraccì ò fràrindice, e’Iine2ano.
Pcrbcfta il primo dito in mezo accolto ,
Stendendo verfo lui la delira mano,
Gli dice, Hor togli, e fputagli in sù’l volto.
Per torre indi un forcon ficalaal piano,
E perche tcmeintantoellerne colto>
Solleva il moncherin de la finiftra,
De le difefe Tue debll miniftra.
ijy.Che’ncontro a quel furor tremendo e crudo
Scherno non è, cn’a ricoprire il vaglia.
Ne gli varria, s’avefle anco per feudo
Di triplicato bronzo amplia muràglia.
Già piombando d’Orgonce il ferro ignudo^
Tutto per mezoToflo il braccio tagliai
Rotto Tarnefe poi, che lo ripara,
'Spvra l’homero feende, e’n due lo Ipara.
138. Non bel concerto di dentato ingegno 1,
Mifurator del tempo, unqua lì vide.
Mentre il girar con Infallìbil difegno
E de Phot e, e del Sol moftra, e divide.
Se talvolta gli (lami, ond’han foftegno
I fuoi peli piombati, altri recide,
Del volubile ordigno a un punto immòte
Ecrmar sì ratto le correnti rote.
13^. Come polch’alfellon tronco è repente •
Dal fèrro il filo, a cui lavitaattienfi,
Pcrdonla forza I nervi immantenemente.
Mancano al core i moti, al corpo i fenfi
Lafcianoeflinra ©gni virtù vivente
Del’ellremo dolor gli eccedi rmnienfi,
Càggionle membra, c l’alma fi dlllolve,
JEi languid’occbi ombfa mortale involvc.
Mor-
canto DECIMOQVARTQ. lof
140. Morto ilLadron, lacavernola pietra
Ricerca Oriionce, c iiullacatro vifcernc.
Non però da l'inchiefta il palFo arretra ,
E innanzi va per cjualch’inditio haverne.
Palla il pr imo log^liar, mà non penetra
Nc la feconda de le due caverne,
Ch’oltreil grati muro,che’l caiuingU chiude
Un’altro inganno il fuo penficr delude.
14*. llbuon Motor de la feconda Itclla,
Che sàben dove il Giovane fi vela ,
Perlottrarlo al gran rifehio , Aracnc appella,
Ch’ordifcc in un momento eftrania tela,
E con rneravigliofa arte novella
S’attraverfa per mezo, e’I varco vela,
E’I vel si denfe hà le lue fila induftri,
Che par tclluto già di molti luftri.
1 41. Orgonte, che’l lavor ritrova intero ,
Nesà l’agnato de l’occulta via,
Nc creder può ch’alcun per quei femiero
Senza ftracciar le reti entrato fia,
De l’antro fuor fiiliginofo e nero
Kitorna indietro, c pur ricerca e fpia.
Lo circonda, Io lquadra,e lo mìfura
Fin doveafboccar va 1 altrafefl'ura,
14|. Una mifera Vecchia appo di forame,
Ch’cfceaqueft’altra banda, in terra fiede.
Dove d’api fclvagge un folto efiàme ,
Ronzando intorno, ir’c tornar fivede*
A cortei, che’l ritratto è deda Fame,
Del fiigace Garzon novelle chiede *
A cortei, ch’è sì fcarna*, e contrafatta ,
Che di radici d’arbori parlotta.
fio
GLI ERRORI,
J44. Trema, e conil parlar confufo , e roca
Non rende per timor chiara rifpofta.
Se non ch’ai fiero Orgonte addita il loco ,
Dov’c {bucata la faHola colla,
Là cui bocca di fuor fi fcorgcpoco,
Tutta fra bronchi, e lappole nafeofta.
Quegli all hor la rincalza, e minacciando
Dritto le pone in sù la villa il brando.
J4j. Ella, il cui fpirto languido e mefehino- ;
Debilniente reggea le membra laflc,
A pena il ferro folgorar vicino
Vide, che lenza pur,ch’ei la toccalTc,
Da l’infolito lampo, e repentino
Mortalmente atterrita, un grido traile-,
E fuor del petto ellangue e fpaventato
Di fubito dialo rultimo fiato.
146. Per farne fcherno allhoraun conlaronca
D’humano fangue ancor macchiata e fporca
D’una rovere anno fa il ramo tronca
Sì ch’a guifad’uncin s’incurvi e torca,
E ben’ acconcia alato a la fpclonca
Col fuo groppo corrente e fune, e forca,
V’appender, e pender lafcia, horrido pondo,
De la povera V ecchia il corpo immondo.
147. Tien Icerto, che la dentro Adon s’appiatù
Orgonte, e penfa pur come lo feopra,
Vailene al buco, ove gran tempo fatti
Han Tapi induftri i cafamenti {opra,
Pache ciafcunde’fuoi la zappa tratti,
E chi la pala, e chi la marra adopra,
Stromenti, che quel di dopo i lavori ,
Quivi lafciati haveangU agricoltori,,
li
CIA NT 0 DECIMOQVARTO. ih
148. Le pecchie allhor , ch’a lavorare il favo
Stavano travagliando entro i covìlli,
Quando picchiar fentito il fallo cavo
Da vomeri, da vanghe, c da badili ,
S’aventano a lo ftuol pervcrfo e pravo
Con fpìne acute, e ftimuli lottili,
B con tal hiria, e tanta ftizza iifciro,
Che n’^uccilero molti, e ne ferirò.
149- Ma quantuncjue falvatlche, e fupcrbe
Trafigellerolor le mani,e’l volto.
Il mal però de le punture acerbe
Appo il danno maggior non parve molto ^
Sparfcfiil mel, che dì peftifer herbe
E di fior velenofi era raccolto ,
E quei, che da ladroii non for dillrutti.
Cullando quel licor, moriron tutti.
jfo. Orgonte Col, viè più che mai feroce,
Palla, ove l’herba il gran pertuggio occupa >
E fà d’horrenda e formidabil voce
La voragln fonar profonda e cupaj
Ma giunto al guado occulto, entro la foce
Del ruinofo baratro di rupa ,
Econfcoppio terribile e rimbombo
Vien d’alto in giù precipitando a piombo.
151-, Non labombarda, eccefl'o de’cormenti.y
Non il monton cozzante e furibondo,
Non il furor de’più crucciofi venti.
Non il fragor del’Ocean profondo.
Non il fulmin terror de gli elementi,.
Non il tremoto fcotitor del mondo.
Non d'Etna, ò d’Ifchia il fremito } e’I fracaflb
Si pareggi al romor, che fe quclfaflb.
GLI ERRORI; •
151. Cadde e con tal fubblflo In gui portello
Il grave pefo de le membra vafte.
Cbc fiaccandofi in pexxi il capo , e’I collo,
L*ofla tutte lafciò lacere e guafte.
Ditelo voi, fe vi crollafte al crollo
Selve, e voi fere fc’l covil laCciadc ,
Sclafciafte per tema augelli il nido
Al luon de la caduta, al tuon del grido,
J53. Parve tuono il fuo grido , e parve telp, *
E con ftrepito tal l’aure percofle.
Che fparfo il cor di tiinorofo gelo
Dal Tuo gran feggio il gran Motor fi moffe.
Temendo pur , non da la terra il Cielo
Fuor d’ogni ul'anxa fui minato folle.
Tremarci poli arimpctofoverebio.
Nè ftettc Caldo il fempr’iramobil cerchio.
15 +. Et ecco al fine il fin (prendete efleìnpio ■
T emerari fuperbi ) a cui foggiacc
L’alterigia mortai, cbc giufto feempio
Dal Cleì’alpetta, e l’infolcnxa audace
Cadde, e caduto ancor, moftrò , qucft’empio
Segni d’ira arrogante, e pertinace.
Con atti di furor , non di cordoglio
Minacciando fpirò 1 ultimo orgoglio.
155. Adonfràqucfto mexo era affai prima ‘
Campato fuor del peri glìof® varco,
Perche veggendo fcintillar da l’ima
Parte le ftelìe, ove s’aprla c|uell’arco,
Arcefo de la volta in sù la cima.
Il palio fifpedi e leggiero e fcarco,
E malgrado de’rubi, e de l’ortiche ,
AI termine arrivò de le fatiche.
Ufeito
CANTO DECIMOQVARTO. nj
fé. Ufcico faor di tenebre, e dì grotte,
Molle a i palli dubbiofi ì piè tremanti.
Nè molto andò per quelle balze rotte,
Che feriti gente caminarfi avanti ;
E vide (perche chiara era la notte)
fer laftrada medefma andar tré fanti,
£’l prima innanzi a i duo, fi come Duc^
Portava in cavo ferro afeofa luce.
157. Furcillo era coftui, che pollo cura
Quando da Malagor fepolta fuc,
Venia Filora a trar de Puma ofeura
Per cupidigia de le fpogUc fuc ,
Hor tolto ch*ad aprir la fepoltura
Fù giunto il ladroncel con altr i dua »
La lapida levar, che la copria,
E’I c^avere fuo ne portar via.
Xj8. Per mirar meglio Adon ciò che n’avegoa
Rrtratto in parte a’fuoi nemicl.ignota.
Ne l'arca iftefla afeonderfi difegna.
Che reltò mezo aperta, e tutta vota.
Mà mentre che nel marmo entrar s’ingegna,
Fà che caggia il coverchio, e’I fuol pcrcota
Aculei roinor color, ch’ìnnanxi vanno ,
Laician la preda, & à fuggir fi danno.
ij9.Tempo è via da fcampar (gente iten dietro^
Marcia Statizzo, (brigati Brigante.
Con quello dire, il mifero feretro
Gittando a terra, accelerar le piante.
ValTene fcortoall’hor per l’aer tetro
Da la candida face, e lampeggiante , •
E trova Adonlalventurata Donna
Sanguinofa, trafitta , e fenza gonna.
II4 GLI ERRORI, I
l6o. Un de’ladron, da troppo Ingorda voglia |
Spinto, quando posò le belle Come, ^ i
Fuorché l’ultimo linb^ ogni altra Ipoglia ^
Tolta infretta l’havea, ncn sò dir come.
Ben’ei conofce {en’hàpietate,edoglla)
A le fatezze, al vifo , & ale chiome
Filora ell'er colei, nè sa in che guifa ,
O chi fia quel crudel, che l’habbiauccifa.
léi. Dal freddo cerchio de la Dea di Cinto
Una corda di luce in terra Icende,
E dritto, là dov’è il bel corpo eftinto
Quafi linea d’argento, il tratto ftendei
Onde d’atro livore il ciglio tinto
Veder ben può (sì chiaro il lume (plendc)
E nel volto già candido, e vermiglio
Solo fiorir fenzala rofa II giglio.
lèi. Vorrìa pietofo Adon del duro cafo
Rifepelir quelle bellezze Ipente,
Ma da portarle entro’l marmoreo vaio
Forze non ha, nè’l tempo anco il confentc.
Non vuol però, ch’ignudo ivi rimafo
Il corpo de la giovane innocente,
Poiché cibo a le fere in terra il lalfa,
Sia fcherno ancora al pelegrin che pafla.
i6 5. E perc’homai, che raccorciato ha ilcrine ,
Vano ftima il celarli in altra vefte ,
Depon le fpoglie lunghe e peregrine,
E la vergi n reai copre di quelle.
Dopo l’urticio pio partendo al fine ,
E ftillando dal cor lagrime mefte ,
Poic’honorarlaallhor non può di folTa,
Prega requie a io fpirto, e pace a l’oilà. .
CANTO' DECIMOQVABITO. it;
1^4" Partito a pena Adon, CìafFov’arnva>
j Un de’pm bravi, e più temuti Cani ,
Chemaid’lrlanda in su l’algente riva
Prodotto fufl'e ò^r tra i monti Hìrcani,
1-ofcelfe Malagor, che lo nutriva,
Tra ben cento Molofli, e cento Alani ,
E nc’fuoi ladronecci empi e malvagi,
A le morti avez2ello , & a le ftragi.
L’havea già contro a Paverfariafehiera
Con intrepido ardir quel dì feguito,
E riportò da la battaglia fiera
Di due punte di fpiedo il fen ferito.
Nel fan^ue humano era incarnato, & era
Rabbiouflìmamente inferocito.
Et hor venia con queruli ululati
Cercando il fuo Signor per tutti i lati,
T otto che Ifcfa al pian col volto rnfufo
Vide giacer la mifer^ Donzella,
Sbarrando I ringhi , e diftendendo il mufi>
Inchinoin a lambir la faccia be Ila ;
E come a tai vivande affai ben ufo.
Il capo tutto divorò di quella ,
E poiché l’hebbeapien mangiato cguaffo.
La bocca foHevò dal fiero pafto.ì
167. Mentre nel bianco vel forbifeee netta
L’orrenda lingua, c la fpietata zanna,
Ecco su la Ibranata Giovinetta
Giunge Filauro, e per error s’inganna,
L’orme feguendo de la fua diletta ,
Trova il crudo Martin, che la tracanna.
Così pensò, fchernitpdala verta
E dal tronco, che feema havea la tefta.
Ima»,
GLI ERRORI,
l6i. Iraaglnò fenz’alcun dubbio al mondo
Licafta dler colei, cb’craFilora,
Onde rivolto a l’animale immondo ,
Trangugiator de la bcltà,’^Vadora],
‘ E rapito da l’’impeto iracondo,
Un ftilctto , c’havca, trabendo fora ,
Strozzollo, e con mortai colpo improvilo
Il fè cader fovra Tucclfa uccìlb.
l6^. Stringendo tuttavia racutoftile.
Il bel bullo ftracciato ei tollè in braccio.
Deh s’ancor per quell’aere ombra-gentile.
Voli fciolta (dicea) dal carolacelo,
Gradifciil facrificio, ancorché vile ,
Ohoggi col core, e con la man ti faccio.
Ecco ad offrir due vittime ti vrgno,
L’una offerta è d’amor, l’altra di fdegno.
170. L’una è del Cozzo can , che’el fior m’invola
Di beltà tanta in fua ftagion più frefea.
Il fanguc fparfo, eia fcannata gola
Divoratrice, di sì nobil’efca.
L’altra è l’anima mia, ch’a te Cen volo,
Deh di reco raccorla hor non t’increfca.
Accetta il don di quella fragil falma ,
Mirai pianti, odi i preghi, e prendi l’alma.
171. DilTc, e con quello dir nel proprio fianco
Sofpinfe il ferro al Tuo Signor malfido,
E’I varco aprendo a l’egro fpirto e fianco
Gli rupe il nodo, e lo Icacciò dai nido.
Cadde sù la ferita, e freddo, e bianco
Languì, dal cor ti'ahcndo un debil grido.
Qual fuole in piaggia aprica, ò in valle om-
Laguir pàpin© in vice,ò foglia in roCa. (bro^.
CANTO DECIMOQVARTO.
17 1. Tal fu di queftl duo Tacerba forte,
Nati inficine, Sc^ftinti in sìverd’anni.
Infelici gemelli, a cui dici morte
Duo tralcurati , e difpietati inganni.
Ambo del par da deftin crudo, e forte
Per colpa uccifi di falici panni.
Ingannò quella altrui, fe llellb quefti,
E l’uno, e l’altro al fin tradir le vefti.
173. Adone il primo autor di tanti mali,
Lui^e in tanto di qua fen va fecero,
Stefc in alto la Notte bàie grand’ali ,
E fregiai! Ciel del bel fereno ofcuro,
(^and’ci già fianco alfin le membra frali
Si rifolve agittar sii’l terrcti duro,
E prcflbrorlo d’uri’ herbofo fonte
V aflene afifitto ad appoggir la fronte.
*74- Apena in grembo al fuol verde e fiorito
Alquanto ha per pofar china la tefta.
Ch’ode fra pianto e pianta alto nitrito,
E voce mormorar flebile c mefta.
Ecco ftranio Guerriero abrun guernito
Da manca attraverfar l’ampia rorefia i,
E’I può chiaro veder,che chiaro intorno
Cinthia già trahe fuor de le nubi il corno.
X75. Deliro viè più di qual più deliro augello
Preme dcftrier l’incognito Campione,
Morto di llirpe, e dì color morello ,
Fiamma al moto fomiglia, al pel carbone.
Io non credo, che fofchl a par di quello
Nclaquadrigafua gli habbia Plutone.
Solpicciolfrcggion bruno capo inalba,
Hà ad manto la notte, in frontc.l'Alba, -
ti8 GLI ERRORI,
ry6. Be n s’agguaglia al cavallo il Cavalicro»
Che gli preme la fella, e reggeil freno:
Velie fovr’arrai nere habico nero, I
Che di ftelle dorate è fparfo e pieno.
Sembralo feudo fin d’acciaio intero
Pur brunito ,e ftellato, un Ciel fercno.
Là dove unbreve appar fcricto di forc.
Aliai più che gli arnefi hò nero il core.
177. Sù Telmo fomiglian al’ atre fpoglie
Di dilicata e nobile fcultura,
Sorge d’un’O Imo vedovo di foglie.
Schiantato i rami, la divifa ofeura,
Che mentre amica Vice in braccio accoglie
Con vicende d’appoggio, e di verdura.
Fulmine irato il bel nodo recide,
E i fuoi dolci Himenei rompe, e divide.
178. V à per Tombrofo e folitario bofeo.
Loco à Tofeura mente afl'ai conforme.
Tutto dentro, e di fuor dolente, e fofeo
De’fuoi vaghi penfier feguendo Torme.
Pofto hà Tira il Cinghiai , TAfpido il tofeo.
Il Paftor col Maftino ò tace, ò dormej
Sol TalfllttoGuerrier fvegUa ogni belva
Per Tombre de la notte, e de la felva.
l7^.ScIoelie in languidi accenti il freno accolto
A idelperati fuoi gravi dolori.
Et a Tagli corficr non men Thà fciolto, .
Che vagando fen vàper mille errori j
Sotto il feren, per entro il cupo, e’I folto
E de notturni , e de’felvaggi horror!
Ilcorfier via fcl porta, & ei che’l regge,
Da chi leggiehà da lui prende la legge. >
Stancflt
i
CA^^TO DECI MOQV ARTO, iti»
5o. Stanco alfin prc(To il fonte, ove la frafca
E’più denfa e frondofa, il palio affrena.
Difmontaa terra, c pria ch’idi rinafca,
Vuol dar riftoro a l’affannata Iena.
Lafcia, ch’a fuo diletto a piè gli palla
Libero il corridoi* lenza catena,
Che la nova ftagion, quantunque acerba.
Gli fà Italia la felva, e biada l’herba.
i8i. Tiranno empio e crudel, come n’alletti
(Cominciò poij con dolci inganni e frodi.
Pace, piacer, felicità prometti,
E dai guerre, miferie, e lacci, e nodi;
Tieni i tuoi fervi in forte giogo ftretti,
E vuoi, che prigioner fieno in più nodij
Et a i corpi, & a l’anime non doni
Altro allìn, che legami, e che prigioni.
iSi. Dura prigion, che mi contendi e ferri
Quel Sol, che l’altro Sol vince d’ai,
Ahi quanto è vano il tuo rigor , quant’erri
S’offufcar penlì i Tuoi lucenti rai.
Folli ofeura fpelonca, hor che i tuoi ferai
Luce lì bella indora, un Ciel farai,
E fora un Ciel, fe’n quell’horrore eterno
PenetralTe un fuo lampo, anco l’Inferno.
l8j. Voi, che chiudere in cavernofo tetto
. Il mio dolce theforo, ò chiavi avare.
Aprite (prego) c poi m’aprite il petto
Quell’ttlcio fordo a le mie voci amarci
Ond’cgli a riveder l’amato oggetto
Torni del Sole, io de le luci care,
Luci, che più di voi fide e foavi
Son del mio core e carceriere, e chiavi.
no
GLI ERRORI
i8 4. Ferti fpletau, che que’lurai belli
Sotto tenebre indegne havete afeofi.
Per cancellar con rigidi cancelli
Se fdegnate aftoltar preghi amorofi,
Crudel quella fucina e quel terreno,'
Che vi temprò-, che vi raccolfe in Ceno.
i8y. Che non cedete homai libero il loco
Di chi vi'prega al fervido defio?
O’corae a tanto , e sì cocente foco
Ancora intenerir non vi vegg’io ?
Concederemi almen, che pur un poco
Pofl'a l’efca appreffar de l’ardor mio.
Poi di voi faccia (io fon contento) Amore
£ catena al mio piede, e fpada al core.
x86 . Qui tacque, e rifallir volfe in arcione
L’aventurier de l’armatura bruna.
Perche vide non lunge il vago Adone
Ai balenar de lafurgente Lunaj
E ftretto il ferro havea contro il Garzone,
La cui vifta gli fù troppo importuna,
E fi fdegno, che l’amentar Pudifl'e,
Se non ch’egli il prevenne, e così diflc,
187. Huopo qui non vi fia di brando, ò d’hafta
Signor, gioftra non vò guerra non cheggio.
Cheggio pace, c pietà, che ben mi bafta.
Se con Fortuna, e con Amo guerreggio.
ChiconPortuna, e con Amor cmitrafta.
Che può da Marti mai temer dipeggio' }
Laflb, che con altr’almi, e d'altra (oric
Per man d’altra Cuerrerahebbi la
Di celeftc beltà raggi amorofi, •
S’ai fedeli d' Amor liete rubelli.
CANTO DECIMOQyARTO.
l88. Egli m’hàbcndi sì pictofàcura
Voftro dolce languire licore imprdib
Ch’io f^rei volenricr di qixefta dura *
Amorofa tragedia ogni facccffo;
C^al talento, qual forza, ò qual ventura
Vi defvla da le genti, e da voi fteflo?
Ch’io, che non fon da fimil laccio fciolto.
Gli afiànni altrui nonfenz’affanno afcolto,
l8p- E canto più de Pafcoltatc pene
Forte a piet a m’intenerifco, c movo,
Che’l noftro Arato fi confa sì bene.
Ch’udendo i voftri , i dolor miei rinoro, É '
Di ceppi, e ferri, e carceri , e catene *
(S’io ben co^mprendo) a ragionar vi trovo.
Et anc’io tra prigioni, e lepolture,
Di loco in loco ognor cangio fciagure.
190. QucAro amarvi non folo, c revcrirvi '
Mi fa; quantunque incognito e ftraniero,
Mà la pcrfonaiArefik anco offerirvi,
Quando pur non habbiate altro fcudìcro.
Saprò con pronto affetto atmenfcrvirvi ,
Tenervi l’armi anch’io , darvi il deftricro.
Chi porta ognor tante Inette al fianco
Una lancia portar potrà bcn’anco,
191. AqueftofavclIarcortcfe,cpiOj
A quella egregia e fignoril prcfenza
Il guerricr placò l’ira, cne ftupio
Mirando di beltà tanta eccellenza;
Nè men, ch’egli di luì, venne in defio
D’havcrnc apìen contezza, e conofeenza,
E gli occhi intento ne’begU occhi afiìTc
Penfando pur chi fofiè, onde venific.
I Vo/. lu F far*
L’armi dcpofe, e gli rlfpofc: Amico,
Poiché ranco ti preme il mio lamento.
Non vò tacerlo, ancorché quant’iodico
Tempri nò , mà rinfrefchi il mal ch’io fcuto,
Con la membranzadeldilettoantico.
Dilli diletto, edevea dir tormento.
Che non hà doglia il mifero maggiore, . >
che ricordar la gioia entro il dolore.
195- Gir così folo, e fconfolato errando
Dura del Cicl necelfità mi face »
Da gli altri lunge, e damefteflb in bando
Non vò però fenza conforto, e pàcc.
’Son difcepold’ Amore, e contemplando
Filofar co’miei pender mi piace, . 1
V Ch’a chiunc|ue d’Amor s’afHige, e lagna •'
L’ifteiVa folicudine è compagna. l
Xj)4. Màfc l’hiftoriaamara e lagrimofa •
Pur d’intender ti cal, conta ti fia, l . •
E ftupir ti farà , quanto vuol cofà, ■ ,
Ch’altrui pietace , e meraviglia dia, « ^
Finche’l di fia vicin, meco ripofa,
Poi forgeremo, e parlcrem pervia.
Che benc’huomo al mio affar non fia d’aiutq}
Nè compagnia, nè corcefia rifiuto.
Ciò detto in riva al fonte ambo pofàto ,
L’un fi fé feggio un tronco, e l’altro un faflb
E quei verfo il Donzel, che gli era al paro.
Levato alquanto il vifo humido c bado.
Dopo la tratta d’un fofpiro amaro ,
Che’l profondo dolor rupe in Ahi laflb ,
Finalmente allargo per lungo corfo
In quella guifà a la favella Ù morfo.
canto DECIMO.QVARTO. 1^5
19^- Sù’l mar d’AlIìria infra duo porci fiedc
Sidon la terra, ov’io mi nacqui in prima
II mio gran genìtor tutto pofTiede
Tra Ciucia, e Panfilia il fertil dima,
Sidonio, de’Fenìci unico heredc
Son’io , che falfi a la gran rota in cima*
Ma caddi in breve, c i fior del mio gioire
Mi fero, fi feccaro in su l’aprirc»'
1^7. Giunt’era II fello dì, quando tra noi
L’Idol crudel fi reverifee e cole ,
Quando non pur con gli habitanti Cuoi 'j
Honorar sì gran feda Egitto fuole,
Mà Siria, e Saba, e dagli eftremi Eoi
Vien l’Indo, c’I Perfo a la Città del Sole,
Città vera del Sol, tra le cui mura
Habitava quel Sol, che’l Sole ofeura.
1^8. A celebrar quel raemorabil giorno
Perearin feonofeiuto , anch’io ne venni
Nel ricco Tempio, e di bei rregiadorno
Fra le turbe confufo, il piè ritenni.
Et ecco fuor del Tuo reai foggiorno
Argene ufeir con pompe alte c folcnni
Movendo àvifitar (com’è collume)
Da granpopol feguita, il fiero Nume,
199‘ Era Argene di C Inira forclla.
Che fu già di qucft’Ifola fi^norc.
Coftei poiché del bando udì novella,
Che chiamava a lo feettro il fucceflbre,
Precorfe ogni altro, e qua fen venne anch’ella
Ambitlofadel reale honorem
Mà pria ch’ufcifle il generale editto ,
Nel tempo, ch’ioti dico, erainEgitt».
jr X
,,4. GLI ERRORI,
100. Fn maritala alPiincipcMorafto,
Udi^co ricordar l'havrai talvolta.
Màla caraunion del letto cado ^
Fu poi per morte iubreve [pano Icioita.
Piaaie il nodo gentil rccifo, e guafto
Vedova acerba in brune fpoglie avolta.
Nè di lui le redo, fuor che fol’una
Pargoletta reai, progenie alcuna.
101. Lcgt^iadra è la fanciulla a meraviglia,
E viè p?ù ch’altri imaginar non potè,
Si che l^eflèr’herede unica , e figlia
D'unsVgran Rege, è la minor lira dote.
Vero in di bianco fen, di brune ciglia ,
Di bionde chiomec di purpuree gote.
Mira l i fronte, ivi tien Corte Honore^
Volgiti a gli occhi, ivi trionfa Amore.
lot. La novellainfelice alci jperveime,
Ch’uccifoin campo il Rè fu di mia mano.
Lungo a dir fora in qual battaglia avenne
L’horribilcafojonde midolfi Invanno
Noi conobb’io, che Ibtt’altr’arm'i venne,
E guerrier lo dimai privato, e drano,
Ma fempre in guerra, c tra l’armacc fchicre
Lice (comunque fia} ferir chi fere.
,, o^ Prefe da indi In poi fempre che l’anno
Rinova il dì de la memoria meda.
Il teftimonio d’un sì grave danno,
Quali inCegna terribile e funeda,
i^ifpiegar publicamente un panno.
Ch’è dei Rè morto la fanguigna veda,
Per irrìtar’ancor la Giovinetta
Con quel drappo vermiglio a la yeudetta.
canto DECIMOQVARTO. u;
*
^04. Deve il gran tempio forfè eflerti noto,
A la vendetta edificato e facro,
Dove (uol venerar con cor devoto
De la Dea fangulnofail fimulacro,
Sù i negri altari ha quel di ftefloinvoto
Sparger di fangue human largo lavacroi
E i vairalli miei cari , i fervi miei
Sonl’hoftie, che facrifica coftei.
loj. Cosi fin da quel di giurato havea ,
Clic del Rè fpofo fuo la morte intefe,
Cosi promife à rimplacabil Dea
Per l’oltracs^io emendar di chi l’ofFefè.
Ne quefta legge ngorofa e rea
Pia giamai cancellata inquelpaefc,
Finche di farlo alfin lefia concedo
Gol fangue ancor de l’homicida ifteffo.
106. LTaltera Donna , accioch’pgnun fi mova
Tratto da l’efca de’foavi inviti.
La figlia ch*è si bella, e che fi trova
Sù la verdura ancor de’dl fioriti,
Benché cento di lei bramino a prova
Potentiffiml Reglefi'er mariti,
Promife di guiderdonfolo ì chi quefta
Mi troncherà dalbufto odiata tefta.
t07 . V enne al delubro di fpictato e crudo
La cruda Argene, c'fccfe entro la foglia,
Softenea ne la delira un ferro ignudo,
Ne, e fpruzzata a rodo havea la fpoglla.
Seco era quella, per cui tremo, c fudo,
Dorilbc, la cagion d’ogni mia doglia,
Che feguiapur del Barbaro holocaufto
L’apparecchio inlmmano, e’I culto infaufto.
GLI ERRORI,
ao8. Deh perche la cagion de’primi pianti
Rammento? e fYegli pur grinccndii miei.
Poco deftra Fortuna a i liti fanti
In forte punto, oimè, traile colici.
Vinti da’ fiati allhor dolce fpìranti
Furo I fumi odoriferi Sabei,
E prcfl'o a i lampi de le vive^ftelle
Tramortirò le lampe, elefacelle.
105, Al folgorar del rapido fplcndore
Arfi, e rimafi abbarbagliato e cieco.
Pur cieco, io vidi in quel bel vifo Amore,
Et havea l’arco, e leqiiadrella fcco.
Fuggi (gridar volea) fuggio mio core.
Ma m’avidi, che! cor non era meco.
Ch’era volato (ahipenfier vani e fciocchi)
A farfi prigionier dentro i begli occhi.
aio. Hor qual fecuro Alilo’, ò qual magione
Fia che vaglia a fottrarne a i lacci tui„
Se fin nel (acri alberghi. Amor fellone,
Perfegui i cori, & incateni altrui ?
Quindi da’ tuoi minillri a ria prigione
Sacrilego crudel, condotto io fui, ^
Nè dal tuo nodo ingIurìofo& empio
V alfe allhor punto ad affidarmi il tempwx
aii. Erano giade ceremonle in punto,
Il coltello, e l’Incendio in ordinmcllb ^
E’I minifterio abominabit giunto
A Falcar fonerai molto daprellb.
Lavorato l’altare era trapunto
D’un drappo bruno a tronchi di ciprellb.
Grand’urna alabaftrìna eravl fufo.
Che tenca diMorafto il ccncr chiufo.
h
' CKUTO ^ S Clivi O QVARTO. Ù7
la cima a l*ai'a ictniyìanze horrcnde
, * Tutto armaro d.*acclar, d’acciarfcolpito •
DcJaVenderta il fiixiiilacro fplcnde.
Stringe un pugnale, e si fi morde il dito.
Vermìglia fiamma il lucid’elmo accende,
' fiero Laon le giace a piè ferito,
ClVa la ferita o v’è confitto il dardo,
JFi/b rivolge , e mi nacciofb il guardo,
tij. Lareverenre, e lupplice Rema
Colàdovelaftà tua in alto appare
Le luci alzata, e-le gì nocchia cliioi :t;v. .
Humilmcnte Ipargca 1 actinie atharc-
^ lo fatto intanto a fa b e I ca divina
• Del bell’ Idolo amato il core altare,
Luor del foco trahea de’mieidcfiri - ^ .
Quali incetifi fumanti, alti fblpiri.
5'^ ai4. Mentre ebe tutto al Tacro ufBcIo
• fiero tributo ala leverà Diva,
Il Sacerdote entro il gran rogo accefo
Da fvifeerata vittima cjfFeriva }
Io di ben mille ftrali Pf»® offero,
• Sbranato il core, &c alfo m fiammaviya
Idolatra, fedele, a la m»a Dea
' Sacrificio de l’ anima fhcca.
poicberimpurefiammedfangueeftmfc
Che da la vene unCvcnturato apeife,
Coltolo in vafel d’or, la man v numfc
V *1 r-narltal ccncr n alperfe
y of cWamanaolo a nome, il brando ftriiife ,
^ del ferro entro v immerfc,
■£1 cftie - ^ gp-,anfc-,alfin(Ulei .
Confermo 1 vo >
Ceftaro 1 P ^ C»Kc-
GLI ERROKH I
aié D’Hcliopoli a Menfi , ov’c la fede I
Principal de la reggia , e’I maggior trono*
Riede la Corte, e la Reinà riede,
10 l'accompagno, e mai non l’abbandono
Seguo colei, che come il core, il piede
T ragge a fua voglia, onde più mio non fono I
Patria non curo, e fatto Eglttio anch'io»
Per la Fenice miaFenicia oblio.
La fama intanto a diffipar fi viene*
Che crear cjuì fi deveil Rè novello,
Onde d'Egitto alfin fi parte Argene*
E con fece ne trahe l’Idol mio bello *
E paflà a Cipro, e’n Pafo fi trattiene ,
Quivi dimora entro il rcal caftelloi
E a gran volo di fpalmato legno
•yofto à Cipro, & a Pafo anch’io ne vegnOi
xiS.DTi guardo almc,d’un detto (altro n6 chegr
Cheggio appagar l’innamorate voglie, (gio)
Volgo mille penfien ma che far deg^io ,
Se parlarle, e mirarla il Ciel mi toglie f
Modo trovar non sò, mc20 noti veg^o
Da dar picciol conforto a tante doglie*
OVome a confeguirne il fin bramato* '
Recar mi polla agevolezza il fato.
Lafl'o ad amar la mia nemica ifteffb,
Quella, ch’a morte m’odia, io fon coftretto.
Quella, che’n virtù dee di fua promefla
11 mio capo pagar col proprio letto.
Grande è il periglio', ahi che fato? con cflai
Difeoprirmi non ofo, e’ndarno afpetto.
Se conofeiuto fon, non fpero aita ,
E k fperanza ìnun perdo, e la vita^
De-
,v CmTO 13’E C ilVEOCtVARTO
‘J.^fid-nocrerce
119
TrV,^;« -1“ ♦ crelce
Ira id,fix.:ai a «coppa ailal più gra,c ,•
ChArgeiic, aaacaii pa.r s’accoppuemcrce
Accortca2^a_, c rigore^, tn cura I have. '
Cluulaii caco , sa che giamai non cfce
Socco Cccre na, eV^on fìdaca ciaiavc ,
Nè,fe noiv Icrco £ol , ixiax le concede
Ubero trar d-cl regio albergo il piede.
^ Come la fpica Incoronar ranfie
Come togUon la ro£a armar le fpi ne,
Cosi aDorifl^c incorno in guardia aiUfle
Schieradl Donne illu.ftri, e pereo^rlne
Ch’lnvolaca la tengono a Je ville, * ’
Non clic de vagheggianri alerapine,
PcnCa s’aliro 1'^» pocea, che conlamcncl
^ PalVvdlr l’au.i*e, e co-ri' ibi pir cocenti.
5^ Amor (mà che non tenta ? ò che non olà?l
, 3 Amor, (che tutto regge, e tuccomove
i' M'infpirò ne peulìer iugegnofa,
I Arti mCcg no mirti Im-ificateenovc.
Aaaor, eh’ ad onta de la Ocagelofà
Cangiar feppe In pivi forme il Tonno Giove.
Aniorltaco, fcmhìanza, habiep, e nome
A mutar micollrinlc, ediròcomc.
11). Giardln» che di frondo^ ombre verdegc^Ia
Le falde infiora al gran palagio augnilo, °
Là dove unico varco l’altra 4’ajrareggia
Apre In folingo calle un’uTcij augulto.
Mà cautamente U gu^da, &lìgnoj-gggj^
Il fido •Kerborco,nnyccchiarclrobufto.
I) 'l bel verxlero, ov altri entra diraro,
SÒVUcito culto JT,CUftode avaro.
^ i Scent»
4
1
;a GLI ERRORI,’
X14. Scender'ailai fovente Ivi adiportoi-
Le cionzeMe di Corte hanno per ufo.
Per > ch’intorno intorno il nobll’horco-
D’infupcrabil muro è tutto chi ufo
Qui da {IcHabcni^na a cafo Tcorto ,
Qjì da ftupor» qui di piacer confufo
rollando uu dì , mentre il villann’ufcia.
lo vidi fpatiar ranima mia»
aiy. Soviemmi tofto un’amorofo Inganno r
Sembiante, e qualità trasformo e nng,o»
Di rotta fpoglla, e di mendico panna
Pattuii cc'ntadin, mi vcfto e cingo.
Cingo la fpada, e {(Icom’efll fanno)
Grolla, e ruvida pala in man mi ftringo»
A irozi atrclì , al rozo andar, che ve^e.
Povero zappador ciafeun mi crede.
zi6. Sotto un cappel di paglia il capo appiatto>
C hà di' vago Faglan penna dipinta.
D’afpre lane hò la gonna, afpro fovatto
Ricucito in più parti, e la mia cinta.
Malpolita, la fibbia innanzi adatto,
C he con curvo puntai la tiene avinta..^
Calzo fordide cuoia, e fotto il braccio
Con vii corda a traverfo un zaino allacclo*
xiy. Porto di marche d’oro iLzaino pieno
Con cui velar l’ardita aftutia intendo.
Di gemmate vafella ancor non meno,
pdi vezzi dipeilc un groppo prendo.
Soletto poi con quefte cofe in feno
L’aprir de lufcio in sù la foglia attenda*
Et ecco in breve ufeir quindi veggio
Il giardiniel del Paiadiio mio.
Pont
*i
w; 13 :E. CIMO QV ARTO. 131
/i/./ommigli inconrro,e dico.’: Afcólca quanco
ni Acoimnun prò pei.” ragionarti vegnoj
)1ì"ki e a quelle parole, onei’io mi vanto
ìi Gran vcncura oc tener, volgi Tingegno.
•0, Mifer,ta iuciì a procacciarci in tanto
ài' A /avita caci e lire alcixn foftegno,
'aie, l’ibcn non rari,- n e cu ris onde trar puoi
Porranata cjuiecc a gli anni tuoi.
119. Tudeifaver, che co laggiù fotterr»
\n Ni i’ Vortice l c K’ a c ol ci v ax c’è dato,
\s» Trcuolo tliclòr s^alconde e (erra,
) Ala da forxci itrivllil>'i le guardato.
,( Temendo 11 fin d’nna dubbiofa guerra,
nja l^ovcpoi giaccone à la campagna armato^
2 Le fue piu fccltc. c piu pregiate cofe
TJn’anùcoRc voftro avi ripoie
Uff
xxr>. Rivelato han gU Sputiaun IndovmOi.
Che di* rilevo d’o r v'ha dentro chiufc
Itiglùrland are d-v firaeraldo fino
Intor no al faggio L>xo tmto le Mufe,
Coi cavallo, che
Acque d'argento m bel rulccl difiiilc
re eli e di nalr abll’otnarncnti
Hai^ habitUregiati, e gliftromentu
±a E efie T)erriogorgon v’c con le Fate
zp. E. .-.I.- che non haprezzoal moni
Sc.vi:a«n.nra=.^
^ir etal. ch’ò più peCmtc, c biondo,
U. ài per tei coili ornate,
l«nvdl Gioielli
^ le dita anelli.
GU ERRORI,
xii. Tengo di tutto ciò minuto conto.
Però che’l Negromante cfpcrto e faggio^
Clr’a Cipro a quello fin venia ^ Ponto,
A cafo riparò nel mio viUaggloi
E pagò d’un voler cortcfe e pronto ,
Mentre infermo giacca dal gran viaggio»
Lafciollo in fcrltto , c mifer peregrino
Pofe meta a b vita, &al camino.
153. Io poi le note incantatrici, e l’artl
Del gran fecreto hò dal fuo libro apprefc»
E qua ne vengo da remote parti
Per porlo in opra, c farlo a te palefc.
Se di fiato sì bado ami levarti,
iS’hai punto ad arricchir le voglie intefc
Meco ('credimi pur) farti prometto
Felice poficlfor di quanto hò detto.
134. Prendi nel crin l’occafion. Ben fai ; ì
La fortuna fervil quanto è moleftaj ^
Lieto, c fuor di faggio almcn vivrai
L’ultima-età, che da varcar ti rcfta.
Nel giardino rcal, dove tu ftai,
(Altri non voglio )i Padito mi prefta y
E noi voglio però, fe non fol quanto
D’huopo mifiapcr efleguir l’incanto.
133. Sì dilli, e dilli il ver, che*! mio theforo -
Verone la vera mia fomma ricchezza
Era fol di colei , ch’io fola adoro.
L’infinita incfiàbile bellezza.
1 zafiiri, i rubin, le perle, c l’oro
Conquifiar del bel volto havea vaghezza-»
E vie più ch’altro, di quel cor co^ntc
Spetrar rimpenetiabUe dìamanco^
CANTO DE CIMO CXV O.
X36. Con crespa fronte e cviirve cìglia immote
Stupido al mio parlar diede ToreccHio
Gli atti oOLervando, c le facezie ignote
11 icmplicc» e d*^Haver cupido Veccliio.
Quando veraci licn cju.efte tue nore
(RirpoCc). a compiacerti io m* apparecchi*»
Nè vò ch’indugi ad clVervi introdotto ,
Se non Col cananeo a Griffa lo nc fo motco.^ ^
El.igida, melioraovic, e ritrova *
Di gentilezza, c di pietà nemica.
Perfida, e^uanto canta, c
Quefta fii la graMnoIa in sù la Tpica
^cfta la fpina Cotto U
LsTMedea, laM-cdoCa ela
Che nc l’Alba al nato diporto la Cera.
8 Parla a l’inicioa «toglie, e <T«f
’ irrito ^"nfislia,
' 'nuda figlia
E di iS’aprale por«
*39
E di For»on» a^f^a ^
Poveri à, Cà cl . entro le mura
Cosi di por P ofo hebbi ventara.
Che- da cat«pi d ^ armenti ba^veffi.
Digitized ^
tj4 CLl ERRORI* ^
X40. Mà qual nc^pettì lor pofcìa s’ aduna r
Vero piacer ,quand’amboduo prefenci, ,
Dentr’ampio cerchio in su notte bruna .
Comuiciò a fufl arrar magici accenti.
Alzo gli occhi a le ftelle, & a la Luna,
Poimi raggiro a tutti quattro i venti,.
E vibrando con man verga di legno
Caratteri, c figure in terra io legno.
X4I. Segni efficaci nò. Coleo, ò TheffagUa -
Nè rinfernal Magia non mi fè dotto.
Fui’fol da Amor , cui nefl un Mago agguagli»
Vanifeongiuria mormorar condotto.
Gran coppa d’oro, il cui fplendore abbaglia
Da me dianzi celata era l'otto.
Quefta donata a i V ecchi aurea mercede
Fù de gl’incanti miei la prima fede.
j^4j..Quefta (difs’io) fe’lCiel mimoftra il vero.
De l’occulto theloro è poca parte,
Però ch’a poco a poco, e non intero
Quinci a trarlo in più volte infegna l’arte ^
Conviemmi a farperfeti;pil magiftefo
In tanto oll’ervar punti, e volger carte,
Di più Lune è meftler pria che fi feopr^
E ciò dicea fol per dar tempoa l’opra, ^
X43. Non molto va, ch’ai dilettofo Parco ;
Dorifbe bella a palleggiar ritorna,
E rende d’aurei pomi il grembo carco, -
E d’intrecciatifior le trecce adorna.
Io giuro per lo ftral, giuro per l’arco,
Di que begli occhi, dov’Amor foggiorna,.
Ch’io vidi ad infiorar Forme amorofe
Noasò per qual Virtù* nafeer le ro£c.
i r ■ Ala
r
%
CANTO DECIMOQVARTO. »35
44. A la beltà, ch’c fenza pari al mondo. ' .
II finto gcnitor mi raporcienta,
Ta man le bacio, e in un rofpir profondo
Vìen l’alma faor , mà poid’ufcir paventa.
Wolto mi chiede, e molto le lifpondo,
Salvo fol la cagion, che mi tormenta,
eh’ oltre il gran rifehio , il c|ual me’l vieta e
Colui, che lega il cor, la lingua lega. (nega.
Spcfiblcluci inleicondolce affetto
turtivaraente innamorate giro,
E tal (quantunijuc breve), e quel diletto,.
Che mi fà non curar lunga martiroj
Anzi il bramato, e fofpirato oggetto
Più defio di mirar, quanto piu miro y
N è giamai torno à rimirarla, ch’ella
N on p ìia a gli occhi miei fempre più bella^
x4é. Non già ferici arazzi ornan le mura.
Del bel giardin , nè d’or cortine altere»
Ma tapczzatc d’immortal verdura
V cftond’arancì e cedri alte fpalliere,
Le cui cime intrecciando era mia cura
Bizarie fabricar di più maniere,
Edi fronde, e di foglie, e frutti, e fior l
Componeadimia man cento lavori.
*47. Tallhor lungo l’alee de gli horti aprici
„Retetefl'eadi mirto, ò di gineftra.
E l’induihia, ch’ò feorta a gl’infelici>
In talneceflitàna’eramaeftra.
Ma che valeamiùn si fatti artifici
per minor doglia, eflèr citar la delira,.
S’ovunqued’ognintorno|io mi volgefli.
M’apjariaa di dolor fembianti efprcffii
1}«
GLI ERROJlt,
1,6. S’a i’hcrbc, a i fior volgca queft’occh! laflS,
^ Il numero vedeade’miei daloii.
Se la vifta girava a i tronchi^ a i faffi,
Scorgea del duro cor gli afpri rigori.
Se per Tombrofe vie drizzava i paflù
Riconofcea de l’alma i ciechi erroru
Se mormorar fentiacra’ramii venti.
Mi fovenia de’miei fofpiri ardenti.
249. Se per bagnati fior ne’caldi cflivi .
Solea con ftudlo a la cultura intento
Tirar’divife in canaletti, e rivi
Dal bèl fonte vicin righe d’a^ento^
1 torrenti profondi, i fiumi vivi,
Che fcacurian dal mar del mio tormente^
Le torbid’ondede'perpctui pianti,
Chepioverno dal cor, m’cr ano avanti.
xjO. S^adlnocchiar queirarbofcel con quello
^ Movea l’accorta e diligente mano,
Per copular {bttoingegnofoinneftOj
A virgulto gentil germa villano.
Mi parlava il penficr languido e mefto,
E mi dicea , lo tuo fperar fia vano. ^
Che non fa frutto Ainor , fe non s’incalma
Sen con fen, cor con core, alma con alma.
1^1. Se poi con zappa in man curva, c pcfantc
Da la terra tal hor tenace, e molle
Afl'ai miglior, ch’agricoltore, amante,
Sudava a volger glebe, a franger zolle.
La diffidenza in horrido fembiante.^
Veniami incontro, e mi gridava , Ahi folle,
E qual mefle corrai di tua fatica.
Se dinanzi a laman fiiggc la fpica?
Vie
Canto degimoqjarto. ij?
t
;i;x Viè più che palina in sù l’herbofo fmalto
Dorime a craftullarfi il à\ Tcendea.
10 fender l’aria con fpedlto falto
Hor’imitando l Satiri folca,
Hor ben vibrato, c ben lanciato In alto
Con man leggiera il grave par movea,
Hor sù i fonori calami forati
Per allettarla, articolava ì fiati.
ijj. Conobb-i intanto a mille fegni e mille,.
Et efpreflo il nota più d’ una volta ,
Che s’io l’ardorverfava in calde filile, «
Et havea l’alma induro laccio avolta,
Non era anco il fuo cor fenza faville ,
Nèpunto ella però lèn già difcioltai
E vidi, ch’egual cambio alfin ne rende
Amor, che’n gentil cor ratto s’apprende,
*■54- Nelaftagìon, che’nCiel s’accende d’ir» •
11 fier Leone , c fcalza il piano, c’I monte.
Quando per dritto fil le lince tira
Febo de la metà derOrizonte,
^►icibonda per bere il pafib gira
Al margin frefeo del tranquillo fonte.
Et ecco THortolan le reca Innanzi
L’aureo vafel, ch'io gli donai pur dianzi.
Ilvafoèd’orojcinunaomhrofefracta ^
D’un bel rufcel sù le fiorite fponde
Diana v’hà col fuo Paflior ritratta ,
E fon rubini i fior, diamanti l’ondc
Di fmaki, e perle la faretra è fatta,
Son di fmeraldo fin rherbe,e le fronde
Duo veltri, che da l’orlo il capo tranno.
Manico firano a la bell’urna iànno.
Prca-
GLI ERRORI,
ijó-Prcndo il nappo leggiadro , e prima inchino
L alta mia Dea, poi reverente aflorgo.
Corro, e del fonte terfo e criftallino
L attuffouna c due volte al chiaro gorgo, *
Indi di molle argento empio l’or fino,
E palpitante a la man bella il porgo.
Le porgo il vafo,e le prefento il core.
Acqua le dono, e ne ritraggo ardore.
1J7* Sento in quel che la coppain man riceve»
Premermi il dito, il dito^anch’iolc premo*
M à quali nel toccar la viva neve
Spando a terra l’humor, così ne tremo.
Da’dolci lumi in me, mentr’ellabevc,
^*^etta di conforto cftrema
Levando alfin le rugiadofe labbia,
DimadaHcrbofcOjOnde’l bel vafo egli habb^
Rifpondo. lo fili, chc’n donò ottenni il vale
Dal gran Signor de l’odorata mede,
C^ando Faunoal cantar vinto rrmlfe»
Giudice il Rè, chevincitor m’elefle,
E’I crin di lauro entro le regie cafe . ‘
Cingemi ancor con le fue mani illelfc.
E quello il canto fu, s’io ben rammento
Ogni numer o a punto , & ogni accento
I50. Non fon, non fon, Paftor, perche mi veggia
Sotto manto villan Ninfa gentile,
Premer’Il latte, c pafcolar la greggia,
Tonder la lana, & habitar Tovile!
Lafciai per burnii mandra eccclfa reggia
Copre penfieri illullri habicovile.
Amor m’hà chiufo in quella roza fpoglia.
Ma le cangio vellir, non cangio voglia.
con
^ANTO DE CIMOQVARTO. i0
quelle note a l’unica bellezza
Di rofl'or vii^inàl la guancia fpaifi^
Turbar la vidi, e vidi la gran pezza
, Tutta fovrapenfier (e fbipefa ilari!.
Dai mirarmi più IjpeiTo allhor certezza
frefi, e da ciuci sì {ubico cambiari!.
Che di quel ch’era, a dubitar s^induiTe,
E di quel che bramava ance, che fulle»
t<f. Che ci, che fece il geni tor morire.
Quei mi fuis’iojfofpettion non hebbe.
Pcrfuaderiì un cosìflolto ardire
Potuto in inodo alcun mai non havrebbe^
Ne tal iècreto io poi le voli! aprire,
C’huomo in donna fidar tanto non debbe. .
Credeammi ben fott’habito vulgate
Cavalicr di gran guifa, e d’alto af&rc.
Herbofeo a ciò non ponca mente, a cui
Hor pendente, hor monil recando à tempo. '
La malitia fenil tentava in lui
Cercar con l’oro, afpettava il tempo.
In me diletto, & utile in altrui
L’amorola Magia nutrito un tempo.
Alfin di queiramòre , ond’era incerto.
Argome nco maggior mi venne aperto.
163. Mentre quando più l’aria è d’ombra mifta,^
Sotto color d’incanti a pianger riedo.
Et al chiaro Oriente alto la villa
Dei’amato balcone, e qui mi fiedo.
Odo di voce dolorofa e trilla
Flcbil lamento, c poi Dorilbe vedo.
Dorilbe mia, che del ginocchio al nodo,
Ticn le mani intrecciate, io veggio, & odo.
Ofeiti
J40
GLI ERRORI,
164. Ufcita fola a la frefc’aura eftlva ,
Abbandonate le compagne, e’I lecco.
Scavali afli fa in una pietra viva .
Al rezodeldomefticobofchetto, 7
E dimoftrava ben, mcntelangulva, c
Dal faflb iflelTo indifferente afpetto. ^
Sotto il velo de l’ombre allhor nafcofta
Prcllb mi fafcio, e per udir m’accofto.
téj. Datemi tanta pace infra l’ofcure .
Ombre (dicea) di quello fido horrorc.
Famelici penfier, mordaci cure,
Che mi rodete c mi pungete il core.
Ch’io polfa almen le fiamme acerbe e dure
Sfogar col Ciel del mio malnato ardore,
E dal petto elfalar qualche fofpito
Tacito accufator del mio marcirò.
z66. Che mi vai dominar popoli, c regni ,
Se di crudo Signor ferva languifco/
£ polleduca da deliri indegni,
T rà le regie ricchezze impoverifeo?
Poiche’l tuo giogo Amor lofFrir m’ìnfegni»
Ecco a l’era pia tirannide ubbìdifeo,
E foggiacendoalduol, che mi tormenta ,
V ivo Reina sì, ma non contenta.
167. O ombre, o fogni, o lumi, o d’arid’herba,
V iè più vili, più frali honori, e fallii
O di mortale ambiiìon fuperba,
Abilfi fenza fin voraci, e valli l
S’alcun rifpecto Amor vofeo non ferba,
A che più nel ufo cor face contraili?
Povera lignoria, mendiche pope,
Se'l corfo al bel delio per volli rompe.
GANXO 13E.C1M.O CXV A'ELXO- 14*.
x6S. Dorlfbe, c cKe ragioni? inlana voglia
Come ofFufcaa la mente il Inmc in tutto?
Q»jal diletto Haver pu.ò Vergin, cKc coglia
t>*illegitimo amor ^irtivo Frutto?
Sai le leggi d'Egitto- AHi non difeioglia
L’anima il Freno a dellr Folle e l>xutto>
Onde tu. deggia poi mi tardi pentita
Perderla un punto Se Honeftate, e vita>
X69. E vorrai dunc^ue tu> cHc Fofti in Corte
A degno I-Ieroe per degna CpoCa eletta»
Gir poverella e ixiiCcra conCorte
A Paftor roz.o in rox.a eappanetta?
Dal palagio al tigurio? nCa in Corte
Ad elle r Donna^a Fartialtrui Cogget^»
Celebrando colà tra gli orni , e i Faghi
Nozxe palultri» Se Fdimenci Celvaggi?
470. Qui dal pianto il pa^•larI•è tronco afbtz;(i
E le paroleve i gentiti conFonde-
Mà cVi sà (dice poi) Fc’n tale ^c<>rxa
Alcun FamoFo Princii^ s f '
Le plaghe, c ha nel
g^c^d^rruoFvorentl^r'^^^ che /iùbra^na.
171 Non hnom di felv^
^Moftranlo altrn. le
Mà fra ® arde e s&vilU,
s^mma**^ copre.
Per entro palili Non
Hi GLI ERRORI,
1.71. Non villano Tandar, non è villano
Il parlar pìcn di gracia, e cortdfìai
Nè quella bianca , e dllicatamano
Tal,le taregUfufl'e, cflèrdevriai
Ne quel cantar mìfteriofocftrano
Senio contien, che fignoril non lìai
Nè guadagnato in rultìehe contcfc ^
Quei fuo bel vafo è paftorale arnefc.
475* Ma che cur’io, che quell’altri non crede,
Involto ftia tra bolfchereccl panni.
Se pur malgrado, lor, l’anima vede
Aperto il core, c*l coreè fenzainganni?
Sconofciuto è il fcdel, nota la fede.
Mente condition, non mente affanni.
Gli affanni interni in que’begU occhi io vcg-
E i fecreti pender ferirti vi leggo. (go
Ì74. Ciò ne la bella fronte impreffo, e fculco
Vlfibilmentc Amor tu mi riveli.
Può ben ftato reai talhora occulto • '
Celarli in altri manti, in altriveli,
Mà fotto larva di veftire inculto
Effcr non può giamai eh’ Amor fi celi,
Che chiufo in cafa il foco, in grembo Tanguc
Si manifefta alfin con pianto, c fangue.
171* E così detto, al fuol’humide ciglia
China alquanto e s’arrefta, c penfa, e tace,
^i le leva, c Pafeiuga, indi ripiglia ;
Ole far pofs’io, s’ Amor mi sforza e sfacci
E Paftor fiali pur.qual meraviglia,
Se Pallore, c Bifolco anco mi piace?
Amaro ancora in ruftica fortuna
genere Anchife, EndimionlaLuna.
Cojnt
CANTO DECrMOQVARTO. t4f
-7^. Come valor non fia, nè vero pregio,
Se di porpora, e d’oro altri noi f^na,
O come altrui non fia theforo, e fregio
Virtù, per cui fi fignoreggia e regnai
Spelfo alberga hamil fervo animo regio.
Chiude Principe eccelfo anima indegna.
Perche piacer non dee nobilfembianza,
S'oltre l’ufficio il merito s’aranza;
*■77. Guidar gli armenti a più vii gente hor fallì.
Che quantunque l’adombri ignobil vefte,
Maeftà moftran gli arti, i guardi, i pa ffi
Degna più di Città, che diforelte.
La verga imperiai meglio confaffi.
Che la felvaggia , a quella man celefle
Corona a quel bel crin , ch’amo & adoro^
Come l’hà di beltà, convienfi d’oro.
178. Paftor gentil, non dee chi frena e regge
Perfonaggio reai, qual’io mi fono ,
Trattar gli a ratri, e governar le gregge.
Ma Itringer feettro, e comandare il trono,.
Se puoi tu Colo a’miei penficr dar legge.
Il regno acetta, eia Reina in dono}
E d’aver fa Fortuna ciò contrada.
Quel che poffiedi in quedo cor ti bada.
y}9. Si sì, poco mi cab che può, ne fegua.
Ne verrò teco in fol itaria balza.
Ogni difaguaglianza Amor adegua,
£i di natal l’indignicate inalza.
Se di nega al mio mal tanto di tregua.
Ch’io ti pofl'a feguir difeinta e fcalza,
LafTa, chi fia che tempri dolor mio?
Et ic, ch’era vicin, le rifpos’lo.
Io
V
CANTO DECIMO OyARTO: 14.^
a.48: D’Armene ancor, che feco era fovence.
La conolcenza in quefto mezoio prefi ,
Ec un dì , che tra fior vipera ardente
Venia con fàuci aperte, lumiaccefi
Per trafigerle il piè col crudo dente,
Cplnodolb baffone io la difefi.
, La Scrj^ uccifi, e l’obligo,che m ’hebbe.
Molti di .lei l’affettion nj’accrebbc.
x8j. Spefib da indi in poi tacito e cheto
V cnia le notti a cònmmar con ella,^
Nè pali e hebbe giamai di tal fecreto -
(Fuorché lafida Arfenia) altra donzella.
Così rhore pallai felice e lieto
Sotto dell r o favor d’amica llella,
Finche venne a mifehiar la Vecchia aftuta
Tra le dolcezze mie fiele, e cicuta.
*8^. O de gli horti d’Amor Cani cuftodi, . .
Vigilanti nel mal, garrule Vecchie,
Tra piu leggiadri nor tenaci nodi,
Nel più foave mcl pungenti pecchie.
Non hà tante le Volpe infidie, e frodi,
Tante luci il Sofpetto, e tante orecchie, -
Quante per danno altrui ferapre n’ordite,
( Deh vi fulmini il Cicl) quante n’apr.itc.
Dc lcmenfcamorofeArpicnoccnti, ^
Al ripofo mortai Larve molcftc.
La vita è un prato, c voi fietc i ferpenti,
V oi fol d’ogni piacer fiere la pefte.
Senzaturbini il Cicl, c fenza venti,
Senza procelle il mar, fenza tempefte
Quanto più lieto fora, c prò giocondo >
£ fenza marre, cfcnca Vecchie U mondo*
• ; V«L lU ^ G Jwlc
• jr
. GLI ERROKI, ■
i88. Furie crude e proterve, onde gli amanti ‘
Vali de le gioie lor vedovi & orbi.
Fantafmi vìvi, e notomie fpiranti.
Sepolclii aperti, ombre di morte, e morbi»
Perche d’Abiflb infra eli eterni pianti
Terra homai non le chiudile non l’aflorbi
L’invidia (credo) fol de l’altrui bene ;
Le nutrilce, le move, c le foftlene.
189. Grifa, del buonFillan l empia moglicra»
Venne fra i noftri amori adinterporfi.
Quefta malvagia incolerabil Fera '♦
Di mes’accefe,&ioben men’accorfi, ■ '
Però ch’a tutte l’hore incorno nV era - -*
Hor con fcherii noiofi, hor con difcorfi.' ^
Ridea talhora, c mi moftrava il rifo.
Voto di denti, e pien di crefpe il vifo.
190. Crefpa è la guancia, e dal vifaggio alciutti^
Si ftaccan quafi Paride mafcelle.
Grinze ha le membra e nel fuo corpo tutto
Informata da l’afla appar le pelle.
Stan nel centro del capo horrido ebrutto
Fitte de gli occhi le profonde celle
Occhi, che biechi, e lividi, c fanguigni •
Aventano in altrui fguardi maligni.
xoT. Le giunture ha fnodate , e mal congiuntei
Adunco il nafo, che’n sù’l labro feende.
Sporgon le Cecche cofte in fuor le puntc>
Stronfio sà le ginocchia il ventre pende»
CÌafcuna de le poppe arficce e fmuntc '
Fin’al bellico il bottoncin diftende. «•'
Ne la gola il gavocciolo, e nel mento *
Porta la barba di filato argento. -
Ni
CANTO decimo Coarto. 47
91. Ha chiome hlr Cute, hlfpido cio^Ho e foltn c
Bavofe labra, obliqua bocca, e g^fla, *
Sc^ualUda fronte, e tUCparuto volto, ^
B’n Comma altro non è, ch’anima, & ollà.
Sembra horrendo cadavere infepolto
Che fuggito pur’ ho r fia da la foflk.
Sembra mummia animar a,e’n tutto fgombra
D’humana effigie, una palpabH’ombra.
Penfa tu s’io devea per cosi fatte
Fattezze, c per s\ laido, e Tozzo moftro
lafciar colei, ch’oTcur a il minio , e’I latte ,
E vince al paragon l’avorio, e Toftro ,
Ella con vezzi ognor più mi combatte.
Io con rcpulfc mi difendo c gioftro.
Cangia l’amore alhn, polche fi mira
Non che fprezzata, àbomiaata.inira.
394. EiilTequalch’attodl non ben nafcofto.
Chele Cvegllò la mente, e la rifcolle,
O’pur fottcrra il cumulo riporto
Di-cotant’or,ch’afofpettar la morte,
O’del’anlmo perfido più torto
La naturai malignità fi forte ^
Per ifpiar ciò ch’io faceffi , avenne
Ch’una notte pian pian dietro mi tenne.
395. Tcnncmmi ,c non sò In qual maniera
Nelfolto dclglardin l’iufidia tefe,
L’ombre fplcndean, perche la Divaarcicra
Era nel colmo del fuo mezo mefe,
E’ I ricco tempio de l’ottava sfera
Tutte havea già l’aurce Tue lampe accefe.
Qua meraviglia allhor, fc non potei
Occultar dai’agoaio i mici}
G a La
148 GLI ERRORI,
2,^. La Vecchia ala Rcina il fatto accufa^, .:t
Io repente al mio ben fon colto inbraccio ,
E di vergogna, e di timor confu(à>
Fartail vokodi foco, e’I cor dì ghiaccio»
Condili' i:ori£be mia legata e chiufa^
Veggio in altra prigion con altro laccio. « ^
• Ma giatie al Ciel, che ne’miei frutti audaci
Viffcp non fui rapire altro, che baci*
z^y. Uccidetemi (di(G) e qual mi fora
Più bel morir, s’avien chc’nun mi toccai
( Quando fia pur, che per coftiiminiora^^ .
Lo ftral di morte, e’I raggio de’bcgU ocebU
Mà non è alcun de’rei Icr^entiallhorav ^ .
Ghe’n mcfpadapur vibri, o dardo fcpccai»
Crudel pietà , ch’uccidermi non Volle,
E pur Ja vita, e l’anima mi tolfe. i .
z^8. Non tanto il proprio mal m’afflige c noce
Se ben d’ogni mio ben privo rimango.
Quanto il mal di Dorilbe il cor mi coce.
Ch’io per me f«nza lei fon fumo, e fengo.^
Te Dorilbe mia cara, ahi con qual voce
Chiamo, e fofpiro : c conqual’occhi piango?
Son quelle (oimè) le pompe, oimèfon quelle
De le tue nozze le fperate felle?
Z9^. Così dunque cangiar lìniRraSorte . ■?<
Può manìglie in manette? anella in nodi?
Gli aurei monili in ruvide ritorte?
I fidi fervi in rigidi cuftodi ?
In vece d’Himence ti fia la Motte?
Ti fiano i pianti epithalami, e lodi?
Ti fian (Rivolta ogni allegrezza in duolo) ^
Camera lapriglou, tbalamo iUuolo? . . ^
•' Hauvi
CANTO" £)É6IM0QJ<^ART0. 14^
5C0. Hauvi un’irrevocàbile ftatuto ,
Che tra gli ordini amichi ofierva E«rìtto ,
E ch’apreghì d’Argéne hàpoivólum
Cipro, cHè ^ui per léghe anco'fia fcricco
Trovarli in tallo uii Cavalier caduto
Cori vergili Donna, i capitai delittoi
E 1 foco trà lor duo purga l’errore
Di -chi fu primo a difcoprìr Tamorc.
joi.'" Dico, ètte chi de’duo fu prima ardito , v
Di chieder rìfrigerio al chiufo foco,
Convien, che fia col foco anco punito;
Chc’n ciò favore, nobiltà vai poco,
E s’avien, che l’autor del primo invito ,
Prefo ad un tempo in un medefrtto loco,
Sia dubbio, e che da l'un l’altro difcordi.
Mentre tra lor le diffcrcnie aecòrdi.
jor. Se fia, ch’n pugna a l’un l’altro preVaglià,
E fottratto àie fìartime il vincitore.
Se nel tempo prefiflb à là battaglia
Manca a qucfto, & à quella il difenfore.
Il fupplicìo de l’un Valtìroràgguaglia,
L'un come l’altió. Incenerito more.
• Se l’una parte l’hà, l’altra n’è priva,
Convien pur, che Tun pera, c l'altro viva.
303. Hor chi di noi baldanza hebbe, primiero ^
D’aprir labra a gl’interdetti accenti.
Dal deputato Giudice fevero
Con minacce richìefti, e con fpaYcnti > '
Polfibil non fu 'mai ritrarne il Vero '
Per tcrror di martiri, e dì tormenti,
C h’appropria ndo a sè la co Ipa altr uì,
Dicea cxalcttao approva : Io fono, io foh ^
G 3 Onobil
GLI ERRORI,
JjO
304. O nobll gara, hor chi mai vide, ò
Per sì degna cagion sì degna lite J
Chi d'amor, nond’honor fu mai ch’udillè
Più belle, ò più magnanime mentite?
Dolci contcfe, e generofe riffe,
Ch’amai! le morti, e fprezzano le vite,
Ne’cui contrafti divenir s’è vifto
'Vantaggio il danno, e perdita l’acquifto,
305* Stupifee il Magiftrato a tal tenzone.
La crucciofa Reina ambo rampogna.
Ma v!è più lei, che’ntrepida pofpqnc
A la falute mia la fua vergogna.
Ben comprende , ch’Anapr n^è fol cagione,
E che communc è il fallo, e la menzogna.^
La patria chiede, eie fortune mie,
E io compongo allhor nove bugie.
^06. Veggendo pur la pertinacia Argcne
De la copia in Amor coftante e fida,
eh’ ad ufurparfi le noti proprie pene
Gareggia, e ch’ella invan minaccia, e grida,
A l’uiaco coftume allhor s’attiené ,
Che*! ferro alfin la queftion decida.
Ch’un campion quinci, e quindiin campove-
E d’otto giorni il termine n’aflegna. (gna,
307. Nel baffo fondo d’una torre ofeura
Sepolto *0 fui, dal Caftellan guardata.
Mà di guardar la Giovane dier cura
A la Vecchia rabbiofa, e fcelerata.
Imaginar ben puoi, fe la feiagura
Condotta ha in buone man la fventurata.
Se fe co dee con ogni ftratio indegno
puell’empia ad onta mia sfogar lo sdegno.
Già
CANTO DECIMOQVARTO. jji
5©8. Giàletce volte cHaro, e fette ofcuro -
S’è fatto da quel dì l’Orto, e l’Occafoi
Diman fi compie il tempo, & io procuro
Terminar con la morte il fiero cafo.
S’io campion m’habbia, ònò, nèsò : nè curo,
Ch io fon fenza morir morte rimafo.
Convien, che fol di lei cura mi prenda.
Che non hà chi l’aiti, ò la difenda.
30^. Hor non è il meglio (a me medefmo io
Se tanto il Ciel di fuo favor ti dona , [difli)
Che tu campando fuor di queftì Abill^
Cerchi di fprlgionar chi t’imprigiona ?
Ser per la vita tua di vita ufciflì,
>4on fora il tuo morir palma, e corona?
Vattene homai , s’andar ti fia permeflb,
A combatter per lei contro te iteflb.
3xe. Se guerrier non appar da la tua parte.
La tua Donna s’aiTolve, e tu raoireì.
S’alcun forfè ne vicn per liberane.
Tu di Dorilbe il protettor farai.
S’egli t’uccide entro l’agon di Marte,
Chi morì più dite, felice nui?
S’egli uccifo è date, felice ancora,
Fia che chi ville ardendo , ardendo mora.
311. L’inhumanoTorrier,chepur fovente
Compianfe al pianger mio, tentai con preghi
E qual core è di fallo, ò di ferpenje,^
C. 1! nr\r\ mrvva. n
.-S*'’'
Tratto l’avanzo fuor del mio theforo.
Dai ferri alfiu mi liberai con l’oro,
G 4
Con
tft dii ÈktLótLi,
311. Con l’oro hebbi il deftriero, e d’armi ciiìtè
Attendo, chefiainCiel l’Alba riforca,
Ch’io non vò già, fc per Amor fui vinto,
Efler vinto in Amore. Amor m’è (corta-
O’ch’io fia in una, ò in altra guifa eftinto.
Che che n’avegna pur poco m’importa.
Perche foftrir non può morte più ria.
Che non morir, chi di morir defia. ’
313. Non ftiaó dunque d’andar, eh’ aggiaccio, &
Tanto, ch’a l’alta ìmprefa io m’a vicini, (ardo
Troppo noce Pindugio, es’ioben guardo»
Par già la notte a l’Occidente inchini.
Ecco il Pianetta inferiore, & tardo.
Che tien de gli Hemifperi ambo i confina.
Vedrai, fc movi afeguicarmi il piede >
Prova d’ardire, e paragon di fède.
314. Così parlava il Cavalier dal nero, :
E poich’hebbc la lingua il fren raccolte^
Dmegli Adon : PietoTa hiftoriain vero
Signor narrate, e con pietà v’afcolto.
Però fate buon cor, che coiii’io fpero*
La gran rota a girar non andra moltòi
Figlie fon del dolor le gioie eftreme#
£ del frutto del rilb il pianto è femé.
31;. Grande l’ardir, ma degno è di clemenza^ '
E s’è fallo amorofo, il fallo è lieve.
Perche Hfteflb error fallì innocenza
Qualhor la voiuntà forza riceve.
Argcne fe’n sè punto hà di prudenza.
Sì leggiadra union fcloglicr non deve.
Vuoili in prima pregar poi quella ftrada>
Gh’e chrufa a la ragion, s’apra la ipada.
Lafcia*
)
CANTO DEC IMO QVARTO.
‘^onforco
Mi dolaa ©gnor di mia crudele ftella - '
Cosi difs egli , e fò il fu© dire àbforto
dolce pianto, e ruppe la favella
Ma oia Sidonio m tanto è in piè rifortó
Cai piato herfcioro, c rifalito in fella.
Adone il {cguc,c col parlar diffalca
La noia del camin, mentre cavalca.
3 17- D'Amori torti, del fuo proprio male
: Portegli prende raccontar travia,
E come di fortiffimo rivale
Fugge l’ira, il furor., la gélofia
O la ^a donna, o il fuo nemico fia, ’ - ^
E dAitando pur d’alcun’oltraggìo,
Palcfar nonardifee il fuo legnici»
31». Già da’termitti Eoi fpunta l’Aurora, ^
Già la caligm mancai^ c I lumecrefee
r*n?” ® è giorno ancora.
Col chiaro il hmo fi confonde c iiiéfce
NontutcocfotcoilSol de J’ondc fora,’
Ma il lolleva apoco a poco, & efee,
ChcIìbeneiHùo raggio i Cid difgomtra.
Vi reftapor qualche rcUqtdad’oi&ta.
pacando per l’horribiVtatia,
Chefugìàdc’ladronl alloggjiamento,
Veggiono aduna quercia non lontana
Un cadaver, eh ’apprcfb agita il vento.
Guarda Sidonio la figura cftrana,
Ch’à difcminail vifo, veftipnetito,
E perch'è Parie ancor tra chiara, e fofca,
Pub^o ^ xs^l 9Ì, c*l nò') fe la conofeai
^ s
Più
3^.0. Più gli par, quanto più le s’avicina,,
Grifa la falla vecchia, e certo è della.
Che de l’ingiuria fatta ala Reina>
E de l’ira, c’havca contro fe llella.
Che nata filile sì mortai ruina
Per la gran tradigionda lei commellà,.
Defperatad’Amor, non che pentita.
Di Pafo occultamente era partita.
3^.1 . E giunta i^rello a la folinga cava,
Gh’Adon già traveftito in grembo accolfe „
Mentre la turba riala minacciava,.
Che cola per cercarlo il piè rivolfc
Da l’antica prigion, che la ferrava,
Sorprefa dal timor, l’anima fciolfej
E à quel tronco poi fu per diletto
Impiccata da loi , come s*è detto.
jii. A pena a gli occhi Cuoi Sidonio crede,,
£ s’accoAa ben ben fotco.la pianta,
Alfin ringratia ìlCIel , che gli concede
ri’un tanto danno una Vendetta tanta’,.
E confolato afl'ai di ^uel che vede.
Prorompe ; O cara, obenedetta, ò fanta
QueU’ar bor, quella mano , e quel la corda,.
Che dal mondo fmorbò pelle sì lorda..
313. Rimanti ad- infettar quelli deferti
Gioco a i venti, efca.a i corvi empia e ne&ndai
Benché fe conofcelTero i tuoi merci ,
Abhorririan sì fetida vivanda.
La terra non potea più foftenerti'.
Però ne l’aria ad allogiar ti manda,
Hor più non curo i propri mali, e godo ,
Ch’i neUrinodi alinea Vendici un nodo*-
C.ANTQ DECIMOQTARTO.
e poc’olcre van per quel camino,
Ch altro borrendo fpettacolo gli arreftai-
Ecco un corpo trafitto, a cui vicino
Eccone un’altro ancor, ch’è fenzatefiajl
E da lor non lontano ecco un Martino ^
Svikerato giacerne laforerta.
Adon s’accorta, e ben conofce apieno
Quel ch c piu guarto, c fi conofcemcnoi
32-5- Ch’è FHora, il sa ben; màchi recifi>
Dopo la Tua partita il capo l’habbia
Penfwnonsa,bcnchedal Cane uccifo.
Che di vermiglio ancor tinte hà le labbia,
argomento, e certo avifo
Che cibo ei fu de la canina rabbia
Volgcrfial'altro,_affi& ilguardoin eflb.
E per Filauro, il riconofce efprertb.
JK. Conjpatlfce, e e già p„ qudlp
Come la co&ftjanon ben’intende, ^
Ne che qucll'accidenteempio, e fùnefto
Seguitoha per fua cagion, comprende.
Uditoli cafo dolorólo emcfto ,
Per chiarir del ver,Sidoniofccnde.
Quando chi fien coloro Adon li conta-
Ferinailcavallo,^c da larciondifmonta;
ft7* ^ lor perfone c conofeiute , c vlfte
Ne la Cortedi Menfi havea più volte.
Onde quando di polve, efangue mifte
Le vide, c lacerate, & infepolte.
Forte glifpiacque, e da le luci trifte
Nè versò jper pietà lagrime molte,
E diflè. Ah ben contro ragion fi too-lle
L’hoAox deYac9 a quefte belle fpo^lìc.
t56 GLI ÈRRORl,
318. Spoglie belle, e reali , ahi quanto a tott#
Giacere efpoftc a le ferine brame.
Mà s’a le voftre vite ancorché Corfo^ ,
Unfolfiifocommunfilò loftame,
E qucfto , e quello ha generato, c morto
Un ventre illuftre, & una mano infame.
Dritto è, che Toftaanco un fepolcro aTconda,
E Tun’e l’altro cenere confonda.
319. Così dicendo acconcio il pcfo, e mcflb ■
Sovr ’ una bara d’intrccciatl Iteli,
Ne la tomba, th’eretta cralàprefld,
Depofirato i duofquarciati veti.
Ciò fatto , il Ca-valier col fangueifteflo,
Ch’ufcl de le lor piaghe afpre, e crudeli^
Nelfaflb de l’avel fcrilTe di fora,
Reliquc di Filauro, e di Filerà.
3j©. Adon ntl fcpelir la co^ia eftinta <
Sì del mal d’ambobuo s’amfe e doUe,
Che confervar, benché di fangue tinta,
De’fregl lor qualche memoria volfe j.
Ondi di fmalto a lui tolfc una cìnta,
A lei d’or riccamato un velo cl tolfe.
Poco accorto pcnfier, fciocco confìgll0>
CKe gli fìi poi cagion d’alto periglio,
331. L’opra apena fornita, odon le fronde ■
Scrocc'ar dapreflb, e feoferfi le piante.
Et ecco ufeir da le vicine fponde
Fluom, che quali ftatuta hà di Gigante.
Io non so come in si bel loco, ò d’onde
Venne sìfconcio. e Barbaro hsdbitante.
Ama le cacce, e per caverne, c felve
Belva molco peg^of, lebelyc*
I- A N i o UtL^lMO QJ AR T O. t;7
35X. Lunga la capegliaia, e lunga, e nera
La barba, e’I vello ha Taninaal feroce.
Mente humana non hà, nè forma vera >
Et cfprimer non sa dilHnta voce.
A falere fere infidlolà fera
Per nutrirfì di lor , danneggia, e noce.
Gli huomini Ingoia, e quand’ei può pigliarne
Ingordo , è più de lapin nobil carne.
5J3- Vivea folingo in fotterraneo albergo»
Hifpido il corpo, c fetolofo tutto
Veniva armato d’un’eftranio ufterbo ,
Che di pelle di Tigre era coftrutto.
Ufeian le braccia da i confin del tergo
Per due bocche di Drago horrido c brutto.
E pur di Serpe entro una feotza cava
Molte quadreJla al’homero portava.
3J4- Tcnea ferrato in mano un baftoncirudo
Duro, pcfantc , e noderofo, e groflb.
D*^utia conca di pefee havea lo feudo
Ben forte e faldo, c’n tcftaun zuccon d'oflb*
Tutto quanto del rcfto andavaìgnudo^
E lènza piaftre, e fènza maglie addoffb,
.Nè veftiva altre fpogUe al caldo, al gelo»
Se.non quanto al copriva il folto pelo.
335. Scherma non hè,non hà ragion di Marta
Ma di forza, c deftrezza ogni altro avanzi
E dove manca efperienza, & arte.
L’agilità fupplìfce, e la poflanza.
Venne coftui gridando a quella parte, '
Dov’havea <fi venir fovente ufanxa,
E mezo ancor tra ftr angolato, c vivo
Unfiio DamaLùMiòniVpiiitt»^^^
ifi GLI ERROICÌJ, ’
536. Un Daino a prima giunta il ficf Selvaggi»,
C’havea pur dianzi in quelle macchie piefo»
Scagliò contro Sidonio, il qual fu faggio
Di quel colpoafchivarrimpeto, e’lpelb>
Che tratte il tronco d’un robufto faggio
Quafi folmin telette a terra ttefo.
11 mottro allhor più r apide, che ventov
Gli aventò tré faette in un momento.
J.37. ' Due ne volano a voto, e la corazza : f
Dal terzo ttrale il Cavalier difende.
1 dardi lafcia, & a due man la mazza
Senza indugio il pelofo intanto prende-
Occorre Taltro a quella furia pazza ,
E'I brando oppon contro il bafton che fcende
E per mezo gliel tagliai in quetto mentre
Tira di punta, e lo ferifce al ventre.
La ro za bettia, che non mai creduto '
Jn luì trovar tanta difefa havria.
Vitto, che contro il ferro il cuoio hiriuto-
Non giova. Adone atterra, e’i porta via.
Si dibatte il fanciullo, e chiede aiuto.
Ma invan, che già colui l’hà in fila balia',.
Ond*afdegno, e pietà motto il Guerriero--
Prettamente rimonta insù’l deftfiero- ’
J3^. Per dar’al metto Giovane foccorfo*. ; s ^
Ne la foretta a tutta briglia il caccia, ‘
Mà di ttender’apien fpedito il corfo
La fpcttùra de gli arbori l’impaccia.
L’infolentcfellonfenzadicorfo, . ,
Ch’Adone impaurito hà tr à le braccia^ '
Quando giuntoli vede, a terra il getta,»
Poi tt rimbofca, & à fu.ggix s’af&etca, ;
540. Volgefi alfine, e d’un grand’olmo antko
Perfpiccarne uatroncon,le cimeabbaffa,
Ma tronche intanto il feritor nemico
Sù’l ramo Ifteflb ambe le man gli lafl'a.
Raddoppiai! colpo, e in men ch’io noi ridico
Un’occhio imbrocca, e’icerebro gli pafla .
Ond’a cader fen va con fier muggito
Il difibrmc Salvatico ferito.
541 . Per una ripa, che da l’orlo al fondo»
Trecento braccia ha dirupato il fafib,
Sidonio allhor lo fmifurato pondo
Spinge col piede, e lo trabocca al bado.
Cerca Adonpofcia indarno, e perehe’l modo
Gàà fi rifchiara, alfin ritira il palio,
E quindi efce a l’aperto in largo piano,
Che daPafo ncuiè molto lontano.
•541. U buon deftrier per fpediteftrade- ■ '
Sollecitò con importuni fproni,
Mà pur quand’egli entrò nela cittadc
Eran de Paltò di pieni i balconi.
Scorre di qua di là borghi, e contradcj
E giunge a lagran piazxa insù gli arcioni >
Dove un theatro Ipatiofo e novo
Coronato è di Ibarre in forma d’ovo. -
2=45. ■Vredegranrogo'accefoinundc’lati,. <
Eraa foffiarloilfier miniftro intento,
Per entro i cavi mantici agitati ^
L’aure comporrete concepirvi il vento ^
Poi partorire incitatori i fiati
Dal gonfio fen del gravido ftromentOj.
Lacui fpirco vivace a poco a poco
Di licenza a le fiamme, aiuma al to co»
i6o OLI ERRORI, > |
3^.4. Da la più agiata, è più fublimc jlika . ^
Del bel Palagio, che lo fpacio ferra,
Argenc in atto aliai turbata, e trifta
> China guardando il campo, i lumi a tctrSi
E gran truppa di Donne e feco mifta.
Che ftan tremanti ad afpettar la guerra.
La guerra in cui de’due prigioni in bxcVc,
L’alto giudicio difiinir fi deve,
345. Pènde da tetti intorno, cdacornic!, {
Come a mirar fi fuol gioftra, ò torneo.
Di curiofe turbe fpettatrici 1
Innumerabil numero plebeo.
Aprefi il paflb il Duca de’Fenici,
Nonconofeiuto inun campione, e reo,
E trova a palleggiar per lo ftcccato
Tutto fblctto un Cavaliere armato. *
346. Picca un corficr tra le prune , è’I gela ;
Nato del Rheno in sù la fredarìva ,
Tutto tutto ermellino, e bianco il pela
Sovra l’ifteflà fua' neve nativa.
Gli fa sù gli occhi il crin candido velo,
Candidaancor la coda al piè gli arriva^
Ma con fpoglia ncvofa, e patria algente
Sfavilla in lui però fpirito arderne^
347. Bianco il dcftricr bianco l’tì(bcrgo,&Viaco
J3)i bianchi fregi bà il ^eraimento adoraOk
E di penne di Cigno il cimier, anco
. Canuto ondeggia, c fi rincrcfpaintonió
Lo feudo che lofticn col braccio manco
A 1* argento pur iffimo fà feorno ,
E porta ne la lancia , onde combatte»
Unpcaaoncelpurdel colof del latte.
Chic
CANTO DtCIMOOVARTO. lét
J48. Olcrelapiilma,incimaala celata
Amorofo mìniftcro è fculto e finto,
Hauvi vaga Colomba inargentata.
Che piagne il caro mafchio in rete àvintò,
E batte ralì, e metta, c fcompagnatà
Mottra ne l’atto il gemito dirtintO.
Un motto in lettre d’or Tè fcritto al piedtf
Pari al candor de Tarmi è la mia fede
34J. Lanobilpónatura, elafcmblanià ^ -
De Tignotò Guerfier clafcnn commendò*
Ma Sidonio in quel mezo oltre s’avanza
Per (aver chi fia quctti, e cui difenda,
E fi caccia trà’l vulgo, ov’bà fperanza,
Che meglio di tal ratto il ver s’inténda> \
Et ode aogn’intorno, ove fi giri ,
fremer fingulti, e mormorar fofpirb
350. Ddh con Teterna man Giove faceta !
Da le porte del Ciel telette lampo,
Ch’apporti a Tinnoccntc Giovinetta
(Che talcredcr fi dee) difefa e fcampò, ^ ^
Pia dunt)ue a per fua ragion cottretta
Per nonhavcrchilafoftengaincampo? '
Fia, che tantabcltà fu’l fior de gli almi
Ad infame pacibulo fi danni?
351; S’indcgno di perdon, di mille pew ^
Degno, un vile ftranier Campiòn ritrova.
Et nuom, che’n (angue, ò in amiftagU attive
Per lui s’cfpone a pcrigliofapróva.
Innocenza reai deh come a viene,
C’hoggi a pietatc alcun de’faoi non mov4>
Come coniente Amor di reftar ylnto^
E che fia’lfuo per altro incendio
H% • GLI ‘ERRÓRI, '
351. Quefti in languido fuon fommertì accen^
Con guance fmotte, c luci lagrimofe
Bifbigliando per tutto Ivan le genti
pi fpectacol si tragico pietofe.
Comprende ei dal tenor dì quei lament?>
E de molt’altre Inveftigatc cofe ,
Che per lui quel Gucrrier la pugna piglia;
Ove Idegno n’ha infieme , e meraviglia;
353. Imaginar non sa ohi fia coftui
Sì d’amor feco, ò d’obligo congiunto,
Che’n periglio mortai d’entrar per lui
Efpreflb ha prcfo, c volontario aflunto.
Sia pur chi vuol, nè di tutela altrui.
Nè di fua propria vita ei cura punto,
£ già s’accofta a Paverfario eftrano
Con l’elmo in tetta, e con la lancia in manOr
■334. Tu, che de’cafi altrui brigati prendi.
Dimmi (gli ditte) ò Cavalier chi fcij
Di per qual corretta fciocca difendi
(Comprator di litigi) i felli , ci rei?
Meco (forfè noi fai) meco contendi.
Onde celarmi il nome tuo non dei }
E fe’l tuo nome pur vorrai celarmi.
Scoprirmi qual cagion ti move a l*armi.
3JJ. V edcr non so, perche si dubbia imprcfe
Temerario intraprendi.& armi tratti
Senza frutto (pettar di tua contefa,
O’feper la ragion per cui combatti.
A Sidoni non cal di tuadifefa,
Nè rifiuta la pena a’fuoi misfatti.
Follia fa l’huom qual querela cerca.
Da cui premio non miete, honor non mcrca.
óltre che per nT,?""''?1°''
A farne infutm • “^“‘fefto,
^cr mia nr “P accorti
l^on chUmato ™°"*
CIÒ che ti vT&IT'k ”°‘’ ‘■“l’I^fto
D’haver peStl • i l«'«i
peccato Upcccator confcllà >
ci"“;£“'J j 4'PSX°-
Màclli/^V„ a,L J 1 .
Honeftar vuÓt if “"f Donzelli
Bichiara purH! nr^'**-’ f P‘“l’*ccufi?
Già t”feréd!“ k^®'’ tl«ella
A àft. ® l>ord-ubbidir ricufiT
nSi d^r P" '"<!“' '!«= '■oftieni,
*l>‘>m«o, à richielìoancor ne rieni,
^^^Ì’erfhc**Vere°'^ b‘ chiami.
Noche viver non dee di fregi in&mi^“
Off a'?/* ' òi fui ftirpe indeonL
Offendi piarci che difender bmmi. ®
Copri piu quel che coprir t’ingegni
U4
GLI ÉkkÓKJ,
jéo. Hor veder, fe fchermir te fteffo (ài?
Più ch’altrui fpaventar molto mi tarda,
Emi tarda pXQvar, s’habbi , com’hai
Oltraggiofo parlar j'dèftra gagliarda.
Se per Dorifbe tu battaglia fai ,
Per Sidonio fon’io, da me ti guarda
E fappi , che mifia cara e gradita
Vièpiù la mòrte tua, che la mia vita.
f6t. Volgohciòdettolfréni, encle mani
Per arredarle, dringonfi le lance,
E divifo de gli Arbitri fovrani
Il Solcai amboduo con giuda lance ,
Poich’un tratto di dral fon già lontani,
A i veloci dedrier pungon le pance,
£ con le briglie abbandonate al morie»
Vengono ad ineontrarfi a mezo il corfo. ’
Il bianco,© per la fireta òperladlzza '•
Errò l’incontro, c corfe l’hada In fallo,
L’altro ne la vifiera il corpo dritta ,
Dove brevefefliiraapre il metallo,
E con duro tracollo in sù la lizza
Fuor per la groppa it trahe giù da cavallo ,
E cade si, che più non è riforto , .
Nè ben fi sa, s’c tramortito} ò morto.
3^ Siùonio, che mal concio in terra il mira.
Nè rifentirfi pur de la caduta.
Pervede fe’l conofee, e s’ancor fpira.
Smontar di fella, e gli alza labarbuta,
*E ritrovaeficr Donna (e fe n’adira)
Colei, che dì fua raan giace abbattuta
Per accettarli più, Telmo le daccia,
£ di Dorilbc iua ieoprc la faccia.
Vede,
X
r
14 V
Canto decimoqvarto.
56 ^ ch’ella èDonfbe,$c Ahi crudele,
^rudele ò me, me più d’altro infido.
™r guarda opra (gridò) d’almafedele.
engo a falvarci , e dia man t’uccido .
V ol£
3 Scaglia il tronca infelice incontro al fuolo.’
E n coniro al Tuoi lo feudo, e Telmo gitta.
1 01 dolcemente a mareggiando il duolo^
oacia colei, crede liaver traficra
accorre allhor con riyLmfrofo ftiiolo
C|Ud popoi dolente Argante aj^ltta,
tt ailalita c ben da ììqvc angoCcc
Quando i duo priglgnier mira, e cpnofcc.
® fanguc accefe, & ebre '
la nella le luci un pez?;o tennoi
E quando tinta di color funebre
tT?' pianto venne •
Ma io fdegno reai sù le palpebre
Le già cadenti lagrime loftenne,
S tio^ndo di vulgar tropp’humil gente
Baliezza il lagrimar pablicamcntc.
3^7^* Stupìfep ìnnn, fofplra, c freme, c tangnct
C h ancor non sà di eiò Thiftorla ver aj
Negaj: non può per tato al proprio in fangirc
La devftta pietà, benché fevera.
Intanto il granromorla bella clTanigaex
^2 V ergin per amor fatta Gucr rera.
Già fi rifcAtc, c cangia in ro(c i S'g'A
Rendeado al toìio i fupì ; oloc VtfimKU,
^{6 GLI ERRORI,
566. QaandeDorIftje il defiaro amante,
. Che creda prigionìer)preflb(ìfcorgc,
E ch’egli è quei, che qual nemico inante
Sfidò con l’armi, attonita riforge.
La madre ancorché molti altro fembiantc.
Ben magnanimo l’atto eflèr s’accorge. ‘
Intender nondimen vuol di loc bocca
Come fuji^iti fieli fuor de la rocca.
^49. NarraDorifbc pria , che quando accorta
Si fù Grifa del tutto efler partita,
L’abbandonata, e malguardata porta
Torto da sè l’agevolò l’uTcita , ;
E d’un fervo fedel fiotto la feorta.
Che le prertò fiecretamenteaita,
Havea per eflegulr l’alto penfiero ;
Accattate qucl’armi, c quel deftriero.
370. Soggiunge indi Sidonio. Amor mi porle
(Amor figlio d’unfabro) arte, & ingegno,
Ond’aperfi i fierramii ei mi fòccorfiC' ^
Ne l’operation del bel difiagno.
Non crediate però, ch’io brami forfe
Di fuggir morte, anzi morir nc vegno,^
Ma pria ch’io mora almen, la ragion mia
(Poi di me fi difiponga) udita fia. ‘ -
371. Piacciavi tanto fiol Donna reale, ^
De l’alterato cor fiofipender l’ire.
Che con clemenza a la giurtitia eguale ^
Si pieghi ad afcoltar quant’io vòdire.
Fatte i Giudici vortri al tribunale <
Vofico I vi pregò) c i Principi venire, ; •
C h’io vò di tutti lor l’alta prefienza
A proferir di me giurta lèncenza.
Mcnh
CANTO DECIMOQVARTO. i6y‘
'7 Membrando Argene , che coftui da morti;;
Campolla già, quando la Serpe uccife,
T'Jou Teppe in Tuoi rigori efler sì forte,
Che ciò negaffe, eper udir s’aflife
Ei, ( raccolta che fu tutta la Corte, ^
A piè del tuono inginocchion fi mifè^
Tratta la fpada poi de la vagina,
A lei la porfe , e cominciò, Reina. T
373. Sovvenir ben vi dee del facro patto ' ^
Giurato a la gran Rea vendicatrice, y
Che colui degno fol fia d’efl'er fatto
De la mia Donna pollclTor felice,
Ch’ai regio fangue havrà pria fodisfatto
Col capo del figlivol del Rè Fenice,
Quel nemico mortai , che già die morte •
Al voftro gloriofo altoconforte.
Hor’a voi fi conviene il giuramento
Meco adampir, com’io v’adempio ildonQii
Ecco che di Sidonio io vi prefento
11 capo, e’I ferro Inun; Sidonio io fono. '
Son d’ubbidir, fon di morir contento.
Quando Indegno appo voi fia di perdono.
Che s’c^li avien, che di tal mano io mora,
Ea gloria del morire il mal riftora.
373, Son vinto, e prigionier, non mi difendo, ‘
La fpada in man, la tefta in grembo havetc*
Fate ciò, che v’è bello, \ c pur volendo
Pafeer del fangue mio la voftra fete.
Per lafciarla troncar, l’armi mi rendo.
Sfogar l’odio homai tutto i n me potete,
Se merita però tanta vcjidet ta
Error, che per errore altri commetta.
Ui GLI ERRORI,
37^. Nel fen di lei hurail getto e pio
Iiiclili)òla cervice incaiuo, e tacque.
Aque^ parlar nel cor di chil’udio
C on gran pietà gran meraviglia nacque •
Occhio non Fu «Barbaro, &ch’un rio
Non vertaire d’amare, e tepid’acque.
Mà di Sidonio Argeve udito il nome.
Da le piante tremo fino a le chiome.
Tf
Zf
■
377» Turbpfli tutta, e variando il volto , '•
Pallido pria , poi più che fiamma rodo, .
Data iu preda al mror rapido e ftolto, y
Forfè fe l’hebbe ad ambe man pcrcoflo. < I
Pur raccogliendo à l ira il frendifciolto
Da qualche tenerezza il cor coramoflo, O
Sedò quel moto, e dilagati in fiumi ‘ >
Al Ciclo alzò con quette voci} lumi.
} 7^. ftellc , ò Dei , deh qual vi move a queftc^
Qo^e qui confentir furore, ò fdegno?
Di marito, è di Rè lafciar voleftc ^
Vedovala conforte, orfano il regno* ■ ,l
Morir di ferro a torto anco il facette,
N.è di lui mi riraafe altro ch’un pegno,
IJupillamiferabile, cottei, >
Che pupilla era pur de gli occhi miei. ' t
37^^ E quetta ancor mia cara unica prole
Veggio dclufa con perverfo Inganno, i
E pej force deftin, che cosi volc,
A brutta morte io ftefla hor la condanno. ■
E quel che viè più ch'altro, affai mi dolc, '
Prender vuol per Signore, c per Tiranno, '
Dimenticata 4e l'oltraggio antico, !f
Ferfidoncname,UIkonnkggifitf aeniùco.^ .
Dun-,
CANTO DECIMOQVINTO 169
j8o. Dunque con chi del padre aprile vene
Vivrà Doriibegloriofa, c lieta?
-Hor che farà b sfortunata Argene3
Dee crudcldimoftrarfi, ò manfueta?
Benignità reai l’un non foftene,
Obligo maritai l’alcro mi vieta
Milera, a qual partito homai m’appigli* ,
S’ov'abonda ragion, manca^onGgUo?
J8r. S* avien, che’l dritto,' e*I debito mi mova
Quel fangue a vendicar, che fangue grida».
Un, che già prefo in mio poter G trova,
Senz’alcuna pietà convien ch'uccida j
Un, che di mia virtù viene a far prova.
Et humilmente in mia bontà conGda ì
Un, che pentito, efupplìce mi chiede
D'involontario error gratta, e mercede,
jSt S’eflaudifco il pregar di chi mi prega,
E’I gran caftigo a perdonar m’ abballo.
Al cenar degno il fuo dever G nega^
E l’alta ingiuria invendicata io lalTo.
Oimè, chi mi ritiene? e chi mi lega.
Sì ch’intradue rimango iramobil falTo ! •
Punir devrei roffefa, onde mi doglioi
JMà divenir carnefice non voglio.
383. Deh come canto cor Sidonio havelU»
Dc’tuo nemici a crederti in balia ?
Com'ecelarti poi sì ben (àpefti,
Che t’hebbi in man, ne ti conobbi ^ria?
Et hor che ti conofeo, a che voleftì
Pormi in necelTità d’eflerti pia?
• Perche mi sforzi a fiir, lafl'a, al Rè morto •
£ la mia grandezza un fi gran torto ?
Voi. lU H O mie
1
X70 GLI ERRORI, ' a
384. O mie Cchermte» eilifprcxzatelcggl»
A le let^t^i d’Amor ciò fi condoni.
Amor a ce, che l’UniverCo reggi >
Non a pietà, cotal pietà (i doni. ^
Scali l’alma gentil da gli alti Teg^i ^
L’atto, c quello perdono a me perdoni.^
Che meglio è di me ftelTa haver vittoria.
Clic di vìnto nemico acquUlar gloria-
385. Non era eiunraalfin di quello detto, .
NonJaavea-&e no ancor pollo ala voce.
Oliando Dorifb'e^ il cui confufo petto
Era {leccato di coftflitto atroce ,
Dov’amore, & honore, odio, e dilpetto
Fac^an guerra tràlor cruda e feroce,
Aventofli a la Tpada, e gliela talfc.
Indi in quello parlar la lingua fciollc. ^
386- Pocoa lui,menoamerideepieta.tc,
Anzi a lui fi perdoni, a me non mau
Io fol le leggi hò rotte c violate
Morir fol^egg’io, che fola errai. r
E vò morir per trar fra le malnate
La più mal nata e mifera di guai,
E quello è il premio alfin, cne malaccorta
Da l’amor del nemico ella riporta.
j\ I itmaxitt 1 ) paghi,
Se’n credendolo amante aucor non erro.
Quando averrà, ch’io quello petto impiaghi»
Vedrà quanto nel cor nafcondoe ferro,
B ch’ancor vive cntro’l più nobilloco
Il mal’accefo, c malautrito foco.
CANTO DECIMOQV ARTO. 171
3*8. Non vacilla la delira, il cor non teme,
Fatta due gran vendette una ferita.
Vendicherò con un (bl colpo inliemc •
II padre uccifo, e l‘honcftà tradita.
Voglio uccider me ftclFa^, c con la fpcrae
O ogni conforto abbandonar la vita.
Per uccider Tamor, ch’ingiuftamentc
Porto al crudo uccifor de la mia gente.
189. Ferro fedel, già de l’amato fianco
Famofbhonore & honorato pondo.
Per man del tuo Signore invitto e franco
Del miofarigue reale ancora immondo.
Fra quante imprefe di pugnar non fianco
Fec’cgli mai piu gloriofc al mondo,
Queftafia la più degna e nobil palma,
Da l’indegnà prigionfcioglier quell’alma.
3^®* In quello cor malvagio apri la firada.
Origine, e cagìon de falli miei ,
Acciochecomc fempre, o carafpada,
Compagna a buoni, elìda amica fci ,
Cosi ci dica ognun, qualbor c’accada
Punir’il male, afpra averfaria a I rei
Ben di giufta t’ulurpi il nome invano
S’impunica ti cocca iniqua mano.
591. Ricevi ombra paterna, anima chiara, >
La morte mìa de la tua vita in veceì
E ben quell’ira homai di fangue avara]
Col proprio langne tuo placar ci lece» < i
Ch'ofFerta ti farà forfè più cara|
Di quante mai quella crudel ne fece.
Darò con far tré alme a un punto liete
A ine fema, a lei gioia, ^ te quiete .
M a, Cosi
I
jyi, GLI ER.R.ORIj
391. Così dice, e tremante il braccio ftendc, '
Slunga lalpada , e volge al cor la punta»
Ma sidonio la man forte le prende,
E a tempo la madre anzo v*è giunta,
A cui largo da gli occhi il pianto feeoo®»
Giàd’amor tutta, e di pietà compunta.
E’I morir difturbando al infelice.
La riconforta humanamente, e dice.
395. Pon giù figlia la fpada Infieme, e l’ira»
U pentimento ogni gran biafmo fcolpa.
Mori Morafto, e fe dal Ciel ne mira.
Forfè non tanto i noftri errori incolpa^
Perche , fe dritto al vero occhio fi gjira»
Non fu l’altrui fallir fenzafuacplpa ,
Coiifolandofialmen, che nonfucceflc .
Fallo mai tal, che tanta emenda bavette»
594* Poich’al pattato mal non è riparo»
Et io depofti hò già gli antichi (degni ,
Vivi contenta, affrenail pianto arnaro» .
E del priir ’odio ogni favilla fpegnL
Habbi di te pietate, e del tuo caro,
C’hoggi moftri hà d’amor si chiarifegni»
Degno teco d’unirfi ad egual giogo,
E degno d’altro laccio, e d’altro rogo.
39 j. Dopo qucfto parlar dolce l’abbraccia »
Dolcemente la ftrìnge al fen mater«ao, ^
E baciandole horgli occhi, & hor là faccia#
Scopre gli ettèttide l’affetto interno.
Poi con Dorifbe fua Sidonio allaccia
In nodo indittblubile & eterno ,
Dandogli apien quanto più dar gUpotc,
. Lafcrlonainconfoitejclrcgnoindptc.
N
mro
S. *'°'»^ragivijitì aquelH
KiCcbiàa^^'.f erano imeifi.
Stavano a COSI inif^i Tu creili.
Tofto che 1 calilor,fu.r manifcfti,'
\\ ^to ® "^atc^arich’effi, '
ni
£ con par facondo. Se efSeace
Jiieglio e parentela, e pace.
197, Màqa^^ gioia compica,
'' • _^ (fi{leudolr*v %
CKvnon fulie il dolor Tempre contorte?
O’ouancVo il dolce de 1* Humana vita
■Lateio wianial d’avelenar la.morte f
Bcco,mcotrclafeftaè ftabllita.
Movo C^cottipt^Uo ìmiorbi4a la Corte,
PercVi’ad Arsene inafpcttari avifi.
Recati fon dc’dao nipoti uecifi.
Di Pilauro , ePUora X fervi erranti
Poiché più «iornlfenz’ alcuno efl^tto
Cercano i lor Signor, qou doglie, e plawà
Tornando rifeontràrono un valletto.
Il qi;^ c raheano a la Reina avanti
Tra cento nodi incatenato eftrctto,
Ch*a pi^i d’an fegno , e d'un inditio aperto ^
Ch’ei folfe rucciior tener per ceno.
359- Quando (ù quivi II Giovane condotto,
pin’a le fteUe fi levar le ftrlda ,
CHal cinto, al velo infanguinato, c rotto
Tofto il conobbe ognun p^r hpmicidai
isle tempo havea’l mefehin pur da far motto>
l<Ie da dir fua ragion fra tante grida
Sidoniailvidc, e vide effer colui.
Ch’accontato quel dì s’era con lui.
H 3 .js3lq«c
1(I81ÌQ(«Ì?
GLI ERRORI,
174
400. Queft’era Adon, che poich’a terra Iplntè
f ù da rhuomo inhuman, diede in collorò.
Contando a tutti il cafo allhor diftinto.
Il Prence, e com’al bofeo infieme foro ,
Innocente il dichiara, ancorche’l cinto
Il contrario dimoftri, e’I drappo d’oroj
E da relation lunga e diffula
Di quanto già cantò la noftra Mufa. '
401. In queftorempoilgiuftoCicl, chToffcfo •
Non nega a i falli mai devutapena,
Co’duo complici Tuoi legato e prefo
Quivi Furcillo illadroa tempo mena.
Allhor meglio èdatuttiil fatto intefo.
Che n’han dal bell’Adon notitià piena,
E a forza di ftratil e di tormenti
Già confeflano H vero i delinquentL
402 Quanto a la Donna pria, nanaFurcillo^
Ch’egli da Ma! agor vide fvenarla,
Perche con gli altri di lontan feguillo,
E poi ladifterr ) per difpogliarla, , ,
Wa’l G.irzon come cadde, e chiferillo
Nulla dice faperne, e più non oarla.
Si afpi .1 è la tortura, e sigli dole.
Che la vita vi lafcia,€ le parole.
4 05. Pofeia ch’ai fine il Giudico s’avedé.
Ch’egli il degno caftigo hà prevenuto,
E che’n van più l!a®ge.-invano il fiede.
Che Io fe’ldenfo hà già perduto , . **
Da glr^ltri duo la verità richiede ,
Che tòrnano a ridir quel c’hà faputo.
Mà rei d’altri delitti, e malefici,
Son pur dannaci a gli ultimi fupplicL
Mca:
%•
IBI Mtwt® coftoro la funefta tromtu
Se a la fune,
Selvaggia tomba,
commune.
e fremiti rimbomba,
tdaC'C''^’^ lor forcunci
Econeffeq'^’^^ i^^uftri &: Ho norate
1rasfculcoX'<l'i^ a la cittate.
Di voci
Yian^e
libero a?ena A.don, per mano II plolia
^ Mercurio, e Ceco U trahe fuor de le mura,
E'ti parlar > cbc’l confola, c c h e’ 1 configlia.
Gli dà di hc.n. fp e me fe cura,
jj^gionandocosl : non và due miglia.
Che aiiin?)®» deiifa è la verdura.
Quig^ moftra il camin > che vuol, ch’ei fegu^
Ì7io detto fparifee, e fi dilegua
Ào6 Molto Innanzi ei non và,clje'l piede infer-
^ S’indeboUCce a poco a poco, e ilanca, (mo
E per queibofeo abbandonato & ermo
A l vicTor aiovenii la forza manca.
Apteìl a&ifclo dorato , il qual glie fchermp
Contro la fame, e fua virtù rinfranca,
ìa ftancbezxa, e’I digiuno inun reftaura,
Poi s’addormenta aliuflurar de l’aura.
Ao-7 -Eeiàdalcentro dela rota appare
^ Ben Imrce il Sol, che’l noftro mondo laffa,
B, le lue rote (folgoranti e chiare
Già verfoCalpe avicinato abballa.
Ouitidi l’argento fuo tremulo il mare
^asformainlucid’or mentre ch’ei palTa,
E quinci filorde le Cimerie grotte
T>„ rOccan precipita la notte.
IL fine del DECmOQy arto canto.
IL RITORNO
CANTO DECIMOCtyiNTO.
argomento.
* DO NE, cBe dopo ì difturbi di
molte perfecutloni fi riconduce
A finalmente a Venere, cidichiara
che rhuomo habituato nel pcG-
cato, ancorché talvolta per alcun
tempo hnpeditsp da qualche tra-
vaglio , fi diftorni dal male, facilmente per ogni
piccioka tcntatione ritorna all*antica confaetu-
dine. Il givoco de gli fcacchì ci fih conofeìere
ipafia tempi , &le dilettationi > con cui lo va
trattenendo la volutta’per defviar lo dal bene
le quali nondimeno non tono altro che combat-
timenti 8c battaglie. La trasformatione di Ga-
lania in Tartaruga crrapprefema la natura di
quello animale;, ch*è molto Venereo.
» .. .
:ì V j;
-.J; }>utHrr
■ -5 . i '■ '■ • .
• :■ .a-.- --
■V '-
.. - *• ‘ fi
/
ARGO-
Q o M. E. N 1* O.
fJèi€to ingegno
mena ni Loco
»'«>-»•* « /«i promette il regno,
t14 ^ov’Ka Fortuna il regno^
I 2.vierrìei*e Inftabil campo,
^^^JicVicnon Ccopra 11 combattuto legno
"Di oaclfi^^ {iella amico lampo ,
•Wotv dl^&^' coftantc ingegno
jD>^a\z3X.o noccKler di trovar feampo,
pur da deftra luce feorto
Dlptender terra e ricovrarfi in porto*
La calma ala tempefta alfo fuccede,
‘ Cedono alfin le nevi a le viole,
Seeaelanocte il chiaro giorno, eriede
X>opo le nubi, e le tempefta il Sole.
«pellb del pianto è la letitia herede.
Cosi dlato quaggiù murar fi fuole.
Con lai leggi "NTatura altrui governa>
B le vicende fue nel mondo alterna.
I>opo molto girar mobil compaflb
* Chiude al puntole lince, e le congiungc.
XDa lun<^o corfo afBiticato e laflb
li deftr^cro anhelando alpalloglungc.
Arriva al fonte con veloce paflo
.'Cerva, cui ftral’acutp il fianco punge,
■£, vientrà noi dal Africano lido ,
jLQ^dlw va^^iwomporr^il ni4o. ^ ^
lyS IL RIT.ORNQ,
« ' •
4. Dal duro efUHo Tuo contenta e lieta
Tome a i’orbe natio la fiamma lieve.
Torna da’ giri Cuoi l’onda inquieta
Nfdgran ventre del mar, che la riceve.
KÌ:oi iiù al centro, ove’l l'uo moto hà metai
A gran fretta correndo il faffo greve.
E la patria, ove’l fuo cor foggiorna.
D’errar già fianco, il peregrin ritorna.
5 . Alcun non fia però, ch’unqua fi vanti
D’haver tanta a fentir gioia nel core.
Che palli quella de’fedeli amanti.
Oliando talhor gli ricongiunge Amore,
E nebbie, e pioggie di folpiri, e pianti
Sgombrando col feren del fuol fplendorc , '
'' Di lontana beltà guida e conduce
Anima cieca a riveder la luce,
6. Con quell’affetto , e^n quella fteffa guila,'
Che dietro al maggior cerchio il Ciel fi -gira
O’che di ferpe fuol parte recifa
Unirfi al capo, che la move e tira, ^
Con quel delio fen corre alma divifa
Al dolce oggetto, ond’ella vive efpira,
Che calamita apolo hà per coftume,
Augello ad efea, ò farfalletta a lume.
7. TEMPO fia dunque In braccio al caro bene
O bell’Adon, da ricondurti homai.
Che l’un’e l’altro ftà tormenti e pene
Hàfofpirato, hà lagriraato aflài.
Prepara i vezzi, ecco ch’a te len viene,
Rafiiiiga, D Dea d’Amor.glì humidi rai,.
Chi dira, che fruttar poffano i femi
De gl^ eftr cmi dolor dUewi etemiì- ‘
^ * JViQy
CANTO Tsj^
%. Dal palagio del i^ìcco c I,-, _
Chiufel’auree eran o-? ' '
Salvo quella, ch’aperta c§tf
Rimane In fin che fieri
Dove le bionde chioine ^ itte^
Ancor non ben
Vener bellas’acconcia, e reft
Indietro alquanto agareggj^^^^°^e
>. Quando da la dolciffìn^^ can*.
Svegliato al fta del rollìfrt^^ ,
Che lieto al rimbambir de In nT^ •
Salutava d’ Apollo il prinn^
Le pompe a vagheggiar fi poff
Del dì novello, c del novello x>f
Hor quinci, hor quindi à
11 terreno ftellato, e’I Ciel
10, Erano già per man di Primavera .
D’odorate ricchezze i Gamrw^ j
Alllior, che-nTaurola maggior >
■ Men brevi adduce, e più , ^lera
Progne, c rn del bel tempo meàào|"^'
Le dolci cale a far tra noi ritnr«-?°
Fi chriftallìno piè, ch’afiumf i
Eorealegato, Zefiro
11. Fu^gon per ?herba lìberi i rufceilr -
Poi^e’l Sol torna a deli vrare ilo-
■ Van trà i folti querceti i vao-M
Difputando d’Amor di fleJo^'n ftef ^
Tremanrombro Jegaiarea i,».,
. Cb’emf ion d-oAbr ifdtTvclato Cilfe
Efeotendo, e’ncrefpando i ro«,* ,
a«»co.l/e,uc:'er/é&^
-er 6
Ito [Gli ERRORI» ’ ' '
u. Di naturali arazzi Intapczzato,
Rivede ogni giardin fpogUe fuperbe.
Nè d’un Ibi verde fi colora il prato , .
MàdivcrCo cosi, come fonl’hcrbe.
A bei fiorami il verde riccamato ^ ^
Lava, e poiifee le iiic gemme acerbe^ ' '
C li’a la brina, & al Sol formano apunto
Quafi di Lidia un ferreo trapunto
13. Apre le (barre, el caro armento incna j
Il Bifolco a tofar l’herba novella
Scinta, e fcalza cantando a fuoft d’avena^
Sta conl’oche afìlar la Villanella. "
Scherzando colTorcl per l’ombra amena
Vàia Giovenca, e col Momon l’ Agnella.
Su per lo pian, che Flora ingemma e fmalta.
Con la Damma fmalta fugace il Daino (alta,
14. Langue anch’egli d’Amor l’Angue feroce,
E depoda tra’fior la feorza antica,
Dov’Amor più che’l Sol lo fcaldj>3 coce>
Ondeggia egulzzaperla piaggia aprica^
Ififchi , e i ^ti, onde fpaventa enoce,
' Cangia in fofpir per la fquamofo amica
L’acuta lìngua, e la mordace bocca
Infaetta d’Amor, che bucci fcocca.
15. Mà viè più ch’altri Adon, poffente efiero
Sente l’ardor, ch’a vaneggiar l’induce*,
E mentr’è il Cielo ancora candido, c, nero
Tra i confini de l’ombra, e de la luce.
Tenendo al’Idol fuofifoil penfiero.
Volge l’occhio a colui, chc’l dì conduce,
E quafi in fpecchio, con lo fguardo vago
Rafiigura nel Sol l’amata Unago,
.•CANTO E> ® * M o j
tf. QulniiA»! duo'°a'lhor^a.j.
Incommtncia a tgf^Ppar HeKìi- 'Pezzati
Nède’caldiforpi’^^ ^^centi,
Cliercondel cor con minor
Che del mantice ufcir fogriano
A dar vigore a le fornaci ardeni-;
Anzi par che sfog^do i fuoi *“*
L’anima ifteffa e£Iai^
A. •
17. Ahi chemlval (dicca J
Labella Primogenita de l’an»-.
O’chc fpuntin il Cieloi a
Se per me non rinalce altro
Ridano i prati,e cantino i paftori
Medi lagrime pafce un TirTL«
ifanVerno perpetuo i miei tormenti
b’araarcprogge,c d angofeiofi^enti
— ■> *•
j8. Il Sohche porta a’miei trift» occhi il zv-
Non è già qaeftojche levare hor vcseìf°^°^
Se ben nel volto fuo di luce adorntf^ ’
D^altra luce maggior l’ombra vao-h»,>^-
.Parta.ò partito poi feccia ritorne? ^ ^
Ben altro lame a le mie notti io Ai^o^-
, Chi crederla, che più lucente, chef /a
M’^ dc PAfba,c dd Sol fol’una fteliaa
15. .Sorglftella d’Amor,fiamma mia cara.
Dplcc vaghezza mia,dolce fofpiro ^
L’ombre de rOrizontc homai ri
Ma ?mquelle, ov io cicco og„or.„.,g’^
Sarai si di pictace in terra avara
Come larea di luce in Ci-i .i
oaf «u bi ui in icrra àvsrfl
Come larga di luce iu Ciel «
Min tu la miapena, c’J mio dolora
I Miritulamiapena, c’J mio dolora
Del fi'i
i%t |IL RITORNO,
xo. Deh perche le beirhore indarno rpendi * *
Per governar d’un’aureo carro il freno?
Chi ti giova il piacer , ehe’^n del ti prendi
D’errar per. lo notturno aercfereno ?
Lafcia le vane tue fatiche , e fcendi
Homai tra quelle braccia, in quello fenót
Vedrai , ch’ai tuo venir quell’antri folci
Pieno Orienti, e Paradifi i bofchi,
ai. Bofchi, d’Amor ricoveri frondofi, ^
De’ miei penfieri fecretari fidi,
Taciturni filentii,horrori ombrofi ,
E di fere , e d’augei caverne , e nidi.
Con voi mi doglio , c tra voi (prego) afeofi
Rellin quelli foi'piri , e quelli gridìi
" fia,ch'alcuB di lor quel Ciel percota>
Che lieto del mio mal,(credo^ rota*
ai. Fontane vìve , che di tcpid’ondc
Largo tributo da quell’occhi havete,
E voi,ch’altere insù le verdi fponde
Mercè de pianti miei , piante crefcecc.
Se ben Tacque afeiugar, Peccarle fronde
A tante , c’nò nel cor, fiamme folete,
V oi fol de’ mìei dolor,mentre mi doglìo> -
Afcoltatrici , c fpettatrici io voglio.
a». E tu , ch’afflitto , degli afflitti amico-
Solitario augellin , si dolce piagni ,
O’ che la doglia del tuo llracio antico
Languir tifaccia, ò che d’Amor ti lagni.
Ferma pietofo il volo aquant’io dico
Nè (degnar , che nel duolo io t’accompagnir
Che fe’lmio-llato al tuo conforme è tanto,
Ragioa’è bco>che fiacoixuniuii; il pianto,
Delrexomattutln tutto Coletto.
Di nova fpeme aU’hor , che lo reftaura,
incerto non so che fentefi al pecco,
Quafi unbalcn dttenerexxa dolce
Vicende al cor, che lo.rin£rancae mofcci
1^. Là dove il vago paffo ò fermi , ò mova,
Ocrnl herba ride , ogni arbofcel s’indora.
Kfngermoglialaterra, efi rinova,.
E quanto può le care piante honora.
Spunta di roCeamorofette aprova
Schiera laCciva , eie bell’orme infiora.
E’I piè fregiato di celefte lume
Cotte abaciargli, c ne trahefiamme ilfiumc
i7. Se vibrando il feren de’ duo zaffiri,
Ch’innamorano il Ciel , volge la fronte.
Prendendo qualità da’ dolcigiri, ^
Lafciail bofco l’horror , la nebbiail montci
• Par che favonio n’arda , e ne fofpiri.
Par che ne pianga di dolcezza il fonte,
E per dolcezza in copiofi rivi
StUlan Le qacscc md, nettar gUoIivi;.
Oyunr
ih "uuih ‘•«mj
.n* «min* «min
i84 IL RITORNO,
z8. Ovunque, ò in valle ombrofa,ò Inbalza aprv-
Sedendo afFreni i faticofi errori, (.ca,
Piega i rami ogni piama,e l’ombra amica
Gli offre, e di pomi il fen ^i empie, c di fiori.
Per render forfè a quel, cEe la nutrica
Terreno Sole4 tributari honori,
Poìch’ogni tronco prende,& ogniftelo
Vigor dagli occhi lìioi pitiche dal Cielo*
25>. In una crocc,che’I rentier divide,
E fà di molte vie quafi unafiella,
Per raezo il bofeo alfin pervenne , c vide
Quivi a l’ombra pofarh una Donzella*
Stanca tra’ fiorile languida^’affide,
Brunetta sl,ma fovr’ogm alura bellai -
Et a l’habito eftrano,& a le membra
De l’Egittie vaganti una raflèmbra.
30* Senz’atcun taglio un pavonazzoln pela>
Che di verde,e d’azur le trame ha mifte.
La vefte,comc vefte Iridein Ciela,
D’un cangiante ingannevole a le vifte.
Di fovra un manto , ancipiti tofto un velo
Ha dì fati vergato a varie lifte,
Ch'ad un botton dì variato opalla
Le s’attien per traveifb in su laipalla.
31. La portatura de le chiome belle
S’increfpa acconciainBarbarefchimodi*
Qui nci,e quindi è diftintain due rotelle,
©nd’ efeon molte sferze in mezi nodi.
Sembran tele d’arasne,e mmezoa^uieUe
Son d’acuto rubin finì duo chiodi.
Poi de le ciocche in cima al capo agglonte
Sàie rote apafiig: tjOXAaakpume*
ianao
5»- F
decimo QV I NTO. lis
diadema ai crini aurati,
ccrcKio intorno fi fofWndc,
veli a più color.liftati ^
Irn^Yid*» attorte bende.
slui4taC la treccia,per duo lati
^afi in due lungone corna, al tergo feendt,
*. iregiata la cuma è d*un lavoro
A rofette d’af gene o,o {Ielle d’oro.
)3. Giacea sii*l piumaccivol d’un violeto
Lungo un rufccl frefehetto, c chriftalliao
Corcato, quali in morbido tapeto,
Vnpargofetto,c tenero bambino,
Ne la cui fronte sì giocondo , el lieto
Vedenfi feintiUar lume divino,
Che benché il {bnno gli occupaflc il ciglio^'
Parca di madre tal ben degno filio,
|4- Era coftei d^ Amor la bella Dea,
Chedelfuo caro Adon trace iavarormc,
E’I fancini, che di dormir fingea,
£raquei,ch*a Cuoi danni unqua non dorme.
Sconolciuta fcherzar (èco volea
Sotto ftranierc, e peregrine forme.
Per^e fafle il piacer dopo il dolore
Quanto iraprovi{bpiiì,tantomaggiorc.
3f. In arrivando Adon, dal capo al piede
La difeorre «on gli occhi a parte a parte,
E rafia (]gnoril,chen*eflà vede
Loda,e de’ ricchi arnefi ammira l’arte.
Poi la raluta,e la camion le chiede.
Che l’hà condotta in si remota parte.
Et ellafeco a ripof^r l’invita
La dóve ingiunca il Tuoi l'herba fiorita.
Soft
Ì8tf IL RITORNO,
^6. Son di Menfì nativa ( indi rifponde)
Barbara Donna, c per coftume errante.
Filomanta m’appello, e da le fponde
Partii del Nil con queft’^amato infante,
perch’ir miconvenia, varcando l’ondc, -
Alcun’herbe a raccor di facre piante , •
E credea per lo torbido Hellefponto
Paflar’a Coleo , e poi da Colcp a Ponto. ‘
57. Ma de^fuoi flutti il tempeftofó orgoglio ;
Tragittommi pur dianzi acjueftolido,
E poìche’l Ciel m’hà qui guidata, io voglio.
Solver’un voto a la gran Dea di Gnido.
Piacemilntanto neffuo facro fcoglio
Poiché trovato v’hò fcampo sìfido,
Trà.quefte verdi ombretteaffrenar lalTo
Peregrinante^ c vagabonda , il palFo, *
38. O (difleAdon)quant’hebbi{cmprc,oqiiattÉ#
V oglie di ragionar bramofe-e vaghe
Con alcuna di voi , c’havete tanto
Celebre nome di famofe Maghe. '
Odo, che porta Egitto il primo vanto
De le più dotto feminc prefaghe ,
Che d’ogni cafo altrui ctiiaro , & intero ^
San sù U mano indovinare il vero. '
59. Deh fé ne* patrii tetti a prender po(a
Le tue piante raminghe il Ciel raccogUa,
Pregoti , aventuriera aventurofa,
Che le venture mie fpiegar mi voglia.
Nè mi tacer qualunque infaufta cola,
Benché fia per recarmi affanno e doglia.
Son sì avezzo a languir , che poco deggio,
O nulla più temer quafi di peggio^.
Fù
DECIMOOyiNTO. My,
Hò'ji? difle aftrologando , ch’io
itro V aitali inferme , e corte,
prefiffo al viver mio
1 4,^5 anni nn duro finein forte>
E cne per violenta nn moftro rio.
Una ieracru.de! mi dara morte.
Vedrò , s’a (^uei pronoftici malvagi ^
Slconformano ancora i tuoi prelagi,
41. Dela Chiromantia l’alta fcienza
( LabellUrima Zingara rilpore)
Tienconl’Aftrologia giran conferenza. ■
Sìperfetta armonia l’artì compoie.
Per la fcambie voi legale rifpondenza, ;
Chan le terrene , eie celelti cme,
Bper lafitnpachia .bella, che paffa
Tra la fovr ana madnna,e la balia.
41. Ma perche! Cuoi principi: hà più vkini^ ■'
De Mtt^, i fuoi giudic.' ““ 7 piP «rti.
Procedendo da’ proffimi confini
Del corpo ifteffo humanoifcgmapeni, :
Onde d’inveftigar glj »hnn de(hm _
Prendonnoùtiai Chiromanti efpera.
L’efperienxa poi con lunga cura
Dfi. l’offctvation l’arte aflecura.
4,. Sette monti hà la naameiafeun de; quali '
D’un pianeta del CicI 1 .mago efpnme.
Hàouaùro linee illnftn principali, _
Corrifpondenti a quattro membra prime.
laduelaqualitàde’gemtaU, _
E del fonte del faogue apicn s imprime.
Dimoftran l'akre due , come coftruttc
Sten delcapo, c dei corlepartitutte.—
m
IL RITORNO,
44. Quindi altri poi confiderar ben potè
D’ogni complefGone, c A’ogni ingegno
Le tempore interne, e le nature ignote,
InfortuniijC fortune a più d’un fegno.
Nè creda alcun, che così fatte note
Sien polle a cafo in animai sì degno.
Perche Natura, c’i gran Motor Tovranno
Nulla giamai nel mondo oprano in vano.,
'45. Hor’a Topea fon prefta,e grata e lieve
Mi fia per compiacerti ogni gran falma.
Porgi dunque la delira, a la cui neve
(Diffe feco piano) arde’queft’ alma.
£ fé ben Tempre elTaminar lì deve
In ciafeun huomo e l’una e l’altra palmai,
A la manca però l’altra prevale,
S’è diurno (qual credo) il tuo natale.
4^. A quefto dir la bianca man le llende
Vago d’udir piò oltre il Giovinetto.
Con un fofpir tremante ella la prende,
£ prende nel toccarla alto diletto,
E quel pungente ftral, che roffende.
Sente feoterfi intanto in mezo al petto.
L'altro con ciglia tefe, e labra aperte
Gì occhi da lei pendenti, a lei converte.
47, Lavar la mano ( ella gli dice) è ftile^
Perch’ogn’imprelfion meglio fi vegg^a.
A me però la tua par sì gentile,
Chenon fia che di bagno huopo haver deggia
Di cinque perle un’ordine fotdle
Vi fcorgOjil cui candor dolce rofleggia,
Proportion, ch’altrui moftra palefo
Nobile fpIrco,& animo cortele.
Quelle
' 1
CANTO DEClMOQVrNTO. if>
^8. rig\ìe,che vcrfoH fito,
.'f dritto ftanno,
E dei pai grotto tuo maeftro dito
Ncle radici a tcrminarfi vanno,
Tal qual apunto fei , vago e polito,
E delicato , e morbido ti fanno
A idilctti inclinato, & agli amori,
Lcg^tor d’alme , e ferito di cori
4^. A quanto de TAttrologio dicèfti
Rilpondo , che non mal del tutto avila*
Che certo di carattéri funefti
La tua linea vital molto intercifa
Da grotti folchi , eben profondile quelli
Sccndon dal primo articolo ) divifa.
Breve , debile, torta, -e difunita,
Inditij, eh 'accorciar devrianla vita.
p. Oltre ch’alamenlàls’unirceelcga
Quella di vita , e quella di natura,
• £ cola dove il pollice fi piega
T rà l*una e l’altra fua doppia giuntura,
Stranio contefto l’intervallo tega.
Che molti femicircoli figura,
E*1 monte de lo Dio bravo, e feroce
E’ cancellato da piud’una croce.
51. Tuttipermiòparerfegni evidenti
D’haver tofto a pattar grave periglio,
Efiior de’dritti termini correnti
' Del camiri naturai chiudere il ciglio.
Ma quelli formidabili accidenti
Si ponno anco fuggjircol buon configlio,
L’itteflb Ciel grinfluflì Cuoi cattivi
StriUc arhttom sù la man, per che gli fchivi.
Lineà
IL RITORNO,:
Linea v’hà poi,ch*oblIqua,e maldifpoft*
Da la percuflìone in alto afccndc,
E sì di Giove appol confin s’accofta,
Che’l cavo della man per mezo fende.
Aggiungi ancor, ch’ove lamcnfa èpofta,
Sovra il quadro un triangolo fi ftende,
Onde da beftia rea ti fi minacci^
Rifehio mortai , fe feguirai la caccia.
yj. Ma lafciam quel che feguir deve ^prcllb,
Ch’e troppo a fpecolar dubbio, & ofeuro,
E ne’ cafi avenire io ti confello.
Ch’ogni noftro giudicio è mal fccuro.
Toccherò delpallato alcun (’uccelfo.
Onde potrai comprendere il futuro.
Che s’averra, ch’io fia verace in quello,
Devrai fede preftarml anco nel refto.
y4. E poiché del deftin crudo e nemico
Da me narrato alcun effetto fai.
Intorno a quello più non m’affatico,
A piùprofpcre cofe io verigo homai.
Scordo la bianca ftrifciaje fi ci dico, •
Che lei per altro aventurato affai.
Sempre del latte l’honorata via
Importa alta fortuna, ovunque fia»
If . L’altra linea fottìi, lunga, e profonda, - , ' •
Che dal dito minuto innantì corre. '
E’I vicino tubercolo circonda
Finch’al monte del Sol fi viene a porre,
E preffo a la menfal , che la fecónda.
Non interrotta md,quafi trafeorre,
Rende ancor grati e cari i tuoi co.ftumi ’ •
A fommi Regi , anzi a celelli Numi.
CANTO DECIMO CtyiNTO.
l6. Ef<pdal’artemUnon fon deluta,
Hauvi una Donna, anxl una Oea,che t'ama*
Ogni altro amante,ognl altro amorricufa.
Altra che gli occhi tuoi , luce non brama
E ( come pur l’ifteffsf man m’ accufa)
Al Sole , a l’ombra ti fofplra > e chiama.
Per te Col trahedegiornl;e de le notti
Le vigilie inc^uicte > e i Conni rotti
57< Non sò fcd’efler dato unqua fovienti
Prefo dal Conno in alcun prato herbofo,
Dovet’habbian foCpir Corfe , t lamenti
D’una Ninfa gentil rotto il ripofo.
Ancor nonsò di più>£c ti rammenti
D’haver Ceco pattato atto amorofo,
E ch’ella poi tra dolci nodi involto.
In palagio rcal t’habbia raccolto.
58. E che’n vago giardin tra liete fchiere
Di fanciulli , e aonxellc andaftifeco.
Seco entrafti nel bagno,e’n tal piacere
Ella finche l Ciel volfc , albergò ceco.
Parmi fra que’ diporti feco vedere
XJn vcrdcjOmhroCbjC folitario fpeco.
Che fu co’ muti Cuoi fecrcti horror!
Teftimonio fedel de* voftri amori.
f E fotti ad un bel fonte un di gludato
A fentir verfeggiar candidi augelli ,
Poi tl conduffe , Covra un carro alato
In un paeCe bello oltre i più belli»
Dove Ce per piu di fotti beato,
Tu’l fai.fovercbio fia, ch’io ne favelli,
E s’accolte vedetti in varie Cquadré
Quante furo » ò faraa Donne kggiadrc.
Qiiiiv:
r'
Ùt IL RITORNO, • •
" «' : ; ■
^o. Quindi a fegulr ti richiamò Forti»» v ^
DI vaghe fere le veftigia fpartc.
La tua fedel però Tempre importuni'
Ti corifigliav^aatralafclar queU’arte.
E feguito narrando ad una ad una ^
Di que’ commercij <^ni minuta parte,
E de Toccultelorpaiwtccofe
Senza mentir parola, ii tutto cfpofe.
5i. Quanto4ico(foggiuiifc)c quanto intendi.
Tutto da la tua man raccoglier parmi.
Trovo di più,ch’a gli àmoroh incendi. ^
S.eifatt’cfca ancortu herfaglio aT^mi,
E d'amor per amor camhib le rendi,
Infia tu l'ami , e ciò non puoi negarmi»
S’ami quant’clla , to non sòdirti a pieno, •
■ Sò ben,chc l’ami , ò che Tamaftl almeno,
E d sò dir, ch*a
Tifia dato’afpira
E ch’ad honor di feettro , e di.diademi
La fua mercà , predeftinato fei.
Qualunque tua necelfitatc eftrcma
Protettrice non hebbe altra che lei, -
E ti fa Tempre in ogni tuo Tucceflo
O’ fortunato , ò fortunòTo appreflb.
StupiTccRdone, e fbigottiTcc , e quali
Jl)ì languidc4za,c di deur trabocca,
E gli occhi abbaflàjC non gli fon rimafi
Colori in faccia , nè parole in bocca}
E rimembrando i Tuoi pàflàti cali, -
Si fiera paflion l’jlsna gli tocca,
E allatti fofpir ne lycllc forc.
Che par ^tto pezzi habbia del core.
dignità Tuprema
ir lolper coftei.
-J
canto DECIMO CiV INTO. iji}
<4- Veramente gli è ver (pofcia rifponde)
Son prefo, & ardo,, c mene glorio , e godo.
Poiché giamai piu ^gtio incendio altronde
Non nacque, e non fu mai più nobilnodo.
MaIabelra ,ch^avaro Ciel m’afconde,
{Lallo, e chi può lodarla^ ) a pica non lodo. .
Loda la Amor, ch'ivi na(ceHi>& ivi
Regnìfempre,e trionfi, e voli, e vivi.
t* ‘
Qjwndoqucft’occhiin prima Amor rlvolfc
A ràìrar la beltà, ch’ogni altra eccede,
L’alma le porte aperfe, e ia raccolfe
De la fua reggia a la più eccelfa fede;
Quindi a me di me ftellb il regno tolìe
Et colei, -che l’havrà Tempre, il diede,-
Nafeondendo il mio cor nel fen di lei,
E la bellezza fua ne gli occhi miei.,
^6. Altro daiftdi in qua non feppi poi.
Ch’ale leggi ubbidir del cicco Dio,
Et tutti ricevendo i dardi fuoi^
Gli fervidi faretra il pcttomio.
<^anto più crebbe amorppfcia tra noi.
Piu crebbe in me timor, crebbe delio,
E fempre invera fe ftabilec faldo
Arfi, lalfo,alCicl fred(jo,aljial Ciel calda.
4?* Già del mio bene entro le braccia accolto.
Villi un tempo, e godei fdice amante.
Mà TinlquaEortuna altrui piu molto
Larga in donar, che’a confcrvar coftantc,
Meco non mutò già, mutando volto,
La Tua natura lubrica e rotante.
Anzi tante mifcric hàin me verfatc,
Chcn'havria ancor la Crudeltà piccate*
• V9l. JL i Mire*
IL RITORNO,
19 A
68. Mifcro, c chi mi vai tra doglie e pene . j
A gli andati piacer volger la mente.
Se la memoria de Tantico bene ^
Raddoppia il novo mài, che m’e prelentc,
A quelle luci ognor di pianto piene
De la notte natal par l Oriente,
E amo l'ombra aliai più che la luce,
Poichc’n fogno il mio Sole almen m’addofc.
O memorando, ò miferando eflempio
De l’amato d’ Amor dolce veleno. ^
Qual’eglimai più difoìetato fcempio
Pè di quello, ch’io folFro, in altro lenoìi
J^a l’una a l’altra Aurora ingombro & empio
D’afFannati fofpir l’aere feren®, ^
Sol, nè llella, ove ch’io vatla intanto»
Sparger giamai mi vede altro che pianto.
70. S’io non deggio veder più que’begU ocetó.
Per cui languir, per cui morir mi piace,
Serrinfii miei per fempre, e non mi toccai
più mai de la diurna face,
Qili,°come Morte in lui lodlrale fcocchi.
S’abbandona d’angofeia, egeme, è tace,
E da l’interno foc®,onde sravilla, ^
Liquefatto per gli occhi il cor diftilla.
71. Oblio rifana ogni dolor profondo,
(L’amorofa Indovina allhor ripiglia) '
Poiché tanto l’affligi, io li rifpondo, ■ :
Che devreai afcoltar chi ben confidila,
pon lain non cale, altre n’ha forfè il mondo
Di nonb^le guance, e belle ciglia.
Volea feguir, ma ne la bocca bella
Occupata dal piancpiG la favella#
ktA
CANTO DEC IMO INTO.
1t, Nò nò (replica Adoti) prima vedra/Ii
Deporte Atlante il fuo ftclUto pefo
Neri havrà Febo i crim, e tardi i pak
Gelati ira^gi.ond’è U Cuo lume accelo
Andrai! le fiamme al chluo , in alto i fi/TI
Ch’io fia d’altra beltà fogerecto e prefo ^
p ima del mio cor dolce ferita
Sara l ultima ancor de la mia vita.
71- E febeo de la vita io lunge vivo
In (lato tal, che più fpcr ai^ non fpcro,
Moltrarai il caro oggetto, onde fon privo.
L’occhio dcl alnaa. il peregrin penficro.
Spello con quello a vifitarìa arrivo.
Quefto de’ miei fofpir fido c corricro,
O vada.o ftiaini, addormentnto,ò Jefto,
Mai ne penfo, ne fogno altro che quello.
7|.Non mi diiol del mio duol, poich’a la doglia
La cagion del dolor porge conforto,
E per dello di trionfale Ipoglia
E’gloriain nobil guerra il reftar morto,!
Non m’elTortar (ti prego) acangiar vo^dia,
•S’aggiunger non vuoi male al mal ch’io Jyrto
Per lei meglio morire amo in tormento
Che per altra mai vi vercontento,
75. Volfe baciar labcilla bocca alHiora
La Dead’ Amor, ma di dolcezza fvenne.
Fu per fcoprirgUil ver fenza dimora,
E d’ abbracciarlo a pena fi contenne.
Volea fpuncarlala^rimecta fora.
Se non ch’ella ne gfi occhi lafoftennc,
Pcrch’Amor con que’detti a poco a poco
Aggiunfe efea ala fiamma, e fiamnoa al fioco.
^ K S*afi:fugi
IL RITORNÒ. '''
76. S’afciugai lumi, "li folle va, e ilice, ^
Ceder convicnti a forzaal Cicl pcrverfo.
Vuolfi goder, mentre fi potè, e lice,
Mà che giova coz2ar col fato averfo?
Qucfiavirgulaquìche la radice
De la linea virai parte a traverfo,
E sud monte di V enerc fi {panda,
Scopre un nemico aflai poflentc, e grande.
77. Eccoti la cngiqn, cfi’clVule afflitto
luor del bel nido a tapinarti molle.
Un rivai forte, un*<iver£aidt> invitto.
Che ci fpinfe a fuggir, credo che folle.
Vedi perla rafeetta a pallb dritto
Due paralelle andar non molto grolle. ^
Sembrai! compagne, & accopiateinbiga
Montano in sù con geminata riga.
78 E da l’Infima parte, ove là rnano.
S’annodaal braccio,conmifuracgualo '
"Verfo II fuperiorditortiezano * , '
L’una c l’altra del pari In alt® fate ,
E tagliai! l’alcrc duepollc insù' 1 piano
Del tondo, eh è trà’lpolfo, c la vitale,
Mà fonoaiich’elle da dlvcr^botte
Tronche per mezo in mdlte parti, erotte.
• * '*
79- Que’ramofcclli poi, che djda vìfa ^
Procedon la, dov’è di Mafr^'il trono, ' ^ . .'j
Si confermano a quelle, eia partita
Voglienpurdinotar, di cui ragiono. # -
Fuor de la patria una furtiva ulcita.
Fughe, & clfilii clprcffl entro vi fono,
, E di paterni beni c di retaggi
Perdi te gravi, e poveri viaggi.
Tacci’ I
i
I
C A N T O D E C I M I N T O
4<J;^Tacer'anconon deg^lo c^l dir^pure,
^elle croci cola picciole, e fpcfle.
Che con mfaufte c tragiche fio-ure
Sulamenravega’io fparfc SchuprelTe,
Non fon fuor che travaorli, e che fcìaanrp
Strani, e dolor fignlficati Iti cfle, ’
E difcgnano un cumulo d’affanni
A punto in sù’l fioiir de più verd’anni.
1517
«I. E per venire ad un parlar diftinto.
Dico, per quanto U mio faver n’actigne,
Che forti in ceppi , & in catene avinto
Sol per cagion di fcmlno malignej
Perche veggio di ftelle un labirinto.
Che la linea del core intorno cigne,
Evcggiola mcnfal, che’n duedifgiunta
Verio l’indice, e’I mezo i rami appunta.
«1. Strega malvagia, anzi ìnfernal Megera,
Perche de gli tuoi molti invaghirti,*^
D’una prigion caliglnofa e nera
Vivo ti fcpclì Cotto gli abirti.
Mà quel penofo carcere non era *
Il cordoglio maggior, che tu fenclrti;
Sol conlagelofia fuor di fperaiiza
T’aftligcadeltuo Sol la lontananza.
83. N è perche con minacce, e con martiri
La federata Incantatrice Infame
Di torcer fi sforzartei cuoi defiri
A fclortcrl primo lor dolce legame,
Nè per offrirti quanto il vulgo ammiri,
B quanto appaghi l’cfìecrabiì fame,
Valfc a far, che volerte unqua il tuo core
fallar la fede, ò magagnar l’amore.
i 5
1^8 IL RITORNO,
84. Nulla dico a macchiar la llmpidezzaì
Cela tua lealtà giamai le vai Ce >
Se non ch'a frodi , & à perfide avczxa, '
Ricorfe ad arti ingannatrici e falfe.
Sotto la fìnta imagine e bellezza
Di colei, che tant’anii, ella t’aflàlfe:
E (c non era ilCiel, che pietà n’hebbe.
Vìnto con armi tali al fin t’havrcbbe,
85. E però che le fielle lui raccolte
Fuor de la linea fon, convien ch’io dicà.
Che rotti! ceppi , e le catene icicvltc
N ufcifti nOn però fenza fatica. r . 1
Ti diè favore , e t’aiutò più volte *
la tua pictofa c fvifcerata amica,
Onde pupi dir per cofa ccrtaever*, ' ’
Che ti diè libertà la prigioniera. . .
^6. Cufici de le malie, che t’havean guafta
L’humana effigie con vclen poflènta
Disfece i groppi, onde t*è poi rimaftat; 1
D’ogn’ inUno penfier fana \a mente.
E tanto haver di ciòdetto mi bafta.
Meglio a te fteffo è noto il rimanente.
E fai per quanti Soli, e quante Lune
Quante incontrafti poi dure fortune.
87. Tutte infc fteflò a rimirarla fìfo
Recofli Adon, da quel parlar commt^.
Tocco da un fovrafalto a l’improvifo
Divenne involto del color delboflb
Mà dal dolce balen d‘unbel forrifo*
Fu ferito in un punto, e fu rifcolTp.
La fpeme sfavillò dentro il timore ,
£ gli fi follevar l’aU del core .
CANTO DE Cimo QJV 1 NTO.-
88. 0 qualche cuti fia, la dottrina
{Prorompe poij sa penetrar ne’petti,
Come Giovane bella, e peregrina
Può di tanto avanzar gli altri- irttcliettl>
Che conCcvramontal lu-ce divina
S’apra la ftrada ai più rlpofti affetti?
Deh non più ti celare Te Donna fei,
Ma già Donna non Cembri a gli occhi miei.
8^. Donna (rifponde ) io Con,cbe quanto chiu£
Nel profondo de l’alma io tipaleli ,
Efcorgoituoi pender Cvelacie nudi.
Stupir non dei-, ciò da’^prim’anni apprefi.
Cotanto ponnoi curiod ftudi.
In cui lungo travaglio, e tempo (pefi.
Quinci il tutto conofco, e viè più affai
So de gli affari tuoi, che tu non fai;
^©. Ma che dirai, fe fia ch’ib ti difcppra . -
pov’hor fi trova il tuo dolce tfiefbro?
E che molto vicih ti pendc fbpra
Fato miglior, & ogni tuo mal riftoro? .
Qual premio hav*rò? già per mercè de l’opra
Gemme non vò, non curo argento ,& orov
Ma che fola una rofa a cogl ier’h abbia
Di quelle, che sìfrcfcc hai ne labbia. ,
$1. Cosi dicendo, il cupido Garzone
Trattiene, e tuttavia la man gli firmge,
A tal dimanda, & a tal’atto Adone
Di Punico vermiglio ilvifo tìnge,
E fa feco tra sè dubbia tenzone,
"L’un penfier lo ritien, l’altro lo fpingc.'
Ciò che la Donna dice, intender brama,
Ne vuol romper la fede a chi tant’ama.
^ I 4 SorrlCc
IL RITORNO,
ji. Sorrifeallhor quella bellezza rara, • "
Volli dir come rofa, ò come ftella.
Ma non ha ftella il chiaro Ciel si chiara»
Nè fó m^i rofa in bel giardin si bella.
Il vcl ch’afconde la fembianza cara.
Si fquarcia intanto , è più non fembra quella.
Scorge Adon di colei, che’l cor gli hà tolto.
Sbendato il lume, e fmafcherato il volco.j
5j, Si come lampo Tuoi ne letempefte '-i
Lacerar de le nubi il fofco velo;
O’comc pur col fiio fplendor celeftc
La lampafereniftiinadi Dclo
Sgombra, & alluma in quelle parti e*n quefte
Le notturne caligini del Cielo i
Così quand’ella u ver gli difcovcrfe,
Tutte de’fuoi penfier le nebbie aperfe. •
94. Sta pur in forfè Adon di quel che vede, «
Il piacer lo confonde, e lo ftupore.
E’n sù’l primo apparir, perche non crede
Un canto ben, che gli prefenta Amore,
A rocchio lufinghier non ben da fede.
Che cerca fpeffo d’adulare al core.
Suol tal volta ingannato il vago fguardo
In ciò ch’altri più brama, efler bugìardó.
95. Mà rinfrancato da quel primo aflalto, -
Poiché conobbe il defaato afpctco
Brillar per gioia confeftivo falco
Sentiffi il core, e fcintillar hel petto
T ucto dentro di foco, e fuor di fmalto
Rapito alfin da traboccante affetto ,
E ftillando per gli occhi allegra vena,
Tele le braccia, c ne le fé catena.
L’in,
CANTO DE:CTM o:<3:yiNTo: le,
j6. L’incatenata, &. Infocati! Oiva
I nodi raddoppiò' Caldi e tVnacl.
Svcgliolli Amor, -che non lonràn dormiva,
E d’Amor li (vegliato anco le £ici.
L'accci’acop'/da in sù la frefca riva
1 vezzi favoria con rriille iSaci.
Gioiva Adone, c de'palVati afifànni
Campo havea ben da rifarcìrei danni. '
^7. De dì perduti, e dal ritorno tardo
Riftora lltem^ entro’lbcl grembo a(Ii(b^
Dolce pria Varie il lampcf^giar del iìilardo
Dolce Drillo il folgorar dei rito.
Ma dolcemente da più dolce dardo
Al facttar del bacio ci giacque ucCifo.
Languianol’alme , e d’egual cólpo tocca
Gravidadidue lingue era ogni bocca.
98. Non fu per man di due maeilri faggi '
Concordia (credo) mai diduo ftromeucl.
Che raddòpplalle con sì bei paflaggl
Diltercnzc di fuoni, e di concenti ,
Come, di vero amor dolci medaggi
Alternavan tra lor Ibfpiriardcnh,
E .u\\ que’baci armonici parlando
Garriano a prova, e difeorrean baciando.
59. O mia dorata, & adorata Dea,
Pria ch’io la gloria tua fcorgefll a pieno.
Giuro a te per te (leda (cglidicea)
Ch’oggi mi palpitava il cor nelfeno.
Però che non gli parve , e non potea
Efler il lume tuo lume terreno.
Un raggio fol , che del mio Sol mi toccW,
Conolciuco è dal cor pria che da gli occhi.
i s Anima
xox
IL RlTORNa,
100. Aliima del mio cor, giunta e pur Hiora»,
e he fi chioda in piacer lungo tormento.
Pegno di rimirarti anzi ch’io inora,
Son pur, la tua mercè, fatto contento. .
De la divinità l’aura,. ch’odora,
E del petto, che bolle, iLfbco Cento.,
So, che’nmoftrarmi il ver fenza menzogna
N on travede lo fguardoj.e’l cor nqn fogna.
101. O fofpiuato in tante afpre procelle , ^
j[&.ifponde aTaltrafe non fperato porto,
Tràle tue brada alfin, che fon pur quelle.
Che bramaì.sì, lo ftanco le^no hò feorto.
A dlfpetto del Cielo, e de le ftclle
Meco hò pur la mia vita, 11 mio conforto,
Hor che quel fiero Thrace ingelofico
jlPio di ferro,;e di fangue) altrove è gito.
10 i. Centro de’miel defir, quella che vedi, .
' E’colci, che t’adora, e più- non fingo.
S’al tuo veder, s’al mio parlar non credi,.
Ecco ti bacio, ecco t’abbraccio e ftringo..
S*altra prova.pìù certa anco ne chiedi.
Che i vezzi, e i nodi, onde t’accolgo, e^ngo,.
Puoi dal mìofleUb cor Caperne il vero,
eh! enti ò i b^ll occhi tuoi Uà prigioniero.
irpj. Così diceano, e i Fauni al mormorio
De baci, chcs ndianbendUontano,
Dal diletto, rapiti, e dal defio , -
Giù da’monti vicin calaro al piano.
Fuoi dclaverdefuafpelonca ufeio ;
li tutor de’confin, padre Silvano,
E di tanca beltà le meraviglie
ÌL mirar , a lodar cblamo le figlie. >
Ninfe
I
canto t)ECÌMO Q.VINTO. loy
ro-4-. Ninfe (tiicc-n). di. quelli ombrofi chiollrU.
Face dolce lonur l'aurc d’intori»),
E con gemma Eritrea ne gli antri voftri
Segnate in bianco il fortunato giorno.
M irate là, di che divini moftri
D’amorofe bellezze è il bofco adorno.
E qui taceah.e poi con balli, e canti
Tutti applaudcano a i duo felici amanti:
loy. Tirato intanto da duo bianchi augellLl '
Stranio carro s’olferlc al partir loro.
Nc di Ciclopi mai lime, ò maitclil
Opra fornir di più fottil lavoro.
I leggi hà di zafiìr capaci e belli ,
E le rote d’argento, e i faggi d’oro:
Avorio c l’òrbe , e ben mailiccl e fodi
Sondiamanrcj e rubili le falce, e i chiodil
xo6. Partono; Auriga Amor lìcde al governo'
^ Sù’lbelfoglio falcato, el’aureomorfo
Pervia fevena, Autumendonte eterno.
Con redine di refe allenta al coffo»
Verib gli alberghi del Giardin maternoi
V à flagellando a i vaghi Cigni il dqrioj)
Aurettaamica con fuoi molli fiati
Seconda ilvolode’canori alaci. I
107. Mà ftimul'aca dadefiriardenci’ ' 'f
D’indugio accula i volator leggieri’
La coppia bella, e leparebbon lenti
De' Rector de la luce anco i dcftricri.
Fà le rote flrìfchìar llcuì e correnti
Lubrico II carror queMivi-.i imperi,
L carro, che nel grembo accoglie e ferra*.
He. bellezze del Cielo, e de là terra.
- . - I ^
104 IL RITORNO, ‘ >
108. In Occidente il Sol già ft calava
sferzando i corridor verfo le ftaOe ,
N<è più dritto sù’l capo 1 ral vibrava ,
Mà per traverfo altrui feria le fpalle^ .»
E già la Notte gelida tornava i
Dagli antri fuor de la Cimeria valle- i
Le campagne del Clel fcrene ebelle
Con negra mano a feminar dì ftellc.
lop. Quando andato a sfogar nel -letto u&to
De Tulata madongli accefi cori.
Che fpirar fi fenda per ogni lato
De Tantiche dolcezze ancor gli odori.
Qiiivi iterando poi lo ftil pailato,
Tornato a i pi imi fcherzi, a i primi amon>
L’un fenza l’altro ad altracura intento
Nè moveà paflb, ne trahea momento
HO. Un di Cotto la loggia, ove Cpvente
Difpenfan l’hore inheme, e le ^ar^le.
Venere, che giamai l*^occhio, ola mente
Non allontana da l’amato Sole,
Vedelo in un penfier profondamente
iramerfo, è più tacer, ch’egli non Gioie >
P ciche l’aniiche N infe afTife al frefeo
Han del bianco mantìl fpogliato il defeo?.-
Ili, Onde per tornii da la mente ogni ombra.
In tal detti ala lingua il nodo ha fciolto.
Adone occhio mio caro, homaideh sgombra
Tutte dal cor le tenebre, e dal volto.
j^I^al gran penfier quella bellezza ingombra
èhe di me fteffa ogni penfier m‘hà tolto?
Per cui non curo il Ciel, nè più mi cale
De la beatitudine inuimitalc.
CANTO DECIMOaVINTO. xaj
iiz. SpreZ2o per te la mia celefte reggia.
Tu fei folo mio Clel, mio Paradilo,
Che s’unaftella nel mio Ciel lampeggia,
. Due più chiare ne gira il tuo bel viio. <
E qualhor ne le roLe , onde rofl'eggia
La purpurea tua guancia, il guardo affìfo>
E come ( oiraè^non rofpirar pofs’io,
Se fcorgo nel tuo volto il fangue raioì .
115. Hor fe la vifta Tolde la tua faccia ;
E d’ogni mio defir berfaglio , e meta,
Raflerenarla homai canto ti piaccia.
Ch’io lapofl’a mirar contenta e lieta.
E perchc’l gioco i rei penfier difcaccia,
E d’ognì anima trilla il duolo acqueta,
iPerdefviar da l’altrc cure il core
V ò ch'infieme giocando inganniam l’hore,
114. Se lieve pila in fmgolar fteccato
Con curva rete in mano ami colpire,
O’ Te di cavo faggio il braccio armato ‘ •
Vuoi globo d’aure gravido ferire , ' ^
Se ftretto infra le pugna il maglio ballato
Batter palla con palla hai pur defire ,
O* Te ti fia gitcando i punti a grado ,
Far le corna guizzar delmobil dado. .
lif. O fc le brevi e figurate carte . . ^ vsi
Volger ti piace , ò che trattar le voglia,.
Findie quattro dìverfe infiemefpartc
Siche rompa l’invito , alcun ne coglia,
O là dove prevai la Torte a l’arte,
Parche l’un dopo*^! trenta il gioco fclogl^'
O’trionfar con quella , cheli lallà.
Nc la coafiiTa agicaca malTa, . ^ v ; . ^
IL RITORH'cyv^ ■
i\6. OTe di crentafei brami in Tei volte -•
Dodici rori>e, & altrctante darne,
E rultirac lafciandoìn monte accolte.
Otto l’un, quattro l'altro indi feambiarne,
E dì quelle ,chc’n man ciafeuno ha tolte.
Scoprir ^unto, e’ 1 nùmero contarne,
O’ riverlar la forte del compagno,-
Facendo de la perdita guadagno. .
117 . Di qual più ti talenta in fomma puoi
Efl'ercitlo otiofo haver piacere.
Ma peròche’n elafe un, qualunque vuoi.
Hanno il cafo.e la fraude ^fai potere,
E perche moftri ne’ fembianti tuoi
Nobile ingegno , e generofo bavere,
UnproporronnCjin cui non habbia alcuna-
Poflanza inganno,© fignoria Fortuna.
h8 In tal guifa però pria fi patteggi , r
Chc’l vinto al vincitore un premio dia,
Onde fi vincerai con quelle leggi.
Pieno arbitrio di me dato ci fia.
Mns’egli avien, che tu non mi pareggi-
si che vengala palma ad cfler mia,
Gom’elTcr tua perdendo huopo mi fora,-
Voglio de le tue voglie clTer Signorai
ji 9. Fermo tràlor con qucft’accordo il patto^
Ecco d’àftuto ingegno , e ptontàmano
Garzon , che fempre fcherzà,e vola ratto^.
Gioco s’appella,& è d Amor germano
Quelli sù l’ampia tavola in un tratto
c ^ A recar venne un tavolieto ellrano,
Ghe di fin’oro hà la corni ce , c‘l refto '
Xutcod’ai^rio, e d’hebeno è conteflb;
Sefiantai
CANTO DECIMOQVINTO. ro^r
ixo. Seflantaquattro cafe in forma qnaata
Inquartare per dritto , e per traverfo
Dilponper otto vie ferie leggiadra,
Et otto ne contien per ciafcun verfo.
Giafcunacafa in ordine lì fquadra-
DI fpatio egual , ma di color diverfo,
Gh’alrciinamente a bianco, c brun diftlnco
QiiaJ terg^o di Dragon , tutto è dipintoi
i;2.i. Scambievolmente al bianco quadro il nePD
Succede, e varia il. campo in ogni parte.
Hor qui potrai , quali inagon/guerriero,
( Difl'ela Dealveder quanto può l’arte ,
Dico di guerra un finmlacro vero r
Et una bellaimagine di Marte ,
Mover’alIalti,e ftratagemi ordire,
E due genti hor combattere,hor fuggirà.
Tzt. Afpettacol sì'dolce'elTer prefente
Alleo il gran Padre mio talhor non fdegna,.
Quando alleggiar la faticofa mente
Vuolde rincarco , onde governa,e regna.
Quello gloco-il Rettor del gran tridente
Cori leNcrei di eflercitar. s’ingegna
Per dar’a Giove alcun piacer,qualhora.
De f’amico Ocean le menfe honora.
JO-y Ciò detto, verfa da bell’urna aurata. i
SiVl. tavoli er di calcoli due fcliicrc ,
Chedi tornitcgemmecffigiata
Mollran l’humana forma in più maniere^,
L’una ctl’altra falange è divifata
t-à di candide infegne , e qui di nere. .
Son di numero pari ,e di polTanza, .
l^iifcrcnddi.oome } edifcmblanza,.
IL RITORNO, r -
1
108
114. Scdecifono, e fedeci , e fi come i
Vario c tra loro il color bianco , e’I brunt^
E varia lian la fembianza , c vario irnome.
Cosiruffìcio ancor non è tucc’^uno.
Havui Regi, e Rcinc , & ha le chiome
Di corona rekl cince ciafeuno.
V’ha Sagittari , e Cavalieri , e Fanti,'
E di gran rocche onulli alti Elefanti, •
115. Ecco fon già gli cficrcici difpofti,
Già ne’ fitifovrani , e già ne gl'imi
Son divifi i quartier , parcitii polii, -
6tan ne l’ultima linea i Rè fublimi,
E quinci, c quindi entrambo a fronte oppolil
La quarta fede ad occupar van primi,
Ma’l canuto Signor , ch*è l’un di loro.
Preme l’ofcura , e tien Teburnea il Moro.
116. La regia fpofa hà ciafeun Re vicina,
Unl’hà dal deliro lato,un l’hà dal manco»
Tien campo a se conforme ogni Rcina,
La fofcail fofeo tien, la bianca ilbianco.'
Nela fila medefimaconfina .
Gemino Arder da queUovC da quel fianco,
la riflà a provocar fen vaimo,
E de la reai coppia in guardia Ranno. .
317. Non lontani a cavallo han duo campioni
In pugna aperta a guerreggiar’ accorti,
R ncl’cRremitàde’duofquadroni
L’Indiche fere gli angoli Fan forti.
Otto contr’otto alfillon di pedoni
In ordinanza poi doppie coorti, ’
Ch’a i primi rifehi dela guerraavanti
Portano i petti intrepidi e coRonti.
Cosi»
CANTO DECIMOQVINTO.
Così, (è con l’Ethiope a far battaglia
X allhor dì Gallia il popolo s’abbatte.
Par che ftormo di Corvi i Cigni affaglia,
V engono al paragon la pece,e’l latte.
Vedefi bun , che di candore ageuadia
De l’Alpi fue natie le nevi intatte.
Porta 1 altro di lor , peròche molto
A l’Aurora è vicin j la Notte involto.
^^oìgcaaCilIenioinquefto tempo! preghi
Ciprigna bella, e con que’ dolci vezzi, .
A cui voglia non è, che non fi pieghi,
Anzi marmo non è,chc non ulpezzi.
Chiede, che’l modoal bell’Adon difpicglu
Di dar re^gola al gioco , c moto ai pezzi.
Eque! fià mille Amor ,chq ftannoatteuti>
Ammaeftrando il va con quelli accenti.
130. Pugnali a corpo a corpo , efìior di lluolo -
<^afi in fteccato , <^nì guerrìer procede,
^ *^*JÌ*^”*'® ^^ce dì Ichiera , ecco ch’a volo
Da Ia*contrarìa ufeir l’altro fi vede.
Ma con legge però , che più d’un folo
M9vcr non polla in una volta il piede.
E van tutti ad un fine, in ilretto loco
Con la prigion del Rè chiudere il gioco* •
13 1. E per cli’egl i più tollo a terra vada,
Tutti cofferro in man s’aprono i palli.
Chidi quà,chi di là. sgombra la llrada.
Pian pian men folta la campagna falli.
Airuccifor , s’avicn ch’alcun ne cada,
Del caduco averfario il loco dalli.
Ma campato il perigHo(cccetto al fante)
Lice indietro a ciafeun ritrai le piante.
ijo IL UlTOlLNa,
jji. Del marciar, del pugnar nel bel cooftitta
Pari in tutti noaè l’arte, e la nornaa.
Varca una cella fol Tempre per dritto
Contro il nemico lapedeftre torma»
Se non che quando alcun ne vicn trafitto
Si ferifcon per lato , e cangian forma»
E ponno nel tentar del primo aflalto
Paflàr duo gradi , e raddoppiare il faltoi •
Può da tergo , c da fronte andar la Torr^
iiiorta a deftra , & a manca il grave incarc®:»
Mafempre per diametro traKorrc,
Nè fa mai per canion torcere il varco.
Sol per fentkro obliquo il corfp feiorre
E dato a quel ,c’hà lc faettc»e l’arco.
Fiancheggiando fi nioVe, c mentre fcocc%
L’un’e l’altro confin del campo tocca.
IJ4, Il Cavallo Icggìer per dritta lifta •
Come gli altri, I arringo unqua non rcnac»
Ma la lizza attraverTa,e fiero in vifta
Curvo in giro , c lunato il folto ftende,
E Tempre nel Taltar due caTe acquifta,
Quelcolore abbandona, cquefto pfendt»
Ma la Donna reai vièpin Tuperba
Ne’ Tuoi liberi error legge non fèrba»
Ijj. Per tutto erra coftel,lunge, c dapreffo» ‘
EpuòdituttìToftener tavice,
Salvo che'n cerchio andar non ì è permcUo,
Saltellar, volteggiar le TidiTdiccj
Privilegio al deftricr Tolo conceffo,
Corvettando aggirarfi altrui non lice.
Nel refto poi, le non ha intoppo al corTo,
Non t|ova ai Tuo vagar meta nè morTo»
Move
CANTO DECIMOQ.V1NTO. ti
: , Move l’armi più cauto il Rè fovrano,
In cui del campo la fperanza è tutta,
Che s’egli prigionier trabocca al piano,
. L’hofte dal canto fuo rimaci diftrutta.
I Quinci per lui ciafcuno arma la mano,
Per. lui s’efpone a perigliofa latta -,
£t egli ipetcator de la contefa
Cinto di guardia tal^non teme ofFefa.
IJ7. Poco intende a ferire , e per l’aperto
In publica tenzon raro contraila.
None quello il fuo fin, ma ben coverto
Dal ’inndie fchermirlì aflm gli balla.
Pur fe contro gli vien Duce inefperto.
Sa ben’ anco trattar la fpada ,, e rhalta*,
Colpi fce c noce.e poiché 1 feggio la^,
Pi^ii d’un quadro iltermine non palla» .
13I. Quelle te leggi lònich’io ti racconto, 1
De^bel certame , c romper lì non demto*.
Ma perchel'ufo lor tifia piu conto ,
Potrai pria dada prova apprender fenno.
Così dic’ègli ,e lo fcacchier,ch’è pronto,.
Si reca innanzi , indi a laDeafò cenno<>
A dirimpetto fuo fa che s*alTida,
£ fiede anch’egli , & a giocar la sfid^
IJ9. Vlenlì a giornata , a movcrli’è primiero
Il bianco lluobche Citherea conduce.
£Ila fofpefa alquanto in sit’l penlìcro
Il pedon de la Donnain campo adduce.
Quel s’avanza duo gradi, c non men fiero
Vn gliene mette a fronte il negro Duce.
Scontranli ambo nel mczo,e deliro , e fcaltro
Studia l’uji con vantaggio opprimer l’altro» .
Quinc^>
CANTO DECIMOQVINTO. uy
*44*^ Tira ilRege indifparte,& indiféfo
L’Elefante mefchino è fpinto a terra.
Mal fiero corrìdor, ch’ai pian l’hàftefo,
Non per canto impunito efce di guerra.
Tenta il rifchio fuggir , ma gli è concefo
djtpic , che’ntorno il ferra.
Uceifo intanto da la Vcrgin forte
Termina il viver filo con bella morte.
Qual Tauro, s’egli avien,chejperdut’habbia
Pugnando un corno , inferocilce, emuggc,
, minuta fabbia
L armi incontra col petto, e non lefugge :
Tal con minor configlio , e maggior rabbia
1 er SI notabil perdita fi llrugge,
Brama di vendicarli , c l’armi nitrici
Irrita Citherea contro i nemici.
14^* Volontaria a Ibaraglio efpone i fiioi.
Nè cura , che più d’un n’efca di vita.
Purché dato le fia di veder poi,
Col proprio mal l’altrui mina unita. ■
L’arguto meflb de’ celefti Heroi
Con miglior Icnnoi filai di fegni aita }
Prevede i colpi j e con ragion matura
De la preda luperboil tutto cura,
147. Tacitovà trà sè volgendo fpeflb . ’
Mortai 'silìcio a la Rcina bianca.
• Già polchc’l deliro ArcieroegUl’hà mclTo
Celacamcnte appo la colia manca,
Malguardato pcdon le ^inge apprelTo,
Poi trahendo un rofpir, fi batte Tanca «
Quali pentito, e con aliutimodi
fiogendocrror, diifimula le frodi.
Tolio
148. Tofto ch’offrir l’occafion fi fcorgc,
Penfa V ener nel crin prender la Sorce>
Corre ingorda a la preda, e non s'accorgCt
Che feopre il fianco a la reai conlbrcc.
Al nemico pedon, ch’olire fi porge,
Va già per dar col Tuo pedon la morte.
Quando dì canto mal pictofo il figlio '
Cenno le fóce , c l’avertì col ciglio. ^ ‘
i45>. Softieneallhot la mano, e’I colpo àrréfta :
La Dea , che’l gran perìglio aperto mira,
E’I pedon,chc pur dianzi ardita c prefta
Cacciava innanzi , a fuo fquadron ritira.
L’Araldo de gli Dei querulo in quella
Di gridi empì c il cheatro , c freme d’ira.
Conquiftata l’Amazone.e delufa
Sua ragie n chiama, e Cltherca fi feufa.
150. Chi nega (dice) al giocator, che nioflà ' »r
La delira errante a trafeurato tratto,
In meglio poi correggerla non poffa, '
Se noi vieta tra noi legge, ne patto ?
Hor che da tanto rifehio io l’hò rlfcolla
Decreto inviolabile fia fatto ,
Qual fia de l’un de’ duo tocco primiero.
Quello a forzane vada,ò bianco,ò nero,
Iji. Quella giullafcntenza a tutti piacque,
E s’apprellaro à rifguardarne il fine.
Il divi n nuntìo affienò l’ira, e tacque
T r afitco il petto di mordaci fpiac. - 1
£ fecreto penfier nel cor gli nacque
Di pugnarcon inganni ,c con rapine,
Vigila a le calunnie , e molto importa
A la madre d’Amor Teffer accorta.
CfANTO DECIMOQ VINTO,
5peflb nel moto le veloci dita
Xrafuga,e fcambia,e non sò come implica,
E duo corpi , e duo colpi in una ufcita
Sofpi^ffc a danneggiar l’hofte nemica.
Già già con man si rapida e fpedita,
Che la può feguitar l'occhio a fatica,
Un faretrato fuo manda a l’aflalto.
E fà che del cavallo imiti il falto.
• balza inmezojc con mentita infegna
Di deftrier contrafatto il palTo (lampa.
Vibra fe ftelTo, e d’atterrar s’ingegna
bianca, a cui vicin s’accampa,
A fpramente (orride, e sì fdegna
Venere allhor , che’n vivo foco avampa.
Ben (ei de furti autor (dille) e maedro.
Ma vuolfincl celargli efler più deftro.
de’ circoftanti a pieno choro
La turba avida de’ paled inganni,
E tutto rimbombò l’atrio fonoro ^
Di man battute , e dibattuti vanni. ,,■
V ergognofo, e confufo al rider loro
Sor(e Mercurio da i doraci fcanni ,
E (ucceder’ Adon volle in fuo loco
A terminar rincominciato gioco.
Di Giove in quedo mezo II mcfl'aggiero, _
E l’alato fanciullo infra lor dui
L’un contro l’altro infìeme accordo fero
D’attraverlarne lapartitaaltrui.
Per lei parteggia il faretrato Arderò,
II celeflte Orator la ticn per lui,
E già vengono cncrambo aduti ii^egnl
Aa ingaggiar de la (commeda i pegni
Vuol
IL RITORNO,
t *■
1^6. Vuol Mercurio ,fc vince, un’aurea rete ' ì
Di filato diamante i nodi intefta, ' ■ '
CW’a far fecurc ognor prede fccretc
Spera , ch’aliai giovar gli deggìaquefta.
Se vince Amor , vuol’il bafton che*n Lethc
Può repente attuf&r la gente delia.
Per poter poi ne le notturne frodi .
Addormencarei vigili cuftodL
XJ7. Movefi il vago Adon con cauto avilb
Provido a l’arrai , c nonie tratta in fallo.
Mentre al fuoRè nel maggior trono aCfifo
Vien per dar cacciali candido Cavallo ,
Un con l’arco l’uccide, c quelli uccifo
Cade per un pedon fenza intervallo,
Quel per un’altro.Eccoogni Arder concorre
Ogni deftrier fi move , & ogni torre.
158. Sorgcla pugna, c fi condenfac mefee
Alternando le voci , e gli accidenti,
Come quando l’Ionio ondeggia,e crefee
Agitato talhor da vari venti
Mà 1* Araazone bianca arrida, & efee
Per mezo l’ali de le negre genti,
E ne l’andar , c nel tornar, mentr’erra.
Un Saglttario,ttn Elefante atterra. '
-Palfa trà l’armi bollili , c fulminante
Fende la mifchia qual faetta,ò lampo; , ,
Relfano addietro, e le fan piazza avantc _
Le fquadrc averle , ognun le cede il campo. .
Ella fidando ne Ic lievi piante ,
Onde può Tempre agevolar lo fcampo.
De penetrali interni a còrfo feiolto
Spia l’occulto, apre il chiufo,c fpianail folto
Emulo
CANTO DECIMOQVINTO. 1(7
La fuTr° appella
La fua Gucrrera il Principe de'ncrì,
ecco a prova infuriata anc ella
1 iecipicoianienteapre i fcntieri.
gioni difptrfi in quella parte , c’n quella
Elefante, e deftrier, 6nti, & arcieri.
Che
^ wn le due magnanime Reinc f
r'-' .f , foi za, & armatura eeuale«
ja già la bianca il calamo pungente
^bra eda tergo Paverfarii alia=.
le I una ne muor , l'altra repente '
1 f ^^*^0 miglior pere di ftralc,
■7 e quindi con mortai caduta
Acquiftataèla fpoglia, e nongoduta..
16 V De le due Donnei vedovi mariti
Cercano allhorcun falvò ambo ritrarfi
Del- gran flagello timidi e fmarriti,
Che gucrriertanci hà dilfipatì e fparfi.
rui non d’ogni dot' forza impoveriti
Pollono ancor difenderli, e guardarli j
Tre pedoni, un’Arciero, e torreggiantc
Hà la bella Ciprigna, un’Elefalite.
i6j. Àltretanti n’hai tu leggiadro Adone,
Tranne la belva, chc’l catlello porta,
Laquai pur dianzi nel fanello agone
Per mand’unfìerSaettatorfÌLi morta i
Tutto il rello involò Pafpra tenzone ,
Tempefta hori'cnda hà l’altia^nte abforta
Meila a vedere , c lagrimofa l^na
r Defolatadi popoli Parena.
Voi. //.
K
«8 IL RITORNO,
i6+. Soli ì àwo capi , e feiiza fpofe a’fianch^
Stanfcnc avolti in dolorolc (pogUe.
Ma pur da rea Fortuna afflitti, e ftaiichl
A i fecondi Hlmeuci piegan le voglie.
Invitta prima il Rcgnator dc’biancni
Le fide ancelle de Tantica moglie
Al confortio reai i ma fi compiace
Provar pria di ciafcunailcore audace,
jé5. Le conforta a varcar gli argini hoftili.
Eie mandar tentar l'ultima meta,
Per veder qual più fplrti habbia virili.
Et fla più franca e generofa Atleta.
Nozze reali a femine fervili ^
Sperar per legge efprefla il doco vieta.
Salvo aquell’una fol, ch’invita e prima
De l’altro limitar tocchi 1^ cima.
166. Trottcan gl’indugi le miniftre elette,
Lapropofta mercè fa piano il guardo.
Ma l’altrea quella pur cedon coftrettc,^
Che tiendeftro corno il terzo grado.
L’alia le piante ambition le mette
Tanto eh’ oltre fen vola, altrui malgrado,
E mal può de la gloria il bel fentiero
IntercUrleil Rettor del popol nero. ;
167. Onde a l’honor, che le nemiche allcttai
Approvaanco le fuc ftlmula c punge,
E la quarta da manca al fegno affreta ,
Ma più tarda d’un pàffo, ancor n’è lungc.
La bianca intanto ad occupar folcita
Il bel thalamo voto ecco pur giunge.
E de l’hercdità, che le perviene ,
Con applaufo de Cuoi lo fccttro ottiene.
CANTO DECIMOQYInTO.
168, Del diadema Rovella Donnaallccrra
Allenta al corfo impetuofa il freno, °
E polTcdendo la campagna integra
X- alr^ mine rifar cifcc a pieno»
Cade trafitta la Guerrera negra
Su’l confin de la meta, un grado meno
Fuggonl’altre reliquie, e’I Rè qonfuf®
Da duro alledio e circondato e chiufo,
l€p. DrMaia il figlio, che vicin gli fiede,
Compatifce d’Adon la doglia intenfa, "
E nov’arti volgendo, ollerva e vede.
Che la Dea de gli Amori ad altro peufa
Perche’ntefa a tentar col piede il piede
De 1 amato Garzon fiotto la menla,
Null’altro cura , e di fie ftefla fiore
Vinfie mifiera il gioco, e perde il core.
170. Il tempo coglie, e ne l’aurato e bello '
Bollolo, ch’a i cadaveri cattivi
De’ vinti iaguerra è carcere, & avello ,
Stende gli ai'tigli taciti, e furtivi.
Un’Arcier bruno , & un deftrier morelle
Ne trag^e, & pugnar gli torna vivi;
Ma percnc gli atti, e ì movimenti fui
Cialcun rifiguarda, adopra il mezo altrui.
171. La fraudead efleguir Galania eflbrta.
Di Venere una Ninfa è così detta,
Nonmen delira di man, d’ingegno accorta.
Che di volto leggiadra, e^iovlnetta.
Quando tuttad'Adon la (quadra è morta,'
I duo frefichi guerrier collei vi getta,
Onde l*un tende l’arco , e l’altro in zuffa
Zappa, riflgHia,mtrifce, c freme, e {buffa.
vK i La
no
ÌL RITORNO,
T71. LabellaDeaflel mirto, c de la rofa.
Clic novo fcorge, e non pcnfato aiiuo
Sovragiunto al nemico, e ftrana cola
Stima, com’liavea vinto, haver perdutOj
Lo IgorJo alzando (lapida e dubbiofa
Sorrider vede il meflaggicro allato, , ^
Ondeiltratto comprelo : Hot- tanto balli
Dice, e’I g' oco con man confonde c guada.
175. E dal loco levata, ov’era alTida,
Spinta da l’ira, che nel petto accoglie,
Corre aGalania, e la pcrcote in'guifa,
Che con quel colpo ogni beltà le toglie.
Ahi quanto è folle, ahi quanto mal s avila
Chi tenta opporli a le divi ne vpgUe.
Fiisì’l capo ala miferapercpllo
Con io (cacchier, che le rimafe adoflo»
j^4. Da Cìtherea con tanta furia, e forza
E’battuta la Ni tifa afflitta, e meda,^
Che’ncurvato, e;cangiato in cava Icorza
Sovra le fpalle il tavolier le reda p
La luce de’begli ocebi allor s’amorza,
Sparifee l’oro de la bionda teda,
La cervice, chc’n se rientra, &efce,
Quafi un mezo'diviii ttà ferpe, e pefcc.
17;. S’accorciail corpo, efinfovralanuca
Ne la macchiata fpoglìa afeofo dalli.
Con quattro piè convien , che li conduca >
Che con gran tardità mutano i palli.
Trasformata di Ninfa in Tai taruca,
Tra fpelonche profonde a celar valli
E’I grave incarco del nativo albergo
Sempre, dovunque và, porta SVfUcrgo
CANTO DECIMOQVINTO. lu
premio degao
{ Uilie la Dea con iracondoarpettc)
Ad irritar de’fommi Dei lo ide<^no
Impara, & a turbar l’altrui diletto.
C^cltuosjpronto, e sìfpeditoinoreffno
Tiu ch’altro hor diverrà tardo & inetto.
Creile man già sì prefte a far’inganm).
Tigre altretanto, e ftupide faranno.
^ f uo V! vo fepoldiro habltatricc ,
In effigie di beftia infieme, e d'angue,]
Animato cadavere infelice,
Senza vifeere vanne, e fenza fangue.
Severa ftella, del tuo fallo ultric?,
Colàtifcorga,ovc fi torpee langue,
Tra granchi, e talpe, c chiocciole, c lumache
In caverne paluftri, e’n valli opache.
X78. Dalpelb,che cagion fó dé’tuoi mali,
In ogni tempo havrai l’horaero oppreffo j
E quando frà lo ftuol dc' -gli animali
Ricercata farai dà Giove iftefio,
Innanzi a’fuoi'divini occhi immortali
A te fola venir non fia COnceflb, -
Sculancfotilcon dir d’elfer rimala
A cufiodlr la tua dipinta cala.
ly^.Voglio di più, che quando aqbel dolce atto
Che da me vien, tiftimula Natura,
Poiche’l fin del defir n’havrà ritratto,
II mafehio più di te non prenda curai
E tu pena all hor del tuo misfatto
Ti rimarraldc l’Aquila paftura,j
Rivolta al CIcl la pancia, al faollafchiena.
Senza poter drizzarti in sù l’arena.
K 3
Onde
Ili
IL
RITOR
NO,
180. Onde malgrado del piacer , che fcnte
D’amorofa factta un cor ferito ,
Temprata la libidine cocente ,
Lafalute antcpofta a l’appetito , -
Sarai coftrettaad cfl'er continente, ^ ^
Tt a fuggir c il tuo crudel marito,
Bei) ch’occulta virtù d’herba efficace
Ti farà pur piacer quel ch’altrui piac^.
181. Così la malediffe,& adirata ^
Ritrafle altrove il piè Ciprigna bella.
Mercurio, che’n Teftudine mutata
Vidc .(iua colpa) la gentil Donzella,
Pietà ne prefe, e d’auree corde armata
Lira canora edificò di quella.
Indi lieto inventor di sì bel fuono^
penne al gran Dio de’verfi altero dono.
i8i. Poichedalgiocofilevò laDea,.J * •
Trà Mercurio, & Amor ^ran lite forfij
Amor, che feco attraverfato havea.
Quando anch’ei de lafràùdé alfin s’accorfè,
^ De la traverCa il pregio à Ititi cliiedea
Con gridi, al cui romor la madre corfe,
Vene/e con Adon tutta fofpefa
Dimanda la cagion di tal contefà.
^8^ Giudice fatta poi de la difputa , ' -
Pria del cieco fanciullo odel’accufa,
C he dice clTer la verga a lui devuta,
E ch’a torto pagar l’altro ricufa.
Ella, che sà de l’altro ogni arte aftuta*
Intender vu ol da lui, come fi fciifa,
E perche nega al figlio il caduceo ,
Che dee. di dii l’hà vinto eder trofeo.
canto DÉCIMOQVINTO.
184. C^and iopur’hor no vi cochiuda (ei difle)
Cli’aneflundi voi duo la palma tocca.
S a mio favor ne le prefenti rifle
La fentenza non vicn di voftra bocca,
Se Giove ìfteffcy>ancor che’n del rudillc.
Non dirà tal querela ingiufta, e fciocca:
Mio farà il danno, e la ragion ch’io porc©,
To coufefl'ar, che fia calunnia, e torco,
j-85. Sciamo pur’ad udire, io vò por mente
f Sorridcndo rifpofell nudo Arderò)
Se co’fofifrai cuoi, ben ch’eloquente,
Saprai darne a vèr bianco per nero.
Da’miei detti (ei foggiunfc) apertamente
Fia conofciuco, e manifefto il vero i
E perch’alerò , che’l ver non v’habbia loco*
Non vò partir de la ra^on del gioco.
18^. Del giocola ragion vuole e richiede.
Et al dever del giocator s^dfpetta.
Ch’altri prenda a giocar quel chepofliede»
E che'l fuo, non l’àltrui nel campo metta.
Qualhoraìl gioco in altro ftil procede,
L’ufanza del giocar non è pcrficta.
Tanto meno à chi gioca è poi concelfo
Giocarfi quel de ràverfario iltello.
187. Convicn , che fia da quello, e da quel cauto
Tra due parti il partito, e’I rìfehio eguale',
Se modo non ha Tun da perder quanto
Perder può l’altro, il fuo giocar non vale,
Nè portar può vincitore il vanto
Quegli, a cui manca un fondamento tale.
Ne vincendo ralhor, pretender debbe
Del perditor quel ch’egli in fe non hebbe.
K 4 Hor
114
IL RI TORNEO,
j88. Hor veggiam, bella Dea , s’a proprio còito
Giocafti, e s’egli è tuo quel c’hai giocato,
E. fe da te sù’l tavoglier fu pofto
Quanto ha coflui giocondo aventurato.
Così del figlio tuo farà più tolto :
Sofpiro ancor per confeguenza il piatoj
Tuftefla in premio efpolta ala tenzone
IPromettcfti perdendo elTerd’ Adone.
189. Et io te ftefla in teftimonro invoco, '
Invoco teco in tcftimonip invocOj
Quante volte dicefri al tuo bel foco. '
Ch’egli a pieno c di te fatto fignore?
Come può fe medefma elporre al gioco
Chi non ha in fc nè liberta, ne core?
Chi non hà (è mede fina in faa balìa ,
Nè colà al mondo, che d’altri non fia?
190. Se tua non fei, ma di coltili ; ch’io dico, ‘
De l’altrui dunque, e non del tuo giocaiU:
^ pollo havendo sii quanto il nemico.
Non ti fi deve quel, che guadagnalti.
Onde fc tu confermi il dono antico 5
Se rivocar non vuoi quel che donaftij
O’fe pur non menti la lingua tua j
E non perde fe ftefib, c tu fei fua.
jpi. Ecco che’nfomma a dichiarar blfogna , -
C h’egli vinto non è, com’ìo ragionoj
O d’inganno accufartii, e di menzogna,
Se fu dafeherzo ,enon dalenno il dono,
Et io (quando ciò fullc) havrel vergogna
D’amar chi mi fcherni, qualunque io fono
Perche non dee leal amante, ch’arda
Di vero amore, amar Donna bugiarda. .
Qucll’ar-'
CANTP DECIMOCLVINTO. X2.f
Quea’.argomento è debile è fallace
Ripiglia Amor J. ne tua ragion difende.
CIÒ fi tacque al principio , e quei che tace >
T^^citamcnte-accopfencir s’incende.
Io fon d’Adonc, & ellèr 4ua mi piace,
Sovra qiicfto tra noi non fi contende.
(Difl'e la Dea) quand’io pur furti fcio,lca,
V orrei farmi .foggetta un’altra volta.
Ma com’è pur tra giocatori ufanza
Quando maucatalhov l’oro, e l’argento ,
Che Tun raltro del fuadanno in preftanza,
E fupplirce.la.fedcal mancamento ,
Se bene in me di me nulla m’avanza,
Di preftarmì in me ftcrtà eì fu contento ,
E’I mio ftato Iprvil, rncntre che tacque,
A giocar fcco habilitarglitacqtie ,
IP4* E’i divin mertb a lei. Non maacan mai »
A^teftio pagator feufe, e parole.
Ma concedeteti vò (come tu’l fai)
LV(b,^che'qgioco.t^)l6Ì44r.fi:fuolè '
J laico il glopo,.^^* qu^ frigio liavra?
Quanto preftato fit,TCJ?der li voi©.
Rendi te rtclìa al moicprtcfe amante, •
E così farai fua, com’eri avante,
J9)- Se valeflc il tuo dir (difle ilfanciullo) *
Cadrebbe anco in Adon fimìl difetto.
Anch egli alci donorti, pur traftullo
Di non erter più Tuo talvolta ha detto,
Dunque (replicò quegli) il gioco è nullo.
Mancando la cagion, manca l’eifetto.
Altri quel che non ha, giocar non potè,
Nc fi gioca giamai con le fue man vote.
,K s Aprendo
IL RITORNO,'
3^6. Aprendo allhora U beirAdon le labbia
pide rivolto al nuntio de gli Dei;
' A che gurrir tra voi con tanta rabbia?
Non boggi è il primo dì, ch’io mi perdei.
Perduto lo io,ma quando ancor vint’habbia
10 la vittoria mia cedo a coftei.,
P’un tal perder mi glorio, e non m’attrifto,,
Che la perdita mia può ditfv acquiito,
3<)7.Hor facciam (dilTe Amor) che vanno in tut-
iufl'e il gioco tra 1 or, come tu vuoi [to.
Vano nonfia però, ne fenza frutto
11 gioco, che di fuor fegui noi.
Di fuor giocammo, Scbàciafcuno adductoh
Un pegno proprio de gli arnefi fuoL
11 iioftro c noftro, e qui nò tu, nè io>
Dir palham,, c.hip fia tuo, che tu fia miov.
158. E l’altro, E’forza, poiché inffeme vanno,.
Se ceda il principal,che’l minor ceffii
Ha vinto Adon , feben con qualche inganno.
Onde dir non fi può, ch’io non vincefli.
S’altri v’hebbe.la colpa, habbiane il danno..
La rete è mia, tai furoì patti efprenì,
Sempre il vincer èbel,femprefi loda,.
O per forte fi vinca, ò ver per froda..
Mentre una coppia in guìfa tal contraila
L’altra per accordarla s’aflàtiga
Prega quel , pre^a quella, e pur non bada.
Ad acquetar la mnciullefca briga.
Se la racconcia l’un, l’altra la guada, .
Tanta è la (Uzza, che di par gl’inftiga.
Perche laqueftlon nonvadainnanzi,
Ycner lofdegno oblia, ch’ebbe pur dianzi.
A Mcr.'»-
C'AN'TO DECIM OQy I N T O. 117
zoo. A Mercurio dicea, Tu cerchi in vano
La rete haver, che per mìo mal fti fatta.
Se l’arte non apprendi di Vulcano,
O’non t’infegna Amor, come s’adafta.
^ Non vaglion rarml Tue fuor di fua mano,.
Forza alcuna non han, s’ei non le tratta ,
Senza ivi (crcdiamej ti giova poco
Quando ancor’habbi eia Uretra, e’I foco.
SOI. Dicea pofcia al figlivol : f iglìvol pervcrfo*-
Che vuoi tu far di cjuella ìnutil veroa?
La brami forfè. acciochc’I mondo alperfo
Di dolce oblio, nel fonno fi fommer^^a ì
Qnafi in-monal lethargo ognor fommerfo»
Per te non, fenp ch’oblio l’afpcrga,
Soverchio è ciò, fc ponno i tuoi fiu'ori
Qualhor ri piace, inebriare i cori.
toi~ Travagliò molto con accorri accenti. '
Citherea per compórre ambe le parti ,
Fin ch’ai fin fi placar fdegni ardenti ,
E ì tumulti celfaro intorno fpartL
Con tal converfionì rcftan contenti
Lo Dio de l’aime, e l’Invcntor de l’iirM ■
Che U verga, e la rete, c cjuegli , e c|U(:lìi
Qualvolta huoponc fia,l’un l’altroprcftL
WJ. Venne, poiché alquanto Hebbedepofta.
L’ira, ch’ai bell’Adon pofe fpavento.
Ino iu follinga parte, e più riporta
V olra à l’autor del fuo dolce tormento ,
De la condition tra noi proporta
Debiirice (gU diffé) a te mi fento.
Se ben’a tòrto hò mia ragion perduta,
T’è pur del gioco la mercè devuta^
^ i Per
1
ti8 IL RITORNO, 4; A3.
Ì04. Per lo paflag;g,io poide la ver^ara .! ^
Con parlar più di'ftinto ella glidìce.
<■4
Cara parte dei cor, cara mia- cura,
Dolce d’og'ftì mioben irbnte, e radice.
Se ben b bella, e dehata arlura , t-
C he mi Ctrugge per te, mi fa felice,
■■oh
C^op.r.enra non tarò, ch’io non ti veggia
N el natio regno, e ne la patria reggia
• *')
x05 . La regia amica del Ciprigno {lato
■db
ì
Vera ancor lerbab reai luarede. ■
Al cui donìinio il mio Tiranno amaro
f C hi h da c|uefti, io noi dirò) fuccedO;
» :
Comedi quella originato, c nato ' r •
ip ,
Per genitore, c genitrice herede. t_ -4.
Hor’a la lignoria, ch‘a t e s’alpetta.
Piacciati conlentir, ch’io ti rimetta.
to6. Senza capo, e fignor, che’l freni e regga.
Erra. & inciampa il popolo contulo.
Qual greggia, a cui s’avien,che-non provegga.
Paftor licentrola elee del chiulo, ■
Per sì fatta cagion, che Rè s’c legga 1
«
Il Senato di Cipro, hàgiàconchiufo.
E di chi deggia al loglio elier allume
ì
Dimane il tempo t Itabilico a punto.
ioy. Poi che’l tuo nobil ceppo andò fotterra
Senza fucceffi'on di germe alcuna
Nacque lite nel regno, e forie guerra ,
Che d*aiurparIo pretendea più d’uuo
Chi di qua, chi di là l’orfana terra . • *
Diedi con l’armi ad occupar ciafctmot ^
E ciafcuno arpirando al (ommo feggIo>
Contcadeaalràieite/U il bel maneggio.
CATsTTO DECiMOQyiNTO.
2:0^ Ma per fuggir le fanguinof^
Hcbbero al Tempio mio ricorfo allhora
^ove 5 Poich’epuryer(mracol dille)
C h c 1 pui bel Nume il bel paefe adora!
Se si importante election feguiae
In Tuggetto non bel,giufto non fora.
Eleggete li pm bello. E qui concordi
Quecaro m un parer l’ire difeordi.
^09 . poi qual per beltà fufle il più de<rn(>.
Perche gran difparer venne frà tutti, ^
E chiedeano da mepur qualche fegno
brutti,
Da 1 Oracolo rfleflo a por del reo-no
Ea corona in miaman furono inftruttù
Colui, che di mia map potrà levarla,
Dee poi, come più belio anco portarla^
no. lo nlpoficosì vcggfendoque^a
La miglior via , che rltro^var fi po/Ta
Per far che fola all hor fia la tua tefta
A. lacorona vedova promefla}
La qual nel dlde la lolennefefta
Per altra man di man non mi fia fcolTa, '
Che per atua , che fe mitolfc l'alma.
Ben le li dee d’ogni altro honor la palma,
in. Hor tutti vnirì ia aflèmblealì fono ■ . ..
^eì,che’l fovrano arbitrio hanno in balia
Per cflàltar colui folo al gran trono,
. Che’l più bello da lor filmato fia.
Publicato badi ciò la Fama e’I fucmo>
Già di Perfia vi cragge , e di Soria
G\ov<enrù concorrente, fide l’editto
Ilmattiao che fegue , c^di;pr elbritto. '
Dimani
Ì30 IL RItORNO, ^
zìi. Diman sii’l primo aIlhor,toftocchc fpunta;
Vivo Sol di quell’ occhi , il Sol novello,
Vò che tu tene vada in Araathunta,
Dove s’aduna l’elettor drapprello
Abbagliata , e confufa a la tua giunta- -
Cederà la beltà d’ogni altro bello.
In quella guifa pur , che ceder fuole.
Lol'plendor de le llelle a l rai del Sole..
*15. Soletto là lenza corteggio intorno-
Te n’andrai piend’una Iprezzata afprezza.
Altri conduca eiitro’l reai foggiorno
Pompa di fervi , e d’habitì ricchezza;
Vattene tu, non d’àkri fregi adorno, '
Che di tua propria , e naturai bellezza.
Che rozezza , incultura , ò povertatc
Non lì trova giamai , dov’è beltatc.
ai4. Anch’io ( non ti turbar ) celefte guida'-
Teco verrone , c compagnia divina
Per tutto , c femprevfficiofa , e fida
© tu vada , ò tu liia > m’havrai vicina..
Non penfar , ch’io da te mai mi divida,
Voglìmi cacGÌatrice,ò peregrina:
Che fe ben ne languifco , e ne fofpiro,
Diletta a par di te cofanon miro»
ài/. De l’impero paterno il bel póflèflo,' ■ ^ '
Ch’a te perviene , edi ragionndevc.
Senza contrailo alcun ti fia concelfo.
Così prometto , e vò che’l veggìa in brev^.
llraiofàvor , che ti fiafempre appreflbi
Ogn’intoppo farà felice e lieve, ‘
SI che farai ben fucceflbr del régno’
Eiconofciuto'ad infalUbil feeno.
• E
CANTO DECIMOQVINTa. 131
zi6^ E fin ckes’aprala prigione ofcura.
Che tra’ fuoi ceppi l’anima incatena^
Onde volando fiior renda a Natura
La fpoglia corrottibile terrena,
Vivrai più ch’altro Rè , lieta c fecura
Nel bel reame tuo vita fcrena
Poi le cofe non natea durar Tempre
Nohtiraeravigllar, fe cangian tempre;
zij. Stagion verrà, ch’ai Greci Rè fia tolto»
Quello terrei! da’ Tolomeid’Egittoj
Ma loro il ricorra non dapoi molto
De la Donna del Tebro il bracclo ìnvitro
£ ben eh’ Antonio in dolci nodi involto,
Edillrale amorofo il cor trafitto,
A Cleopatra Tua fia che’l conceda.
Tornerà quindi a poco a Roma in preda-
ti8. Ma quando poi la monarchia cadente
Tramonterà del gran valor Ladnoj
Sotto il prdidio loro in Oriente
L’havrannoiiucceflbr di Goftantinoj
In fin ohe d’armi , e di guerrier poffentc
Con numcrofoeflèrcito marino
Ad'efpugnarne venga il bel paefe
lldifgiunto<lal mondo oliremo Inglcfei
Nè d’anni correrà lungo intervalloj
Che l’acquifto occupato , c pofl'eduto
Da Riccardo il Brit tanno a Guido il Gallo*
Per un titol reai farà ceduto
Con quiete maggior quelli terrallo,
E cosi fia da’ Tuoi Tempre tenuto
Pinche’I crudo german l’armi non(lringa>
E del làngue frac erno U ferro tinga.
. IL RITORNO,
A31
110. Ma punito dal del quefto fpiccacot
Darà le pene del malvagio eccc0b.
Quando no vendo Uluo navico arntiato
L’havrà Liguria in fiera pugna opprcff b,.. ^
OndefaràdelvincitorSe^ta» - . '
Prigionier prima,e tributario appf<dlb> .
Fatto a la pompa del irionÉp hoftUc,
Milerabil trofeo ,fpoglia fervile, . ' . .
111. Veggioquafirufcel.di qUeftofbntc
Sorger d’vn figlio ancor .prole novella,
C he da la terra de Ippio bifronte,
Dove nato farà > Giano s’appella. .
Quelli condebil forze , e voglie pronte
Tenta opporfi al furor delfier Melchella.
Ma poichp vinto r^epr^fo altro, non potè,
Conoroalfinla*libertài;ifcote. *
111. Ecco pofcia Giovanni in maritag^o
Ad Helena la bella io veggio v.qito,; • . r,
Helena nata del rcallegnaggkbol* ^ ■
Chc’n Bizantifl.lo fc^ptroilii.lJa^U§Qi ,
Ecco Ciarlottafiia,cbefa.panàg^Gl'
A nove nozze , & a.miglvor marito.
Poiché la Parcajl primo pedo allenta.
Di Lodovico II Zio %qfpdiv6ata.
Z15. E Lodovico con-guerrìeramano '
Ne fcacciafijpr l’ vfurpator ballar do,
Loqual poi dal poter del gran Snidano
Quafi riforto Anteo , fatto gagliardo, f
Tornando al nido , onde fuggi lontano.
Fuga , rompe, feonfige il Savoiardo,
E’I regno intero aracquiftar ne viene,
Ch'ai dominio LigulUco s’atticuG,
Canto DEciMOQviNTO.
^^4- Per confernjarfi con più ftabil forte ■
Lofeettro in mano , e la corona in tefta,
D’Adria prende coftui nobil conforte.
Ma non molto però gode dì- qn^a.
HI la , del giogo'fuó fciolta-pcr morte ‘
Vedova infieme j e gravida ne retta
E partorifoe intempeftivo pegno ,
Ond’a V enccia poi ricade il regno.
xtj. C911 ftragc-alfin,cui nònfia pari alcuna^ -
Lo (pietato Ottomano a forza il prende*
V edi quanto alternar fotto la Luna,
Cosi loftato-buinan varia vicende.
Solo per te non girerà Fortuna,
Fortuna5ch*aItrui dona, e toglie, c rende
Ch'i^or,con l’aureo ftral,per farla immotà?
Inchioderà la fuavolubil rota.
12.6. RirpondeAdonc,efifeIntantoticnc
In lei le luci aflfettuofe e pie.
G Dea gloria immortai de le mie pene, ,
E pena eterna de le glorie mie,
tal da ma beltà mi viene t
Che non cerco regnar per altre vie.
Fortunato , è pur troppo il mio penderò, .
Che di tanta ricchezza è theforiero.
it?‘ Più non prefomo.i miei dedr dedo . ..
D’altrui dgnoreggiar non dgnoreggia.
Ambition non nutre il petto mio ,
Si che per grado infuperbir ne deggia,
Finch* eflali lo fpirito , voglio ,
Che fòlo il grembo tuo da la miareggia*
Se’l regnodi quel conche mi donafti,
C onier vato mi da , tanto mi batti.
ij4 IL RITORNO,
iz8. Altri con l’armi pur feguendo vada
Schiere nemiche , e pace unquanon haggia«
A me l’arco , e lo fti al più che la fpada
Giova , e moftri cacciar di pias;gia in
Più che la reggia il bofco,e piu m’aggrada
C he l’ombrella reai, l’ombra felvaggia.
Se vuoi.fervi,c vafl’alli, ecco qui tante
Suddite fere, e tributarie piante.
Per quella vita { e credimi)ti giuro
Nulla mi caldi porpore, òthefori.
Satio delpoco mio , fprezzo,^ non curo
L’oro adorato , e gl’indorati nonori.
Nè vò fol che dite vìvafecuro,
Altre genimc più fine , altr’oftri,altr’ori
Di quegli ori,e quegl’oftri , e que’ rubim.
Onde ingemmi le labra, indori i crini.
150. E’bellosifnonpup negarfiinvercO .
De Timpero , e del regno il nome,eT pregio:
Ma l’incarco del regno , c del’lmpicro
L’honor ragguaglia imperiali i-Crte^io,
Tra catene gemmate è prigioniero-
Chi di fcettrojC diadema hà pompa, c fregio.
Oiogo che dolce in vifl:a,afpro , e protervo
Rende ilfuo poflèflbr publico fervo.
zji. Quell’ altezza reai, quel feggio augufto
Di molle feta, e di pij^pureo panno,
Chc’n magion ricca, e fpatiofa ingiufto
Preme fovente > c tumido Tiranno. -,
E’ dipiùrifehi e più flagelli onufto,.
Che di povero tetto ignudo feanno ,
E quel ch’a gli occhi altrui par fommo bene,
E’ rinfeKcita di chi l’octicne,
Pungow
CANTO DECIMOQVINTO.
ija » Pungono il dubbio Cor di chi governa
Di perpetuo timor fpinofe curei
E benché rida lla|marenza efterna,
N on fon le gioie me fincere , e pure.
Pafla i di chiari in ùn’angofcia eterna,
Vegghia in lunghi penfier le notti ofcurc>
Sempre tra piume molli, e menfe liete
O’ la fame gli è rotta , ò la quiete.
a.3 3. Falfe relation, dubbi configli, ^
Infidie occulte , immodferate fpele.
Di popoli incollanti ire,e fcompigll,
Di domeftici fervi odij , & ofFeie,
Rifarcir danni,riparar perigli, '•
Contrattar paci , efl'er citar contefe.
Quelli fon d’ogni Principe fublimc
Gli acuti tarli,e le mordaci lime.
*34* Quanto s’inalza più, più d’alto Icende
La fortunade^randi a la caduta;
E regnà^tidò talhora anco fi prende
In tazzàA‘6rmortìferacicura.
L’anima miia, cui miglior brama accende,
Sorbir altro velen filegna e rifiuta
Di quel dolce, e vital , che fenza inganno
I tuoi lumi innocenti a ber ini danno.
Quant’or tra le lucenti, e Wonde arene
Volge* in India , inHiberiail Ganga, il Taga„
Quanto n’accoglie Scithia entro le vene,
Quanto Mida ne fé cupido e vago,
Non mi torrà di braccio unqua al mio bene,
Sidi modello haver l’animo appago.
Rapir non mi potrà tanto theloro
Giamai fame d’honor , nè féte d’oro.
IL f^ITORT^O,
Z}6. Pur voler mi convien ciò ’ch’a te piace *
Moderatrice d’ogni mioj>eiiiìero
Guardimi il Ciel , ch’io di difdirci auidace
Ti ne»hi nel mio cor Ubero impero.
Così ravellaje la ribacia , « tace
Il fanciul Infingano , e lufinghiero,
E s’apparecchia in sii la prima vfcita
Del mattutino raggio a la partita. ^ • '
*37. Fornito intanto il fuocaminritonido, •' s
Febo nel mar d’Hefperiail carro imracrlc.
Sorfe fofca laNdtte , e’I pigro mondo
Sotto l’ali pacifiche coverre.
Chiufefonno tranquillo, oblio profondo
MiU’qcchi interra, c mille in Ciel n'apcrlè^
Forfè fur di que’ duo le luci belle.
Che fpcnto il Sole , illuminar le ftellc.
li Fin? Dsl Decimo qjv x n t o
f r
Ca H T O
ri -
^57
A CORONA
ANTO PECTmOSESTO.
ARGO MENTO.
ELLA, dcfcrlttlone del Tempio
di Venere fi ombreggiano di«
verfiefFettìd’ Amore , Nelle due*
^ G> porte principali , l’una d‘oro f
fiorita , l’alcra di ferro fpinola,
fi dimoftra il Tuo inconiincla-
dilettevole col fine doiorofo. Così
*^^lÀ*alcre particolarità di eflb Tempio fidifeo-
P^<^xio parirnente P altre coriditioni della fua
^^tora. Nella elettione d’Adone aflunto al
fi allude all’antico coftume de’ popoli
^^ *rlìani , i quali non folevano accettare Rè,
~ di bella prefenza non fufle, perche dai fem-
^*ati del corpo argomentavano le qualità
1 l'animo. Nella inalitia di Barrino , che ru-
la Corona ad Adone, s’ingegna di preoc-
piargli il Regno fi difegna il vero ritratto
^^Xlafiraude ,la qual cerca di prevalere al me-
^ KD, ma alla fine ne riefee con danno , & con in-
Nella infolenza di Luciferno , faettato &
^^cifoda Cupidine per voler contravenire alla
^ XTpofitione dell’Oracolo fi manifcfta quanto ia
^ centi l’humana audacia di refiftere alla
Sx ^Ina volontà , a cui opponendofi , ne viene
Azeramente punita. Nella difEbrmita di Tri-
nc Cinofalo , nano , zoppo , & contrafàtto,
qual trasformato da gl incanti di Falfirena,
viene
cl^
t>x
z$Ì
viene in apparenza di bello a concorrere con
gli altri all’acqulfto della Corona , ma difeo*
verro poi per opera di Venere, ne riceve ver-
gogna & ludibrio , fi figurano le brutture de’
viti] , & de coftumi bcftlali , nafeofte dalla ù-
mulatione fiotto velo di bontà , le quali però
non fanno , che gli ficelerati non vogliano tal-
hora ambire le dignità , & afipirare a gli hono-
ris maconoficiuti ( mercè dei lume della verità)
per quel che fiono, non fiono le piti voltene ri-
mangono eficlufi \ ma ne fono fickermei dal
mondo.
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ARGOMENTO. ‘
1 gratiojì , e nobili T>on":(eUi
incorre alpO’Vagon di'verfofluolo
M.O, merck del et lyl'va , Adone ^ folo
’Ejfitltett» et lo jeettro injret ipik belli.
— "ELLE Z. 21 A jè luce, che dal fommo Sola
V-i Difcendc à rifehiarar career terreno,
-J-J E*u vari raggi compartir fi fucrte,
dove più lampeggia , cdove meno.
<Z^anc’hanno di leggiadro attl,ò parole ,
"Tratto è mercè delTuo fplendor fereno,
dhe conforme a quel bel ,ch’entro fi coprc^
le fembianze efteriori , e l’opre.
Gemma così , che di natie fiammelle
Sfavilla , e di color vago s’Inoftra ,
Celain fue penaprc ancor lucide c belle
Virtù corrifpondente a quel che moftra-
Q^uantunqu-C il Sol jlaLama,claltreftclIe.
Si^ chiari oggetti de la vifta noftra,
Fanno a gli occhi però vlfibil fede
D’altro lume maggior, che non fi vede.
. La corporea beltà chiaro argomento ^
Suoldar di non men bella alma gcn^Ic, ‘ “
Per cento inditi i dinotando c cento
Dì nafeondere in sè forma fimilc.
E quafi velo dilicato , dento,
O’ qual chriftallo limpido, e fottllc, ’ '
Fà traluccrdi fuor gl'interni lumi
De figtiorili , c canmdi coftuxiù;
" Bfi
i4o la corona,
4. E fi come le ricche , e nobil’arciie,
.E levaflcllad’alahaftrojed’oro . '
Non di maceria YÌl fi cengon carchc, --
Ma di cofe pregiare , e di theforo , .
E gemmati monili , & auree marche,
Balfami , & ambre (ol ferbanfi in loro:
Così fotto bei' membri , e belle forme
Chiuder non fi fuol mai fpirto difforme-.
5. E come i rozi afFumigatitecti, j
E le cafe felvagge , & impagliare {
Non fon da Regi per albergo eletti,
Avezzi ad habicar logge dorate: . . / .
Ma fon villani e r uftici ricetti . * . -
pibafic genti ignobilmente nate, .a
Cosìnelnidod’vnafpogliaofcura . t
Rade volte foggiorna anima pura.
6. Deh qual fi può fra gli ordini mortali
Bifeordanza veder , che men convegna.
Che man regger talhor verghe reali,
D’aratro ancor, non che di feettro indegna?
Et horribili Arpie , Sfingi infernali
Coronar del diadema , onde fi regna,
E Tozze fere , e contrafatti moftri ,
Che fifeòpron poi tali a danninoftri?
7. Fa ben faggio configlio, e fanoavifo
Quando fìiin Cipro il novo Rege eletto
A non voler nel regio trono affilo
Huom di laido fembiante , c rozo afpctt©.
Ma chi pei^ratia , e nobiltà di vifo
A sè trahefle il popolare affetto,
Si come già de ramorpfapca ^
- VOracoloimjpa^rai aecifb havcal *•
L’editto
4
CANTÒ DEÒIMO.SESTO.; 141
S. L’editto intanto de la Dea di Gnido
In ogni angolo eftremo il mondo intefe,
E poi de la Fama il chìaro^rido
Di volgandol per tut to, il fò palelc.
Mi ll’alme in quefto e’n quel remoto lido
Vano delio d’ambitione accefe ;
Nè dal contorno fol l’Arabo, e’I Siro,
confin più ripofti il fuon n’udiro.
Le vicine contrade', c le lontane
L’odon dal Tanai al Nil, dal Gange al Betì
• Region, nation non vi rimane
Perquanto^e fcalda Apollo, e bagna Theti. ,
Carchi di turbe già Barbare e ftranc
Battoli le penne i volatori abeti.
Homai di Cipro è ricovcrca, e piena
Di navi, e pàdiglion l’onda, c l’arena
10. Può tutta in breve l’Ifola vederli i z'
Ripopolata diftranierc genti,
La mifturadc gli habitidiverlì,
E la confulìon de’ vari accenti
Da i Mori i Tliraci, e da gl’Iberi i Perii
Moftran quanto! coftumi handifFerentI,
Ingombran mille lingue, c mille affetti 1
Di voci Paure, c di pcnlierii petti.
11. Mentre a quefto concorfo ondeggia il regno
E la Corte ne va tutta folTopra,
Chi ne la propria tenda, e chi sù’l legno
Ciafeun fuo ftudio in abbellirli adopra,
E con vari argomenti ufa l’ingegno,
Per far che 1’ ogni difetto copra,
E U leraurce fcrmadi N atura ^
, Con l’iwiiu a xiatar icaltro procura.
< ytH, ìL h Coisie
LA CORONA,
II. Come s’entrar talhor cauto Guerriera
Deve a pugnar ne la (barrata piazza,
Terge il fin’elmo, impiuma il bel cimiero,
Guarda fé ben chiodata è la corazza i
Prova lo feudo, vifita il deftriero,
L’haftato ferro, e la ferrata mazza , ^
La punta al brando aguzza, il taglio arrota,
E le tempre del ferro olferva e nota»
jy Cosi quivi d’Amor piu d’un Campienc ^
Sfidato quali a militar paleftra,
Pria che s’efponga al perigliofo agone , .
Se llcllb a i colpi eflercitando addeltra.
La diligenzai gefti fuoi compone ,
La baldanza il configlia, e l’aramaeftra ;
Beltà, ch’à tanta imprefa il move c tira.
L’armi gli apprefta, ond’a vittoria afpira,
A
J4« Chi nodi accrefceal crin, colori al volto.
Chi da legge a lo fguardo, c moto al piede.
Chi gratia aggiu^e agli atti,e’n s’è raccolto
Ogni lor parte eliamina. e rivede.
E del tutto librando il poco e’I molto.
Ciò che manca corregge , e ciò ch’eccede?
E quanto c d’huopoiad emendare il fallo
Inlegna altrui l’adulator criftallo.
i;. O vanità mortai, gloria de’folll,
Che ti compiaci d’unsìfragil velo ,
Ond’è, che tanto il cieco orgoglio eftolli.
Neve al Sol, piumaal vento, e fiero al gel6|
Tu d’infana fuperbiae ebri efatolli
Scacclafti i più begli Angeli dal Cielo,
Per te nebbia de l’almc ofeura c ria
La creatura il Creatore oblia.
Povei^
CANTO DECIMOSESTO, i4|
f^. Poveri fpecchi, s’intelletco haveftc
V oi, che di tanto mal miniftri fiete «
Che pria vi fabrìcò maledirefte >
Schivi horaai di veder ciò che vedete
Come il contagio, oimè di quella pelle 4
Di cui talhor Tìmprelfion prendete ,
Del voftrobel candor macchiato c tetro
Non corrompe laluce, cromptil vetro!
tj. Parlo a voi, di voi ftelTì innamorati, ^
O novell’ Luciferi, c Narcifi ,
Tanto dal proprio amore effeminati.
Che non pur de le Donne atti, e forrili,
Mà v’havetc anco homai tutti ufurpati
Gli ornamenti de gli hablii, e de’ ' ili.
Curando più che trattar fpade, ò lance.
Nutrirle chiome, e cultivar leguan:e.
tS. E parlo ò Donne a voi, che tanta cura
Ponete in llemprar gomme , in ftillar’acquc
Per cancellarla naturai figura,
Ch’a reterno Pittor diformar piacquei
Vera beltà fi lava inonda pura.
Quella imagin ritien, che feco nacque.
Ogni lifeio dUprezza, e’ncura, e fchierra
Quanto s’adorna men, vie più diletta.j
l;p. Mà ben di cotal’opra affai foventc r
Come voftraefraude, è voftro il danno,
Poich’al fin quel velen forte e nocentc
Rodendo la beltà, feopre l’inganno,
Ond’alcun, che per vai ne Ialina fentc,
O’forfe fentiria pena & affanno,
Mà tofeo tal contaminare e guafle
Non Vlià per belle , e noiikvi tien percafte.
j; & Penlàtd
144
• >
LA CORONA,
IO. Pcnfate forfè voi queft’arLi ìnduftl’i
Tener (dehftolte) adocchio accorto afeofè
Ben clafcun vede in quelle chiome illuftri
Qual fofiftico il zolfo oro compofei
Da qual giardino il volto hebbe iliguftri»
E colfe a prezzo le mentite rofei
E qual pennel d’adultero cinnabro ■
Penò lung’hora a colorirvi il labro. ' '*■
Tentan coftor con artifici infiniti
' Di tefier velo a le bellezze vere. '
Perche l’arbitrio altrui, còsi dipinti.
Sperano a lor favor meglio ottenere.
Con quelle cure a la gran prova accinti
Van lufingando le fperanze altere, *
E contanl'hore in afpcttar di quella
Sacra folen nità l’ Albariovella. .
Zt- Et ecco fuor de la {Iellata reggia
Ne vien del Sol l’ambafciadi ice, è figlia,
I E nel paterno fpecchio fi vagheggia.
I Tutta di minio Orientai vermiglia
Già de la N otte , mentre il dì lampeggia , .
Fugge la pigra, e pallida famiglia i
■' Dela notte, che vinta dagli arbori
j Piagne, e dal pianto fuo ridono i fiori. '
aj. Sorge nel mezo a la rcal cittate
Tempio, cui non ereflc Efefo eguale. '
Ha di terfi diafpri edificate ' ' '
Le valle foglie, e le fuperbe fcalc.
Lallre di fmalto, c tegole dorate ' ^ '
V ellono il tetto di ricchezza talè ,
Che vibra lampi, e folgora fpleridori
De la luce del Sole zinicàcori f
.v;tò
■w
r.4>ITO C I M OSE STO.
tv NVaàue^otte maeftrej a l’altrui piede
\l\iwaV cattata, e l’altra apre rufcica.
L’uuadi lucid’ or , 1 ’altra fi vede
D’uu^mofo eil ferro rcolpita.
QueDalaftradaal per egrin concede
Di rofa, c lofmarin tutta fiorita.
Qu'-fta lappole, e dumi intorno aduna ,
E difpine, e d’ortiche il varco impruna.
1/. le vetrlate di chriftallo alpino ^
Moftrano colorite a i rai celefti
D’Indico azurro, e di vermiglio fino
De*Guerricrid’Amor le vite,ei gefti.
Di Cimitero in vece, hauvi un Giardino
Nondiciprefli tragici e funeftì,
Màdibei mirti, in cui canta Thalla,
Nè-Ventra mai la flebile Elegia-
x6. Le fquillc, il cui romor quivi rimbomba,
Son cetre, & arpe, e cennamelle, e lire.
Con fiion poflènte a trarre altrui di tomba,
E sì dolce piacevole ad udire,
Ch’a qual Guerrier più franco odiar la trom-
Farcbbe, c depor l’armi, e cader Tire , (ba
Elafciandodi Marce i piacer fcarfi,
Del Delubro d* Amor miulttro farli.
17. Il campami, fublime e noWI’opra, .
Forma un leggiadro ottangolo perfetto
Et otto colonnette hauvi difopra ,
Che di lazulo fon forbito e netto j
B fà, ch’un gran turribulo ricopra
L’ultima cima ovefinifee il tetto,
E gli otto fpatii voti hand’alabaftri
Statue fcolpltc da famofi madri.
L i
IPor-
14« LA CORONA,
x8. I Portici d’intorno , e l’Attio , e’I ChoiQ
Son colonnati al l’ufo di Corinto.
De le colonne, e d’ogni ferie loro
L’ordine a fila a fila è ben diftinto.
Di mifchlo il butto, & ha di bronzo , & d*or^
Ciafcun il piè calzato, e’I capo cintoi
E le mura non men tutte compottc
Kan di marmi finiflìmi le erotte ^
19. Pria che fi giunga al principale altare*
Di mirto un ramofcel con l’onda viva
D’un fonte pien di lagrimette amare
Spruzza la fronte al pattaggier ch’arriva*
Cento lumiere intorno ardenti, e chiare
In aurei candelierfacrealaDiva,
E tento appefe lampe in forma d’urne
Fregian di luce, e d’or l’ombre notturno* .
Innanzi a l’ara, ove labella imago ' i s
Sta di Ciprigna,un tripode d’argcntO'l
Le fiamme, ond’arfer già Troja, c CartagQ.
Nutrifee d’odorifero alimento*,
E quell’ardor, che femprc vivo , e vago
Per volger di ttagion non è mai fpento*
E di fiumifoavi innebriailfenfo
Rofa è la mira, e gelfomin l’inccniòw . i
ji. Là dove il luttre di materia, e d’arte '
Gran lume il tabernacolo diffonde,
L’amorofe reliquie in chiufa parte : •:
Santuario profano in fenoafeonde, .
DI mute cere, e di loquaci carte vT-:
- Ritratti vivi, e lettere faconde , > j'
Naftri di feta, e trecce di capelli,
Guanti odorati, c pretiofi anelli.
• Et
C’UNTO I5ECIMOSESTO. t+7
ftampe, Indiche vene,
e rol^ «di «diamanti,
Auree ciivte, c matilgli, auree catene, i
Vià\ refug^v de’ devoti amanti.
Co/è, che fogiion far ne raltrnipene
Miracoli maggior, clae preghi, è pianti^
£ più eh’ antica ò Tervituce , òfeHe,
Impetrano in Amor gratin, e mercede,
jj. A/e i’eccelfc pareti, e’n quelle, e’n quell»
Ricche cornici, e di bei fregi ornate
Mille votive imagi ni e tabelle
Serban memoria de T altrui pictatc.
Cantan verfid’Amor Donne, e Donzelle,
Che vago afpetto infienie, e voci han grate,
Guardai! Genio i lor chloftri e cuiVin'nqjr
E Priapo hortolan ne tien la cliiave.
J4. A gli egri afflitti, a i poveri Infelici,
Gh’accattandel gran Tempio insule porte,
Donan le belle Ninfe habitratici
Sguardi, rifi, piacer di varia forte.
Così la lor pietade ufa i mendici
lUftorar, e cibar vicini a mortci
Quefte le gratle fon, ch’a tutte l’hotc.
Comparte lor la cortd'u d’Ainore.
35. A SI fatta magione il pie drizzato
Giunto il di ftabiVito-, i Giudicanti.
Memorabil Giudicio, e non mcn chiaro
Di quel ch’Ida mirò molt’auni avantii
Se non ch’uni? aftorel non Va di paro
Con Senatori, e Satrapi cotanti i
E fanno in parte differir reHèmpIo
Xrà fuo fem verfi il bofeo, e’I Tempio,
Del
Z4* XA CORONA,’ -
36. Del gran Palaggio a lenti pafci ufciròi ^
E con ordii! diftinto in fila doppia
La città circondando in largo giro,
Fcr di sè lunga linea acoppia a coppia.
Crotali intanto, e pifFew s’udiro.
Già fcjuilla il corno, e già la tromba fcoppia
Strider fan l’aure mattutine e frefche
Barbare pive, e buccine more! che.
37. Precedon ne l’andar due tolte lèi
Sùbenbarbati,&ottìmi cavalli
Leggiadri Araldi, & altrctanti a pici
Con nacchere, bufl'on, tibie, e laballL
Fregiati i pennoncelli lian di trofei
Gli ftrepitofi lor cavimetalU*,
E piarehe Citherea nacfjue da flutti ,
E’ceruleo il color che vcfton tutti.
38. PalTan poi mille in bipartita lifta £ ■
Armati Cavalieri insù gli arcioni.^
Trà’quai h cima tuttaè fparfa e mifta
De’Primaci del regno, e de’Baroni.
Fan tra gK arnefi lor fuperba vifta
Stocchi aurati, hafte aurate, aurati rproni,
Mà de le fovrarefti han la divifa
Pur colorata a la primiera guifa.
35». Con l’ifiefl'a Kvrea fuccedon cento
' Valletti eletti, e nobili donzelli.
Baccini in una manportan d'argento.
Sanguinofi ne l’altra hanno i coltelli.
Fumai! tepidi i vali, &hauvi dentro
Diverfi cori di Tvenati augelli ,
Sacrificio più bel, che’l Hecatombe,
Pafl'ere, e Galli, cTortore, e Colombe.
Due
CANTO DECIMOSESTO. X4^
4*0. Due fquadrc indi accopìate in ordlii vanno
Di cacciacrici, e fagitcarie Arciere ,
Che fovra gonne di purpureo panno
Vefton di bianco lin cotte leggiere.
Han gli archi al tergo , e le faretre , & hanno
Di carboni dorati, e parte Ibere
Ne la candidaman piena una coppa,
Tutte fuddate la fmiftra poppa,
41. Poi da quattro Leonze un carro tratto^ :
Alanfuete, e domeftiche ne viene,
La dove un vafo aliai capace, e fatto
.A' guifa d’incenfier, le brage tiene.
, Brage di facro foco , in cui disfatto
’ L'holocaufto amorofo arder conviene,
E tanti fon gli aromatijch’anhela ,
Che di nebbia d’odor l’aria fi vela.
41. Dietro a querta quadriga , il fianco cinto
Pur coiBC’Paltre, di turcaflì, c frece, ^
Con braccia ignudo, c tunichc fucdnte.
E con fciolte, c’nghirlandate trecce,
L’una con l’altra a mano a mano avintc
Verginelle fclvagge, e bofchorecce
V engon danzando , e’n su le terte bioiide
Han panieri di frutti, e fiori, e fronde.
43, Movon dagli anni indebolito elaflb ù
Con lunghimmeftole a terrartefe
L’antkhc poi Sacerdotefie II paffò,
E foftengono in ir.an fiaccole accefi: >
E con un mormorio languido è bado
Tralor notcalcerandoa penaintefe.
In lode de la Dea formano intanto *
^ y crii diveyfii 5 fon diverfo canto,
l» i Dopo
44* Dofo coftoro in hablto vermiglio
(E fon cento Vecchioni) ecco il SenatOi
Perche dapoi chc’l Rè fenx’altro figlio
Sodisfece a Natura, e cede al fato
Tofto fu d’ordinar prefoconfiglioj
In forma di Republica lo fiato.
Vengon togati di prolifl'e vefii.
E’I giudicio di fupremo è dato aquefti»-
45. L’ultima cofa è la reale ombrella' ‘
D’un riccio Sorian tefluto a foglie.
Il venerando aftreovien Cotto quelfa
D’aurea mitra porapofo, e d’auree fpogli^
Cos'idi Ciproil Viceré s’appellaj
In cui pari a l’età Cenno s’accoglie..
Quelli di doppio grado aliai ben de^^no
Regge U gran Sacerdodo^e’nfiemen Regno»
4^, La corona, e lo Cccttro ha in raancofiu^.-
Ch’al Rè novello conCegnar fi deve}
Jdà però che la forza è feema in lui,
E’I ricco peCo olire miCuraè greve .
Di qua, di là , da dui minifiri e dui
Et appoggio, & aita egli riceve }*
E d’altra gente a piè Barbara , e Grecai
Gran turba popolar dietro fi reca.
47. Di diamante angolar da dotta lima’
Fatto è lo feettro, epiiTche’l regnGvalci.
Un pomo hàdi rubino in sùlacima,^
1 1 manico è d’IaCpe Orientale;
. Jkla la corona , c ne non trova fiima^, S
Vede di sfavillar di luce tale
’*ìCh’al mezo di piu chiaro, e più lero»
Lacoronadel SoIfiamineggiaineiao^ ■
CANTO I^^CIMosBsto.
48. In trenta merli <11 fin'or maniccio
^ Del bcldiademail cerchio ^ compartiedj
Per l’orlo cfterior lerpe un viticcio
Di e,rofl'e per le, e candide arricchirò,
tr^ r\ m
Con cui commcfto di lavor pofticcio
Fregio s’attorce d^altre gemme ordito
Etràlor quafi Re, vie più che lampa
Smifararo carbon nel mezo avampa "
49. Havea l’Or aeoi de la Dea d’ Adone
Quando pronunciò l’alta rilpofra
Ordinato, chc’ldìdc la tenzone
Pufs’ella in mano a la fua ftatua pofta>
S\ ch’en prova develVe a la ragione *
Dicialcun gareggiante caer'cfpofta.
Perche di propria man la ftatua iftcJa
Intefta il vincitor l’havrebbe meflà
-o. d’ Aftreo,ma da man delira In fcliierai
^ Come colei, che fu del Kè germana,
Vienfene con piè grave, e fronte altera
la fnperbiadel Nil Donna fovrana.
Staffi in gran dubbio, e pur nel regno fpera
lAìx contro il Ciel ogni Tua Tpeiiie è vana.
Spera però, fe novità Ciiccede,
pa farlene giurar libera herede..
pel regio baldacchin da quattro canti
^ 1 quatto aurei bafton porran per via
Quattro i maggior Prefetti, eGovernancr
Che’h quattro città prime han lìgnoria. ^
Van Salamìna, e Famagofta avanti ,
Seguono Pafo appreflo, e Nicolìa. *
j : ài numero commuii fola Amathim'ta " ’
^^omecapo Metropoli, e difgim^jpa^
^ è Qiiini<
.51 LA CORONA,
51. Quinci c quindi fann’ala , e d’aniho ifiancH
Quafi cuftodi de gli arncfi regi,
Vanno non raende’primi arditi e franchi
Altri duo groppi di Guerrieri egregi.
Bianchi ulDerghi,elmi bianchi, e cimierbìan-
Staffe, barde, teftiere, e.freni, e fregi, (chi,
Ogni propria armatura, ogni ornamento
De’lor deftrieri han di brunito argento.
53. Consì fatta ordinanza, e’nqueftaguifa
Poiché nel facro albergo entrati furo
Tutta la bella ferie in due divifa.
S’aperfe inmezo, cfiritralTe almuro, ‘
E’I carro, ove dievea con l’hoftia uccifa
Arder l’incendio immaculato, e puro.
Col vafo, che d’odori il tutto fparfe.
Innanzi al grand’alzar venne a fèrmarfe.
54. In capo a l’empie fpatiofe navi
Del nobil Tempio, ov’è tanc’artc accolta*
Sovra quattro pilleri immenfi e gravi
La cappella maggior curva la volta ;
E da quattro grand’ar chi, e quattro travi •
La fua mirabil cupula è fuffolta.
Aperta in cima onde l’eccelfa mole
Per un grand’occhio fol riceve ji^ole,
f
55. Sotto quella tribuna è l’altar grande
ineortinatod’un trapunto eftiano,
E di crefpo broccato intorno frande
A quattro volti un padiglion fovranoi
E vi fi può falir da quattro bande
Per dodici fcalin d’avorio piano.
Cinti di feggi , e balauftri aurati.
Dov’han pofda a federe i Z^gUlrati*
CANTO OEGiMOsesto
56. CLulvi iii trono cmitiente
Barbaro drappo intapezv a,- * Pompofo
Siede d’oro forbito c pìerr^r^ incora
La ftatua de la Dca,ch‘ivi «1* j
Et ha quel pomo in mari taif.
Cli’ii^rtiorralmentc i fuoi • ^ «mo/b,
Tuttaìgnuda fbrmoUaU *^*^*°*^^ Sonora.
Se non quanto la cinge Ut?vercTlefeó°'
j7. Siviva è quellaeffigie -.= )r-
Che quafi adhot’adlS,r r, * ‘P“'ante,
Nè vi paffa Romeo , „è
Chenonriuianga ftuoid^
E tal tniralla , che fnrH “ '"''"'■‘‘■i
, di notte
E coniarci vo ardore ciarla,
’ «™ce
Che come fuole acciar ’
Hi virtù di tirar chi più
^Pl?,SP‘P“ve ineftinguib^ft""•
?&c;Tp|‘‘rm^^“"«'■-««■
Comefeririicorvo^atrra!'"^-
JJI. Tofto ch’l facro carro ivi f, pof.
Ayez|a^r”Fa|i;&tÓ“f“^^^
WviciaaaUegreVilifP^
LA CORONA,
60. E’I fino fpecclno di diamante terfdi-
Che rtfplendca nel pettoral d’Aftreo,
In cui fovente il popolo converfo
Ogni evento augurava ò bono , o reo:
E quallior fofco , ò pur di fangue afperfo
Rendea’l color , fecondo l’ulb Hebreo,
Temea di morte , ò danno altro futuro»
Videfi lampeggiar lucido e puro.
61. Hor per l’eburnea fcala immantenentc
Pieflb a l’Idolo Aftreo poggiato folo»
Piegò con humil’atto e reverente
La fronte al petto , eie ginocchia al fuolo^
E mentre chino ancor de l’altra gente
Nel piano infcrior fremealo ftuolo.
De la ricca thiara i facri arredi ^
Tolfe a la cliioma , e fola pofe a i piédir
éi. Sovra l’ultimo grado inginoechiofli»
E vi fé varie offerte a fuon d’Araldi,
De’ coralli purpurei i rami groffi ^
Con copia di berilli , e dijineraldi,
De’ papaveri molli i capi rofll.
Cofe, che fan d’amor gli animi caldi,
Pofe su Para , e poi tra mille odori
Diede a le fiamme gli Ibranati corL
Offerto al fine, e confumato il dono,
Celsò l’alto bilbiglio , e’I popol tacque, ^
Efattopaufainun momento al fuono,,
Improvifo filentio entro vi nacque.
Allhora I lumi folle vando al trono,,
di affifsò ne la Dea, parto de l’acqucj
E congiunte le palme il Sacerdote
J.apiefc a fupplicai^on quelle note *
CAMTO r»EClM OS ESTO.
Lucccicl^erxoCiel , pietofa Diva,
n’o<^ai etVer><i’ognl ben- foncé fecondo,
VÌvS,c vital principio-, onde deriva
nuani’bà di bel,cj«ant*hà di-dolce il mondo^
^edc tu.a virtù generativa
•oinplV’ aria yla terra,c’l mar profondo, .
Anime , e corpi,mifti,&: elementi;
Lineaina naortal de’ feco li correnti. - %
,, Tu,cbe le c(^e,ò venerabil madre
' palane ce flità , tutte mantieni,
p^iecclcfti > eie terreftri fquadre
^onpur laCsù, quaggiù ftringi,& affrenf^
con leggi d’Amor care e leggiadre
jtjoracnto di concordia , le’n careni,
^odiiia , Amathufia , e Cìtherea..
^g\na de’ piacer, ¥ ilo m-idea,
46.- qiiefti fiori, e quelli odorr,e quelli
*5acrilici devoti in grado boi* togli,
■g^Vantica corona , accioche rcfti
ploggi alplùdegnojin propria mano accogli^
•Xn la dona a cmai , che prometteflrì,
Tu de’ noftri penlìeri il dubbio fciogll,
Scoprine tud’un suimero infinito
per noftro meglio, il più da te graditOè.
^•7 . Citta feniA fignor , lenza governo t
Cade qual mole Cuoi fenza foftegno;
piacciati dunque© con alcun fuperno--
Segno moftrarne a cui fi deggia il regno*
O colbel lume del tuo foco eterno
. lliuftrar tanto l noftraofcuro ingegno,
Cb’dcggcr iappiaalmenfugaetto,incui
Sia la tua gloria , c la JCàlutc dritti.
Jacclucj
ìs'd L A GORON Ar ' ‘
68. Tacque , e’I Diadema lucido, e pefantc
A la madre alleo nò dèi cieco Dio,
E da mille ftforaeini in un’inftantc v
11 bel concerto replicar s’udio
Mentrefornian le cerimonie fante, *
E de riti lollénni il culto pio.
Stando tutti a mirarla ftatua bella,
Publica meraviglia apparve in quella. )
69. Vidcrlefcritteà piè da tutti intefe * •
Lettre , che contcnean quello concetto. '
Che mi torràdi mano il ricco arnefc
Per decreto fatai fia Rege eletto.
Novo lluporei riguardanti prcfe
Quando quel breve fù veduto, e letto.
Alza ognun gli occhi , e i gridi a la corona.
Trema il Tempio al romor , l’aria fona.
70. L’uno a gara de l’altro allhoi primiero
Volea por mano a lafublimc imprefa.
Onde tra quei, che pretendean l'impero,
A nafcer cominciò lite e contefa.
Allreo, ch’ai ben commiine havea’l penficro,
Veggendo in lor tanta difcprdiaaccefa.
Sì fece avante , e con si fatti accenti
IbiJfbigli acquetò di quelle genti,
71. Molto del voftro ardir mi meravigliò
O voi che’n van v’affaticate tanto,
Ofando andar contro il divin co'nfìglio
Manifellato in quello giorno fante.
Render à Citherea gratie , & al figlìo-
Devrefte alzando al Ciclo il corc,e’Lcanto^
Che degnati lì fon vilibilmentc
Qn nairacol molljaj: tanro.evid^gtc. -
£ voi
canto
**'^05Esro
1. E voi co 1 CUI Cozzate ,
Dicontraporvi a In t> ^ ^P^'crutnct
Dicontraporvi alaR * ^P*'crun
ConturbarvdiolapÙKir no/^ra^
Quando si chiaro'; 1 r:. ^
Quj - _
Rabbia nulla a volc^^ voler fi mofira
0' la pollanca , ò la «credete
Nobiltà, fisnoria , \ofira,
Scnonvi o^amaa ciut*f>
^Sucrtorccctroilfaco,
7j.*Nonè fcrutinio on,.o.
In cui pofTa giovaiMfraiiJ? ’ Baroni,
Chccin Frastiche
Cerchi di Tuperar la cr^V,
0’ tenti altrui di Tubornar conT"**
Per ottener le voci a
^'7 r f™rfovrT.a
Atta, àiverfi fonda* noftri
Quando s\ chiaro il ^*JÌetc
iìiabbia nulla a voler fi mofira.
mondo del cSnofcetlo n*è ap «to.
Quantunque il nome ancor no^firivcW
Habbmoptr deftin corta nte c certo ,
^eftycntenxa in fomma i fnoi
Che da la Dea fu fcclto , e dal fì^livo^^
7^. E bcn^ch cgnuii con ixnpctoh
Per venir quanto prima al gran par^i^^
Itjonhavrete però ne la prova
(S’clla non vcl concede ^alcu.nvant»*'^^^ ^*3^'*
tfc quel che cerchÌam,non f\
• O’nonl ha ancor prodotto bu.rt\àl<^l^
VoAro malgrado ancora, Kuopo vi
fin’a tanto alpe ctar , chic nato ci ha*
LA CORONA,
7 6. Sarà dunque il miglior, che fi fopiCca
La controverfia homai,chc vi trattiene,
E che ciafeuno al Ciel pronto ubbìdifea.
Che sa meglio di voi ciò che conviene.
Qui fa punto al parlar , nè v’hà chi ardifea
D’opporfi a quel, eh’ ei configliò sì bene.
Allhora feco in sù l’aurato fcanno
Cento barbe canute a feder vanno.
77. La baffa plebe da le guardie efclufa
Ne la gran piallale novelle arrendei
E d’ogni moto altrui ( com’è femp’s’ufa)
Intenta a prova , e curioCa pende i
E n’e Tuoi voti garrula , c confufa
Con difeorde parer tra fe contende >
Chc’n ogni afwr fententiando il vero^
Vuol quafi Tempre il vulgo effer primiera
78. FùCupidoro Principe d’Epiro
Il primo à comparir de’ pretendenti.
Erano gli occhi d’un gentil zaffiro, .
Sovra cui fi fporgean ciglia ridenà.
Eran le labra delcolor dlTiro.
Sotto cui fi chiudean perle lucenti.
Havea fguardo benigno , andar fiiperb^»
Fanclul maturo , e giovinetto acerbo.
79. Ne la fronte pur iffima biancheggia
Senza roflbre alcun femplice latte,
Ma ne le guance, ove’l candor roffeggia.
Con là^neve la grana inun combatte»
Elamifturaè tal , chefi pareggia,
Quafi d’avorio, e porporafien fattci
Ma con due d’hor’in hor picciole folle,
Suole un rifp gentil farle più rofic*
Canto decimosesto.
9 o. Ondeggiai! Tago in sù !a bionda tefla,
11 crin piove dilfiilo in ricca mafia,
E del bel tergo a quella parte c quella
Ih più ricci pendente andar fi lafi'a.
Ceruleo è il manto , e la leggiadra veftaj
Chedecofciail termine non palla,
E d’un lubric® rafo, i cui reflefiì
Somigliannel color gli occhi fuoi fiefi^
Si. Un cappel Serican, ch’erge la piega, »
Tinto di puro oltramarino il pelo.
Gli ombra la fronte, e per traverfo fpiega
Piuma pur di color fimile al Cieloi
E’n su la falda la conficca e lega
Con grofia punta del più fino gelo
Di quella gemma un lucido fermaglio,
La qual del fangucfol cede a l’intaglio.
Sz. L’animato del piè molle alabaftro ,
Ch’ofcura il latte del fentier celefte.
Stretto ha lagamba con purpureo naftr©
Di cuoio azurro un borfachin gli velie ,
In cui dafaggia mandinobil mafiro
Pur di vario lavor gemme contefte,
E’n mafficci rilievi effigiate
Di fibbie ad ufo imaginette aurate.
85. Tanti non ha l’ambitiofo augello
N e le penne rofate occhi d’intorno,
Quando quafi un’Aprile, ò unÒIel novelIo>
Di cento nor , di cento llelle adorno,
De l’ampia rota fua fuperbo e bello
Apre il ricco theatro al novo giorno,
E’I thefor vagheggiando, ond' ella è piena,
A fe medermo c fpettatore, e leena.
Ùo tA CORONA,
84. Quanti pien di vaghezza, e dibaldanzà
Il Garzonettò intorno a fe n’accolle,
Lo qual mentre a l' aitar, che la fembianxa
Tenca di Vener bella ,ilpièrlvolfe.
Dì tutta quella nobile adunanza
Ufurpando le vifte ,ìcorh tolfe,
E tutti abbarbagliò di meraviglia
Co’ lampi de le gemme , e de le cjgua,
85. De l’Invidia però l’occhio cerviero,
Ch’n fpiar l’altrui mende,è Lince, & Argo,
Di quello fpatio inveftigando il vero,
Ch’ai bel fonte del rifo è fponda e margo.
Pur venne ad ollervar , che quel fenderò.
Che dividè le labra , è troppo largo.
E chc’n fommala bocca ov’entro e nac^To
Il tbcloro d’Amor , pecca in ecceflb. '
té. Uccubo , a cui decrepita l’etate
Quali col mento havea congiunto il nafo,
E sì le fauci rotte e sfabrìcatc,
Ch^ con tré dend foli era ilmafo,
E le tempie , e le ciglia havea pelate,
E calvo il capo , ecrefpo il volto,e rafo,
Vacillante di polfo, e a’intcllecte ,
Trovò quella calunnia ai Giovinetto.
87 • Egli per l’ampia fcala il paffo fpinfc
Fin ch^ pur di Ciprigna a piè ne venne.
Tentò lepreci,usòIeforze,e llrìnfe
La bramata mercè, ma non l’ottenne:
Perche quando a levarle egli s’accinlc
La coronadi man,ftrettala tenne,
Tanto ch’en dietro al fin con occhi balli
Girò confufo , e taciturno i palfi.
0 A N T 0 !>£ C Imo SESTO.
talhor tronca,© caduta
La felva fu de le ramofe corna,
y — 1 1 ^ e muta
Va e s appiatta, e’ Il tana ermafogglorna.
Tal Pavon , che per cafo habbia perduta
gemmata corona , onde s’adorna.
Sole , e diramando il lume
1 langc la povertà de le file piume.
° ® P3<r=ggiar Lucindo,
mBitinia ipopoli governa,
Ca^ tanta beltà Cigno di Pindo,
O piova Apollo in me vena fupcrna.
N on vide mai dal Mauritàno a l’Indo
Piu morbido candor la làmpa eterna.
«en opimo di polpe il corpo eftolle,
C refciuto anzi ft agión , tenero c molle.
? o. Spunun «I piano , oVa’l bel volto hà metai
D una fi onte lerena i puri albori. *
^guono ingiuriofi al gran Pianeta
Diduo beiSolii mobili fplcndori.
Ne la cui luce amorofettae lieta *
R ofl 'r” u"'*" 'j"''-?!'!'’ ,h«midi ardori.
Rofle echiomehapm che fangueò foce,
E fon le ciglia fuc d oro, e di croco.
91- Quel che più fi rileva in.mezo al vìfo, .< .
il curva sì, ma nel curvar^ è parco
E de’ duo fi ni cftremi,ond’c divifb,
l’un Rrìlblvc in punta, c l’altro inarco.
Serra cdifTerra il labro al dolce rifo
Di BnilBmo cocco un plcciol varco.
Là dove chiuda Amor rare a vederle *
diardi perle.
‘Bianco
ile
tst LA COB.ONA;
$1. Bianco damafco di diainatitiafpcr{« . '
I ungo.al tallone , a la cinturaanffiifto»
G’hà d’armelllni candidi il riverlo ,
E fcor^ato il celiar , gli copre il bufto>
E feopre ignuda del bel collo ter Io
La neve , ond’anco il gel fora combuftoj
Del medefmoè il couiale, e’I guernimciit#
Un paflàman di martellato argento.
^5. Berrettahàdifin’or cerchiata in tetta '
D’un terzo pel, che parimente è bianco >
Et hauvi sù d’un Agniron la eretta.
Che le’mpenna la rofa all’orlo manco.
Collana di rubin tutta contefta
Gli orna la gola , e fimil cinta il fianco.
Scarpe hà nel piè d’innargentate fquaiji^
Cui fan boccole d’oro aureo ferrame.
I
^4. Rimirato , ammirato (e fen’accorgc)
Efpon fe fteflb a publica cenfura ,
Ne la ftella d’ Amor quando riforge
In sù i principi! de la notte ottura ]f
Tanto di luce al’Hemifperioporge,
Quant’ein’apporia intorno a quelle murdj
E nel primo apparir parve l’Aurora,
Che co’ raggi del Sol fpontaffe allhora.
Eglièbcnvcro(efolamenteè qucfto
Quanto appor d’imperfetto altri gli potè)
Che fan con poche macchie ingiuria al retto
Spruzzate di lentigini le gote.
Fu forfè oprad’ Amor, ch’accinto è pretto
A temprar le faette In sù la cote.
Mentre l’oro affinava a le favelle,
^ienefparfe in sù’l volto alquante ftille.
. - ' lilau.
. j
CANTO DECIMOSESTO.
Mauriffo 3llhor,SindIcacore accorto».
Ogninltra parte a fpecolare Intento,
A lo fguardo accoftò debile , e corto
^’un Tuo limpido occhiai l’hafta d'argento;
E n lui languir , ^uafi fenz’alma,hà fcorto
Beltà, perche di grana ha mancamento.
Che vai guancia(dicea>ermiglia, e bianca,
Se venufta,fe leggiadria le naanca?
'lei, non sò che tanto attrattivo,
Ch alletta gli occhi e che contenta il core*
puro di Dio , {pirito vivo,
Sale, ond’i cibi Tuoi condifee Amore.
In coftui non lo feorgo , e s’ei n’è privo.
Indarno alpira al trionfale honore.
Stiamo dunque a veder , fe la Dea noftra
Conforme al mio parer TelFctto mollra-
58. In quello mezò inver l’altar s’invia,
E giunto il bel Garzon viene a la prova 5
Ma 1 pregio a riportar , ch’egli delia,
C^ialunque sforzo fuo poco gli giov^
Perche come con chiodi affilTa lia,
La guardata corona immobil trovaj
Onde colmo di duol, tinto di feorno
Pa corap in alto gfcefe , in giù ritorno.
Entra terzo in arringo il bel Clorillo,
Clorilloilbehche’n su’l mattin de gli anq|'
H' entrambe i genitori orbo pupillo
S’ofirl per morte intempeftlvi affanni, *
Onde poi ch’ai dominio il Cicl fortU\o,
Che ténnpr di Cirene i gran Tiranni.
Stende lo feettro fuo per quanto d\a.xa
AI tratto de la Libica pianura.
4^4 LA. CORONA,
XOO. I cadaveri in mummie ivi rifolve
La mobil Tempre e cempeftofa arena*,
riatti di fabbia , e turbini di polve
Con oteura procella Africo mena;
E chi s’arrid'hia a tragittarla , invoWe
Tra’ fflobi ognor de kvolubilpiena,
Stramo naufragio, onde fommerfo huom pa-
Nocchiero iil terra, e Peregrino minare, [re
101. Ma che non potè avidità d impero ?
Ecco pur tenta in Cipro altre fortune.
Non è bianco ilbel vifo,e non è nero.
Nere le ciglia , e le pupille hàbrune.
Due ftellettc fmorzate , e due nel vero
Volge la fronte inneccUflate Lune,
Di cui però(^con voftra pace o ftelle)
Non ha l’ottavo Ciel luci più belle.
101. Brunetta anco la chioma 11 tergo inonda.
Un refehiodi Leon gli fa celata.
Gratiefa la bocca , e rubiconda
NèfireftringcalTai, nefi dilata.
Moftra atfabile afpetto,aria giocondai
La ftaturaè mezana , e dilicata ,
Sì che ciafeun di quella «nte c quella
Stupido inheme , c cupido ne rtfta.
f03. Lucente -arnefe i vaghi membri ammanra
Di feiamito argentino , il cui lavoro
Abbordata la vetta hà tutta quanta
Di girafoli rilevati d’oro.
Et è fatia di gcmmc'in copia tanta,
E sì chiaro Iplendore efee di loro.
Che potrebbe abbagliar la villa altrui,
5c non vi futtc quel de gli occhi lui, .
CANTO DECIMOSESTO i6g
104. PIÙ bello in terra , ò più gentil compoft*
A morte non potea nafeer foggettoi
E certo alcun, chc’l rimìrù dìLcofto,
Giudicollo celeftc al primo arpetto.
Ma quando poi s‘a vicinò, ftitofto
Conofeiuto mortale in un difetto.
Un fol difetto In lui trovato brutto
Nè tant’altre eccellenze ofeurein tutto.
loj. Io non mi Voglio già (diceaScnorre »
Un critico fottìi, del vero amico,
Cui non gemina riga al petto feorre
In duo fiumi d’argento il pelo antico)
Già non mi voglio all’altre parti opporrei ^
Ma de la man, fol de la mano io dico,
Ch’oltrc ch’ella non è latte , nè neve,
Fuor del giufto decoro è groffa, c breve.
10^. Tra quante dotiinsè Natura unifee
Non poffiede la man gli ultimi honori.
Poiché non pur col proprio bel rapifee.
Ma fa l’altre bellezze anco maggiori.
Quefta qual vaga artefice abbelUfcc
Il volto, e’I fen di porpore, e di fiori, j
E porgendo oftro al labro, oro al capello,
E’fua mercè, quànt’hà di beltà il bello.
107. Perdonimmi begli occhi, e biondi crini,
Scafino l’ardir mio labra odorate.
Benché fien frcfche rofe, c ficn rubini.
Benché fien fiamme ardenti , c fila aurate?
De la mano a i candori alabaftrini
Io vò la palma dar ogni beltate.
Cedan gli oftri a le perle, e ceda illoco
L'oro a l'avorio, & a la neve il foco.
Voi. 12, id Ancot-
^66 CORONA,
108. Ancorchetjclle c ciglia, e chiome,e bocca.
Non fon, com’è le man, pegni di fede.
Quella fi jjiiran fal^ quella fi cocca , r
E può .felicitar chi la pofliede.
Da quelle Amoi: ieUuc facete Icocca.
Quel la-fana le piaghe, ond’egli fede.
Qtielle per arder l’almtfaccendonrefca.
Quella grincendii fuoi tempra e rinfeefe^
ic9- Tacque con quello dir, nè fur parole
(Come il facto mollrò) fallaci ò falfe.
Perche fe bene in cima al’alta mole
Di fcaglione, in fcaglion Clorillo falfe.
A lei però, checolafsùlìcole,
La corona di man fvcller non valfei
Sì che tornato, onde parti pur dianzi,
Un’altro emulo fuo li traile innanzi.
iio. Rodafpe in Meroe nato, in quella vece
Volfe q^uantunque in van) tentar la forte.
Publico fue fattezze, e mollra fece
DI jlellearficcia, e brevi chiome attorte.
Vincon col fofeo loro hebbeno, e pece.
Nari aperte e fchiaedate, e labrafporte i
Et è de’lumi fuoi l’orbe vifivo
Nero più de l’inchiollro,ondeil deferivo.
ni. Ferve in guifa colà l’elllva^rfufa.
Che quali incarbonir gli huomini potei
Onde porta ciafeundi notte ofeura
Dal diurno fplendor tinte le gotej
E’I Sol vicino à terra oltre mifura
Gira sì baffo le lucenti rote.
Che poco men, che con le mani illcffe
Si potrebbe toccar, fe non coceffe.
Sco«
i;
CANTO O-ECllvlOSESTO. x6r
!Si ’
è III* Scopre 11 caciditlo dente adhoua adhora
X DWrchietta:or anata il labro tinto.
borato èl’orlo, e pendòn. da le fora
1 Cercliietid’or di bei zaffir diftinto.
K CQsìlepartì, ond’ode, & onde odora,
/5 Heggonpendenti d’indico giacinto,
j; Blunghe filze d’u-nioni elette.
Ricchi tributi d’ifole roggette,
»
11}. Unfrontal d’E-tbiopico ainethlfto
l’aduila Iconte illumlnandainaura ,
^ Si che d’oro, e di foco un lampo mirto
Quandouitorno fi. volge, aventaaTaura,
E di qualunque cor languido e trirto
La mefticia rallegra , il duol rertaura.
Gemma più cU’alcra fulgida e ferena,^
Che quali occhio di Vergine balena.)
114. D’un farfetto leggici*, qual fi coftumc
Trà’Sa'trapl IndlatlU è veftito.
Di lana nò, ma di mi nuca piuma
Dì ftrani augelli a lilla à lifta ordito,
Tutto fquamolo di dorata fpunia,
E dì mille color tutto fiorito, » ^
Lieve tocca cangiante in mezo il cinge,
Che con groppo leggiadro ìllega,e ftringc,
lìt. Un de’Padri coferitu eraGeiardo,^
Già Duce in guerra , hor conhgherom pace.
Par quelli in vifta huom founacchiofo e tardo
E tra cupi penfierlimmerfotace j
Ma forco pigra fronte, elenco fguardo
Vigila ingegnoarguto, e cor vivace.
Speffo grave fembiante, ebarto cìglio
Cela pronte dUcorfo, alto configllo.
M z Moftri
i
1^8
LA GORON A,
ji6. Moftrò colui con ottima ragione,
eh’ Amor molto non ama ofeura tcorza,
Peroche’n fpento t gelido carbone
Scnz’alcun lume il foco luo s’ammorxa.
Il piacer, eh’ ad amar n’è sferza, e fprone.
Da color differenti acquifta forza.
' I^aturafol per variar s’apprezza,
Da tal varietà nafee bellezza.
117. Ao’'^inngi poi, che racconciato infiifo
Queì° he duo fpìragli a l’odorato.
Troppo curvo e ritorto, e troppo oitiu»
Spalanca troppo il gem ino meato-,
€osì con due rcpulle alfine efclulo
Da la Diva in un punto, c dal Senato,
Tutto avampando di fdegnofo foco
Parcefi, e cede a Lìgurino il loco*
^ '
Ii8. E Lìgurino al paragoncomparfe,
Lavor ben dégno de l’eterna mano,
f Non so s’a par di quel poffa trovarle
Bbn tagliato, e difpofto un corpo hooianosi
Venne, però che’l cor d’indivlda gli arte
L’altero flato del maggior germano.
Germano era minor del Rè Licaba,
Ch’avca fotte ilfuo fccttro Arabia, c Saba»
Hi). Si vivo undolce da’bei lumi fpira ,
Che forza hà in sè di foco, c di faettai
E con tanta virtù rapifee è tira,_
Che ferendo, & ardendo anco diletta*
Sparfa di bella cenere fi mira
Scolorita la guancia, cpallidctta^
pallida si, ma quel pallore è tale,
C h’è pallore amoxofo, e non mortale* ^
ZIO, Langue nel labro dolcemente honefto,
Una frefea viola alquanto fmorta.
Gravi hà gli atti e comporti, e nel modefto
Sembiante fignoril la gratia porta.
E dove giri con furtivo gefto
L’occhio predace una rivolta accorta,
D’ogni ribello a forza ottien la palma.
Se non gli doni il cor, ti ruba l’alma.
iii.Nèftrìngein naftroil crin,nèinbedaappiata
Ma pettinato insù lefpalleilverfa,
Di quelblondor, c'hà la cartagna tratta
Del fuo gufciofpinofo, ò l’ambra terfa.
Con fottii’arte e magifterio fatta
L’addobba, e’nfìno al piè gli fi attraverfa
Frappata una giornea, che copre e cela
Sotto nero velluto argentea tela.
lai. Sovra l’homero ftretta, e larga in punta
E’una manica, e l’altra in giù trabocca,
E fi dilata sì, che quando è giunta
Sù i confin de la man, la terra tocca*
Da la manica manca il braccio fpunta
Per lo taglio maggior, che le fa bocca,
E del ricco giubbon feopre le trama,
Ch’è di Semplice argento in pura lama.
113. Non così bella a lo fparir del giorno
Doppo pioggia talhor la d ea di d elo
L’innargenrato c luminofo corno
Trafl'e giamaitrà nube e nube in Cielo*.
Come tutto illuftrando il tempio intorno,
D e l’aria apperfe co’begli occni il velo.
Il reai t> amigello, il cui bel vifo
Fca vifibile in terw P^r^difo.
M 5
170
LA CORONA,
■ I > , tv
114. FcfegnoCitherca,sìtoftocome »
De la fcalea fti sù4a cima'afccfo, - - '
Volergli circondar le belle chiome
De l’honoracòedefiaro pefo, -
E fiume infieme col famofo nome ^
Gran rimbombo d’applaufo intefo i ' -
Mà poich’éflier dcluloalfin s’accorfe , ^
Senza replica indietro il piè ritorfe. "
À-5 . La centuria de gli Arbitri, ehe quivi
I coneòrrentia giudicar s’adur^^
Onde tal di^favorein lùi derivi' ' - <
Le ra2;ion ricercando ad-unaàid una, ‘ ' ■
Alrraimperfettiontrovar j che l'privr '
De la Ipoglia reai, non sà,fuorch’tf na. ‘
Un picciol neoy èhg’n sàia deftra gota
Sparge tré nere fila, in lui fol nota. ^ "
lomfi'i i-f CjL , > -
116. Somiglia in puro latte immonda mofea.
Anzi vago arbofcéllolfPjSratà amenoi
E quantunque'nonfia chi nóric'onòfi:a>
Ch’egli non n’è per quello amabil' meno.
Poiché sù’lbel candor quell’ot^ fofea
E’qual lucida ftella inf Ciél feriiVÒ:
Ch’elio é macchia'però cònvienxh’àecetti,
Ch’ancorche belle uen, fon purdifectl.
117 Segue Timbrio in Snairna, Infra i primieri
Garzon lodato, e d’ogni honor ben degno,
A moldr l’aurc in sù theacrì alteri
Con la cetra bicorne unico ingegno.
Altri non fia di lui, che meglio fperi V
Iregiftri toccar del curvo legno '
Tempra al muficofuonverfi canori , •
E feiogUendo gli accenti, annoda i cori. -
In
CANTO DECIMOSESTO.
i > 4
xz8. In virtù di Tua vojceeifiidà vanto
Cclefte Cigno, ailgeiica Sirena,
X rar da le felci intenerite il pianto,
Ivlicigar de l’Inferno ogni afpra pena.
La melodia di quel mirabil canto
Le fere ari etta, anzi le sfere atfrena.
Pongon le dolci corde a i fiumi il raorfo ,
Danno le dolci note ai monti il corìb.
jip. A l’arguto ttromentOj, al vagp volto^
A la zazzera ittelfa ei feniibra Apollo.
Nè tutto errante il crin, he tutto accolto.
Quinci pende a la Ipnte, e quindi al collo
Quelchedopororecchiefua difciolto,
Sparfe allhor egli ad arte, e dilatollo.
De l’altro ifterfo e fottiliifim’auro
Tenero implica un ramofcel di lauro.
150. E del color de le medcfnfe foglie
S’affibbia incorno un’^flectata cotta,
La qual nel mezo infpcfle crefpc accoglie
T utta in fodera d’or trinciata e rotta. ,
E tutti i trinci le beUe spoglie
Congly4iti fon per man leggiadra e dotta
Con branchigli di fmalto, &: auree ftampc
Chefiguran di Grifi artigli, e zampe.
I3t. Il globo interior de la pupilla
Ne’fuoi lumi vivaci è tutto negro .
Ma nei più largo circolo sfavilla
Dolce color d’un fior di lino, allegro.
Efce de’raggi lor luce tranquilla
r>a fanar’ogni cor languido & egro.
Fuga ogni nebbia, & ogni lume adombra,
E rende ofenro il Sole, e chiara l’ombra.
M 4
iji LA CORONA, >
131. Dal-curvo de le ciglia arco fupremo
Tra guancia e guancia un bel profil fiftcndc,
A poco a poco aiTottigliaco e fceno
Dalinea sì gentil, che non oAènde;
Alto alquanto al principio, e’nver l’eftremo
Tanto s’aguzza più, quanto piùlcende}
Pe la cuibafe il termine più balTo
In due conche divide egual compalTo,
133. Elacontefadeleduc vicine
Emule di beltà, grote diparte, -
Limitando a la porpora il confine.
Che colorilce quella e quella parte.
Rofe sì vive, e frefehe, e purpurine
In quel vifo amorofo Amor hà fpart^
Che nonsò Tela guancia hà più fiorita
La bella Dea da le roLace dita.^
134* Cotanto in lui di maelìà riluce' -
Mentre drizza le piante al bel trofeo^ *
Che fé dalor la nobiltà traluce,
N on m olirà in alcun’atto elTcr plebco.-
Anzi nc’gclli fuoi l’antica luce
Chiara Icorger fi può delfangue Àcheo,
Mà sì latti fplendori in parte imbruna
Ole uro ft ato, e povera fortuna.
155. Cltre coftui fen venne , e fi fé prelTo
A la tutricede’fedeliamanti,
Non però punto meglio avenne ad effo
Di quel ch’a gli altri er’auvenuto avanti.
E ben’a comprovar quello fuccellb
Fù concorde il parer de’circollanti.
Che fra tante bellezze inlui notato
L’ordinfolo de’ denti ofeuro, e raro.
E Se-
CANTO DECIMOSESTo. 175
queVecchioniamfo,
^ aiiftero.
Dal pjedc al capocHaminandolfìro ,
Del mal, del bene elplorator fevcro
Ch'o^ s’accorgeflb al rifó, '
Ch denteerà ineguale, e nero
^rche vide il Garzon, che quella parte
Quando ridea tallior, copriva ad arte,
® P«^ Sonora
Metro Ipiegato da felice ftile
Si poteflc ottener corona d’oro,
G.a tuo fora 1-iionor, Timbrio gentile.
Soffrirla m pace, e de l’ufato adoro '
Che eh1'^“ ‘"««clar Id chibm, humile,
ne chi 1 amipe altrui regge col plettro
Non deve domìhaf tén akro feettro.
^ Pf ovarfvll baldauzofo Evaftp,
Del Libano fignore, e de rOronpe,
E1 alterigia, onde va gonfio , e’I Fafto
S avanza al par del fuo fuperbo monte ,
Viene arrogante ài giovenil conirafto
Con le Ciglia ballando, e ton la fronte-,
Di breve cor^o, e picciola ftatura.
Mal audacia c maggior d’ogni mifura.
Pretende quelli , che da’fbmml giri
Per quanto fcorre> e quanto Icorge intorno
Da l'Ariete a*Pefci altra non miri
Somigliante beltà l’occhio del giorao,
L PCTchcOieu di tllmì/lì Aa-(ìir^
174-
LA CORONA,
140. Di più color, che Viride non inodra,
Gli occhi hà dipinti^ e tutto nero il ciglio.l
La guancia com!al Sol pomos inoltra, ^
Dolcemente gl’ifrcarna un bel vermiglio, .
Ónde di leggiadra litiga e gioftra.
Con la rol'a purpurea il bianco giglioi
L fovralor con lafeivetta^ sferza
In cento brilli il biondo crìn gli fcherM.
141. filato d’òro si lucente e bello^
Del bel mento la cima un fiocco impela*
E del labro fovran,fimilfc a quello
U n riccamo sì fin l’oftro gVi vela.
Che par proprio di Coleo il ricco vello,
N è tale il T ago entro i fuoi fondi il celai
Per guardia forfa di fue vive rofe
Quelle produtìe amor fiepi fpinofo.
141. Intero un zibel lindi color fofeo- ^
E^cuffiain capo, e morion gli feufa,
Di cui più fin giamai Tartaro ò Mofeo
Per le fue balze di tracciar hon vfaj
Di Paradifiper pennacciounbofeo
Gemina v’affigein or legata e chiufa.
Rara fra quante al Sol la terra n’apra,
Gemma, che raflomiglia occhio di capra.
145. Velie due volte infanguinato, e tinto
Del licor de la murice Africano,
E coti aurei cordon da’fianchi aiuto.
Un guarnel di fottilc', e molle lana i
Bottonato nel petto, in mezo cinto
D’una cintura a meraviglia eftr.ana,.
C he di fpoglia di vipera è collrutw,
E di gran perle inco{oliata tutta.
CA.NTO DECIMOSESTO. 175“
144. Quattro vaghi fcudler gli alzan di dietro
De 1.1 lunga faldigia 11 lembo. fciokoi
Et altri duo d’adamantino vetro
Gli Coftengono^un fpecchio innanzi al volto.
Non guarda intorno, e non lì volge indietro j
De le proprie bellezze amante ftolto.
Perche fuorché*!! fe Hello , il giovinetto
Sdegna occupar la viltà in altro oggetto.
I4f. Mà Melidonio, che da gli anni ilfìanco
Rotto, fedea tra ladifcretra l'chlera,
E nel cui corpo eftenuato e ftanco.
De la mente il vigor fiacco non era,
Mà lotto' pelle crefpa, e capei bianca
Nutria di felino integrità fincera,
Piantarofi allhor dritto insù la vita.
De larugofa mano alzò due dita.
*4*^- Cue fon rcccettion (dille) ch’io veggio,
Per cui non molto hàc]Ucfti,ondc preluma.
La prima c quella che lodar non deggio,
Quantunque intempefti va, hifpida piuma:
Perche là dove hà primavera il leggio,
E’cjuafi tra bei fiori horrida bruma,
Per cui qualhor s*^acco{la, c fi congiungc
Bocca a bocca baciando, il bacio punge.
147-GU manca poi Cquelchevic più s’apprezza^
L’unità, che convienfia leggiadria.
E chi non sà, ch’altro none bellezza.
Se non proportione, e fimmetrlaJ
Hor’ìn tanta fuperbia& alterezza
Dov’è quella vifibile armonva ?
Certo, che mal rifpondano mi fembra.
A sfalsi penfier slcorte membra.
/
LA CORONA^V
X 48. Come da varie fuol voti concordi
La mufica a l’udir ifarfi foave. '
Quando avien che fi tempri , e che s’accordi
Col duro il molle, e con l'acuto ìlgravci
Cosi fé membra un corpo ha in fe difeordx»
La compofition gratia non bave, ^
Da le parti col tutto armonizate
Rifulta confonanza a labeltate.
149. Così ragiona, e sù’l »ran foglio intanto
Salita è già quella beltà fuperba i
Mà vede alfin, che la vittoria, e’I vanto
Da labella aventuraaltrui fi ferba. .
Onde il tergo volgendo al Nume Tanto ,
Si l’Ira il vince, e Lalpra doglia acerba.
Che fquarcia i fregi d’or, lo fpecchio fìrange»
£ di rabbia, e di duol folpira e piange,
ijO. Vicn Luciferno ildopò coftui,
Così di Scithia un Saracin fi noma. |
Il Saca, e’I Battrian foggiace a lui,
11 Margo ha vinto, eia Sarmatia hà doma|:
E la gloria rapir prefume altrui
Per irta barba, e per hirfuta chioma. 1
Moftra ruvide membra, offa robufte,
Lungo capo, ampie nari, c ceropie angofte»
151. L’occhio pien di terrore, e di bravura
Infira nero, e verdiccio altrui {paventa,
E con torvo balen di luce ofeura
La fierezza e’I furor virapprefenta.
Portamento hàfuperbo ,eguatatura
■Si feroce & atroce e violenta
Che raffembra Aquilon qualhor più freme,
£ col torbido Egeo combatte infieme.
CANTO DECIMOSESTO. 177
1. Sù la giuba , che tinta lià di morato.
Rete fi Itende d’or fottile e ricca,
E con puntali par d’oro fraaltato
Gli angoli de le maglie inficine appicca,
Porta lotto l’afcella il manto alzatoj
11 manto , che da Thomero fi fpicca,
ET lembojche dal braccio a terra cade,
Con lunga ftrifcia ilpavimento rade.
153. Di lavoro azimInJafcimitarra
Larga,t)rcve,e ricurva appende a l’anca.
Dietro ha il carcaflb, e per traverfo (barra
L’arco ferpentc in su lafpalla manca.
In forma di Piramide bizarra
Un globo intorno al crin di tela bianca
ErgCjCom’è de Barbari coftume,
D’aviluppata fafce alto volume.
154. Conia tcft’alta,econle nariroflc,
Con furibonda , e formidabil faccia
Sbuffando un dcnfo fumo , egli fi molTe,
A guifa di Leon quando minaccia.
Snudò le terga ben quadrate cgroffe.
Brandi le forti, e nerborute braccia ,
Di forza , di vigor , d’afprexza piene,
Scropolofe di mufcoli , e di vene.
155. Stanno tutti a mirarlo attenti e cheti ,
DaScommo in fuora, un vecchiarei ritroCoj
De* Satirici più, che de’ faceti.
Ma carco il pigro piè d'humor nodoCo,
Chi gli tien tra gli articoli fecretl
De le giunture un freddo gelo aCcoCb»
Onde del corpo fianco il grave inenreo
Sovra torto battone appoggiain arco ,
17S LA COR ON A, ;
i;é. Quefti il capo crollò , Ie ciglia torfc!^
Segni fé di difprezzo ,atti di l'cherno.
Vaccene (diflé)pur là focco l’Orfo
Tra le Fece a regnar Moftro d’ Averno.
Prove di gagliardiabifogna forfè
Delpaefc amorofo al bel governo?
Nò nò, di comandar più degno fei
Là sù i gioghi Arimafpi; e su i Rifei.
157. Chi non ravifa in quel color ferrigno
Di quefto Cavalier tremendo, e forte,
E’n quel volto tràfcialbo , & olivigno
De le furie rcffigic e de la Morte?
Non vedete qual folgore fanguigno
Da le luci faecta oblique e torte.
Con cui di feminar prende ardimento
Trà bellezze, & amori odio, e fpavento? •
i;8. Principe , e Rè, non dirò già di regna
Chefpeflo è dono di Fortuna infanav
Ma di titolo d’huomo anco indegno.
Vivo fpirto ferino informa humana.
Vilpenfier , rozo cor,felvaggio ingegno,
Intefàabafle cure alma villana
Veggio nel tuo fembiante infellonito.
Che ti moftra mal nato, e mal nutrico*
159. E pur entrando a l'honorata gara,
Così ne vien fovr*ogni merto audace.
Come fufl'e lo Dio , che’Idirifchiara,
O il bel fanclul da l’arco , e da la face;^
Villania per valor non fh mai cara , •
Piu gentilezza , eh e beltà ne piace.
Amor più fere allhor , ch’e men feroce,
£ bellezza innocente a0kipiù noce..
A!
CANTO DECIMOSESTO. 17^
1^0. Al fio di quefto dir gli occhi volgend'O
A l’orgogliolo Barbaro infoiente,
Videlo da l’altar fcender fremendo
De lo ftrano rifiuto impatiente.
Et accufando con fembiante borrendo
La bella Dea d’ingiufta, e d’inclemente,
Dcteftando del figlio,e fiamme, e dardi.
Batteva i d^nti, e ftralunavai guardi.
i^T. Così Toro non domo , a cui le fpalle ^
Giogo non preme ancor duro,c pelante,
Poi^e lafciò nela diletta valle
Il rivai vincitore e trionfante,
Mugghiando va per folitario calle
Rabbiofo infieme-, e fconfolato amante,
E pien d’angofciail cor grave & acerba
Abhorre il tonte , e gli difpiace l’bcrba.
i6i. Languia del Sol nel mar quali fommerfo
Moribonda la hicc , c femrviva,
E l’orabra.che coprir Tuoi l’Univerfo,
La gran fatela del Ciel di fcolorìva.
Col pel fumante , a difudori afperfo
Chini d Hefperiainverl’eftremariva
Per pafeerfi ne' prati Occidentali
Crinfiammati corfier piegava» l’alt.
^^3- Smarrita a le fue tende, e poco lieta *
La turba giovenil fece ritorno,
E fciolta Tunion de la dieta,
Sen giro i Vecchi a procacciar foggi or no*
Ma finche fiiffcil principal Pianeta
SortodalTndo a lufcìtare il >
Lafclaro per timor de l’altrui frodi
La corona a guardar molti cuftodi-
z8o LA COJLONA,*^ ^
174. Era del dì la luce ancora acerba,
E’n SII le raofl'c il Sol del gran viaggio.
Nè ben rafeiutte havca*nc rhumid’herbaf
Le notturne rugiade il primo ra^io.
Quando la gioventù vaga e fuperM,
E leco il Parlamento , eU Baronaggio *
Con la medefraa àncor pompa folennc
N el loco ufato ad afl'cmbrar fi venne,
Da capo incominciò le prove iftefle
La fcelta de’ miglior quivi raccolta.
Ma neffun fi trovò, che più* facefie
Di quel che gli altri lèr làgrima volta.
Reftan con fronti ftii^ide e dimefle,
E quali loro ogni ;fperanaa è tolta,
I minifiri del regno '/c i Senatori,
Confuti i petti , e conturbati i còri.
Ma ne l’Occafo allhor’ allhora havea
Chiufo il carro dorato Appello fianco.
Eia vaga forella in Cicl rompea
Le nere nubi col fuo cornò bianco:
Onde perche ciafeun girne volea
Nel proprio albergo a ripofare il fianco,
II Senato con gli altri ufeia del Tempio,
Quando v’entrò d’ogni beltà rclTcmpio.
Il bell’Adon , che con l’oòcultafcorta
Di Mercurio, d’ Amore, e de la madre
Tardi , ben che per via facile e corca,
Giunt’eraa la Città,che fu del padre.
Notturno entrò per la fupctba porta
Poi chc’n ufeir le congregata {quadre
Et a lume di lampade le cole
De la gran mole a contemplai fi po^^
CAIKTO DECIMOSESTO. iti
In un canton del T empio al fin dlftefc
Sovra il duro terrcn le membra laflcj
E quafi primain Occidente fcefe
notte , che dal fonno ei fi deftafle.
Oefto , a la luce de le hcì accefe
Per mirar ben l’altare,oltrc fi tralfe,
' Mentre i foldati , acconcio il capo al manto>
Dopo lungo vegghlar dormlano alquanto.
j6 Trovaquivi Barrino , un Greco aftuto,
Villan di ftirpc,huom vilcjC fraudolento,
£t al cui corpo picciolo e minuto
La malitia fupplifcc , e’I tradimento.
Di capo aguzzo, e di capei ricciuto,
£ lenza più , che quattro peli al mento,
Reffo.ma d’un roflb , che pende al fofeo.
Et hàfguardo fellone,^ occhio lofeo.
«
170. Velie di fronte intrepida e fecura
Penfier malvagio, & animo maligno,
Nè mai cangia colerla faccia olcura,
^ Che picchiata è di giallo , e di fanguigao.
Accoppia a pronto dir lingua fpergiura.
Porta in core il veleno , in bocca il ghigno*
Diria per poco argento , e per poc’oro,
GiovCjnoa ti coaofco , e non t’adoro.
171. Coftui , mentre che gira, e che pafleggia
Intorno a i facri , e pretiofi arredi,^
E cerca come fi j, che altri noi veggia ,
Alcuna cofa tacito depredi,
Vifto il Garzon , che come Sol lampcgiga
Prima il prende a fquadrar da capo a piedi.
Poi s’accoda , il falutajl’accarezza,
£ comincia à lodar tanta bellezza.
ì
ife. LA CORONA,
171. E fcherza,e dàfcherzando a poco a ppctf
Campo à Tintention perfida e ladra,
E l’induce a rapir , come per gioco.
L’aurea corona con la man leggiadra^
Quali fol per provar, fe dal Tuo loco
Mover la potè, e s’ella ben gli quadra •
Il fanciullo a penfar molto non flette.
Leggermente la piglia, e fé lar mette.
175. Stupifce l’altro , e^uafi a<pen^il crede,
E pien d’invidia , e dliivor ne refla ,
E con finto ferrilo a lui'lS'chìède
Pofeia ch'alquanto ei l’hà teista in teda.
Semplicemente Addtì gliela concede,
Barrinfe la riponfòtto lavefta,
E col fide favor de l’ombra of^ùra
Fatto il bel furto , a gli occM flfói fi fura.
X74. A l’albergo d^Aftreo ratttìfch cétre, '
Che vuol con la cotona ilregno ancora.
Sorto era Aflreo , ch’bgniripofo abhorrc.
Prima che fufle ancor fotta l’Aùf orà.^
Qui comincia la favola a comjporre,
E le menzogne fue si ben coiota,
Che tutti quei , ch’ad afcoltarlo flanrio,
Preflano fede al non penfato inganno.
175. Dice , che mentre a l’ultimo fcalino ^
Là dove à terminar vàia falita, : .
A pie del facro trono , in cui d’ot fino
StàdelaDeal’imaginefcolpKa, ’ t
Al fuo Nume immortai fupplice e chino '
Chiedea di notte in qualch’afFarc aita.
Si fenti , fi trovò , nè fapea come.
Di quel cerchio rcal cinte le chiome.
Lieto
CANTO DECIMOSESTO. zSj
17^ Lietoilbuoti vecchio il Ciel rlngratia,e
Per gràn gloi^dal cor lagrimepic. [ piove
Prende Barrln per mai^o,e’J palio move
Per le calcatele ricalcate vie ,
E fenza ordini alcun vaiTene dove
Far la prova deveafii^, terzo die,
Ne ch’efcail Sol da le contrade Eoe
Attender cura, e Ifcgue ogni altro Hcroc.
177* In tamo>erg[i Antipodi difcaccia - .
Le pigre iiélle ìrvincitor de l’ómbra,
E 1 negro vel,che la lerena fàccia
JDi Glunon bella l^orribiJ mente ingombra^
Apre co’ raggi Orientali , e ftraccìa,
E ie nemiche tenebre d^ìgombra. '
Già gli arden^i-deftrier ,^c fan ritorno,,
Chiamano co’ nitriti il novo giorno.
178. Hor il Nuntio del Ciel, che ben veduta
ILa fraude havea del mentitori adrone,
Tpfto d’efEgiè, cd’habito lì muta,
E riel gran Cónciftor conduce Adone.
Peregrina lembianza , e feonofeiuta
D huom canuto, e ftranier finge compone»
Quivi I9 guardo ai Giudici converle,
Età quello paflar le labra aperfe.
17 9- Dunque huom perfido reo contro la legge
E fatale , e divina è tanto audace.
Che di pugno a colci,cheCipro regge.
Ruba i thefori con la man rapace ?
E pur non fi punifee , anzi s’elegge
Qiialregnatorleggittimo c verace?
Nè y’Jià pur’un , ch’ai popoli delufi
Cosi pervecfa iniquitate acculi?
Starna'
iS4 CORONA*
180. Stamane alIhol*jch*^cbro di fonno,c cicco
Giacca lo ftuol , che cuftodivailTempio,
lo,lo,vid’ìo quefto donici , ch’è meco, ^
Torre il diadema , e confegnarlo arempio.
Così la Dea , chc’n teftimonio arreco.
Paria la fellonia mandi lo fcempio
, Com’hà il pregio involato, e fallamcnte
L'altrui s’ulurpa,c*n ciò che narra , ci mente.
rti. Ragion dunque non fia,nè mi par ^ufto
Contro l’ordin celcfte,c contro il vero,
Ch’ei di quell’ oro indegnamente onufto
De le glorie non lue ne vadaalteroi
Età cni meritò d’effere Auguflo ,
Giudicato dal Ciel degno d’impero.
Si neghi da’ più faggi > c fi defraude
L’honor delamercedc,cdelalaudc. , -
III. Ma perche fccleraginc cotanta ^
Sia nota a tutti, e’I dubbio a pien fi feiogua.
Se pur vera è la prova , onde fi vanta.
Riponga al loco fuola tolta fpoglia.
Indi di novo ancor da la man lama
Come dianzi la tolfe,hor la ritoglia*,
E^'avcrràjche quindi ei non la tpicchi,
Provinfi ancorai più famoff, c ricchi.
185. Ma ricche2za,e valorc,e quanto dona
Talhor con larga man prodiga Sorte
Poco può rilevar { crcdoj a perfon^»
Che ftella incontri, il cuitenor fiafort?.
Hor quando avengapur, che la corona.
Per cui tanto in contraAo è quefta Corte,
Non fiaper altra man levata, ò motta,
V cggiafi fe coftui mover la polla. '
L’auto-
CANTO DECIMOSESTO. xtf
1-84.. L’autorità de la favella grave ^
Mofle ciàfcuao , e del dlvin fembiante.
Ciafeun mira Barrili , che tace, c pavé
TuttoconfuCo, e pallido, c tremante.
Sparfo allhor d’ogai ’ntorno odor foare>
E volto il tergo il mefl'aggicr volante,
Dileguo(Ti,e difparve in un momento
Come fpuma ne l’onda, ò fumo al vento.
i8y. A prodigio sì ftrano & improvifo
Aftreo gridò, pien d’un feftivo xclo.
Lodatoli Ciel,queft’c dèi Cielo avifo»
Chi può domar quelch’èprefilTo inCieloJ.
Predo c Barrino , c Ibigottitoinvifo,
E pieno il cor dì timorofo gelo ,
Sofpinto à forza al grand’altar s’apprefla#
Al ni) nulla operando , il veTConfcUa.
iS^. Già verfo Adoti conia minuta gente
Del Senato il favor concorre inficme.
Ma la parte più ricca , e piò poflcncc
Lo fdegna , ebiarma , c ne fuflUrra,c freme.
Vuol’ Aftreo jch’ognun torni immanteneate
Nc la corona a far le prove eftrcmc.
Ma non che trarla fuor, tentano invano
Crollarla pur da la tenace mano»
187. Hor di quanti quel dlvolfer provarfe
Giovani di beltà competitori
Più non reftava alcun , quando compar fo
Adon di tutti ad ofeurar gli honori.
Serenò l’aria in apparire, cfparfe ^ ^
Lume, ch*al giorno ingeminò Iplcndon,
E nel paffar con glorlofc palme
Mille fpogUeportò di cori , C d’alme . ‘
LA CORONA,
188. Parve a vedere intempeftivarola
In bel cefpo callior tra prumi, cRccchi,
Nacacolànelaftagtonnevora
Quando reftano i prati ignudi, e fccchi.
Rivolti a la beltà raeravigliofa
Del novo aventurier ,ftupiro i Vecchi,
Stimandol quafi al par de gli altri belli
Peregrina Fenice infra gli augelli.
i8p. Era tra que’ confin ^pjbe fa Tetatc
Di fanciullenza in gioventù paflàggip
Da le placide luci innamorate
Ufeia diunbel fcren tremulo ragerio.
Ne le tenere guance 1 e dilicate
Frefca fioria la porpora di Ma^io. , -
Tra le labrain colofdirofaviva
Il forrifodegli Angelis’apriya.
J^«. Di fin vermiglio fi colora e tinge
La vqfta,e di fin’or fregiata fplendf.
Barbara zona a mezo il fen le ftringe,
Pacofotto il ginocchia il lembo feende.
Di zendado un fcaggiall’homero cinge.
Da cui fonoro avorio al fianco pende.
La faretra ha da tergo, e1 piede eburno
Aureo gli copre , e lerico coturno.
Non hà la tefta ignuda altro ornamento,
Nè pari a sì bel crin pompali trova.
Se non di mirto un fil minuto e lento,
Che fmeraldo con or confonde a prova.
Par ch'egli giri un Cielo ad ogni accento}
E par ch’un Sole ad ogni Iguardo mova,
Par che produca ad ogni rifo unfiore,
£ par che calchi ad ogni palTo un core.
Più
canto DECIMOSESTO. 187
1^2.. Più non dirò, nè Caprci meglio in carte
Tanta beltà delincar giamaì,
>Jè di tal luce ombrar picciola parte.
Cieco da lo fplendor di tanti rai.
Onde poi ch’ai defir mancando l’arte,
Dal fuggetto lo ftil vinto è d'alTai
Induftre imitator del gran Timantc,
Gli porrò del hlentio il velo avance,
1^5. Ben tra color , ch’ai gran giudicio uniti
Volgon dubbiofi opinione incerta.
Sotto veli poriafalu è mentiti
Forfè giacer la verità coverta,
Segià lenz’altre homai difpute ò liti
Non la moftrafle lucida & aperta
Non ch’ai faggi e prudenti, anco ai più fcioc-
II chiariflìmo Sol di que’begli occhi. [ chi
1^4. Lo fplendor diTjuegli occhi ogni occhio ab-
La bella bocca ogni altra bocca ferra, [baglia.
Onde conchiude ognun, che non l’agguaglia
Veracemente altra bellezza in terra.
Cofa mortai , ch’a tanto pregio faglia
Chi cerca liomai ( dicean) vaneggia & erra,
Non fol per quanto fuor l’occhio ne vede.
Ma per quanto il pender dentro ne crede.
Una Colomba allhor , che fuggitiva.
Del (aerato coltello avanzo folo.
Era quel proprio dì campata viva,
Venne a fermargli insù’a fpalla il volo-
Onde il buon vecchio Aftreo,che ne gioiva;
E de’ prefaghi Arufpici lo ftuolo
Vaticinando aventurofo fiato,
Con lieto annuntiointerprecaro Udito.
Qui
xU LA corona;
t^6. Qui forfè un grido aniverfaljcbe crebb»
Di laude infieme , e di letitia tnifto»
A lui folli conceda , a lui fi debbe
(Trofeo dc’fijoi begli occhilil dcgno^cquiftt
E con plaufo , quai’alcrì anccì non hcbhc.
Sì che da molti invidiar fó vifto,
Udilfi un mormorio chiaro c diftinto.
Che diceva acclamando:Hà vinto,hà vinto*
1^7. Mentre che già s’apprefla a l’alta impi*efa,
Ecco il popol di fiior grida e fchianas^aa.
Et ecco entrar molti iicudieri in..., ' -
Et ha ciafcunp in man dorata mazza»
Ond’a la moltitudine fofpefa
D’ogni’ntorno allargar fanno la piazza
I nnanzi ad un,ch’a pri ma giunta fembra
Havcr belle &ttezzc,c belle membra.
1^8. Falfirenacoftui chiamato havea
jDà remote contrade , e regioni ,
Dov’ei la fignorìa tutta reggea
Di Pigmei , di Gatizzl ,c (vArcamoni,
Quindi il tralfe abeiPartc , e Io Iacea
Tra le gare venir di que’garzoni,
Pcrchc‘1 regno ad Adon rofl'e intercetto [to
Dal più bruet huò del mondo, e più impertet
199. Per meraviglia inufitata c ftrana
D4 duo femi difformi informe ci nacque
Fùd’un Can generato , c d’una Nana,
La qual’a forza a Taiilmal foggiacque.
Di Fcronla cllafù maggior germana,
Fcronia ch'ai garzon tanto mfplacquc,
E tanta già ncVmàl noia gli^crebbc ,
Menti'c chittfoiivprigion laMagal’hebbe.
Clnlfci
CANTO DE CIMOSESTO. ì.tf
^oo. Cinifca cU’liavea nomerà la cui mano
Lo feettro s’attetiea dc'Capoadoci.
Venne a mercerie campo il ner Torcano,
Tiranno già de’Tarcari ferocii
Ethavenoolaun tempo aftrecta invano
Con longhi afledli, e con battaglie atroci,
Alfin pensò l’inefpugnabil terra
Per froda conquiftar. fe non per guerra.
Trattò feco allianza, e voler fioTe
Di già nemido divenir marito ,
Perluafe, premile, elafofpinfe
Con lèctre, e melfi a credere al partito,
E con facri potetti il parto ttrinfe,
É ttrinfe il cqnjugal nodo mentito, ' ,
Per trovar via da disfogar lo fdegnp ,
Et occupar con cal'inganno il regno.
%
1.01. Fu dal falfo Himeneo placato Marte,
Onde a dura tenzon pace luccétte
La mìlera lo ttato a parte a parte,'
E la perfona al Barbaro conceflc.
Mà dapoi che’l fellon non sì nov’artc
La Donna ottenne, e la ciccate oppreflc,
Schernìconiiigratilfima mercede ,
Il facto accordo, e la giurata fede.
40 5. Nattiva ei con lo ttuol di molti Alani
Un fuo nero Molo(l'o,il più membruto.
Il più fconcìo , il più fier, che tra Spartani)
O tra gli Arcadi mai fufle veduto
Era cerror de’più tremendi Cani,
Et havea, come Lupo, il cuoio hirfuto,
Gfugnon fù detto, in horride tenzoni
Avezzo a ttraaeolar Tigri, e Leoni,
V0L IL N Hefr
. 1^0 LA CORONA,
J04. Hor per dlfprexzo a tal confort In moglie
Sottoporle il cimaci fé la mefch^f^,
E comandò, ch^jde le p^gprie Cpoglic
Ignuda tutta inffl^nata, e china
Preda jreftallé a le sf^e^pe voglie .
Da l’ijtgord9’lihidjf\? canina, ,
E de le nozze patteggiate in vece,
Darofcenoly|a*§lncoprii;ifiifece. j
ioj. Così polche più volte ella foftenne
L’indegna villania del Tozzo Cane,
Da l’iterata copula ne venne
Ingravidata a concepirTricane.
Trican dal dente èi^uefti, il qual ritenne
Forme parte canine, c parte fiumane.
Mezodal cinto insù d’h^iomo hàfembianza.
Tutto fimile al padre è quel ch’avampa
Dal dente ei de^o fu, peroch’aguzza .
In fuor, del grugno, & arrota la zanna,
Che di fol^iume fanguigne il mento fpjmzza^
A guifa di Cinghiai, gU efee una fpanna#
Couqucft’arme talhora infearamuzza
Più che col ferro, altrui lacera, e fcanna.
Parla, ma voce forpiahorrida,& atra.
Che con ftrepito rauco ulula, c latra.
zp7- Volto affetto non hà nero, & adufto.
Ne candidodel tutto, c colorito.
Crefpo di chioraie,& ò di tempie angufto#
Del color d’Ethiopia imbaftardito.
Ha vallo il capò, e pargoletto ilbufto,
Col difetto rcccelTo inUeme unito.
Fanno quinci Erittonio, c quindi Atlante
Un'innefto di Nano, e di Gigante.
Confiti
CANTO DECIMOSESTO. tfi
loi. Gonfiò fcn,bracclp: Uinghe , e cofce corte,
Hifpida barba, e pclKtti e pungenti. , c
Luci veFmì^Ue,clag^^mo^<^, e «fórre.
Sguardi d’infaufto, e fiero foco ifdenci.
Fronte rugofa, ofcure guance, e finorce,
E Torto biancbtflàbta hàbiohdi denti}'
Armato poi ÌH man d’acuto artigliò "
Ben moftra altrui, che di tal beftia è figU&,
109. Agglufife di Natura al’altre coTe
Ancor nova fciagura il calo ifteflo.
Quando del ventre fiior la madre cfpofo
L’horribil pefo, e fi fcontrò con cfl'o.
Dapoi c’hebbe con ftridaafpre e rabbiofe
Da le vifcere immonde il parto efpreflo.
Accrebbero le ferve, e la nutrice
Cumulo di miferie a l’infelice.
aio. La balia, ^h’allevollo, c Tajutante*
Di rccargliel(i in braccio hebber piaócre.
Raccapriccioflì nej^vcderfi avatite ; '
Quelleferabianze abominande e fiere.
Svenne d’angofcio e di terror tremante^ ‘
^ Le braccia aperfc, e Tei lafciò cadere, 1
Ond’ei portò de la materna poppa
U n piè travolto, & una gamba zopptf;-
)
HI. L’havea coti acque magiche, e con vcrfi j
V oltolà Fata in un donzel sì vago,
Ch’a pena forco il Sol potea vederli
Là piu leggiadra e fignotille imago:
E feco in paggi altr’huomiui converfi
Parimente in virtù del licor mago.
Pur de la ftirpe Tua gente minuta,
Hof ribile, difforme, e difparuta.
N X
eh’ar-
é*’
tTi LA CORONA,
xu. Ch’ardicameutead Amathuutail picde> .
Senza ludùgioYolaeflb (ella gli dille)
Perche di Cipro ad acquiftar la fede
Cola non croveria, chefimpedlffe , ,, \
Et la palma, il trionfo, e la mercede
Verrebbe a riprovar de 1 altrui ride,
eli unica la beltà del mondo tutta
Foia a lato ala fua per parer brutta,
113. Hor qua venia, da lei fofpinto, e tratto
Da fuoi prppri delìr leggieri e fciocchi.
Tre volte intpjrno incorno il contrafatto
Torle caninamente il cello, e gli occhi.
Di reverenza , o di faluto in arto .
Non chinò fronte, e non piegò ginocchi,
Ivi a per niezo Ipdnol quivi raccolto
Portò fuperbo il portamento e’I volto.
114. Padà a l’altare, hor ch’è coverto il Cucco
Sott’altre penne, orgogliofettoin villa.
Ve tpdi pclle.d’indico Stembucco
Collctto, che di perle hà doppia Urta,
Di preciofo, & odorato fucco
Di mufehio, e d’ambjacan temprata , c mida ^
Damarchina hà laftorta allato manco,
E dorato il pugnai da l’al tro Ranco.
XI 5* Vermiglio palandran vergato d’oro
Gli rade al tergo, e’I fregio e d’aurea trinai
E d un tabi di limile lavoro
Fatta è la ralza, c frallagliata a fplnat
Un cappelletto di Ibttilcalloro
Porta che pur la piuma hà purpurinas
E guer ni to le man d’ Arabi guanti
.Vien ninfeggiando, amoreggiando avanti
aKTO DECIMOSESTO. 19}
116. QucftavagaMag,U durò Col tanto,
Ch’eì plùdaprcfl’o a lagt'àn Dea comparve*
Ma giunto Innanil al umulàcro Tanto,
. Si dileguar le metttltrlcl larve.
S’aprì la nube, fi disfé Tincanto,
' E la finta beltà ratto dlfparve,
Ond’ancor negli alianti a rimprovifo
Si trasformò la meraviglia in rlfo.
117. Qual’huom, che Cotto mafehera nafeofto
Inganno altrui con habito mendace ,
Altro, che prima appai*), polc’hà depollo
De la non tua fembianxa il vel làllace>
Tal quel brutto homlcclvol rimafe tollo
Che ne la Tua tornò forma verace:
E Sallcco, che’nftiraa era tra’ Vegli
Dclplà grave Confor, ne rife andh’egU,
xi8. Di quel collegio riverito e fagro
E^qucflo Salìceo trà’principali ,
Manincon villa, afifìutto è magló,
Mà Tempre inbocca hà le fiicctie.ei Tali»
E punge con parlar mordace 5c agro:
Mà fono i motti Tuoi melati llrali.
Onde trafige , é gratamente uccide,
E fa rider’altrui. Te ben non ride,
Polche l’arco collui, fecondo Tufo
De la lingua piccante, hebbe arrotar Ov
TotTe ghignando, e forridendo il muTo,
E col gomito urtò chi gUera a lato.
Hor chi (dicea) non rimarrà conrufo
In rilguardar quell’atomo animato ?
O 'quale Sfinge indovinar faprla '
Chequalicàdi creatura ei fia?
^ é
LA CORONA,
aio. Da qual nicchiò (butò di Flegetóntc.
Un Granchio td , cui par non hi mai (cortèi
Conciai Bertuccia (ì congiunfe Brente
Onde ne nacque un sìftupendo aborto?
Se l’arco haveffe in man, la benda in froniCj
L*ali sù’l ter^, e’I plè non folle torto,
E’mi pareblJea le mezze eftrand
Lo Dio d’ Amor de’T opi, e de le R anc.
all . A legarti dei corpo io non m’oppongo j
Se noi, gVa'fialfe alquànto^il piedeftoj
E fé fuiie un fommelto al;Ti?n piu longo,
Per Gammcde io rhavréitoltoin fallo.
Sotto^quèt fuo cantei fòmniiglla un fongo»
Avvertire, alapiutnauti Pàpa^flo.
Sembro nel refto'^ùha Gróttclea a glito,
O vero un Ceroglifìcò d’Egitto.
all. V eraniente a ragiohbÌa(hiar non pòffo
Sìgentif per fona^giò, bcHànte, t
Chefelabafe è piccióiàal coloffó
Il torfo è però grande, e totTegiantc»
Es’ìoben miro, ilndfo bàco$Vg:oflo,
- Cheneftàriafornitòun’Elcfonte,
Benché di fchiatta Elefantina uh moftro
Il dimoftrino ancotàil dènte, e’I roftro.
XI). Donde derivi in lui tanta arroganza ^
V eder non sò, davaw^c a si ^t an N urne.
Per haver di Vulcani Va fomiglianza
Forfè con Citherca tanto prefumc. ^
Mà dove manca la civil creanza, .
La natura fupplifce al vii coftume, '
Poiché mentre traballa hor alto, baffo,
. 5uo malgrado s’incliaa à ciafeuu paflb.
ONTO decimo sesto.
114. Màftcol fafto ccce^, con rorgogUo
Scucirlo dcgglo, c perdonar gli voglio ,
C’bvcrvpU^ riguardo a la rgura,
IttcmquelyUcor faggio in breve foglio,
U fac gtandeixe impicciolì ISI atura*,
5’egli ancor che (idrizxi, e fi piccino,
Hor ebe farebbe inginoccHiato, c chino ?
uj. Habblafi dunque inira a la corona,
Pongafidopplaqura, é doppda iijicnt^
Perche, mentre* gli alt ri‘h,ór^n tcn^iQtw,
N^nlarapifca^ Semidio vaUntej , ^
CJi’eflèn^op^f;fiagion c^e la peilona' '
'5ocome«i,ch’^vi(Ìbilc a la gerite,’
E de Ij^Dca^olgoraaap un caitiu^vcnia.
Z17. Nel volto con tanfi mpcto battuto
Fè dal piè de la ftatqa U fozxo N ano,
Che foffovra in un glòbo andò caduto
Di grado in grado a rotolar nel piano. . *
Quel piacevol prodigio allhor veduto, '
^itiflì ilfifo raddoppiar lontauo
Ribombonne il theatr o a voce piena, ^
E chiufein atto Comico la feena.
N 4
Levoflt
LA CORONA,
jii8. Levoffi il Scraican fuperbo c rio,
£ del publicp oltraggio al C iel latrava^
la rabbia paterno in fuor gli ufcio
Di bocca il fiel col fanguc, c con la bava}
E bcftenimiando de l’alato Dio
La madre in villa minacciofa e brava ,
Contro la magainiqua, emaledetca
Giurò Covra il Tuo dente alta vendetta. '
izj. Hor giuntò al trono, ove fcdea Ciprigna ^
Gol vifò alzato, col ginocchio chino
Dille Adon fupplicante. O Dea benigni,
Per cui fcalda il mio petto arder divino ,
S’hai viriù di palcar ftclla maligna,
Se pende dal tuo cenno il mio deftino,
Piacciati (pregò) a quello fervo Indégno
Come donallìilcor, rende re 11 regno.
^130. Fu villa qif^ parlarla Dea cortelè '
Quali in fereno del lampo di ftella,
Diflèrrar*^ forrifo, c’ntanto fiele
L’aurea corona, e l’adorno di quella.
Nè cinta di bei ra^gi) e fiamme accelc
Fii la fronte d’ApollSlinqua ribella,
O de le fronde del più verde alloro.
Com’apparve la fua fregiata d’oro.
iji. Mentre che tutti di conforme voto
Son del reame ad invelHrlo intenti,
Con popolar tumultuario moto
Ecco nel tempio entrar caca di genti
Antica Donna, c di fembiante noto
Prefa menan colà molti fergenti i
E già grida ciafeun, mentre s’apprelTa ,
Ecco Allnda, ecco Alludo, è certo delTa.
Alinda
CANTO de;cim;osesto. i„
151. Minia era co ftei, nu.tr lc«-fìcla
DUd,ch’ Adone ingenerato havea,
E del malvagio amor eoia:ipUcc,c guida
iù^anc l’opra inceftuoXa e rea.
tlkfràtandftracii, c tante grida
Mercè piegava, e rafcolcar chiedea;
Qni’alc nu'b; AftcQo {lleiicio indille,
Allhoiìciolfc la lingua, c così diile.
ij;. Nonbram’io nò dal rnio canuto crin^
Torcerla falce, onde fia erotico iabreye."
Prij^ipii.òcUè lontane, ò che vicine
5ien i’Aore ulclmc mic>^nul la m’^ gre vc*t
Venga boniaipur (ch’e già maturo ‘ tifine
De’pocbi giorni, cb.e’1 deiiin mi deve.
'Mou v“òdi morte 4,9 e di carenai
Sciifar’il fallo, ò Ccut^r la peija,
154. lo di,viec?\tpramqr nefande prqcje
Tradì Mirrr^ aropir. 4^^ padfc iddio.
A ITuga^tna t^mororo ardir nai diede
Piecàdeliuo languir? l’erpor confedb.
Ma fc (filando dal male il ben procede
Suol pcjidppapfi pSi^i pifi grave eccedo.
Ben può d’clfecto.l^on miniera ria
Per donpiTieritat la Colpa mia.
-135. Lungedalpatrio Tuoi (così la punfe .
Vergognofo timor) faggi tremanrei .
Nè mcdalellungp camindirglunfe , .
Sempre del vago piè fcguace errante.
Mifera, in tronco al fin cangiata aggiunlc
V erdura a ibofchl, e nijmero a le piante.
Ma dal gravido fen (com’al Cìel piacque ^
;Sovj*ogp)i^tjfy leggiadro un figlio nacque.
W ; Nàcque
LA CORONA,
198
Nacque colà tra quelle piagge apriche ,
Dove runico angel s’annida e paCce,
Che’nccncrite lefùC piume antiche,
Dr'‘^pa(dre, & herede, e muore e pfcc.
Al bel patto ap p reftar le Ninfe amiche
fiorita cuna, & odoratefaCce,
Ch’ove il latte mancò, nutrito intanto
Pù de le ftille del materno pianto.
137. Stupor dirò, che l'altrl fede avanza.
Sotto lapo^pdàlclfiniftro lato
Il bel corpo portò fuor d’o^ni ulanza
MirabilnVcriite i fenciulliniegnato. ^
' D’uiià^fbfa vermiglia a la fembianza
Purpurea macchia vidipinfeil fato,
CjiTafi volefl'e pur laDead’Amore
Dal carattere fitti ftampargli ii Èore.
1)8. Qtìtfti in Arabia vive, ove ancoi^ò.
Ho menata fin qui vita felvagg^a,
Mà còme prima il voftro editto ufeìo
Abbandonai quel la deferta fplaggia,
Bquà ne venni al mio tètren natio
Pòfche’n altrui l’elettion non cangia.
Noii^ee giufta ragion di quella fede
Torre il proprio retaggio al vero herede
% 39. Qui tacque ,eLuclferno il fiero Scita,
Cui lacerava il cot^^crm fedi rabbia.
De fuoi feorni IHegnofo, che rapita
Tanta gloria di mano un garzon gli habbl^
Poche d'Alindahebbe Phiftoria udit^
Si traile avante con enfiate labbia,
E {barrando le braccia, alzò feroce
In quefto fuon la temeraria |oo«.
Qual
CANTO DECIMOSESTO. 15,,
140. leg^ierez-xa , ò «jual furor v’aggira,
Voi ch^dijiQtàv*ufu.r paté il nome?
Equal hibr di ragloii. ragion v’infp^a
Supgpr (i frale appoggio a sì gran forac ?
Della- ^lUa, ch’a vaneggiar vitira^
Non V* accorgete homai canute chiome ?
lorfc intercile in voi corrompe hqnorc,
O’vi laicivia a tanto errore.
Z4I. Cofa dunque vi par degna di voi,
Che fen perù coftui £l fatta preda?
E che’l premio negato a tanti Heroi ^
A fanciullo inelìper co Hor fi conceda?
Benché, s’io guardo ai portamenti fuoi,
Piùtqfto che lanciai femina^ ^ creda.
Un, ch’a gli habiti, a gli atti, a ia favella
Co vergogna d’ogni huomo^huomo s’appcIIa
141. Meglio faprà con <qucl -fiio bruno ciglio.
Col biondo cria, con 1^ purpurea guancia
L’arml ^doprar di Ventre, e del
Che Tesser feettro, o.fbfttner bilancia,
VièpuTh'e:gipcchvilc lo Dio vermiglio
Tiàthir§,^4pd^Cj ove fi trefea e^^iancia.
Con Satiri a fcherzar vani e leggieri
Atto £krà, ch’a maneggiare imperi.
14V Pettini, e fpecebi imbellì e feminili
Ti wti, alfubbio ^l'voisa, a I ago, al filo,
T ella a Tuo fenno pur, riccami, e fili.
Tal de’fuoi pari c l’ efiercitia, e rufo.
Stiafipurtràdonielle e vili
E del letto, e del foco In guardia chiufo,
Guardi i tetti domeftic*^ e le mura,
Màlafci altrui 4cl governar la cura.
a 6 Potrà
;oe LA CORONA,
144. Potrà forfè in voi tanto un volto ofccnoj
Tanta fia che v'acclechi un defìr folle,
C’habbiate di voifteflì a dar ilfreno
A re^gc il letto, effeminato, e molle?
E volgente viril, dentro il cui feno **
Nobilzelo di gloria avampa e bolle,]
Vi lafcercte tor fenza contefa.
Quel che tanta coftò fatica, e Ipelà/
14 Che fovrà quello cambion? che lena
Da reee;er pefo tal che non trabocchi?
-T' • 'rei.»
Tremerà, piàngerà, lena eh apena
Un Ibi lampo d’acciar gli offendagli occhi.
Torni la mente homai chiara eferena
Sì chellimol d’honor vi piingae;tOGchi>
Facendo'poffeflbr di voftra terra
Chi l’orni in pace, e la difenda in guerra.
a4^. Prima che Luciferno oltre feguiflc.
Strano prodigio e repentino avenne.
Quella ftatua <f’Amor, che già fi dille.
Lo (Irai, c’havea su l’arco a feoccar venne.
Volando il crudo ftral, rhaftagliaffilVc
Nel coflato miglior fino a le penne,
Caddej e giacque il mefehin gelido, c muto
Frecciato il cor pafi'atoio acuto.
147 Dillupor jditerrorla.gcntercfla
A sì fiero fpettacolo coufuTa.
In tanto à tutti Adon fi manìfella,
E de’propri natali il vero accufa ,
E per provama^gior fotte la velia »
Scopre l’impreflìon celata, e chiufa,.
Dove l’ultima colla apprelfo al fianco
loxfoA Ì’^(€o xiuaoi del httom^^co.
;l<
CANTO DECIMOSESTO.
148. E^crò che’lRc morto Kavea giàfatto f.
Paiefe a tutti il ricevuto Tc Ke r no,
Veggcndoli ilbclEòr nel cor ritratto,
E nelviCo gentU’aerc paterno.
Tutto il Senati con folennc patto
Giurogli homaggio, epofelo al governo.
Sciolta è la balia, c conoCciuto il feguo.
Loftringe, ilbacia, c l’accompagna alrcgno^
149, Pula Doriibc, e da>la madre Argene
Condiraoftranzc afFcttuoTe accolto,.
Efebentroncaa’lor dedr la Tpene, <
Nonsò se’l corfi confor mavaal volto,
Come del fangue al debito conviene ,
Nafcotidendo il livor, l’honorar molto,
Venne Sidonio , c con aperte braccia
Corfo afeontrario. Se a bacciar in faccia.
i50.Smarrito da Tinfolito accidente ...
Di Corte ogniBaron gli s’avicina.
Tolto il popol concorre, e reverente
AfaluiarloRè ciafeun s’inchina^ . - .
D’oricalchi e diboffi ecco f\ fente
Muhca Barbarefca, e .3
Stracc.lan Paria le trombe a mille amìilfy
£t aB'ordanoil ciel timpani, cfquillc.
ip. falcato carro, d nobilmente inftratto,
Perche dal Tempio aVrlcgif albergo ei toni
Vien da fei coppie-innànzi^al Rè condotto ,
Dilxnguermcl e candidi Alicorni,
lavorato e d’avorio, & Ha per tutto.
r’àzurrojc d»oró i adorni
E’nsùquattr’archi eccelli e trionfali
Spiega l’infcgne de trofei leali. ^
' o r
30t / LA CORONA,
z$i. De Mftefla materia, c de Tifteffo
Lavor tra l’aurea poppa, e’I bel timone
In guifaf ur di tribunale, è raelTo
Seggio, che braccia, e branche ha di Leone.
Qui con fuoi primi Vfficiali^preflb
Sotto un gran pallio d’or s’aflide Adone.
PrelTo, ma non deipari innanii al piede.
Aftfeocon quattro Satrapi gli fiede.
i; j. L’aurea corona tien su gli aurei crinli
Ma però ch’a portar troppo gU pefa,
Duo fanciulletti in, forma d’Amorini
D’oro, e d’oftro piumatiin man l’han prefa,
E da tergo eminenti, a vicini
Gliela tengono in fronte alto fofpefa.
Così pian pian trà la .-reai famiglia
Dritto al maftro Plagio il cariifn piglia.
X54- Primi van gli feudier, coftor feconda
Di Paggi, e Camerieri ordind’honore.
Il carro poi la Baronia circonda ,
Doy’hà di maggior, Duci accolto il fiore ,
Schiera dietro ne vien lieta e gioconda
Di danzatrici Vergini e canore
Altre ne fiannoàh, su balfioni,c logge
Grandinando di fior purpuree pioggie.
^I minlftri d.el Rè, ch'a plé gli fianno,
Di paflb in pafiò infra le turbe liete
De la prodiga man fpargendo vanno ,
Infegno di leticia auree monete.
E tanta forza hàinsè l’oro Tiranno,
Tanto può di guadagno avida fece ,
Che la plebe a raccorlo intenta e fifla
.Cangia la' fcfta in ftrepitofar ijLi.
canto decimo SESTO-
Con sVfatto apparato itt &lola, e^nrlfo
^^S^anregài arriva 11 Re novello.
PoggjaJÙl’altàfàkeqalvl aOifo
St^nicro attende, melVa^glet drappello.
> benc’hor da V ifol a divi Co
Continente, era già vinita a quello»
E nove regni h^ea Ceco riftretti,
^“^*^córibn per tributo a. lei foggetti.
fondunq ue ad Honorarlo prefti
DlWQytreghi Ambalciadori accolti,
^ttVvinga barba, e lungo manto honeftì.,
E di ct^cfpl turbanti il <tapo avolti.
AbacciargUla man ne vengon quelli, ^
Pongon ledèftre al petto,^a terra i volti.
Ei gli rabcógUé, é^tinarixi a Te per drltto
Seder gli fa lovra origlici d’Egitto.
ij8. L’ambafclataadcfrpor pi^éfei: coftoro ,
E idoni inun de tributarli Regi ^
Cofe di cui nel Cen no n ba t heloro ^
L’AntMticoNetttm, ebe pitiu
Hauvi graigpadiglio*^ ieta,ed oro:,
Sparfo divarie cacce, ,
D’hiftorieVbà tape^xaria<realc,
Arazridaguernlrcamerc , eiale,
159- CinnMntaaìlClsm<*i«“^°ffi'nn>
Dcftriet cha i’oTO Vaan paramenti, e felle,
Vengon condotti ^ man va^hi e ■gentili
Da viè più clic carbon nere donzelle.
Robutd fclùavi in su le terga humili
Portand’argento ancor gran conche e belle,
Dov*è molt oro accumulato e molto
In meda^ic battuto* e n verghe accolto.
m LA CORONA,
1^0.^ Poi da credenza un Barbaro apparecchiò
Di bei vafi di fraalco ecco ne viene,
E v’ha tralor del più purgato e veccbi-i>.
Balfamo Orientai molc’urnc piene.
Non di chriftallo nò, fègue uno fpecchlo
Si grande, ch’a iàtica altri il foftiene,
Mà d’un’intcro, e lifnpido zaJSìro,
E di turchina hà la cornice, e’I giro.
i6i. Duopretiofianelliinunfichindc
La iiobil pietra, che relìftc al foco.
Onde guil’hà (benché Voraci c chiude)
Prende le fiamme, e le faville a gioco,
^ gemma contlèndital virtade.
C’ha di tofeo maligno a temer poco.
Perche fèntendp.ii rio velen ,che noc-c.
Ferve, c s’nfiainuna si, che’l dito coce.
x6i. Un borri voi di ricche gemme adorno.
Che quafi viva & animata molle.
Col numero , e col fuon l’hore del giorno
Segnar non pur mirabilmente fuole,
Mà con le rote fue fi. volge intorno ,
Còme volgonfiin Ciel le ftelle, c’iSolc*
Giran le sfere, edi fin’or coftrutti
Movonfi del Zodiaco imoftri tutti.
léj. Temperato in Damafeo, obliquo, c cornp
Stocco vien poi, c’hà di rubino ardente
Le guardie, e’I pome, e di diafpro torto
Sotto manico d’oro elle lucente.
Gravi di perle, àcui l'Occafo, ò l’Orto
Non vede eguali, hà cintola, c pendents*
Di diamante il puntale, c fmeraldina
P’un veid’ofl'o dipefee è la vagina.
CANTO DECIMO SE, STO. 3^1
t^4. Qucftiprefentifur, cK’ala prc-Ccnza
Del bell’ lonfu^reCentaci aiVKcra,
Data egli a i mem alfìn gra^a Ecenzaj
SlritralfcindifparEca far dimora.
Ma la madre d’ Amor, ciac viver fcnxa
Uaniitìa fua non pUò cótiteiara vin’hora,
Tofto de’bianchi augelli in. sù le penne
Tacita e fola a vUlcat lo ve nne •
1^5' Polche più volte racco^licn’z.e nove
Partì col vago Tuo la H>ea vcxxofa,
Pcrch’eraaftrettain V>reve a girne altrove^
Ht cradelfuobeiitrop>po &clora‘j
Seco pensò di ricondurlo, dove
L’hcbbc pur dianzi in cliiula parteafeofa,
Ondehlaando Aft reo regger fua v'cte,
APufatògiardin tornai To^^fcce.
x66. Fu Bàrrin condannato a gitiftapena,
Ma perche tanta, osi fole nne fi^a»
Di gaudi! tuttas c d’alle^'^^® piena
Conturbar non devea cola ranetta ,
Balio c’haveffc al piè ferrea catena , ^
S’haver non valfe aurea corona in tetta.
Ballò, che’n càmbio del ft^plicio ettremo
Trono un banco gii fufle, c icettrounremo*
«<7. Già fcintUUndo in comptón'ia d' Arturo
Hclpero ufeia de la magi on dorata,
BgU l’argento fuo candido epuro
tuor de l'ombre trahea la Dea gelata.
Stefo in wrraia notte il ve o ofeuro,
Aperfe inCicl fercnica *
B divifo un fol Foco in faville ,
Spenfc una luce n& racccfc mille.
4
1; ti
^ò6 LA CORONALO ANTO DECIMOSESTO.
%
z(J8. ' C^ando nel letto, ove i primieri ardori /
Sfogar già dc’l defir caldi e vivaci, '■
Colombeggiando i duo lafoivi cori
Si.raccolkr tra lor con baci c baci. ■ ^
La bell a Dea de’verzzi, e de gli amori
^ Intefe a l’amor fuo nodi tenaci,
E da’begU occhi con fofpiri ardenti
Gli rafeiuga le lagrime cadenti
• ^ ' iO’
269. Pafee il dignih'de TavidÒ delire
Sovra le piume immobilmente aflifa,
Ghc’l piacer del mirarlo, e iqùerma'ftlr«
'>Di de ver fra poche HoPé irrie divifa.
Le va con tanto dùwl Palina a. ferire,
E’I piu vivo del COI* Ife ^cca iii gullà, \ ^
Che fuor difcdubblofà elbìgottita ^ *
N on sà prender pàrìiicb à la ^irrita. ' ■ " ^ "
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Il Fine De lJPe clmQjS es t o
-CV'N'T O. . rxr
4,' i ri- t banUp t- ’i ’’y-
^55..ì1> t-inuri ! -D shouv^v ^ '^
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*0 ' iu ìof yifSyi 3ii3i> bt*];
'iS^ij^of t£3.ài:lIob -
- arìì- 4
'Imi;'.,
■ rj
L A' T> r P A PL X I T A
CANTO DE CIMO S ETTimo.
P d.lvcdercconcji4^n?apcna,&dif-
^rwa L^.^^rnc del fuo
afiC^ godirne^c-q^-^nfibìlc. P<r Trito-
ne ino£Ìto rri3.iririo, che cavalcato
da Venere, Se alleccaco da^a proixicfla del pre-
mio amoro fo , di qu.à.^ cor larghe ruote
trafcorreil ^gurist l'Hoomo fenlualc,
mczobeftia quanto alla par inferiore, il <jual
poflcduco&: Ugnoreggiaro dalla volontà, chcgli
promette piaceri Se dolcezze inamerfo dentro il
pelago di qaefto mondo , pet* elio del con-
tinovo lènza alctin ripolo con tortuofi errori
vagando. Per Glauco , cHe in virtù d un herba
mirabUe , lavato da cento ^
diventa Dio, fi dilegna lo ft^co di eh en-
trando nel gufto della vera
que de la vera penitenza purgandoli dclfcnfo
pre^eforma^
quifia la beatitudine > f- j-1 mare rb*ar
èftadcgl-IddU, & f fi oX’4u
ridono al pairaggto Aella 8
lalfedmc edere a*"*;?® ,& acrimomaè
«luella, che per lo fop <= ,,
provocatrice della. Itiil^^^^* _
: ‘ARGO-
ARGOMENTO.
jyal caro fuo con lacrime e fojpiri
Vrende congedo Venere dolente^.
Poi di Tritonsìdl tergo alter ameni tj
Solca tranquilli i liquidi ^
Quando due alme innamofate e fide.
Si fcorapagnan talhor per dura forte
Morcal’angofcia ambe le vite uccide.
Nè proprio è la partita altro che morrei
E s’è gran doglia allhor che fi divide :
L'alma dal corpo fuo 4olce conforte j
Che fiaqualhor’ad alma s'Invola, , -
Anzi in due fi diparte un’alma fola.
l. Ofcpoteflcinunmedcrmopunto.
Quando coppio che s’ama. Amor diparte,
Haver clafcun due vite, onde difgiunto.
Da la disè più cara, e miglior parte,
E a ramato fen Tempre congiunto,
. Senza giamai partir, girne in difpartc,
. Più lieta l’alma al dolce oggetto unita
Là dov’ama vivria, che dove ha vita. .
Deh come volentiet torrebbe un corc
Farfi baleno, c divenir fatta,
Purché da l’arco poi , che fcocca Amore»
Fuflc aventato, ove il fuo ben l’r f jctta,
O quanto invidia al Sol l’aureo (Splendore,
Ghe va feorreado II Ciel con tanta firetta.
Per poter conun raggio ardente e vivo
Vifiur l’altro Sole, ond’egli è privo.
Felici
CANTO DECTMOSESTO.
4. Felici augelli, e fortunati venti ,
Cui penne dà volar diede Natura. •
Beati fiumi, e rivoli correnti ;
Che divagar per tutto Hanno ventura.
Aventurolc voi ftclle lucenti ,
Ch’ardete infiamma dilettofa epura»
E fe cangiate pur fiti, e. ricetti,
Vi vagheggiate almen con lieti afpetti.
f. Mlfero quegli, a cui per alcun modo
Convenga ^bandonar delitia antica»
Che come ò fchiantar jràmo,,ò fveller chiodo
Non fi può fenza ftr epito, e fatica,
Cosìfpezxar rindifCbiùtìil nodo
D’un vero amante, e lina vera amica
Se l’undar^itrpfi diftacca, e fcloglie.
Non fi può fen^a pianti, èfenza doglie.
6. Et egli a lei Colpirà, & ella alui
Rifponde con (blpir trónchi, c tremanti,
E così accorda gli ftrpmenti fui
Amor con tuono cgual fra le fonanti.
Tai fon le lingue mutole, con cui
Favellano tra lor l'anime amanti.
Con quelle care epiftole furtive
Pria cne giunga il partir, Fun l’altro (criv^
7- Qual’afFanno credete, c qual martiro
Di Ciprigna, c d’ Adon nel cor s’aduna, )
Mentre per cccUiTar le gioie loro
Ofeura s’interpon nube importuna}
Chi lontano talhor dal fuo thelbro
Fu coftretto aprovar fimil Fortuna,
Potrà benmimrar con l’argomento
Del filo proprio dolor l’altrui tormento.
Gravida
510
LA DIPARTITA,
3
8. Gravina già di luce, il vago feno
Apria l’Aurora, e parturiva il giorn^.
Erano al parto lucido e fereno
E l’Aure, e l’iiore allevadrici intorno.
Theti in conca d’argento un bagno pieno
Gli haveadi perle, e di zaffiri adorno.,
E fafce d’oro il Sole, e l’Oriente
Porgea cunadì rofe al di ààfcentc,J
I fieli amanti, ché?iVÌ%anchi lini
Smarriti nel color de le viole,
Havean fin prefló^'bl^uftimi confini
Spefa in vezzi la ntìtte, & in parole,
Al dolce fuon'de’baci mattutini
Deftar gli augelli, e rifvegliato il fole. ,
Sorgendo poi da le rofate piume
Aprirò gli occhi, e gli preftaro il lume.
10. Ella, ch’ai rito de gli ufati giyocchi
Deve a punto quel dì girne a Cithera,
Dove ne van da’circoftanti luochi
I fuoi divoti ogni anno in lunga fchier|^
E di vittime {acre, e facri fuochi
Honoran lei, che’n quelle parti impera.
Parlar non ofa, e non s’arrifchia a dir e
(O parola mortai) che vuol partire.
11 . Come fe vuol talhor putrido dente
Sveller con delira man maeftro accorto,
I^n sù le fauci a por fubitamente
YadeltenaceCàn l’artiglio torto i '
Ma con llil dilicato, e diligente
Lo fcalza in prima, c porge al mal conlbrtòs
Così Venere bella il bell’Adpne
(Preparando l’afFetco) al duol difpone. ^
CANTO D^CIMOSETTLMO jit
li. Più volte fi sforzò, ma non fapea
Come, ne doride rncominciar deveflc,
Egli è ben ver, cfee q,^ànto adir havea
Nc gli occhi fctitto, e ne gli fguardi cfprefiè,
£ dal fanciul, che quanto ella tacca
Pur con l’occhio, e col guardo intefe , e lelfca
In quella dura e rigida partenza
Chiedea con vive lacrime licenza.
i5 Conviemnii dice, (e fciolto il freno al pianto
Gli fa monil d’àmbc le braccia ai collo)
Couvien^i pur (^hé di baciarlo intanto
Può l’ingordo defio render fatoUo)
Coviemmi ahi lalVa (c con qual dolo, e quato:
E con che lingua, e con checor dirollo?)
Convìemmi hoggi da te far^ipartita
Idoletti^gentil di quefta vita.
14» Per celebrate il di pompofo c fedo
Pafib a Cithera, c de vlen meep Amore.
De’lolenni apparecchi il tempo è quefto.
Onde là fallì al mio gran Nume honorc*
Io parto sì, ma fe ben parto, io redo,
E mi fi parte in sù’l partire il core.
Qued’efl’entia, ben mio, fiera e crudele
Altro per me non fia, ch’aflentio, e fiele»
Breve l’indugio fia, breve il foggiorno,
Che fai ben tu, ch’io fenza te non vivo.
Nè più in là differir voglio il ritorno,
Se non quanto fi chiuda il dì fedivo!
Tu, che movi cacciando i pafli intorno
De lafolicafcortain tanto privo,
Deh non andar, dove l’audacia figlia
De la follia ti gviida> c ti configlU,
Adori
Jft
LA DIPARTITA,
■W.
l6. Adon par ch’a quel (iir gemendo voglia
A favilla a favilla il cor dlfclorre. ,,
•Rifponder vuol, ma Timportuna doglia ,
Non lafciaa la ragion notecoraporrci
E s’alfin pur la lingua avien che fcioglia
Il duolo è che per lai parla, e diCcorrc. ^
Forma rotti foìpiri, accenti mozjji, .
’r’
£ fommerge la voce entro i finghiozxi.
17. Dunque (dicea) dunqu’è pur ver , che vuoi
Peregrina da me torcere ì palli : , . .
Dìdimmi, e come abbandonar mi puoi
Romito habitator d’antri, e di fal&f
Perche privarmi (ò Dio) de gli occhi tuoi?
O Dio, perche ten vai? perche mi lalTi?
E mi ladi foletto, fe non quanto ,
Mi faran compagnia la doglia, e’I pianto.
18, Cara la vita mia, deh dimmi, è vero?
('Non più fcherzar) qual fato hor ne dirgiiige
Ch’io nè dafeherzo ancor pur col penfiero
Pollo, ò voglio da ce vedermi lunge.
Che farai? ^e rifpondi? io temo , io fpero.
Ah che pietà di me non ti compunge.
V edi volti queft’occhi in fonti aii^^i, .
Che per giurar folevi elfcrti cari.
W* leggio hor ben’io , che dal tuo figlio avaro
Qualche breve talhpr gioia s’ottiene, .
^ perche crefea al fin Io ftratio amaro,
E fi raddoppi il mal, perdendo il bene,
LalTo, cim’apcrfe un fol felice , e chiaro, ,
Per poi lafciarmiin tenebre, & in pene.
Prelcll crudele a follcvarmi in alto,
•JPcr fer maggior del prccipitio il falco.
Se
G
CANTO DECIMOSETTIMO. jtj
V). Se di votivi honori hai pur defio.
Et a gli altari tuoi cotanto penfi ,
Non è forfè tuo tempio il petto mio?
Non fon voti i penfier, vittime I fenfi?
Se vuoi dal popol tuo fedele e pio '
fiamme lucenti, e peregrini incenfi,
Non fon vive faville i miei defiri ?
Non foa fumi odorati i miei fofpiriì
au Etellaalui. Chi detto havrebbe mai,
Che chi dal volto tuo bear fi fente,
Sentir deveffe poi tormenti cenai
• Sol per mirarti, & eflcrti prewnte ?
E chi penfaco havria, che qae’bei rai
Mi devefler mirar pictofamentc, '
E non raffenar fol con la villa
Qual tempefta maggior de l’alma trillar
Vedi vedi fé llrana è la mia forte^
, C’hoggi la mia lalute è per mio peggio. .
Le tue luci leggiadre eran mie ùorte,
Hor mi Tento morir, perche le veggio.
Onde oer non mirar la propria morte
(Ben ch’altr’alma c he te, non hò nè cheggio j
Torrci di dar quell’alma, c bramo almeno
Per poter non partir, morirti in feno.
H' Et egli a lei. Non sò perche fi lagni
Chi procaccia a fc llelTa il fuo tormento.
Per qual cagionda me ti difeompagni,
Sc’l non farlo è in balia del tuo talento?
Qual duro cor che mentre parli , c piagni.
Forma si meftò c querulo lamento ,
Si come s’ammolilcc a lagrimarmì »
Non potrebbe ammol^u a non lafelaiml*
VtU Ut O A che
514 lA dipartita,
z4. A che moftrai-tl afflitta, e lagrimoCa ?
Mon più piangcr’homal, che l pianto è van»
Non lente palhon molto penow, ^
Nè molto li fenfo, e l’Intelletto ha Pano,
Chiunque piagne per dolor di cofa.
Il culrimedlo'c del Tuo arbitrio in mano-
Perdonaò Dea, fe troppo ardir mi prendo,
E fe per troppo forfè t’offendo.
Et ella. Adon,s*eglimi t)iace,edolc
Cangiando nido, e variando loco ;
L’aliontanarmldal mio vivo Sole,
Quantunque io fappiabeii , che fia per po CO
Comprenderlo ben poi da le parole.
Che dal centro del cuor m’efeon dvfoco*
Chiedilo (fe noi credi) a queftilumì,
Già ricetti di fiamme hor fatti fiumi,
%(,. Mà che pofs’io, fe mi rapifccemovc
Violenza fatai di legge eterna?
Decreto incontraftalaile di Giove
il mio moto, c’imio voler governa*
Piaceffe al Ciel, che per non girne dove
Hoggi m’obliga a gir forza fupcrna,
Stelle ne la mia man quella partita,
Si come ne la tua, ftà la mia vita.
xy. Et egli. Hor come fai (s’Amor n’è fenxa)
Formar ragioni a danni miei si belle?
Non è buon Pegno haver tanta eloquenza
Quando di là dov’ama un cor fi (Velie.
Chi sà del ben’amat® a la prefenza
Trovar difcoloe, c quefte feufe c quelle.
Animo ancor’navijà bcn’a baflanza
» a foffr ir volcntkr lo lontananza.
Vanne
CANTO DECIlVtO SETTIMO, jtj
i8. Vanne vattene, pur. i> el mar tranquilla
Kffai mc^Vvo potrai valicar Tonde,
Se PUOI s\àUcggler <qucfte ch’io fUIlo
Paint, quantunque torb>i<le> e profon^lc,
ConccàaU Cicló-al foco, ond’io sfavillo, ‘
Acque piane per tutto, aure feconde.
Rabbia ài te fortuna, oy unque vai.
Cara maggior, che tu di me non hai.
1$. Oiraè, fplegar ciò ch’io fpiegar vorrei,
Mi contende il marcir, che rfi’addolora.
Poiché d’andar deliberata fei >
Del po fcdcl Co vengaci talhora,
Et alincn quanto prima a gli occhi miei
Riportai! chiaro Sol, che gl’inainora.
0 ti veggiam pur pria che la cruda
Morte con raortalfonno a me gli chiuda.
»
}•. Io sò ben’lo, polche del dolccc^ caro
Ciba divln, che l’anima nutriva,
Amor’ingiufto, ingiufto fato avaro
Per legge crudslillìma mi priva,
Nè vuol, ch’io pur,d’ un raggio ardente c chia-
De’begU occhi fereni alnacn mi viva. (ro
Sò ch’io monommi, e fìa beata forte.
Se per te vita mia corro a la morte.
31. Ma polche nulla il mio tornaento acerbo
Può con s\ caldi, fulfceratiprieghi
Il rigor di quell’ animo fuperbo
Interic, Siena pietà fi prie^hl.
Et al duol, che ne l’ alma lo diluda e ferbo
Amor vuol d’amor premio fi neghi,
Vita del morir mio, piacciati almeno
D armi loco nel cor, fe non nel feno.
■ - ' - - O i Kott
*XA dipartita,
,1. -Non cancelli,ò difpcrda onda d’pbUo
^ D’un sì bel foco in te la rimcnaV[c^P«»
Ma come vive il ver nel p9i;^o nub, .
Ancor nel tuoT.e viva ombra e lembianz »
Quello picciol riftor o al gran dcfio, ^
Quella 'poca mercè Colo ra’ avanzai
Quando albergo miglior mi fia difdétto^
iNje la cara memoria baver ricètto.
u. 5'e’l giorno ufcir vedrai da l’Oriente,
Che la gente confola ajlUtva^ >
Stando lungeda mejtornitìain^utb, ^ .
Che tu fol lei.quel.Soh cke.mi rallegra.
Se fpiegar dopo’l dì chiarpp^lucpnt^ ^
Vedrai la notte la Pua benda npgr|a,( .
Ricofdatvche taleancp m’ingombra ^
Senza tc nebbia, e gelo/horrorì,^ ornbra.
à. Se fior verhiiglioinp, rato, ò verdeggiante
Miri in vago giardino herbetra, o foglia.
Dì teco'alibof» Nfilmàp fedel^ amante
Altoénobildelip cp^^gc^'pogha.
S’incontripeivcapain,fiuroc'Jppàm^^ '
Facciati rammén^ad' de la lala doghav^
Penfando pur, che piùprofpndbf yiy^,
Verfan per tc queft’occhle fonti, e' vivi.
5 5*. Se dì perle, c rubin ricco monile,
O’bcl diamante incorno a te lampeggia.
Ti rapprefentllamiafede humìlc, ^
Cui gemma Orientai non ^^-papgg^*
E fc’n criftallo lìmpido e gentile
Sì fpccchìa il tuo bel volto, e fi vagheggia,
Imaglna, ch’ognor l’iraagin cara
Nel mezo delmio cor fplendc più chiara.
t
canto decimo set timo. i)7
5^. Cosiper tutto , ovunqu.c andrai d’intora^
Di racmai Tempre il (ìinixlacro finto
Di color viviin vive €br mé adorno
Dal cortcTe pender t.1 fia dipinto.
Felice me, fc quando poTcia il giorno
C^eal’ombrèfiotturne, e cadecftinto.
Ti ftampaile dormendo il TonDO vago
La mia vagante e fnggiciva imago.
57. Ma ciò non' fpèrp. non può gìa^al,
Ghe’l Tonno, il Conno- freddo, il Conno cic(;o
Accoftarlì preCuma a si loci rai
E venga tante fianime a portar Ceco.
Soffrirò dunque, e mi fia pur’aflai,
Ch’.io défproprio dolor mi doglia mec^
E con lo Cpìrto errante e peregrino
Pofla Cemprc al mio ben Carmi vicino»
j8. tace, poi Coggitmge. Ahi che Cerpendo
Mi vàper tutto il petto un freddo ghiaccici
Temo non tu da me £atia fuggendo
Al caro Marte tuo ne torni in braccio.
Se quello è ver di propria mano incendo
Scior de l’amore, e de la vita il laccio,
Crudel, Ce non ci move il mio cordoglio ,
Ben Cel figlia del mar, naca di Ccoglio.
j9. RiTponde l’altra all hor. Raro vien Colo
Un mal per aCpro , e per mortai che fia.
Il Tepararmi con fugace volo
Dalatuavifta,edaìa vita mia.
Sappi, ch’egli non m’è fi grave duolo, v s
Nè mi dà pena tanto acerba c ria,
Quanto il. vederti piangere , e Centire
SI profondo dolor del mio partire.
O 5
Ma
318 lA DIPARTITA,
^o. MàPudirmi incolpar di poco
Giò più m’affligc. E credi anima ingrata.
Ch’io con lo Dio guerriero, & homicida
Cangiar maideggialamia pace amata?
In lui fpavento, in te beltà s’annida.
Ei tutto ferro, e tu con chioma aurata i
Egli con fiere e fanguinofe palme
C) ccide i corpi, tu dai vita a i’alme.
41. Poi fegué, Sé giamaì porrò in obliò*/ ’ '
Del mio collante amor l’alta fermezza,
li Cicl di me fi feordij ò fé pillalo
Rimembrar giamai deggio altra bellezza,
Deftin mi face ia ingiuriofo etto
Scontar c6n mille affanni unà dolcezza.
Tacciami accerta è difpièratji forte
Pianger la viìa mia ne la tiiàinof’tc, ■ /
4j,. Et egli. S’altroffral gikmaiitiificdc
Di cj^uehch’ufciò^ de^tuoi begli occhi ardenti.
Ber cjiuelH pf atf ovunque pofo Iljpicde,
Secchm rherbette verdi, e i fior traenti.
Se mai rivolgo da rantìc'a fede
Ad altro oggetto' i' mi éi'penfieri intenti,
T raggamì iniqua {Iella inerme e fianco
D ove mollro crudel mi fquarcì il fianco.
4j. Con lamanbcllaa quellodirlabocca
Lcggieramente da lei gU fù percoffa.
Hor quai (gli diflèj'Ià tua lingua fciocca
Bellemmie infàufte a proferir s'è molTa?
Sovra chiunque un fol capei ti tocca
Cader piùtoflo il rio prefagiopofla.
Taci, nè più dò dir quando tu giuri,
Lenge da te cosi mal vagì auguri.
• X
CANTO,DEC1M.O SB-TTIMO. \»9
' ^
44- CIÒ detto con plctofo, e langvild’atto
Laco^pi^j^lquanto W favellar ritenne,
EvtiUadopcr gli ocelli 11 ài sfatto
Pur dacapolW l’altro a baciar venne.
Come fermar col -piatito, cfàr’il patto
Volellerxon le lagrime folerinc ,
fconfolando Vanirne dolenti
Suggellar con lelabra l giuramenti.
4j. CosUegiolc, elepnemorle eftreme ^ ^
Coafoavi acqogllenxe ip vari vari modi
Vanno alternando 6c Iterando in lemc,
Ereftrm^oii pl\l\ ^ '*
Io fconfola to Ailpn 1^»^ e gem
Rlfaettatoil cor
Vencr con roca e, langnida ave
Nonpiai^cr diep^ e loco piange anch elU.
^6. Poiché i vezzi d' A in?r r°n^“ *
RepUcatltrà lor molti fi .
Ejochepiara-^rifchUU^^^
Pnach’ettafM|^ cale affetto
Econtantito^ f> vociii Tuono
chTbtùt»Tj,uera\"^^^
Sacd-àmorc.edÌTÌu^iVaoguife=.
• iì <lol col chiaro lume
47. Vedi pur qnan \ ^^^ai con franco ardire,
Circonda e ?hiedi j. .
Giuro per Snge j . aulire. .
Nulla Yimmof'®' mio Nume
falca immortabca ^
Ch;ogaor ^„i.nole(ir
Sollecito timox > ^ ^ Làfla
3B ' LA^ dipartita; *
48. LalTa ,percli« Riviera avaro fatò’; ■
Fato avarÒ^e cruclcFè'àH ambo noi ,
Del miodlvinó'^f^rkobeatò' . _
Poter^arteitinekar ne’rhcmbifrtuoi^
Sì che dì viver pdi ne fuAV dato -
Com’an’ahin?a fol comnmne a doì? '
Ghebafterebbe^iTuii, el’ajtr^falma ' .
DI due fedefì^manti una fol’alma/
49- Così drc’clla, efhucgU allhofa il nbVo } '
Defio refpón cohTervide preghiere.
Sai ben, che dòpo quel, che ceco Wprovo
Sommo & incom'^^arabìle piacere,
Altro trainili, che travagliar jión trovo
~ Con l’arco in rajah Id fuggitivi fere.
Piacciati (prego) almen per un brev’ufo.
Di iafciarmi cacciar nel parco chiufo.;
50. UnpardoinCìpro 'havea chiufo e fc'creco
La Dea d’Amot pieh di feroci bèlve.
Salvo à Diana fol, quivi è divieto.
Ch’altro Paftorc, ò* C acciator s’enfeWe.j
Humile animaletto, manfueto.
Raro v’appar, come ne l’altre felve.
Da moftri norrendi (eccetto entro quel muro
Tutto il redo de l’ifola è Iccuro.
51. Ah (difl'e Citherea) quanto mipefa
Irrevocabilmente haver giurato.
Tenta ftornarlo da la folle imprefa,
Tenta molHrgli l’animo oftihàto.
Ma può folo appagar la voglia accedi
Lachiefta gratta del piacer vietato,
Gratia Ingrata a colei, che la concede,
E dannofa, c mortale a chi la chiede.
f
E per-
CANTO 'DE. OI T TIMO. 311 ,
{uEpercK’cUcorgc ,
A c^ucicaUo pregar pjoi'te\>^f^ conj^cace, .,
\^elai begli occVvì d’aiva rioÈ^Ta- oW?^oCa> .
Evlbr^i^i^Ùo d'ira il raggio ^deij^e.^3
Poco durar «Ì?gg> io fr oticf^l^egriola ^
l Dlfs’ella.e aoa mi calci o4cbìo pi^ng^ntc,
Perche, por mio , piu ^oloticier l-Pppor^fl
DWcde^^j.colerico, naorto». u , : >
se^ipcSMv
bffiptaa^è ha.
o, A. Jiaoi, ben mio, .
Mà fe aoftami il
e,
QCedi e conconfigUo.
E {e tl caldi me, cmf . T._, - . . »
Eie ticaioi . ji a tal periglio '
Et almen 1 =lp ^ ^
Cott ngttaiilo proe ,
jit LA DIPARTITA,
ff, Baftarpur ti devrlan qui ne l’aperco]
'i’antc pianure, e collinette, e piaghe, '
Senzitéittar per quel Serraglio incerto ♦
Beftie ìnhumane , indomite, c felvaggei -
Ma da che poco cauto, e meno efpcrto
Baldanza pueril cola ti tragge,
Schiva fere voraci, e non gir folo ,J
Mà conduci dì Ninfe armato ftudlo.
j7 . Timida Damrha, ò fcmpllcetto Cervo
Vattene pur cercando in piano, ò in monte,
Mà d’alpcftro animai crudo ,e protervo
Guardati d’irritar le brame, e Ponte,
Cui nè punta di ftral,nè tefo nervo
Faccia in fuga giaraai volger la fronte.
Deh non far, vita mia , che l’ardir tuo
XJ ccidendonè un fol n’uccida duo.
58. Fuggi l’hirfuto, & hifpido Cinghiale '
Vedi fpuinante di livor le labbia.
Moftro d’orgoglio, c di fierezza eguale
Fù per per penfier, che l’Africa non habblai,
Schermo feco non giova,ardir non vale,
Che s’avanza indifpetto, e crefce In rabbia^
Dove le luci minacclofe é torte
V olga talhor, là prefio è pianto c morte.
Ne giovcnil temerità ti fpinga
L’Ira a provar de l’ìmplacabil ’Orfo,
Come l’unghia nel fangue , e’I dente tinga
Rapito da ^urorfenza difcorfo.
Lagrlmofa boltà prego , ò Infinga
Al fuo niorfo mortai non pone iimorfo.
Nè potè altro giaraai, che Arati o, c ftragc
Le lue voglie appagar cyvide c malvage.
Ancor
CANJO D’EqilvLO S-E.T:T1M0. 51}
6o. Ancor d’H,ir cani a a la Cu p erba Fera
Stadia a turco porcr Cotcrartl lunge,
Quella chi la per fé gne, afpra guerrcra
Schernìirkc (de’ritclii, opprime e punge ,
Più del maritò 'Z. e firo leggera
Velocentence il ^gs’^unge,
Spargcd’ira le macebie, e furia, c [reme,
Ch’oguor de’ cari parti il furto teme.
6i. Nè meri A’ogni altro l’animal che rugge
Habbifemprc a Icliivar pronto 1 ingegno.
Non reme nò, non teme il ficr, non tugge,
Haha, ^iedo, ò fpunton non gli è ritegno;
Ciòchc’ncontro gli vien, lacera e ftrugge,
Ogn intoppo gli accrc;rce elea a lol'dcgnoi
FocogUocclii al crudcl, ferro gli artigli
Arma, e fprexz-a iracondo armi , e perigli
6i. Dchfepur fenxa ne crederfiaenno
Si belle membra a si dubbiolobolco ,
Eàdolce anima mia quant’io t’accenno.
Campa di quciVi rai la rabbia, e'I tofeo,
Ch’iutelletco non han, nefenno
. Da conofcer.e in te quel eh loconofco;
Non cura alcun di loro, e non apprezza
Gioventù, leggiadria. S'vada, o bellezza.
é, Qaal rofa oppreda da notturno gdo,
O’di pioggia brumale il ciin diffama,
Sovra^lePpIne del marei no lido
ImpaUidifcc languida, e rocch,,r,,
Ma fc Zefiro torna , o I A ba m CieJo,
Fuor deWerdc cappui Tuo gemme acci, fa,
E con bocca odor<aca, e puipurma
Sortiie al Sole, a a, K ala brina
‘ vJ 6
Tal
Dio“-
ii4 t A DIPARTITA,
<4. Tal parve aJ)nnto Adone, >e men crucciofo*
Il cììtUo ferenò torbido e criftd'.
Onde fialgoreggiar lampo amorofo py
T rà ì nrembi de lagrime fu vìfto.
Nel volto ancor crà chiaro, e-nubilofò-
Fèdi rlfo, edi pianto uh dolce mifto,,
E di duol vi dipinfe, e di diletto .
Coiifufo il core un’indiftiùco affetto*
é t. Ella il libacela, e perche già piÙTara
*■ Vede l’ombra del Cìcìfaufiin Levante,
Levali per ufeir con l’Alba a gara
T atta di vcxtX languida e cafeante.
Mentre ch’è l’aria ancor tra bruna, e chiari
Sorge, e forgèr fa (eco il carojamantc.
Le Gratie appella,! dolci nodi rompe,
E chiede da vcftir l’ufatc pompe^
66. Giovinette attrattive, e vergineHe
Son qirefte, ignude,c’nfottil velo avolte,.
Semplice liete e ridenti , e Tempre belle.
Sempre unite in amor, nc mai difciolte.
Di pari età] di par beltà forelle'
Con pai ma a palma in caro groppo accoltOj.
Somiglianti tra sè , moftrano efpreflo
Non diverfo, e non uno il volto ifteSb..
67. Dìclle Etinoraia alaluce , e già concette
Del gran Diode gli Dei, nacquer divine.
De l’Acidalio {ancorché pure e nette)
Lavanfi ognor ne Tacque chriftàlline»
E fon tre fole al degno ufficio elette ,
Thalia la dotta, Aglaia, & Eufrofine i
Bench’al numero lor poi Citherea
Habbla ancor Pitho aggiunta, e Pafithea.
Un’altra.
ile
è
4
CANXO OSCIMOS ET T IMO.
ii.Uj):alti:a»A»oQ^i pià , chc’l pregio KàtolBo
p-oanirara ecceUaiza^ tutte collette ,
Aaincgata ve lajè, non è m.9lfao ,
dìruiniani la Cpoglla , e "vefte.
(]ellar«ppeil3r,c feén del Oiel; nel volto.
PoitaUlMce , c la laeltài celeftci
Eroltrtancor, chccorrie il Ciclo è. bella*,
^21 favella.
Éj. cKci fapprefenri
^Kvnfafclvagg*ia,il fuo Pallore alletti,
O’AolcffcCpriraiin aniorofiraccenti
iattaDouna dvile> alti couccxcì,
O’ialbor fplcghtin tragici la mente
KeinalUuìtre, i Cuoi pie t oli affetti^)^.
Co^olplrl non men* cUc con la laude
Chi ne langue trafitto Pd^laudcV
70. Tallir pSaa dc’theatri il ibmmo honore,,
ijvvidaa coftjei'ccde il primo vànto^
Ondeveggendo pur la IDea d’ Amore,
CbelaÉi gràtic diigratia avanza tanto
Kon Col degnala fa del lÀio favore
Fra l’altre nme,edel commercio lanto,
lAà per renderin tutto al Cielo eguaic.v
Scóapitcrna 1 ha fatta, & immonale. ^
Viene af filo cenno alT bor i ficome hàillfc;
Quando avièn che dal fonno ella fi feiogUa,.
Il drappelietto nobile c gentile ^
De la camera facra entro la foglia ,
ILeca di bìflb candido, e-fottile
Orlatad’©rb,e profmnata fpoglia.
Di quella bianca, e dilicaca tela
Il no» mcnbiancoièn circonda e vela.
Gonna
>: 1.,
,i6 LA diparti ^
7r. Gonnadi feta, '
De le NinlVdi Lidia opra, e 1^» o ^
Si ftringe intorno, in guifa di
Seminata per tutto a rofe-d’oro >
V efta ricca c reali ma non ha. vefta
Pari a tanta beltà l’Arabo, ò II Moro-
Degno foro a’bei membri habito, e velo
Riccamato diftclle, a pena il Cielo.
73. Sotto un’ombrofa , & odorata loggia
De’fuoi rami intefl'uta, ella fedea,
A cui dirofe in fen purpurea pioggia
Scherzando adhor’adhor l’aura icorrea>
Età comporle in peregrina foggia
La chioma, che difciolta le cadea ,
Tutte tré da tré lati accorte e belle
Intorno l’afliftean l’idalie ancelle,
74. L’una a delira le fiede, e con la delira
Lucido fpeglio le foftene & ergej
L’altra lo Iparfo crin da lafmeftra
Difiniflimo nettare confperge;
La terza poi con man fcaltra e maeftra
Le fcarmigliatefila ordina e terge ,
E da lefpalle con eburneo dente
Ara le vie del crefpe oro lucente.
■75. A l’aura il crin, ch’a l’auro il pregio toglie,
Si fparge, efpandein mille giri avolto,
E’I vcl, ch’avaro in fua prigion l’acoglic,
Fugge, e licentiofo erra sù’l volto.
Se fteflblega, e poi fc fteflò feioglie,
Mà legato non mcn lega, che fciolto,
E fi gonfia, e s’attorce, fcherza, e vola
Perle guance ferpeute, e per Ingoia,
canto DECIMOSE TTIMO.
76. Spetto ì la fronte candicla, e ferena
Qiul corona dintorno aurea rifplende,
Hor fatte gli orbi Cuoi rete, c catena,
Hoi’i Cuoi lunghi tratti a terra ftende,
Tarhor iìttuCo in pretio£a piena
QuaG largo torrente, aV fenlc feende,
E par, mentre fi ver fa in ricco nembo,
Giove, che piova a fua Danae in grembo.
77, Màque’Ubcri errar frena e comparte
L’ingegnofa miniftra, e lorda legge.
Moki nelafda abbandonati ad arte,
Moki con moifo d’or doma e correge.
Parte ne chiude in. reticella, e parte
Per ottir groppi, c cerchi ella n’elegga
E qaaltti k>r, e per emular l’Aurora ,
Di fiori Ingemma, e qual di gemme infiora
78. E mentre folca con dentato raftro
Per diritto intervallo i biondi crini,
E dal foramo del candido aUbaftro
Termina in fpacioangufto i duo confini:.
Va tuttavia fovr a leggiadro naftro
Intrecciando gli ftami eletti e fini,
Dove con ami, e calamiftri accoglie
Tremolanti, cimier, piumaggi, e foglie.
Le trecce al fin diftingue, e quella e quefta.
Stringeindue mafie eguali, e poi!’ aduna,
E forma in cima de la bionda teda
Con due corna fuperbe aurata Luna.
Del vulgo de’capei, che’ntornorefta,
Parte non lafcia inordinaca alcuna.
Ma ne fabrica, e tede in mille modi
AncUa, & archi, e labiriaù, e nodi.
Polche
%
]
3%8 . ./ LA: DIPAI^lITAi
8q. Poiché perfette ognuna effer compi;^d% , |
De lo ftranio Iotjw lei^^erayigUe^ . ,;i -?
Altradl af^yraporlcinwntle' ’i
Ghirlandecce^o4qvÀ^cre^^v^|-migli^v' <- <<
Altra a gli occhii4ue(jucentì appende-: . ' ì ii,
De le conchq E^itro^<jeruIgetìg4c,'fi: j
Altra a l’eburnqa gola atfibbia ig giro,
Con brocche d’prp un vezzo di z^ro^ , » , j
8i. So»raunU;ij?pdifior^ej|;i^ref;^flira i
Il piombato chi illal,jì(5k'ncavant6rr ia\
Quel lampeggia a’£ìpv4ampi in quell^^uifa
Che fuol d’Endiiqjqn Iq bì^ca amantcj - \~
E mentre ivi per entr^j lumi affif;j,^ , . ^ '
Pur coiT^^ iC
Fàde’fregi :h 3
Giudice l’occjvi.Qyje^ptìfigiier lo fps§chj^ ,• J
A, lahpccau^pl cedej^^h'omav
Appo ilcaq^do/^§iif,eil'bel candore, ^ ios’I a
Delad(^pia,unionpp,ij4<^r^^^ ni f
E'I puro pdo^', che, ne le fpogl^ ehiufo,., ? ^
Da’figti Ipavà/IJinii-fà
83. Hor poic^ia tujtt’j^ut^.^ri?efioie^^^v^
Albelv^ggÌ9,ip4fi^^ndOiyalFf,; .
E nel’ulcjrt^vagtpcchicelelU ^ , -P
Innamora gli fterphinl^^mai {affi.* Jt -
Move i fembiaqti A^por, la^pi^ ?ii g«ft» >
Gratie le pianp^ , e macftatcipàllì.
Così piauplan u parte, e s’incaraina
Con Adònlagrimofo a la marina.
Mà-dq^l|:Qp^pt tr^i^mlo? rplc^^dpré. ;eoC>
Abba^Ua}^ ciglv? ippici rgif, | . ,fcxr
Puòde’rubiniil,fylgpraMca^dp?ip.A ' '
TTIMO.
*4* Apcì»agìóntì-1k^à là*veràVi?ivai • '
Fùperinvidrà^ifilé^uar lcft<:llc.
Cedon gli hòrrori a i^u'^la'ltìcé viva,
Fuggottlt nebbie, e Té procelle.
Il Gel lonUcje’d Sòl,f?h’allhoraùfciva >.
Sifpecchiò ne.le luci àrdenti e belici
Onde pàteS con gfeiinò iplcrulorc ,
Cheduò foffero VSSli'i^ due TÀurorc.
85. Come l-augel, chè-téTfuc fpogKc inferme
Dentro rogo odótiferà cohluma,
Poiche’l riLorto tf ’gio vinetto verme •
Hà riveiVicó di novella pìam a: , , . '>1- ■ ,
Prodlgiofo c redivivo germe > ' , '*
Di purpureo fplendor'l’ Egitto 'illariia, ^
E ritorna invcr le |> att te piagge/ /
Lunga-ftrìfeia d’adgei dietto fi. tragge^ ■
85. Cosi dovuhèue il -p^de’i cl*occHio gira»
Rendendo il InolÉdrito, il Cielfcrcno,
Mille Amolriia Dea feto fi tira.
Qual (otto il lembo, e qual le vola infeno,
E Paere, py' ella ride,- ond’ella fpira.
D'anime tutto animorofettc c pieno,'
Ch’ai vivo raggiò, ond*^è più chiaro il giorno
Si com’atomi al Sol, fcherzano incorno.
87. Scherza le intorno lafcivetto e folle • •
In mille groppi un nuvolo d'-Amorij ■
Popolo ignudo, alata plebe e molle.
Sagittari feroci, c feritori.
Di palco In palco van, di colle in colle
Altri cogliendo, altri verfando fiori
Parte l’oro pungente, e’I piombo aguzza ,
Parte di vivo humor ftille vi fc ruzza ,
Qual
.LÀ DIPARTITA, A
88. Qual di mufico libro il grembo ha carco.
Qual và con cetra , e qual con arpa i braccio,
, €hi fere affronta, c chi Pattcnde al varco,
Chi fiamme acce, e chi vi mefee 11 gliiaccio.
Un fcocca la faetta, un tende l’arco.
Un telTeun nodo, un’altro ordifee un laccio
Quefti sù l’ali ftaffi, e quei leggiero,
D’un Cigno, ò d’un Pavon fi iadeftriero .
S^.Quegli i’affren^e quefil il fren gli' allenta
DunTaltro ingiuria, afl'ale, urta, e minaccia
Creiti il compagno importunando tenta
Di trarlo a terra^ e quegli un fuga il caccia.
Altri mentre fe fteflo in aHoavenca
Ride cadcndo,!altri il éaduto abbraccia.,
De le cadute^^lor l’atto è diyerfo,
C hi boccon , chi fupino, e chi traverfoi . ^
fiO. Molti cercan ne’làggi i nidi afeofii '1.'’^
Dove Hanno a covar le Tortorcllc.
Molti ne’cronchi de gli allori ombrofi
Fabrican ca^e, e gabbinetti, eccUe. ' •’
V’hà chi di vinchi, e vimini vifeofi ' . .
Implica l’amenifTime mortelle.
Nè manca chi gli augei caduti ài vifeo >
Chiude In gabbie di giunco, ò di lentifco.
$1. Altri intrecciate, c’n lunga linea attorte
DI molti archi ha le corde inficme avìncc,
E poiché l’hà d’un’clce a un ramo force •
Sofpefe , e l’armi d’or depofte e fcintc,..
Quivi s’affidc, e più d’un fuo conforte
Agitando il và poi con mille fpincc.
Si libra, e vibra, e mentre in aria (balza
Quali in mobile culla, hor cala, hor s’alza.
Alcoa
CANTO DECIMOS ETTIMO. jjx
$!• Alcun giocando con auratè poma
Le bacia, e gitta St la contraria banda
Altri con pari e vincencJevol foma
Purbaciandole p'reilde, e le rimanda,
^cioltaciafciin di lor porta lachiorhaj
Acuil’iftdVò crin fcula ghirlanda,
E le faretre, eie quadrella loro ^
Parte fonò indorate, e parte d^òro. ; '
jj. Amianlajnan di fàceUctte ardenti,
E fpeffó avicn, che l’un l’altro raettij'
Mà fenz’ìra, ò dolor porgon ridenti
A gli ftrali arrotati ignudi i petti,
Hanqual d’òftro, e quaÌdt‘or penne Intenti,
Varicficònlie apunt® han gli àugelletti.
Son vermigUei c cerulee, c verdi, c gialle,
E d 'altri piu color fregian le Tpalle.
J4. Figli fon de le Ni nfe, e fon germani ‘ • '•
D’Amor, d’egual età, d’afpetco eguale.
Sa ciafcun d’eflt ancor nc’peitihumani
Vibrar la fece, & aventar lo ftrale -, . '
Ma fuorch’alme vulvari, e cor villani,
Arder non fuole, e faettar non vaiò
Solo il Principe lor fdegna trofei
Di cor felvaggl, e d’animi plebei, '
Chifìadì voij vaghiifahclulli, e fidi, ' '
Che trovar fappla, ove Tritóne alberga?
E preftaraente a me l’adduca e guidi.
Perche quinci mi porti insù le terga?
Ite a cercarne i più ripofti lidi,
O’che per Tacque Egee forfè s’immerga,
O’che tonar con la lonora conca
faccia dei mar di Licia ogni fpelonca.
Premio
jjx LA DIPARTITA,
^6. Premiofiadeg.no a sì leggiadra i mprefa
Nobil faretra a nobiParcoaggiunta
Eccola là rovraf^uel,mi|:it9 gppe|à>
Di perle tutta, e di rubili -trapu^ja',. ^
pi canne armata, a ciii, non yal.t^fera, . ?
Canne guarnite di dc^ata pujata. , . , 3
p’Indicp avprio e d’ Arabo lavora n , ^
Orli ha d’or, fibbie d’oro, e lacci d’oro*
57. Come affifchlar ge\ Gomito fupropiO; »
Quando a la ciurma incateni^ta accenna
Salpar’il ferro, & aberrar il repaoj
Stender laYel£^.p jpUevar l’amenna,
Vedeiì IL legno, c^c con sfortpjeftremo
Tolto l’ali p?r l’ac^ue il volo iippena^
Freme l'onda p^jcoffaj il lito èj:ì4e
Mentre a voga arrancata il mar dividic.
r - ^ I !
92, Così tpfto.che fciolfe In note tali ^ » .
Vener la lipgua, i faretrati augelli
Chi diquàj cfildi là battendo Pali,
Si divìfero a prova in più drappelli
E fparfi Intorno per gli ondofi làli, rff; -
Quelli confini invelligando e quelli, j
Tutte del mal, quali corrieri, e fpic,
Ingombrato, efplorar l’humide vie*
Per ló Carpathio niar Trltòn la traccia.
Di Cimothoeritrofaallhor feguiva.
Spedo la tocca il fier , fpellb l’abbraccia,
Efiftruggel’acque infiammavlva.
Ella l’horrenda e fpaventofa faccia
De l’ingordo feguace abhorre e fchiva,
E timidetta co’capegli fparfi
,Y à trà larghe plà denfe ad appiattarli»
aNTO DECIMO S B.TT IMO. 53J
ia fludica dè le e eruicc me m.\> r a.- '
CcrcadifcÒgUò, ove ricopra. ' *
Ei, che l’altt'à'Heltà irà sè rlmcmb va, ^ ‘
Sott’acqua a fiuotb b^rilTdò ‘ fifudio àdopr'aì
E COnlubricO ^rniTT.r» fnrfT3il“ r*rcrf»nrr»
Airfìftèndéilìivbftri finirti àrcofi»; , ' '
Ame,sòqua?il:o {ì’f9 li4^5ìaondoV^ *' '
Vienne f gcàfepretta ^i hotneri’f^àgRioft '
NevHfià laTtìèV^è lìHèlacicaJ^
Ciinothc^A\^I'di‘ fit>ellàlìt^ imita. ' '
“Mvib ic'‘i r'^r ' i . v ' ' 3'«
lo^.Euor dclgorgo prpDPJtme , cinaltoafccndc
i/5emipc^eauhor torVSxC -
laPiftricc’còftt^iiom
Vela d’ópdò©^t?À‘Vcj braccia, e flcmb^ ' ^
Con doppiti ccIrAo biforcate Torme,. * \
Tre voftp Jl:.pcj^b ^ ,
Giunge mbiprb^hdÓta'fld.dal quatto tratta
10:'- - “ ^ ”'.dd
Gli ultlmibacl; c gli ultimi commiati. :
Core àX>Vo;,Vitàà piò (l;unl’àtó ;
3fu valine in pace, ‘c tu rimaiafeUte, ''
Non'hanpotUto;'éTottLc> il nvàr prbfo.iido
GiftCf
3J4 LA DIPARTITA,
104. Giace fenz’onda il mar tranquillo il calma,
Brilla l’aria pacifico, e ferena,
Onde T riton fe fteflb al corfo Ipalma
Da la fiorita , é fortunata arenai
Era sì dolce e dilettofa falma <
Sottopon volenticr l’hifpida fchiena
Perche de’fuoi fofpiri in tal manièra
Coglier Solcando il flutto, il frutto fpera*
I© j . Quafi ombrella, la coda ifi alto marca
La marittima belva ambitiofa
Sq^uallido il tergo, ovcrjfi preme e carca,
Hadi murice vivac frefea rofiu
Così Ciprìgnailmar naviga c varca
Quafi in morbido letto, ò in grotta ombrofa-
Scorre i piani volubili a feconda,
E col candido piè deliba l’onda.
106. Già s’ingorga per l’alto, e già la Diva
Quanto perde del fuol, de l’ onda aquift a^
Mà qual cerva ferita, e fuggitiva.
Indietro adhor adhor girala vifta ,
Nè da l’amara,/ofpirata riva
Torce il guardo giamaì penfof^ , ctrifta
Vorria, nc sà qual gelo il cor le tocchi,
Come vi lafcia il cor, lafciarvi gli occhi.
107. Dc’promeffi Himcnei lieto egioiofoj ^
E de l’incarco fuo Tritone altero.
Non fende già del pelago fpumofo
Per dritto folco il liquido icntièro ,
Mà va con giri obliqui il campo ondofp
Attraverfando rapido c leggiero,
Rapido sì, chefuoi con minor fretta
Sdrucciolar facteia, volar faceta.
OANlU l-»fcC.lMUb£,XXlMO. I3y
lòS. ArrUoa tutti al trapaffar di lei
De’regnl ondofi j dtcadini algetiti-
Alcua non è dc’frcddi humidi Dei,
Chcnonfeata d’amor faville ardeati.
109. Scorge d^al fondo cupo c criftalllno
Citando à fklutarla ogni Sirena.
Ciafcupa Ni rifare ciafìcun. Dio marino
Alcun moftr o del luar preme. Se aftrena.
Cavalca altri dì lor curvo Delfino,
Altri lubrica cono a in ^rò mena.
E tutti fan da quella parte e «mefta
A sì granpaffaggiera applautb e fella.
no. Niceuna tiare, horribil moftro c foixc»
TcrfordcTOcean, con alga imbrlalia.
Ligia un Montone, il cui fèrocc cozzo
Le navi 9 naviganti ur c a, c Cco mpig,na,
Tien di verde Giovenco avluto il gozx
Con molle giunco P ano peavcrnu^ia»
Lcucothoc bianco con rofato morlo
Di cerulea Lconza attienfi al dorto.
ni. ReggeThemifto a frea pl§ra -
CidippcutiCcco con le fauci apcrt .
Ne le latebre d*una Sbotta op^a
Margarite, e zafir coglJ^cl^c Miacolacd
E à qael Sol.chc’l mar
Ne&votive, c "‘'“""aat'ondoFoa
«jrriicK'-”. " ‘‘“j
LA DIPARTITA,
m. Sparge le chiome a i zefiri Anfrlte
Di ciottoli cónfparfe, e di corallis
Con le piante d’argento Egle ,e Melkè
Fendon fpumantii mobili criftalU i
AcIconGalatheavari/:, partire
Mena di vaghi e leggiadretti balli :
E fecole Nereide, eleNapec '*■'
Vanno, c cent’altre Ninfe, e cento Dee,
115. Eflaco Efperia va cercando annota
Per le pianure liquide, e tranquille. ,
Arethufa,& Alfeo, Prinno, e Licoto
Spruzran le nubi di lucenti ftillc.
Clìmcne,c Spio, Cimodoce con Proto,
Lcucippe, e Deiopea con altre mille
Del gran Rettor del mar compagne, c ferve
Cantan gli amori lor^ nude caterve.
Il 4. Nettuno fuor del cavernofo clauftro
Con Venilia, cSalacia, e Dori, cTheti
Gaiamente rotando il nero plauftro
Sovra quattro Oelfin lafcivi e lieti ,
E>à bando a Borea , impon filentio ad Auftro j
Fa che placido i moti il fi ulto acqueti.
Di verae mufehio, e d’argentate brine
Molle ha la barba, c rugiadofo il crine.
ii;. NonraencomeRcina,ccome Dea,
La Aia bella confo rte ha (ogUo, c fccttro.
D à duo Pefei deftricr conca Eritrea
Tirata, Inalza un bel fedii d’eletto.
Quivi anch’ella al pafiàr dì Citherea
Canta le fiamme fue con aureo plettro.
Tingon le pure guance pftrl lucenti,
^on coralli le labra , c perle i denti.
" ~ L’habU<>
C/INTO DECIMOSEXXIMO 357
P come 11 mare ondeggia,
Difcintille d’argento uitlurrie alluma;
&aco,ma*l blaco imbtima,ilbru bianchef^gla
Tal ch’imita al color l’onda, e la fpuma.
Sovra I aiuola chioma le lampeggia
Di brilli adamantini eftranla piuma,
Etrecciaa treccia inbei volumi attorta.
Quali groppo bifee, in tefta porca.
117. Incorona di gemme alto diadema
La fronte tra fparente e criftallina,
A cui nel me zo balenando trema
Piu chcfteljb di eicl,ftel4a marina.
Pende i;i duo globi da la parte eftrcraa
D ambe l’orecchie gemina turchina,
Etal collo, a le braccia in doppi giri
Fanmonili j ^ maniglie ambre ezaiìrl.
U8. Segue Forba con For co^ c "Nereo II priiiio,
Chentrcccla ilbianco crln di verdi herbetee,
P^r farle bonor dal fondo ofeuro Stimo
laguna oftriche frerchc , c perle elette
Melicertail fancint tra l’alga, e’Hiino
Bacche, e viole tenere framecce.^
Ino l’abbraccia, e mormorando Infieme
Palcmon con Porcun rauco ne frenie.
Iij. Chigiùs’actuffa, e dai riforgeagalla.
Chi balza In aria, e chi nel marfi corca.
Altri portato è da una Foca infpaUa ,
Altri da una Pxftr ice, alcrida unOrcr^
Qual Covra un Bue marin crefeando balla.
Qual su le terga d’una horribll Porca.
Quelli da un nicchio concavo e condotto,
E quegli Immane una falena ha lotto.
. Toh 11, ^ ^
110. Etecco in sùcnij:! punto uCcir liifianco-
ProcheOi del del de Tacque liiirnido
* Protheq^ che’l gregge fu© canuto, & bianco
Menar’aifa^fiipafchl uà per coftume,
, Frotheo faggipindovlijy che talhor anco
Si cangia In fterpp, m faflo/m fronte, in fiume
Talhor prende d’augel me miro volto,
Tailior fen fuggeirn fianca, è in aura fclolco
111. Hor con l’argento manfueto e vago
Pafee Giovenco laTnatejrna mamma.
Hor faltaOrfo braiV^uto, hor ferpe Drago
Segnatoi! t?rgo di fanguigna fquamma.
Hor vcfte di Leon fuperba imagp,
Amando gli occhi di terribil fiammaj
Hor vieti Tigre, fior Cinghiale, hor perle ru-
Latta fra Cani, & ulula fra’Lupi. (pi
111. Quefii qualhor la notte il mondo adombra
Arlentrc il vento ripofa, e Tonda, e’I pefee,
I folcln azurri con ruefehiere ingombra»
E I procellofi campi agita e mefcc.
Mà torto ch’a fugar Thorrore e l’ombra
J^i grembo a Thcti il Sol fi leva & efee.
Cercar fuggendo il caldo hà per ufimza
In opaca Ipelonca ombrofaftanzà.
iij. Hor la nova beltà, ch’ai Sol feafeorno»
Da’cavi fcogli a viva forza il traile
Sì che fenza tener la luce, c’I giorno
S’alzò da Tacque più profonde c bade,
E tré volte girato il carro intorno»
A Pritonc accennò, che fi fcr malici
Stetter taciti i venti, c Tonde immote,
. Mcntr’ci fciolfe la lingua iu quelle note.
P
CANTO ÙECIMOSETTIMO.
114. O Dea prole del mar , mifera, e dove
M'alguidato penfier ti guida c mena.
Dck qual vaghezza, ò qual follia ti move
Acercar’altro lido,& altra aréna J
O quanto meglio vòlgcrdti altrove
Il camin, che t’addùdé a nova pena.
Tu dalbell’ldol tuo lunge ne vai,
E di fua vita il termine non fai.
115. De’givochiCithèrei vaifpetcacricc.
Dove accolta farai eon, feda c canto*
Ma tragedia funelia, & infelice
Volgerà torto ogni tua gioia in pianto,
Ortìrir vedrai (come il deftin mi dice)
Vittime elette al tuo grati Nume fante?
Ma vedrai pofeia un fdcrificio infaufto
Di chi ti fé de l’anima holocaufto.
n6. Minacciaalbell’Adon mortai periglio
fero Ciel, cruda ftella, iniquo fatoi
Nè molto andrà > che’l Sol del fuo bel ciglio
Ha d’eterna caligine velato,
E di quel volto candido, c vermigliò
Languirà feco l’un e l’altro pratoi
Giacerà (parfa al fuol la chioma bionda,
Difangue, c polve horribilmcntc immonda
117. Già veder, che tartaglia, c che l’uccida
Il moftro formidabile, e m’avifo;
Da facrilego dente & horaìcìda
Vcggioli il corpo rotto, il fianco incID.
Odo già le querele , odo le ftrida ,
V eggTo fquar ciato il tuo bel crine, c’I vifeu
Il veggio ò bella i al vaticinio credi,
5e non amili tuo danno, indietro riedL
[p X Autlvt&:
543 LA DIPARTITA* ^
ii8. AmlvciVehc^o il filo .
Procheo còp qu.efto
_.. .. ---SeVjBnllajfenvg^;
Sterzato alkhor pcj le campa^^ut
Dogllofo. Ili atto lolfpir andò tacque» ^ ^
E lievcuientè s’attufto nePàcc^ue
110. Refto d’alto fìrtpor pallida.^ niutaV'- ’
Eperlcvénédh;fréd^ogcìdè(i&rk^ >
Venere - t
Tarlo di novklMp'U cdttJitì%r«
OnMraTuòifofj^éttì'irrfeCòHttó^; / . ^ *
FCid’indléttbMhkf^iti^oU.^ ^ ■*
Dal timori (lai ’dol9r confiffòtitntì<!>>
Che iionTapea-'fe noH ai&fi inp^iWO.
Ito. Il gran tifnpLdele pirol.c’ij^^I^
Fù ràetta mBhtal, chc[^à‘trafin^ , ‘
nr-l -L UUI-i vìfff»:^t^bcn CÓITlPrctC
L,a cagion ai viWiCi uu»»», w«». -
Quindi il cQÌ®tkWl«to
E’n piecòrdC'fei^afè^fi , :
Deh quàf iiuràh^imhpf ^
Conturba sì, ch’a lagiriitót -itìdate? - J
itt. A quella fmorta,'^elà^nmofa^fcI^>
Al Sol di que’begli Dcbni’;hor fetto ófeuro.
Chiaro beri m*ayegg’idi''^ht^to tifpi^cciai
L’alto ptefag^ó'^def^ratl^ mal ftiturò
C’horrlbil mortè aF,TCU^Aabn minateli
Pria chefia dé’vc'ifd’ani]lrl'fipr maturo,
j Ma per cofeeiamai grocondè^ò mcftC;^
Alterar non £ deve alma telette.
canto DECIMOSETTIMO. J4X
iji. Ddfovranp Motor amata prole,
Dispanw Ainorgp^j^ alta Rei ha.
Che non farà» ^ non p^ptlrà>f^ Yole?
Qual legge altrmger può, rprz.'a'^ÌVini'?
Facile ò Deati pi tuo gei ’5'^Ìe
Perpetua notte ertvp|p uetìAn d . ftìna.
Con quell’impero, cUe ta&u c’è tldio,
Vincer Natura, & mg^|xp,are il faéo.
133. Speffoper^ratjaa Thuàrno il Ciel concede
Le fue fenipre pferuat ^aducheè
Arianna non coot^^ R^^.nimedc,
Ch’a l’ alte, Deità foi> fatti eguaH ,
E per fiacco, c per^Cjiovc ancor fv vede,
Chetràie ftelle|,yivono immortali.
L’elTcìnpio più vicin Colp ti moftro.
D’un noto cittadin del, regno noftro.
134- GlauCo,che daNettiinoInfrà loftuolo
AferittO' fù de la marina claffe
Pria che’ntrando nel mar, lalciaiido il Cuoio,
Fatto fcagliofo Dio, forma caiigiàfie ,
Era vii pcfcatorc, avexzo Colo
A le reti, a le canne, & a le naflc.
Mà per Comma ventura ottenne in Corcc^
(Ben che mortai) di Capei ar la morte.
I3f. Sovra la Cpiaggia un di del mar Beoto
Veftito ancor della terrena (poglia
D’ un’hcrbaeflrana, e di vigore ignoto
ColCc, eguftò miracolofa foglia,
E naCcerli nel cor di girne a nuoto
Di Cubito Centi penCero, c voglia ,
E’ntucto uCcito de l’humana ufanza
Altra naturapreCe, altra Cemblanza.
P j Muco
54^ tA mPARTITAi
356. Mutò figura, il corpo fi coperfe ^
Tutto di conche, e divenn’algail crihc^
E apena in taiguifa ei fi converfe,
Chefaltò da lefponde al mar vicina
E poich’entro le vifeere s’immerCe
B e le vafte, e profonde acque marine»
l'urgato II velo human da cento fiumi,^
S’afnfe a menfaalfin con gli altri Numi-
J37. Hor’il pianger che vai? perche^le ciglia
Non volgi homai di torbide LiT.fcrene ?
Ben lice a te , chedei granonib fcLfiglia >
B a cui felice ogn’influentià;yicnc.
Con fimil privilegio, c meraviglia
Soctrahendo a,l gran rlfchio.ai^co il tuo bene
Oberar quel, <;he furtidhor.cotìtefio,
N on ch'ai divi n faVol:s:i.al cafiji iftcflb.
138 . Se ben la Elccrria crbàcaria vita
D ifegna in breve al giovinettcba^erba,
» al debito cbmmun puoh qefeV!a«:^ ^
Francarlo tu di'quellaincog^t’hetbaj
E torcendo alfuofil linca.ìnfij^ta!
Mal grado de la Parca émpia e fupe,rba,
Farlo paflàr, pria .ch’ella habbla a ferire
A Timmortaiità fenza moiire,
J3P. La D eaquc’dettiafcolta.chon rifponcte>
Mà tace alquanto, eftà tra sftpé.ufofa.
Penfàndo va,' com^haver poilbye donde , ,
Quella niirabilherl>aaventurbfa> > ,
B entro le cui bennate, e facre'frondc
Vive virtù sì fingolàre afeofa, r
Che ritrovar non sà via più Ipedlta
p ’aHecurar la vita a la fua vita.
Rot-
CANTO DECIMO SETTIMO. 545
140. Rotto al fiae ili (llcntlo, ella lì chiede
In qual parte hàbbia Glauco il ruofoggiorn®
E fé volendoàra cercarlo, ei crede
Dlpoteila'condarrc, e far ritorno, i
Tante che polla poi, cjuaiKi’cgltricdc,
A Cithera arrivar l’tftelliicgiorno,
Perche canvien, che per lavia men lunga
Quella feramedefma ella vi giunga.
141. Benché percurteo il mar (foggiunfeallhora
Il Trombetta de L’ondc Uabbia ricetto ,
Suol più clTaltcove ,:iivpi3rito ei fai dimora,
E per quella càgiò ti P ontico òdetto.
Ma fenadlhnopo^ , andar -potrenvi ancora,
E volar petcjueft^ictUic io ti .prometto.
S’haveffc ancorile TÓceanalbcrg9>
Ne rOeban ti porterei sù’I *^crgo.
141. Purichtftttda-cuì fol la piai^mia
Può fahite- l^ar , mi prema lido rfo.
Pur chraffrehat©; e governato io fia •
Dasì foaVèyes^feAioè'ihorfq, • . .>•*
Hoggi sfidar p3<dA.ce®ùI<iarvlavt of
I deftrkt^fdèl* «brfo,
E vò déì'^plà''{[¥fcftH^\i^à-lciggh3ro
Circondar de hatwa intero.
14J. Tace,: 9 tade pria. Rifosdsj, Ifola dove
Di Ciprigna, e Idfì^Ua,
E’n cui la faggitof a naca Jdàt^ ip.vc
I primi altari haver-grililìodilpiacque,
Onde colui , éhtìl’iljViverìJ move,
Oro in grembo le Ipaiie ih vece d’acquc’.
Ricca delgran Coiollb, Immcrfa mole.
Simulacro del Sol, ch'ofRuca ii Soie
Qiiln-
la DIP A1^‘TIT a.
V
E del boico ai ; -Tr • o
E’I LabirintOrOhd^>i5af(Srf fi
Per infamiai
lido refiigio d lkmfittaCetvS.
,^c. AdEglapoi,chbft^poidetta W
^Dala£sliad’laliftj/rffe^i€^'
E Teloincontsmj che le prative ‘ ^
De’fini unguetó da >. ; Y
DeleCalinneléfrdfldo^^^.
D’ Aftipalea le pefi:are(5«c dteóa ^
Varcai pur deV^moriainaw^ ..
Di duo poni fuperba, aderta G nid .
_ ¥■
U<. Scopre NifiW. »U«1 pefante ft®J
De la fé d’ Artemifia
1 non lontano SalrrvacCj che n opp
Porma duo fedi (ofeeno fonte) accoppia.
,47. Indi gli appar la <i‘^^ettofaCoo,
per Hippocratc chiara, , eper p >
Onde di ftame, e di lavoro Eoo
Vengonle vedi ^'".tnoo.
E’ngolfandofi a pien nel mar Mirtoo,
Tetre difeerne, eregion no’'=“'- ,
E fenza intoppo alcun p„„
r»thmo,e Eetiain on punto, Aroot^o,* Fa
.ri
CANTO DEC IMOSET TIMO. ;4y
148. yiè più liete, ch’augello, ò che baleno» |
To^o.di Deio ni (acro lido airlva.
Vede d’Orcigia, ove fgravanail Ceno
Posò Lawna, la felice olivà.
Nafto da^;ieche'tcmpcftai;3i«iTcno
Cofteggia, e di MIeon tocca loiriva.
Quella i figli di Borcaiji ^réftibo chiude,
Quella d?,Tuoi Giganti ha roll'algnude.
14J. Del Y^gp corfo al^Hnpctp fu^fcé-.
Forze raddoppiarle Siro attigne, e Rhéna,,
Duna a moribfi .piòltal mafcnoafoggìaccy
L’altra di bu/]^j,5di f^òlcri è piena»
VifitaCithpQdi^nilìor ferace,
E Sifno, che» c-djogui vena;
E fin pE€^ft5.crfej^IargtiiLglfa^ *
DoveJfi niaSiAittiio.v'
i;o. I ver4idg^ j»jffe<)^idiGea* • ' ^ , ■
Ricca d’sifjn;venfc^^(3ri:iÌolfo .. I ’
Nè cifd§i-jiÌ5iK'è
Da la
Cariftp^5ft§g’i^Kl^che Tonda ^ea,.
V agheggi^i;^or no,;^,tjj#paiIàT s’aitr.etta,
A cui bei’marmi il Feì^j?, e l’Africano,
E paro iftefl'a fi p^eggta jn jtjattd*
rj:i. Scorre a Giaro, ov’ipftglif.<3fl^lhm bando»
E’n cuide’cf^i la vorikisfi^neof
Rode Taceigro de,’Caf3r^UafeVa<^o
Lontano aljqiuaritoiilfCoIApntorÀc infame.
Volgefi ad Andro, e vien fótte vibrando
L’humidc penice de Taifntte /quame, ‘
E fa Tcftremo del fuo sforzo tutto
Per fupcrajc U capri«ciofo flutto.
- ‘ t $ n
LA DIPARTITA^
Xjt. Fàfenza indugio àDollchc tragitto^
Dico di Pranmo aia vinofa valle , £
E dovunque la via caglia per dritto , ^
* Vedi dH'puma innargetjtrarfxil calle i V
Eccol già dove cadde Icaro atflltto, ' ^ ■
Ecco clic Samo hà già dopo le fpalle.
Efeid già fi moftra, e già comparl'o ! "
11 bel tempio s’ammira , ancor non arfo.*
jj3. Sorge incontro ad Arvifia, evedeChio»
Di generofi pampini feconda >
E Leibo, che gli accenti cftremi udio
De la fredda d’Orfeo lingua circonda,,
E diTenedo facra al biondo dìo
Prende, e poi lafcia la mal fida fponda.
Che l’hofte Greca afeofe entro il tuo porto
Per far’a Troia l'uà l’ultimo tòrto.
154. Trattien la bella Dea sù le ruine . ^
D 'Ilio le luci alquanto intente e fife,
E l'ofpirando del gran regno il fine ,
Piagne gli error del Tuo già caro Anchlf^
Mà quando mira poi Tacque vicine
BiSiraoe, ove ilbel parco in terra mTc
D a cui dee propagarli il £uo legfiag^io,.
Acqueta il duolo, e feguica il viaggio.
«
jjp. Tant’oltre il nuoto fuo fpedico, e prontèi
Scende Tritone, c tanto innanzi pafla.
Che non che de l’Egeo de THerponto
Il vafti/fimo fen dietro fi.lafl'a*,
E già l’altero corno, onde col Ponto
Cozza 1 a T raccla, ad incontrar s’abbafl^
E de le Cianeefprczzagli orgogli,
5aflì guerrieri, ficanimaùfcogli.
Sbocca-
CANTO DECIMOSETTIMO. j47
Jy6. Sbocca alfìn ne iTufui , ch’a i raggi vi , i
Fiammeggia de la d ca del terzo luàic.
Et ella pria ch’ala màggioné àri ivi, •
Chiede nov;iilletlcl ceruleo Nume.
Mà da malte fe^de, che quivi
Benché d’ tifar t-bvèhtti'habbia coftume,
Son móft^àì, clfd piiVnon vl'lBggioraa,
E rade vòlte ad habkir Vi torna.
JS7 • E la cagioni che’l traggc, e l’allcntanu
D al patrio loco, è^ld belcaull ScilLiv
Scilla orgogHùt'S Vérgine Sicana,
Per cui trà l’acquè gel ide sfavilla. ’
Ei dachc la privÒ'd’ effigie fiumana
Magica mollro convertilla ,
Là dove il faro in gran tempefle ondeggio.
La vifitaogni giorno, e la corte^pia.
^ n.
Sinifu'o augurio allhor Venere prende
Che (là li rpémcàl fuopcftficr precifa,
Mà di trovarlo un ca 1 dcfir raccende,
CJ he rifol ve cf’andafrvi in bgtiì'f^ullà.
Tritona intanto, %e’l difegno intende'
Di lei, che tPd5vsx\ l’ampia gròppa affila,,
Volgelffndie'.f 0 , e fi raggira, c guizza,
E racco inver Sicilia il camin drizza. ‘
15P. Lacoda,ch’ègli invece u'ia dibriglia,
Move ildeftrier del mare, e’ì mar nc fonaj
E’cn poche fiore a fornir vicn moire miglioi,]
Sì l’amorofo ftimulo lo fprona.
L’alto fentier del Bosforo ripiglia ,
E de l'immenfo Eufm l’acque abbandona,
E ri vede Bizancio, e non lontano
ilCalcedone-lafclaamanci mauo,
Corre'
f
548
LA DIPARTITA,
160. Gorre verfo Pofidio, e già Ifernota
XaBltinia, ela^ifia> e giatravalca ^
Là Propontide ^utta, c Icherza, e Tot!*
Con ftupor de la Dea, che lo cavalca..
Di Cizico, edl Laimpfa«>, devota
Al fuo &>zzo figli voi , la (piagna calca, -
E di novo ripìtìà il varco Infido
D’Helle, che pianger fé Setto, & Abida*
i6n. L Egeo fuccede,entro’I cui flutto infano
Thafojc’hà dùfin’or vene feconde,
E Lenno vede, ove inanticniV ideano
Officina di foco in raezo al’onde,
E Scirro ancor, ch’alGreco attuto infanor
Tra le file falfe latebre Achille afeonde,
E là dove colui, che chiara tromba
E da l’uno, e da l’altro ha polla tomba..
162,.. Lafciafi a tergo Pagafe , & lolcoi
EPelio, onde materia hebbe il lavoro
Dal primo legno, che condufle a Golco.
Argo rapace dela fpoglia d’oro.
Quando Teppe Giafon, trahendo al fol^o
Fertile d’armi, d’indomabllToro,
Et appannando al ficr Dragpn le ciglia,.
D’Ete incantar l’incantatrice figlia,
1^3. Qui ne gli anguttlguadi entradclmar€^.
Che da l’Abante iepara il Beoto,
Opunte in prima,eThebe indigli appare,.
Dove i faitti dal canto hebbero il moto,
E Aulidc, ov’i Greci in sù l’altare
L’alta congiura confermar col voto;,
E col rapido Eurìpo oltre fen fugge
Al Sunio etticmo,. OYc’lma]:.l»ra^c mugge^
CANTO DECIM05ET-TIMO.
1^4. Sù l^.dcffira poi torna vcrfo Athcne,
Ed’Eaco ala gran reggi ^ predo giunge ,
Si che può di CoriuLO appo l^arcnc
L’Iftmo veder , ch’idj*QACOttfln congiungc»
Spmgcfiad.Epid«iu:Q ,'8c a'Erexe.nc,
EScilleolàfcia^c lafcia Ar^o xialangcì
EquindìdiMiiea corre veloce
A declinar la perigliofafo ce,
E lungo, iljaàr Lacon per le remote
Spelonchcj onde non fcnxa alto fpavenco^
DaTenacoàPlutoa pattar fi potè,
AMedenia fi calaiu un momento ,
EfifcaglIadTlà fino a le Piote,
Cheda’du® figli delpiù. freddo vento .
Quandoleguir Ictrc Corellcrie
Hebbero il nome de le; foxzc Arpie.
i46. DiZaiintoalbcl margine s’accofta,
Chc’nfpeffibófchTin méxo a l’onda
Nè molto da M-clena fi dit'cofta.
Che' da Cefalo» pofeia il nome ha prefo.
©’lihaca^ fciilva lafaflbla corta,
lucciolo feogtio , e fieri le, efcofccfo,
WàpUiiflefiio cHlaroxiliice:
Co&ifola virtù gloria produce.
Kefta Dulichio Indietro e’n dietro rerta
Dclafamofa Elea» la piaggia bella,
Ch’aidcftrierviucitor la palma apprerta
Onde il luftro, e poi. l’anno Olìmpia appella^.
Indi per colò dove afpra tempcrta
Le rive ognor di Ecpanto flagella,
Strifeia, ftrpe, volteggia, enei ritorno
L!lfi)lc alifichim aggira intorbo.
, ® raffaiw
tA DIPARTITA,.
j6S. Pa{Ia?4oper la D ea; . .:
A quel oragicomar^EÌvolfe il ciglio. . ,, ,
Chedel fangue Latin, prima devea, ■ ^ , ! i -
E del Bai-baro poi farfi vermiglio. ,
O facre al crudo Marte acque.(dicea)
Quant’Ira, qu^t’hqrror, «guanto fcompigli<y
Qiiai l’Europa da voi? quai l’ Alia attende
Sciagure, e mali in due battaglie horrcndeì-
i6$. D Ì due pugne famofe e memorande
Sara^ campo liatal piaggia funeftai
Per l’una celebrar Roma la grj^ide
Deve al fuo vincitor trionfo e fella. •
PerPaltraakre riiine , e miferande
Bizantio piangerà n\Ìfera e meda
E perquefta, c per quella in mille luftri
Lcucate fia, ch’eterno- grido illuftri.
>70. Quefto (e farà: puf ver; ceruleo flutto •
Che die nel mio natal culla al gran parto,. -
Sepolcro diverràfangui^no e brutto
Del vinto Egittip e dej Sagace Parto.
D’algein vece, e di pelei, havra per tutto
Di cadaveri immondi il grembo fpartoy
E tutta coprirà l’onda crudele
Di rotte antenne, e di fquarciate vele.
I7T. Piango i tuoi cali Antonio , e duoimi forte-
Che t’apprelli Fortuna oltraggio, e dannoj
Poi che quei, che t’induce a si rea force,
E pur Pautor del mio mortale aflànno.
Mach! potrà, le non tormento, e morte.
Sperar Riamai del perfido Tiranno,
■Se’n piu mifero dato, & infelice
Condanna anco a languir la genitrice?
CANTÒ DECIMaS K TT X 1 O.
171. Tudai’almi di Cefare fcoiifi.cto
FukI del Nilo a le dilette arene» '
Moda la ftrage del naval cionflicco
La bella fiamma tua teco nei vie ne^
lo da quelle d’amore il càrT ti^àtìxco
Porto, c partendo (oimè) lafclo il 'mio benci
Nèsò fe per deftino ùhq^aa mi tocchi
Cherhabbian plCida rìvecAer cj^Ueit’occhi.
175. L’altro eftetmirno, onde eli por s’afpetta» -
AlTurchefco furor morCo e ritegno»
Fia d’IngiurialimmortaV poca vendetta
Contro il diftruggitor «del mio oelrcgnoj
Nò, nò, fiiggir non puoi malvagiafecta
llcaftigpdel Ciclbcn gufto e; de^no
D’haver guadi ad A-mor gli liorti fugu carl^
Ecangiati in mefcliite i noftri altari.
^74- "Vedrò pur la tua Luna, empm Idolatra
Nemico al fommo Sol, ISdaftin feroce.
Pallida, fr e dda, fa ngui nofa , &
Romperle corna in cquefta-ificftaiQce;-
Ircini, furia, minaccia, arrabbia, e latta
Contro l*lnvitta e trionfante Croce.
Vedrò con ogni tua fcquadra perveria
L’^arraaia Babilonica di fperfa.
17S- Grane al valor del Giovinetto Iberoj '
Difenfor de ritalla> e <1^ r>de,
ehcdelCorfar per molte palme altero
iiaccherà i legni , e fpogUera di prede;
Spaventerà l’Orientale impero ,
iarà di Conftantin tre mar la fede,
Lafeiaudo, Arabi, e Scithi, 1 bulli voftri
'Scherio defonde,e pafcoiode’moftri.
LA DIPARTITAV
176. Qui tace, in4i di perle iivhumidl co ^
Col vcl s’afciuga^’begl’occhi il raggio^
Che le loviep, cli& quel m?,4?lnio lìto
Havra l’eflequieir^maggi^^^io jfelvaggio^
Quando arreljian^^jineza noctei^dieo
;• De’navigant.i éupidl i^yi^gio, ’£i
Farà lunge fonar^ gli Àcroceraunì
L’ululato de Satiri, e de Fauni. ^
X77. Mentre Venere bel la »i}) flel?ifcittflr . - .
Del doloror^^^mor guancia,
Tritone Attiq^yarcorp^f ,4aNaupatto
Verfo gli fiora 4’Alcijc^^ fi lancia..
\ Soffia, e ffiuj[ffi.aiffi/^Ijjq^„5?p gran tratto»
S’apre la viacon panfiiaicì ìlù
E tanto.ariàr||Ìf^^^^ ..hO
Ch entro lJo^^fqgj5p^teifi,^cla-. ;
*78- Ed^^^IÌ efirem^pipi^ni,4;^Ìr^^^ r .481
Di lapigla il copj^^’^iWpf^o #err8*n e1 .
Scorrendo W u^go^qgatiqfqglEo
Tutto il gpah l^lj^a ferrjl*ii
quelbr^oo, oa.cuigià*pariiro
rondò crucQoJd^ r
Quando con ner divorti^ a/pm ipinta»
Reftò da Reggio Vlfoli^ljAffita. • ir
yj$. Giunta in Tr^crl^fjnCiprlgqafficlla^
Di Peloro, e di Zangleg Ja>p5^1tiera,* 9
Colà dove la miCef^O/ià^ila . .dlb'H'
Prefa havea fopqi^,di.rabbio/4^era ,
dauco cercandoìn que|i^;j iiva,.e’n qucltaj,
S’accorfo in fommap,oi^h’egli jloàiv/er^^
B le compagp^ p^i Ai Galatheg
Per certo ancor n’affecurar la Dea,
CAUTO DECIMO SETTIMO, ffi .
jSo. £’vcr (diceah^cKè^^^he Circciirfco^ió.
Mutata à queftèPNìrifkll^ la ^ura, "
Spcffo?i'narrar nè vìfeÀ’e il Cuocordodio
A.rafptafelcejèke di lui riè»tf8ìir^
%MapertiWilbli!na d’oftinacd^rir^'óglio
PIÙ tra l’oride dc’pi'ant^i ò^^ridé siudurav
Pcrmedicàt quéll’amorola piaga ^
Ito è pur dianstt a rìtro vài* la Maga.
i?i. Ne la cofta^ deil Latici ^v’eltaiiaflì, " ,
L’innamorato, e dc£peracoOÌp^^
Molto notilSià^ cori ^ctftolofi pàui ^ ^
Quinci a pregarllafiippi^e fen gio,
O ch’ai men pèrf^m d^erbe, e di fallì .
Gli faccia il’prc^io nià’l porre i,n oblio,
O che cornarà'a la fembianza antica.
Render la voglia «t'faoldcfiri arnica.
ih. D’havertaìjto travaglio Inyanpérdu!t;&
Ala madre d* Amor fortbripcrebbcx
•E delficropronoftico tcftutó
L’infàufto au(pici<y inlei fofpétto accrebbe
Mà temendo, che troppo oltre il devuto
T ardi tornata al fuo cànlin farebbe.
Per ritrovarli a la gran fetta tempo
DifFeri quell’affàrc a miglior tempo.
185. Impon , che’l corfo il più che più fpedito
Volga à Cithera, al corridor guizzante,,
Ch’elTendo polla in sù l’ettremo fico
Del paefe di Pclope a Levante,
Dal tempeftofo, e perigllofo lito
Di Sicilia non è molto dittante.
Quegli ubbìdifee , e’n breve ecco ch’alffnc
Del bel loco le fpiagge ha pur vicine.
ÌS4
LA DIPARTITA,
184. Se ben non pensò mal la Dea d’ Amore
Di far per tante vie camin sì torto.
Loda del moftroil dìlettofo errore.
Poiché in men che no crede, c giùtainportc^
E con tanto paefe in sì poche hore ®
L’Archipelago tutto hà fcorfo,e fcorto>
Le Cicladi , le Sporadi, e le rive
Pelafghe, Eolie;^ & Attiche, & Argive.
18;. Per^tjpiffafìi già^e
L’Aùrigaimantolucido diD?lQ'
Precmitpfb i corridori inceda
Co^mpi;|i a l’ac^a^ ?,con le groppi al Ciclo»
VpdCi^iirar
Da le, narlfcuffaij np ,
Pmche
^S6. In Giunone
Stanco in lunghi v<pu^i,hebbj^^ijlelc>, ^
Con , •
Sen giò nd p^^ttp.ad afciugar.Ji/j^fpumG.
I ^ih 'A . ; ■
Il Fine De ò Ijnio t^i mo
J3
‘c
liti
■
LA
I
l a. m q r t e.
FI ma gencrdfitàlòf4*<i^tl:i‘i rai^o per propria
▼irtiiè incllfeàctt tjuellc li-
cenze , che tra^ della modeftia.
Nella morte d’Adcxne, uccifo dal Cinghiale, fi fa
intenderci '^ella^^efla bru^ cui
Inuomo (eguit^la tracci a » "e cagioj^e della fua
perdicionc. Nel lianto^^i v ^caere fopra il mor-
to gloyane fifigUra»\^lie ikt'i lafcivp ama-
tocon irmoderàriient<S ^ ninncando, nott
tafeia, fé non rcula^^he fa il Por*
co con la D'téù, fi dinota 'ia forza della bellezza,
che puòa!léf’'^oIte coififriovéreglrahrmi etian-
dio ferini & beftialr. "Mei tradimento d’ Aurrlla,
chepentha finalmente liccide, & òda Bacco
trasformata in Aura,{i effetti del-
^ ira, dell'avaritia > della ebrietà , .& della legge-
rezza. , ,
CANTO T?ECI>10 ottavo.
..j r;^ ‘
" .rf Ó O R 1 A.
ELLA congiura dì Marte , & di
contro Adonefi dà a cono-
argcv
’l3, ' ì£Ì' ^11 ^
ARGO;M^N'TxÒ:'>
■ . xc?"* ' IIb UJIqv ijj
} - - ^ '5nfl‘'l IÌBÌ(i' *
Spinta da Talfifi^na 4W(ìlì'^ tpfida , ; -f
J)à dei rivai di fidar te a i^tte avL/p^
Polche dal fier Cinghiale il vede uccìjèt
il gran dolor che je fiej[a t^cf^d^a.
i, ^ Oti3uefiaccoleAr<lentlAniore>eSdegno
Che’nfiammaa l’almp di penqfa arlura.
JD Stanno ncti:i»re, e turbano l’ingegno,
N c dador la ragion we f^cura.
Son dJegual forza, & emijUpel regno.
Ma contrari jd’effetto, e di natura, v
L’uno è dolfce.'traftuUo, 6 dolc? affetto.
L’altro produca folo odio, e difpeito.
X. Quando talhor quefti aver&ri fieri
Pugnati tra lor, rnuom ne lan^itce, cgena^
E’I cor, ch’è plcciol campo a due Guerrieri,
E feggio augufto^ duo Signori infiemc,
Da conflitto mortai d’afori penfieri
Combattuto del par, folpira,e freme.
Quinci fervida fcbiuma , e quindi incanto
Verfadogliofo & angòfciofo pianto.
j. L’anima afflittainsi crudel battaglia,
Mentre a prova con quel quefto contende.
Si come libra, le cui lance agguaglia
Doppio pefo conforme, indubbia pende i
Et al gemino fpron, che la travaglia,
Hor m defire, lior di furor s’accende, . ,
. Quando di là , quando di qua la gira "
Alternamente ò l’appetito, ò l’ira.
Nel
c;anto decii#^oottavo. 557
Ne la guerra però, che quellacquefta
Paffion dilcordantqji fanno,
Vìncitor le più volte alfìn ne refta,
E ne trionfa il lulinghier x iranno,
Ctie’l graù cpmpè^itbr pt?cmee calpefta.
Onderà tabWa ^oi diventa affanno^
E là dove pur diaiizi era Reiiw ,'^■«6'
Serve di èo'tc,‘òv*ci gli ftrali àffiaas^'L
SovcAte'allhq#? thè di e^r^t’àgUbc^
Ufindi^piift*kìì»tton gVLè permfeffii) ^
Dàrarti’àtiai>el%à^he nolliamay e;:è
5uol congiurar fiso
Amor lo Sdegnolin futì^foccdrfo <^tóknnay
Clx’a la vehd%!Rltild.9Lun- &*ilinacoiDadoiM
Quel dìfprczzt^h.© oiin'-
A congitìtì^E&fii^ «iiàrgli aiti^ oiilr j
Màs’^ieÀ^kfevdkuPIraaiwiufp > . .
Amor^ittgg3i*^Uirti»«o^dv‘^£fodcasi»'^l
Poiche^a¥%fta»^crtc»cUai^»Viar®so Pa
Edebcllat^«SÌ:d?att^wilv?d«^,oi'§§3l a
Qual
Nè registri j»tqèlbconcedé?ioC>
Anzi lo :to«3tì»p4®baimperóc<ninp
A difòkià»^i^dk^egnamùìiiU^iert%T
^ Diquefteiddé^«ftiddicoreiaccc6ti”f ' vj
I alfir ena Wfalfall«?anwarke^q *• ; m •
Tutta dSfl bell’ Adoftb«idiuwiWii»d&)? c
Sambr aftolta Bacoante}òd^PÌ»ultricwtl -
1\ modofol da vendicar Vpflfela n 'c 3,
PenfaccomèdarttiWteal’infelìcci -
E fc co ndo il fur óf, che la configlia, ifiti
Hor queft e, hor quel pàr^rtócia ,cripigìla.
15*
LA MORTE,
S. Non cotanti colpr cangia la piuma> **
Che’ngemma a lakSòlomba il còllo intorno
Quando raoftra'àf tolui, che’l mondo allunui
Il Lìio vezao in vàrie guife adorno.
Quanti la paflìon, che la confuraa,
V a mutando penfier la notte, e’I giotnoé '
Alfine i dubbi, onde lapaentc involte )
In un par tito perfido rifolvc. ’ ' •
5. S’Amor (feco'diccaj 'nonrpuò giovarmi!
Se Infinga, promelia, oro' non gioVà,
Se de’ tremendi mici magici carni
V ana riefce ogn’inFatìibil prova 4
Se non vaglionk‘forze, | ferri, c i’ armi* :
S’altro rimedio un tanto mal non trova,
A far’almeno il mio defir contento
V arra forfè l’inganno, c’I tradimento,
jo. Aurilla era una Ninfa, ancella antica
De la Diva di Cipro, e di Cithera.
Bella, ma poco faggia, e men pudica.
Avara al<|uanto, e garrula, e leggiera.
Bra coilei di Baco amata amica
Piu ch’altraallhorde l’amorofafchicra,
Conofeiuta coftcì mobile, c vaga,
V olfe il fuo mezo adoperar la Maga.
il. Colfcla quando incontro a Cithcrca
D’alcun lieve fdegnetto era ancor calda»
E’n tempo apunto, ch’afciugata havea
Più d’uua tazza del llcor, clie fcalda;
Wcnovvi un raoftro fuo la Fata rea,
Contro cui non retto fede m ai falda.
Così la vinfe, e notttrovò;rltcgno
Ad eseguire li fuo crudel dlfegno.
» CANTO E) E CIMO OTTAVO. 3f#
li' L’interciTsyi vetinex^ cqu runcino
Traile Tavid^ a. Óia rete.
0 Éime infame m^Eallo fino,
0 facra ^ eflec^abil fece ,
Che non maJ^ faj^pUar ti hai per dettino,
Ch’ognor quanto più. brevi , haimen quiete^
A che non s£bi;zi cu gli humanl petti ,
Signoreggiati da^ùx;an<ù affetti?
ij. Carca d’oro ia manp, e-d’lra il feno, <
D’ira, chiufa piùyviè più sfavilla.
Cieca dal fnmoìdi quel rioveleno.
Che da’foavi p4.mpii!Ù dittilla,
Di quanto far bifogna inftruttaapleno
Daficne dunque la malvagia Aurìlla ,
E dritto il ;p atto move a quella parte.
Là dove sa, che ritrovar può Marte.
14- Ritrovollo foUngo, c come quella,
Che di pradenz.a a ff en mai non foggiacquc|
Gli fé con lunga, c lubrica feyella
Cole udir, che d’udir gii fpiacque.
Narrò gli amori de la Dea più bella ,
E de’progrcffi lor nulla gli tacque.
L’età del va gOj'cda. beltà dipinfe,»
E’n plùdlfcorfi ilfiio parlar dittinfe»
15. Scioglie la lingua baldanzofa e pronta;
E non fenza alcun fregio il ver gli cfponc.
Gli afferma ^ che per fargli oltraggióse ont»
JData s*è in preda aun raftico garzone,
E l’hiiVoria, eia beffa ìndi gli conta ' '
Quando nafeofe, e fé fuggire Adone,
Che per tèma appartato alquanto il tcnii^
\ ^oXricfuamatofubìtarirctmfe. ^
f ^ DicegU
fSo LA MORTE, :
xé. DicegU, chediluifecofolccta '
Sempre fi ride, e feorni aggiungea (corni. .
G li (oggiunge ancor poi, che la diletta ^ _/
Partita è dal fuo ben per qualche giorni. ^ :
E gli conchiude al fin, che la vendettia '
Molto facil gli lìa pria ch’ella tornì. ; ,
E gl’iafegna, eglimoftra,e gli divKa *
Il tempo illococémrnodo,c la guifa. '
17. Nelfier Signor dè le fanguìgne rifTc * ’
Non era in tutto ancor fpento il fofpecto,
E da che l’infernal Serpe il trafifie , ' ,
Sempre un freddo velen celò nel petto?
Onde quando colei cofi gli dilTe ^ \
, L’agghiacciò lo ftùpor’jl’arfe il dilpetto. •
Tacque, e’I Ciet minacciando, e gli elemcixti
T orle le go ufi di r abbia i lumi ardenti.
18. Qual ròbufto talhor Tauro fi mira, ^ 4^J
Superbo Duca del wrnuto armento, ^ -
Che col fiero rivale entrato in ira < >
Schiuma &ngue, a la foco, c (buffa vento .
Da gli fguardiféroci furor fpira, 1
N e’tremendi muggiti ha lo fpavento j -
Ne la bocca, e ne gli occhi horror raddoppia
folgore che rofl'eggia, e tuon che {coppia.
: r
|o. Tal da gelofi (li muli ferito
Tra fe frèmendo il Capitano eterno, .1
* Poi c’ha l’annuntio inafpettato udito, . /
Par furia a gli atti, & ha nel cor l’inferno.
Fuor de l’albergo, c di fc ftclToufcito,
^ , Il ferro'ap pr ella a vendicar lo fchcrno, ; ; .
E fpnza indugio, cbr9 d’orgoglio iniàiio» > ,
fi giovane (l?ij:aft^;vuol di lua ^
^ CANTO DXCIN^OOTTAVO. 361
, 10. Havca l’illuftrator de ^li Hemifperi
Nè l’Atlantico mar la face eftinta.
L’ofcura terra havca dì vapor neri
La faccia al chiaro Clcl macchiata e tinta.
\ Reggeva il Sonno gli Kumidi dcftricri
De la notte di nebbie, e d’ombre cinta,
E con placido cor Co e taciturno
Volgea le ftellc al gran camln notturno.
li. Nclprohibito altrui bofeo fclvaggio,
Vaftene Marte alo (patir del Sole,
, Ch’alo fpuntar del mattutino raggio
Sa ben, eh’ Adori cornar dentro vi volc
■ Quivi appoggiato ad un croncon di faggi.»
I De rhorc pigre (i làm^ncae (lolcj
. Quivi s’afifiAe ad aCpectar la^ lu :e
I De glieirercici horrendi il fomnao Duce.
A
I 11. PcnGiado a i corti Gioì si gravi e tanti,
[ Geme in un mormorio flebile c fioco,
! Sidlftempraiti foCpir, fi ftillainj>iaan,
E giace in ghiaccio, c fi disfoga m foco.
Ha le labra di dei verdi , c fpumanti,
Nè trova al gran marcir requie, ne loco,
E sì farce è l’affamio, e sì poflentc.
Chele corde del cor rpezzarfi lènte.
15. Mentre che con l’amor l’ir.1 combatte
Il dolor s’incerpoae, c dice al fine.
Dunque di quelle i ch’io filmava intatte.
Bellezze di incomparabili edivinc
Poffcdltrici indegne (oimè) fon fatte / v
Roze braccia fclvagglc c contadine?
Quel ch’io bramat a pena ofai lontano,
• Preda dlvien d’un Cacciacor villano ì
'■ * Vii. //. £ 0
Ut LA MORTE. ‘
14- O vie più de le paffete fugaci ,
Che traimo il corro tuo , vaga e leggiera.
Quanto nc’vezzi tuoi finti e fallaci
Stolto è chi crede, e mifero chi fpera»
Mi promifero quelli i detti, e i baci
De laboccabiigiarda,e lufinghicra,
Quand’io credulo a quel , che mi giurafti,
Lafciai caderci a piè tutti i miei faltij
t;. Chimaitantabeltà videin fuggetto
Si mobile inconftante, e dilleale?
E in amante sì fido, c sì perfetto
Tatua difaventura, c tanto male»
Hor qual farà dentro l'inferno Alette,
Se la figlia di Giove in Cielo è tale?
Chefaran l’altrc Dònne infami crcc.
Se fcelerate fon l’iftcflè Dee f
X6> Perfido Ijèffo, ahi com’inganna c mente
Quellabelfà.ch’a torto il Cicl ti diede.
V olubilc qual fronda à la tua mente,
Inflabilc qual’onda è la tua fede.
Io per mefperci più facilmente,
Ch’una fola fedele a chi le crede.
Fra tante falfe, ingrate, c mentitrici.
Tra gli augelli trovar mille Fenici.
17. Ma dov’è Marte il tuo furore? c dove
L’alto valor, che fignoreggia i ferri?
Quegl ‘innocenti, c miferi , ch’a Giove
Gndan mercè, fenza piccate atteri
Contro chi meno il meritò fi move,
Talhor fiior di ragion l’ira differri.
CANTO DECImOOTTAVO.
«8- Seituwlui , che i popoli, egrimperi
Mieter da le radici hai fì,e(ro fn ufo;
Ter CUI la Parca inatpatrice interi
Votacalroltei rc'^òli dal fufo ■
Nou fe’tucjuei. c-hai de gli Scithi alteri,
el Gclon, del Bifton l’orgoglio octufo ?
IJictro al CUI carro invitto humil ne viene
ilTerror col Furor ftretto iucatcne?
Et hor l armi , c trofei ballo e vulo'arc
mortai di man ti toglie,
Eioffrir pur, che quelle membra care
Mendclitle communi a l’altrui voglie,
thè ti giovano homai tante, c si chiare
1 tede. Palme, corone, infegne, e fpogllc,
S un pargoletto ogni tua gloria uccide,
E de trionfi tuoi trionfa, c ride?
}o. Se furie tuo rivai quel Rè fupcrno,
Che dal Ciel move il tutto, c’I tucto’potc j
Se fiiflc emulo tuo quel c’hà in governo
i’acque , c col gran tridente il monde Ccoco
Se tuflc quel, ch’ad Hecate d’A verno
. Donno lo feettre» ruginofo in dote;
Potrcftl aìmen ni quelVoItraggla audace
Darti con più ragion conforto, c pace.
%
I- Quella dcftra immortale è forfè fianca.
Per cui (bVtrcman Rhodope, e Pant^'eo?
E forfè rotta quella fpada franca, °
Che già pcrcoUè Eucclado, c Trifeo?
No, nò,-I ufata forza in te non manca.
Fera dunque il donzcl perfido e reòj ' ’
E ben ciicfiadi divin ferro indegno,
fa che col lànguc fuo fpenga il tuo fdeSno.
LA MORTE»
2Z.. Cosi dolcafi il Càvalkr àd CieW
^ Trafiuo II cor dal dilViefato avito,
E vie più fredde del notiurno^^clo
Eran le bri’fie, onde bagnava “ »
Quando cU.ò riverita m Delo,
M-accloglIfi inaanzl a l'improvilo,
E de gli udiri gemiti feroci
Rupe nel mezo le cruccioCc voci.
« Che tal /sUdlrtc) il tuo tormento ignota
A queft’'ombre narrando horridec nere »
SenValcun prò del bofeio ermo e remoto
Aflbrdar raùre, e rirvegllar le tere?
Altri gibifce, e tu qui brati a voto*.
Altri ì ripofi tuoiftaffi a godere,
E tu minacci, e cohuo van lamento
Tagl^ gran colpi a l’aria,. c sfidili vento.
Sembri fchermendo la fprczzata fpadai
Tiare, che dietrò'al Cacciator s’afFretta,
Ma tracticrw il téio corfo amczatoiU
Sù’l bef crtftal, ch’a vaneggiar l’allett^
E méntre negbitolVhbada,
Perde Va ^iióle1nfieibe-,e la yendetta, ^
Quando volar dé^rebbe, e con gl’arti§a
Toalicr la vita a chi le tolte i
« i
3£
4
i
«
-, Tu però Dio sì prode, e sì gagliard.0^ j
Nondeld’un fanguc yil tinger le mani. l
Potrefti' (c chi no( sa?) fol con un guardo ì
SubbitTar queVftóclul, disferlo in brani.
Per quella poi, che d'àmorofo dardo i
Ti punfe il core, i tuoi dolor fon vani I
Sai, che fermezza in lei può durar poco»
Sendofiglia del mar, mogUc del foco.
A coflr.
a >9 a. ir ^ - ^ A'-
CANTO DECI MIO
AVO.
)«. Aconfiglio midior volger al du none
(S’araiofcnnoSra’i) l’ amino offe Co
Lafeiandoameperquefto, e per oualuncuc
Misfatto fuo Ai caftU^arla TI p e Co i
Cii’iononhòmcnoìncomrar’ ale! qualunque
Per altro aff^e, il cuor di fdegno accefo-,
Nedi temeno ad eflctle' ncxrvT ca
M’obligagiuftamentc ìiiglixrla antica.
17' Quella (opprobrio del CieT^i "Putta celcflc
Quando comparve al Tuo laCcivo amante
Sotto la calla, e virglnal mi a v efte.
Sotto le forme mie pud! eli e e ranre.
Per ricoprir con appare n-z. e Vio nelle
P'3sfacciaginfua,^li venne avance,
^ con le fue frodi in altro manto thitìiè
P'Upueriljitoplicità dclùrc.
Sempre poi col fuo cyradóin^iarma mìo
Vibròla lungua temeraria e fciocca,
Econparlar’ingiurloro e xTo
Spettò in cofe à*honor poscia bocca j
E benché interra, c* n Cicl nota Ibn’io ,
I3n SI maligno ardir troppo mi cocca;
Rlttovarmai nonXeppe altro precetto
Per da medefviatlo > eccetto qaefto.
3^. Ella d’ Adonia (ignoria m ha toVtCi ^
Che pronto era a Icguir «li ftadì ibìei,
Mà con lunghi fermo a pi|T d una f
Da c\ue\ camiti lo diftovìjo coftet.
Hcr per punir c^uefla inrolenzallolta,
Xo vò nocendo à lui, nocete à lei,
Che quantunque Immottàl l ama si forte,
Che sò ch'ella morta ne la Tua morte.
6^ 5 Toccar
^66 LA MORTE,
40. Toccar quel fuo malnato osò le crude
Armi pericolofe, armi interdette.
Quelle, ov’ancora il mio furor f» chiude ,
Dicodi Meleagro arco, e (àette.
Quelle (il giur’io per rinfernal palude) >
Dafefteflefatan noftrevendette.
Perche fon tali, che giamai non fanno
Portar’ a chi le porta altro che danno.
41. Oltra di ciò, quando a cacciar dimane
Riede, fecondo l’ufo, il folle Arciere^
D’irritar contro luì fuor de létanc .
Un mio Cinghiai talmenteiofò^pcidlero>
Che d'Attheone alcun rabbiòfòCanc
Nel fuo Signor non fi moftrò frficto j
Nè fu mai fiero e forraidabil tanto
L’altro, al cui nome 'ancor trema Erimantt^
4t. Così di Thracia al Paladin tremendo
.Favellò Cinthia,ond’ei l’armi depofe,
E più dillinco pof rordinteflèadol < ' * ‘
,De le diipoftee concertate cofe,
fteo infieme in guato ivi attendendo*^ i
Finche venille il bel Canon, s’afeofe,
Perdar’effctto ala crudcl^engiura
Tra i vietati confin dLqttelle mura.
4j. Giàdeldifefocrifervato Parco,
Poiché Vener partilfi, Adone ardito
Non fol più volte il pcrigliofo varco, ^
T entato havea , nia’n era falvo ufcit?0,
Nc mica per timor dlfpiedo, ò d’arco .
Il lafciatoque’moftri irne impunita.
Ma perch’a la beltà del Giovinetto,
Et a laDeadcl loco'hébber rifpetto.
Quirici
I CANTO DECIMOOT T.AVO. 367
I ^4- Qumci mal cjwto, c terrier ario accrebbe
Tant’orgogUo nel Col, tanta Hda nz.a.
Che prclumando poi più, cVie non debbe,
Diriemrarvi ognor preCc \>a\d.anz.a 5
Onde crudo dcftin, eh’ allVi o rria e n’ h.ebb c
D’effegulr l’ira tua campo a bJà-iianxa,
I TrafTe’l mentre Ciprigna eralor^taria.
Tra rmfidìc^lMarte, e di "Diana, ^
45' Sorgearaurora, ma dolente e meda,
EconpaU’dafaccia,c nu\3«lloCa .
^dimoftravabcanuntla funeftà' o
QucUi crudcl d’ale una-ln£au (la cpfà,
Portava de la notte 11 velo In teda.
La ghirlanda sfrondata, e (Tangulhofà,
Onde il S’oli che ben chiaro ancor noa erst,
Pur’allhor Elevava , c para fera.
•ii-
44 Qaand*ei^ cK*vma •rati cacciali giorno diaa
Dentro il locomcacfmo^ havcabandlta, (zi
PIÙ d’ana troppa a £ar, ch’olone s’avanzi
Di Cacciatori , c Cacclatrlci invita.
I Clitio il gcnc'^Paftor ft tragge innanzi,
’ E gli promette ogm^cdelclaita, «ì'
labcllaCitlwreà' pelai fchepartUl'e,
Tiiaccommando il belVAdon, gli dille.
47. Tofto 1 piùficrl e generofiCani,
DI cui gran moltitudine'adunofG,
Per denÈbofehi, à per aperti p^ani
Pur da maeftti lor gnid?$i;C
Segufi, c V cltrl, c co’ fdroci Alani
V ennetvii formidabili Moloffi,
i Tigli d’ Angliche madri, e C or fc, c Sarde,
Et altre varie ancor razze badardc.
^ 4 Armali
la morte.
^3. Armafi Adon da folle audacia fpintd>
Egli arnefi malvagi apprefta c prende.
Giade l’arco elVecrando il collo ha cinto.
Già l’infaufta faretra al lato appende.
Il curvo eorrio ha dopo’l tergo avinto.
In cui lo fmaltoinflù l'avorio fplenda.
Mà l’avorio però candido e bianco
Cede alabcllà mano,’ & al bel fìahco.
^5,. Oltre l’arco, gli’ftrali'hàne ladeftra
Grolla mazza, pefantc, enodcruta.
Che fu rozo croncon d’clce filveftra,
E ferrata è da capo a punta acuta.
Con la manca conduce, & ammaeftra
Un fuo levrier , ch’en ogni afEir l’oJta f
Nè movon mal difeòmpagnati il piédc,
Con bel cambio tra lor d’araol e.e fede.
50. Quell’era iloaro, il Éivorltoj c nato « *
D’ujaa Cagna Spartana d’uh Pardo*
Non fÌLi gìamai sì lieve augello alato.
Non sì rapido mài Pàrihico dardo.
Non sì veloce Zefiro ,eh’alatC>
Al fuo pretto non fufic tardo. ^ .
Non corlèun quali (nella ò Damrria, ò Tigtc
Ch’appo quelCan non ratte mbraflèr .pigre.
;i. Spirto vivace havea, corpo benfatto;
E la fugi sì pronta, e sì leggiera, ^
Che (petto il Daino, e’I Cervo agile
Fermò col dente, e giunfe a la carriera.
Havea tetta di Serpe, c piè di’Gatto.
Schiena di Lupo, e pelo di Pantera.
Saetta egli havea nome, & era àl corlb
Saetta sì, ma più Saetta al mecfo.
e rateo
CANTO DECI MO OTTAVO. 36^
jz. Eraa/ collo U collar conforme apunto.
Ricco monll cKe Tatnorola Dea
D’anbclCcrlcobrun tutto trapunto
Di propria man con fc^tìTa^o havca.
E v’iuvca, noiv pen fando, i n Torce punt o
Hiftoria efprclla dol orofa crea.
DI Cefalo la caccia e mpia e fii ncfla
(Tragico augurio) c in cjtiel lavor conteft.a.
53. Cosigucrnito, con {ecura faccia
Colà ien giò, dove ¥or caria il crad'e,
Nelafamofi^e memorabil caccia
Il bell’ Adone a compàrclr le laflfe.
Già’l lungopdor de la ferita traccia
Seguono i bracclù con le tefte balle.
Già vanno i veltri a coppia p coppia intorno,
Ma nohfifcntc’àncor voce, ìic corno,
j4. Aàondelaforcftail fitoprefe,
E’J cuniultp in fvlentìe alquanto tenne.
Poi d’og,ri in corno ben legate c refe
Lunghe Ugec di corda a tirar venne.
Gran numcro per rutto indi v’appefe
Di colorite, e tremoianti penne.
Perche delTer rali^f molle dui vento
A le befUe -felva^ ombra, e (pavento,
Giò fatto, del cacciar l’ordine dafn ,
Eia guardia s’alTégna ad agni ftrada,
AcciocKe quando a dar l’allalto haVrafil
Sen7-a blfogno altrove altri non vada.
Ciafeuu guarda ilfuo pollo, e tutti i palli
Son’homsfi chiufij ove^l camln (ì guada.
Intenti e pireffl a cuftodir agnati
5tan ji’Cacciitojd armati.
* §L S
Qui
L A MIORT e;
56, Qui comincia a Icvarfi il romor gr andc^
Di latrati, e di gridi il Ciel rifona.
Kimbom^tal moltiplica, e fi fpande.
Che la fclva ftordilce, c l’aria intona,
5 f à per entro, a fronte, e dale bande
De gli ardori tremar l’ampia corona.
Et Eco rifentir , che’n ouelle tane
Raro, ò mai non rifpolea voci hutnarte.
€7, Ecco vulgo fmacchiar fuor de le cove
Di manfuete fere, & innocenti.
La Lepre vile in dubbio il corfo move,
Kc’! timido Configlio i pafTì baienti.
• Sparfv van quinci c quindi, e non fan dove
De’vecchi Cervi i fuggitivi armenti.
Sola la V olpe attuta il pie fofpende,
^h'ad ingannar ingannatore intende. .
«IL; Mar tropp’ ardito Adon , che d’havcr crede
'Altretanto valor, quant’hà bellezza,. {
. Di fugace animai minute prede,
, " Quali indegne di lui difdegna c fprezza..
. Fieramente leggiadro andar fi vede,
E a prove afpirar d’alta prodezza
Bella ferocità nel fuo bel vifo
Afpreggiato ha d’orgoglio il dolor rifo,
5^. Tal di Grecia il Garzon,Tlicffaglia fcórfe
Del dì cacciando allcgerir la.noia,
'E recar poi di Tigri uccife, c d’Orfe
Al maeftro biforme horridc cuoia.
Tal già le felve fue ttafeorrer forfè
Vide Cartago il Giovane di Troia,
Er afpettar con baldanzofa fronte
Se fuperbo Leonfeendea dal mourc*.
X
CANTO CECIMOOTTAVO. 57*
(0. Etalvìd’Iodicam, e di cavalli
Menando il gran LV IG I cletcc fchierc,
Talhor di Senna per 1* amene valli
Caftigar l’odo, c feg^ttar le ferej
E con l’Invitta man, che regge i Galli,.
E ch’è nata a donar g/enti guerrcre.
Tra i lor covili più ripofti & ermi
Efpugnar per traballo imoftri inermi.
Tjitta la felva di fcompiglio è piena,
chi tefo l’arco, a Caectar s’accinge.
Chi la rete racconcia, c la catena ,
Chi la fune rallenta, c chi laftringc.
^ Altri ilcan,chc fcjuitti{ce,a forza affrena
Altri fciolto il cordon l’irritacfoin<yc'.
Quelli talhor col rauco fuon la Sratfida^
Quei Covra im faggio di lontan la fgrida,
it. Scorre Adonia verdura, entra folctto
Trai folci cefpugU,efccndc, epoggia
Tanto che trova un torbido laghetto.
Accumulato di corrotta pioggia,
E s’accofta a la colla, ove gli è detto ,
Che^ran Cinghiale, c fpaventofo allocroria.
Perche veder, pecche dillruggcr volc °°
.X^uell’animaca, c Imifurau mole.
é). Hor qual ti mena a volontaria doglia
Fanciullo incauto, ò tua fciocchezza, ò forcc^
De l’alpro tefehio, c derhirfuca fpogUa
Non ^ giamai, chc’l bel trofeo riportc,.
Cangia ^h cangia l’oillnata voglia,
Fuggi deh fu^i la vicina morte.
D’haver’ttcciu una vii Fera il vanto
Picciolpcemw fia troppo a rifehio lantty.
SL ^ Inarca:
LA MOIRTÉ,*
Ó4. Parca qucfte paroh, & altre aliai
Dlcefl'cr l’herbe a lui d’iiTtorno, c i fiori ,
C he trar virtù da'fuoi fercni rai ^
' Solcano, c da’fuoi fiati haver gli odori.
Ritornaindictro ò folle, ovenc Vai?
De lunge gli diccan Ninfe, c Paftori,
Ahtorciil pièdalofpietatoftagno,
Gridava Clitio, il fuofèdel compagno.
^5* I^Sa*‘ Adoni fuggi oimè (non eflcr lordo
A l mio caldo pregar) la Fera horrenda
Di Venere i ricordi io ci ricordo >
Non voler, che te piange, e me riprenda;
Non far , ohe dì fierezza un moftro ingordo
Uh moftro di beltà ftrugga& offènda;
Che tu vada a cercar tanto periglio
(Mi -perdoni il tuòCenio) io non configfio*
E nulla intende, e nulla cura, c dritto
Colà fenjvà, dove l’audacia il guida
Capitaal fatai loco, ov’hà prefefitto
Il fine al vive r fuo ftella homicìda,
Dove il minrftrodel mortai-delitto
. Per corre il fior d’ogni beltà s’annida.
Infaufta, infame, & infelice feWa ,
Che dà ricetto a l’arrabbiata-bcWa.
<7. Tra duo colli , ch’ai Sol volgonlé;fpìd.lc
Dcnfe di pruni, edl fioretti ignude,
Nel cupo fèn d’una profonda vaile
Giace unvallon, che formahàdi palludcj;
E fc non quancohà folo un piccitol calle»
Scaglio fa felce in ogni pa«e il chiude.
Quel macigno, chc’l cerchia, alpeftro c terrò
LaTcia fol {bcnch^apguftt^) ««Tarco aperto.
DRGIMOOTTAVO.
éS. Qoivi liti ifiezo di fÌAicfte fronde
Ombreg^kto per tutto un lago ftagna>
Che con livido bumor di putrì <i'o>Hdc
SemprtfierUe, efozToii iàflb bagna*
Nonbàdkitorho ^ le ipùiiofè fponde
(Perche fcofceic Con) molta canvpagna>
J4a brevcpiaiza in sù’ii'enticr ri-fcerne
Tutta dì greppi cinta, e di caven^
65. Ncnxoccòiiiairabo«iinabU riva
(Bencà^affamato, e firibondo) armento,
Chcl’heiba, c Inacqua feridaje Hocivte
D-afl^g^aTj di guftar prende fpavento ^
NoftCofia Ninfa^t^auno ognor kfchiv^>
NonfoU’abKorrc il Sole, e rodia li vento^
Ma dala gaggia immonda & Interdetta
fnggan iontaino xiXAipo, e la Civetta.
7©. Qaeft^èValbergo , del Cinghiai no» dk»>
Ma de l’ira del Ciel, c he lo prodaflè.
Taccia pur Calidoniail grido anrica
Del flagello crodcl, clic ladiftruffe.
LAraboìacoltOjò ilGaramanto^rico
MoftWD non hebbe mai, ch’egualglì fiilfe ,
C^ì s’accovaccia, edentro racqaaneWL
Staflvoetttf&ta la^mga
71. Nelpantan , che crrconda wi me'zo inlglio>
Tràfoiftghc paluftti il ventre adagia,
Splc(ndc«eléofco, e minacciofoci^io
D^un’horribile ardor luce malvagia,
Haccola acedà par l’occhio vermìgUo ,
Spruzzato ferro, ò ftrirtzkata bragia.
Callofijhà il cuoio-: il fianco , e^i tOzOWrg»
Arma di dareTece iy^^ido a^efg»>,
CANTO DECIM DOTTAVO.
7^. Così falcata alfìsa la Sedia brutta
Del (aogofo canne tro oltre i confini,
H ftracciataftormir la felva tutta.
Scote le querce, e rchloma I faggi, e i pini,
Oadepar che percoda, e che diAruua
Daproccllofo turbine ruini >
le pietre fchlanta, c de gli antichi arbufli
Sbarbai tronchi più £aldi,e piùrobufiu
77. Torce obliqua la tetta, e con più ftizxa
Ch’ìndoinitaTorel, grugnlfcee raugge,
Emcoitre invcr la felva il corfo drizza ,
Ciò cime s’oppon tra via, fbaragUa eftrugge*
Vendicar^ però di chi rattizza
Ancor non potè, ognun s’arretra e fogge.
Senza pur’adnprar le zanne horrende
Sol colcertor de gliocchiei fi difende-
7&. Le macchie attraverfando, c le bofeaglie
Altrui malgrado, infuperbito paflà.
Le doppie reti, c le ben grofle maglie
'Squarciate a terra, e dilbpate lafla.
Corre , c conl’urto abbatte hafte , czagaglie^
Spiedi, e fpunton con T impeto fracafla.
Se guata, o morde, horrìbile,e pungente
Par lo fguardo balen,.fulmine il dente.
79. Apre le turbe critorte sferza.
Nè v’hàpiùchil’afFronci , ò chil’arrefti
Ebro di l'angue, il fuo furor inforza,
E ne lafcia in altrui fegnii fìinefti.
Superato ogn’incoppo, e palla a forza,.
Età fuggh que’Cacciatori, e queftì.
Euggono, c poi da quella rupe, c quella
Lanciano di lontan lance, c quadrella..
, JLi
5l(
tA MORTE,
8o. Ei tvà la folca homai rotta, e Jivifa
Travaica i guadi, e i colpi altrui non cara>
Nè d’un’incacco ha pur la pelle incifa.
Si fodadi quel pelo è Tarmatara.
I cani, che’l fegniano , Ha conci ingu5fa>
Che ne giace pS d’un per lapianura.
Molti Idrucciti la fpictaca zanna
Nc lafcia, altri ne fquarta, altri ne fcahna.
k
Si. AdoncHequeUrudelmoftroinhliUmàna .
Scorge cotanta far fttagéi e ruina.
Non Cbigottifce anzi con t’afrmi m mano
Sen corre ad incontrar lira ferina,
Eccol giunto daliioi tanto lontano,
Ecco tanto laTera hà già vicina ,
Quanto da forte mah lentato, c fcarco
N’andna fcopplo fionda, ò tratto d’àréo.
St. L’arco ha ftretcò, e lafaéta hà mofla>
E fegna , e tira, e dove vuol colpifcej
Ma cos^ forte è.de la fcorza grofla^
La corazza , ehel cogiiè, e noi fenftìr.
vana non folo^ lapercoflà,
Mfo rirrica più moho, e rinafprilc^
E quel foror, c’ità già raccolto infcno ,
Crdccfonza riparo, e lenza
53. Irapcrver& accanito, inifra le gènti
fifcagiia, e co'maftin^’azzulfo.
Le pùche de la fronte irte e pungcnn>
E de la pelle fctolofa arruffo.
De le picciolc kicii fuochi ardènti
Vibra, s’arricota, e lì rabbuffo, efoutfo*
Dì fcintiftedi fangue hottidi lampi
Par cjhcfecchiftoifitmii, ardaijot eaApi
-Koa
pt
CAI^T;0?JECirviOOT^TAVO. ^7
If Ndn perde Adon coraggio, e dàdi jJigUo
AJ fecondo evadici , cK’e 'viè pvù fitto,
Efper^ncl Cinehìal Farlo vermi glio>
Pcrche’n Etnau temp r c> Fabro divino.
Di Vener bella aVtarctr-ato Figlio
Tolto l’havca per (uo peggio r doftitto.
Onde nel fiero, e furioCo core
S’accoplar 0 due Furie, Ir^,
Sf, Loftral chtT miglior Fianco al itiOftró'etoHc*
D’huraatio àrder i*al ma inltumana aceefe.
Onde quand o al fan ci u-l^^i occhi fvvoWc,
Che dalungciltr afille, e non l^c^fe.
Vago del danno foo, non fit'ne dolfe^ ,
Mà per meglio miraìrlo il 'corfoft^lè,
EtingorduodìbeU-^i si V£tfga
(Aiiracol novo) inacerbi la pi6§3.
16. Chi dunque ftvtplri, *c<hc del fratelli
ArdefféBìbli coninfatrie ardore? ^
E Micca^ di cui nacq[ue Adone iiheilo.
Ad amar s’accencieuc il- gc nìco re ?
Qual meraviglia fia, ebe^guefto e qùeU'o
J>er k propria Tua rpecie innaffimi Amorc>
Se nel cor d’nnu fera h ebbe ancor lodo
SlviolcHte,e moflruofofopo ?
<7. L’anlmofo Gat'WJu veggendo il YvftOf
Che gli fi gita intor »® » c gli ^ accofta.
Non tnontaper falvarfi olmo, ne certo’.
Non cerca perfug&i^^ rioofta,
Mà gicca l’arco, e de rnaftato ferro
Gli rivolge la punta luver la cofta,
E 4bvra llguadoj’ove da ^ada hà-ptelà,
Intrcpido^fcTitia^l®*^^^* .
Frimai
V* morte;
S8. Prima il guinzaglio al f«o Saetta allenta,
E la lafladilcioglic ornata e ricca.
Lo qual non fi (paventa, anzi s’aventa
Per l’orecchio afferrargli, e’I falto fpicca.
Quel volge il grifo, ove la prefa ci tenta,
E ne la gola il curvo oflb gli ficca.
Conia zanna difangue immonda e Cozza
Al coraggiofo cane apre la ftrozza.
8^. Ode guairc il fuo fedele e gira V’
Adon lé luci, ov’ei fi giace ucciC^
E d’affettogentU, mentre, che’l mira> '
In forma il vago, e dilieato vifo. ^ -
Corre pietofo, ov’anhelando (pira.
Ma voicntier dal fuo Slgnwmvifo»
'Gli chiede aita con lo fpirto in bocca,"
Col muCo il lecca, e con la zampa il tocca.
50. Tanto fi dolc Adon, tanto fi (degna.
Che giaccia eftinta la fua fida fcorcai
Che mentre vendicarla egli difegna, i c
Viè più l’ardir, che la rapone jl porta.
Faccia fenno, ò follia, che n’avegna, ^
Vuol che mora il crudel, che gHePhà morta.
Viver non cura , c pur chc’l Porco afiàglia.
Non chiede al proprio cor, (è tanto ci vaglia.
ji. Delpcratos’apprefta a la vendetta.
Tentando imprelà, ove volar non vale.
Et e(]^n sè, per troppo amar Saetta,
Senza rifeofia a volontario male.
Faffi incontro al feroce, indi l’afpetta,
' Pria brandifee Io fpiedo, e poi l’afi'ale. '
Sopra il manco fi pianta, c mentre il fiede.
Segue la deftraman col deliro piede.
] vanìU OfiCIMOOTT avo. 375>
fi- Cojjlatcncra mano il ferro duro
Spinge coptT€y il CingKìal c^uanto più potei
Ma più róbufto braccio, e piCi {jccuro
Penetrar non porla, dov’ci percote.
L’acuto ac dar, com'Habbla u.n faldo muro
Perito, overo ima Icabrola cote,
Com’habbla in virT ancudine percoflo,
Tornafenza crar fuor filila di ro(To.
fi- Quando ciò mira Adon , riede in fc ftefl#
Tardi pentito, e meglio fi coniglia.
Pcn/àalofcampo filo, fe gli è ^ermeflb,
Eterne, e dì i^ggir partito piglia,
Perche gli feorge inirilgnardarleapprcflo ^
Quel fiero lume entro i horrcnde ciglia.
Ciucici talhor;, cjuando tra nubi rotte
Con tridèlitc di' foco apre la notte.
54» Fugge, ma’! moftro innamorato ancora
PerViftàTo rentier dietro gli tiene,
Et intento a fegair cKi l'innamora
Per abbracciarlo impetuofo viene.
Et ecco un vento a l’Tin provilo allhora
(Se Marte, ò Cinthia fn, non sòdirbenej
Che per recargli al fin l*ultima angofeia.
Gli alzò la vcfta , e gli feoprò lacofcia.
55, Tutta calda d’ Amorfia Beftia folle
Senza punto faper . tacefle.
Col moftaccio crudcl baciar gh volle
Il fianco, che vincca le nevi iftell[e,
E credendo lambir l'avorio molle ,
Del fìer dente la ftampa entro vimprefiTc,
Vezzi far gU urti, atti amorofiegefti.
Non Ic’nlSgoò NT atara altri che ^uefti.
Vibra
l
tA Mòrte,
j6. Vibra qtiei lo f|>iìntòhe, e gli contraila».
Ma l’altro incontr’a lui s^àvérita e férra.
Rota le ialine infellonito, crhafta,
Che rhapcrcofl'o, c che’ld^fturba , afferra,
E Hi itian elicla fvelle, e far noh balla .
Adone alhn, che non fia fplnto a terrà.
L’atterra, c poi con le férihe 'bisaccia
Il Cinghialfovrà lui tilttò fi'cactìa.
^7. Tornandoalollevar la falda in alto.
Squarcia la fpògli'a, e da la banda manca
Conarriorbfo,eruinoTo alto ^
Sotto il vago galon gli riiordc l’anca
Onde fi vede di purpureo fmalto
Torto rubihèggiar la neve bianca*.
Cori non lungc dà l’amato Cane
Lacero in' terra il 'mefcblncl runanTe.
5R O come dolce fpìra, e dolce languc,
O qualdolce pallorgl’ImbiaBca il volto; ^
Horribil nò ; che ne l*horror, ne’lfangtic i
Il rifo col piacer llafii raccolto.
Regna nel ciglio ancor voto & clfangue>
E trionfa negli occhi Amor fepolto#
E chiufa, c IpentaTuna e l’altra ft ella
Lampeggia, e Morte ih sì bel vifo cbclla.
Tu Moraizon,che*coh colori vivi
Moribondo il fingerti In vive carte,
E la fua Dea rapprefentafti , e 1 rivi
De l’acque amare da’begliocchi fparte, •
Spiraci grinchloftri miei di vita ptivi
L’aura vita! de la tua nobirarté,
Età ritrarlo ancor morto, ma bello
Infcgni a ta mia penna il tuo pello.
Aifcio
;DA14TCV 1XECI M.O OTTT A. VO 3U
joo. 4r^o diplctatc i freddi fonti,
Slntcnicrlr le dure cjuprce, e i pini.
Efcaturlrda le frondofe fronti
Lagrimofirufe eliti glogKl alpini.
PianCct le Ninfe, Se ulular da* monti,
E da profondi lor got^gl^l vicini.
Drladl, eNapee ftemprato lnpiaritoi,lami.
Quelle, cV amano 1 bordtl> e quelle i fiumi.
loi. y*a^cor(c CUtio, cal Co e cor fo Ceco
Venne, ma’ ndar no , intempeftiva gente,
eh’ ad appiattarli In Coltcarlo fpcco
Sen gio la cera, e Cparve Imjnantcncntc,
Co§\ Lupo ladron per V acr cicco
Poic’hà ^el gregge inCanS'i^^'^to “ *
Ricovcrto dal vel de fofea
Serra ?d ventre la.coda> e U.runbolca
TOt. DoveVeiaerebcllA>
E <Wc,lpn le tue pronvefte tante
Qu^o laC^ncl regno de gli Det .
^cora^o.lblsottttoam^^^
TO* Ecco com«? *
T’I fiSor mlrigar dtftcllafortc
Mai Po6 iJt i»c^ a(nic»afpe«o gW>j
Cosi vuol chi'l Bcftm regge, e U Softe,,.
V - ■ - fUrte lea^ il mondoènatpv
So>tP. s chc%^^’ p^trehe non riei,
fa.
1
itt L A M O R T E ,
104. Era fcnza colui, che l*mnamora.
Ogni piacer di ▼ enere imperfetto, ;
Ch’Amor’egelofiamovcanlc ogn’ora ,
Gran lite di pcnfier nel dubbio petto* , *
A cui la notte ìinaginofa ancora
Raddoppiava timor, crefcea fofpctto.
Però che con fcmbianza infaufta c rU
Adon ncTogni fuoi Tempre moria,
io;. Fioria tra molti, chen’haveaCithcra
Un favorito Tuo Mirto felice.
' Quefto di più per man crudele e fera
Tronco mirò da l’ultima radice.
Dimanda il come , e la dogliofa fcluera
De le Driadi piangenti alfin le dice.
Che con Tartarea c rigida bipenne
L’empia Megera ad atterrarlo venne*
S96. NcThora, che calando a l’Oceano
Quali ogni ftella in Occidente è feorfaj
Onde reftando in Ciel folo , e lontanot
ImMllidifcc ilguardiandel’Orfa,
La bella Dea, che (1 didruggelnvano»
Da mille acute vipere rimorfa.
Dopo lungo pugnar col Tuo defio
Concefie^i occm ad un profondo oblio.
W» Ht ecco in quelli torbidi rlpofi
Trà le notturne, c mattutine larve
Con occhi ahi quant'ofeuri, e lagrimofi .
Del bell’idolo Tuo Tombra l’apparve.
Cocal non già, qual ne giardini ombrofi
Quando in Cipro il lafciò, vivo le parve.
Sconciamente ferito, e’n villa clTongue
^al bel Banco plovea gorghi di^angue.
' CANTO DECIMOO'TXAVO. il$
loi Liduoma,iI cui fin*or più d’iinayolca
Dclc^ebe de l’Indo il pregio Kà vìnta,
Spllida, bruna, ebrattamenre incolta
L’ufatofuofplendor le moftra eftinto.
IUifo,ov’o»nigratla era raccolta,
Delanottcd’Avcrno è fpar£o e tinto,
E macchiato del fumo c ci’AcHcrontc
Ilciùaro honor de la CiiperV>a fronte.
loj. Poiché di lui , ch*Kavea nel cor ritrati#
La notaeffigie riconobbe a- pina,
Ahiqual'altrui perfidia ò tu.o misfatto?
(Gridò) qual fatto a tanto dnol ti mena?
Edond’avicn, che si dolente in atto,
CooturbidclmioCieiraria ferena?
Sc’tu’l mio Amor? ò da fall^c' forme
DclufoU triftocor vàncggl^» c dorme?
Ilo. Dunque in preda mi l^fci ^ J>i^uto eter^pO}
f^iwquc iniquo deftin tanto Ha potuto?
Ti rapi forfè in Ciclo , ò
Pcramor Giove, ò per invidia Fiuto?
ILifpondi caro mio , perche ti Iccrno
la tanta aflittion tacito c muco}
Dprefon, mia dolcezza, e mio theloro>
Uparolc di racle, c i mot ti d oro?
«I. Dove de di occhi U pietose . t
ChcforoiiFaroa Piltc , *
Adoa, fé morto fei, morto mi pi^^i,
Tue bellezze per me belle,
Cotefto {angue io fuggcJ^j? co baci,
Tarderò co’fofpir cento facile, ^ ^ ,
Pw che morto ancòr V®/'®*' V ^P^*^^**
Haver h tomba tua tra le jauc bracci^
KUpoa-
ik
384 t A. MORTE.
*11, I^^pondc. E’queftO) pimè crudele amlcaé
Qllai^tadal voftro amor Tperar midcggioJ
Co$\-?oblia quciralca fede *r
C'hayrft maj.fempre in quefto pcttoil fegg^o?
V oi qui tra gìoccnU e balU> ond’a fatica
Vi tragge il Ibnno, hor’occupata.io veggio*
E le railèrie mie curando poco.
Più non vi rifoviendel nofteo foco»
iij^Pch Te jiQQ fredda in wtto cmro il cor voftro
Vive di tanto ardor qualche fcintilla,
E Cc pur l’eflcr Dea del terzo chioftro
Anaorofa pietà nel fen vi ftlUa*
Volgetevi a mirar qual’io vi moftro
La frccia un tempo già lieta, e tranquilla*
E qual di furiali afpre catene ^
Duro groppo mi flìingo , e mi ritienne*
Poiché purgai mio ftratio acerbo & empio
Negan l’aita voftrai fati rei,
E (Togni altro amator mUero cflempio.
Più non deggio goder quelch’iogodei :
Tornate almeno a riveder lo fcempics ^
Che fe crudo Cinghiai de* membri miei*
Pregovifol, che non vogliate ancora.
Che ni tormento m’altravoltaio mora.
li;. S’Atropo ha rotto in sù’l rotar del fìifi»
Il fil del norc mie ridenti c liete,
E a Tombre de l’Orco , ov’io fon chiufo.
Dato m’hà prigionicr, deh non piangete.
Polche de’voftri ampri ancolagginfo
Fia ch’io Tempre mi gloriiin rivaiLcchc*
. Httom più viver non dee , cui canto lice,
Etnoj«ndo pc|.wi,iùoio felice. •
A DiO>
/ CANTO DECIMO OTTAVO, jlj
11^. A Dio, mi parto, ir mi convlen frà l'almo,
llcuiplantoapietace alcru.1 non piega
Così dicendo, le tremanti palme
Tender fi sforza, e*l duro ferro il nega ,
Ilduro fèrro, chcl’indegne Calme
Contropp’aCpro rigor le man gli lega.
AcjuclmotOjaqaelfon di ferri fccfli
Sciolfcfiil Conno , c CitUerca deftom.
117. Da quella vifion tremenda c fiera
Sbigottitaci leva , e tuilla parla.
Bea fi confola affai, che non fu. vera, ^
DuolfiCol, che’el fvani le^n'z.a abbracciarla
Efcelàdove la feftiva fcKlcra
StàdiraillemiDiftri ad aCpettar»,
E mentre che le fan folta corona
le Ninfe Citberec , così ragio^^^*
m. Ca voto in qaefta a
ZnJagiar pU\ non p olTo, o fi o > “■
Gaiicuftodiaael mio ben ««
E mi richiama a le ma^io n n A j-
Troppo de Ibltraiinviam .1 cor forpec.,.
Nonmcl vada a forar per mi^ «e.
L’onda del mal dà la
Dc’ladromd’Amor non m aflecura.
H,. Volgo (nè molto j» =*H““
Dicettodanno il vrido
Temo non habbia de la ‘
De miei fecreti le nido
E l’orme già nel più riposo
Del mio depofito Leo verte.
Cipro di tante ben non c cap »
E’Fmio crudo figUvol tt-opP°
r,l. w » U
L A M O R T E ,
110. Le fere altrove con acuto ftralc
Il bcll’Adone a faettare intende.
Qiii, laflàj a me d’antlveduto male
Dardo vìè più pungente il petto offende
Ei con veltri mordaci i moftri affale
Del cui forte abbaiar diletto prende,
l'^di più fieri can d’afpro tormento,
Che mi latrano al cor, morder mi fento,
m. Ahibenncla ftagion fofea, e tranquilla
Pofan le membra in sù Tagiatc piumei
Il cor non già, chefidiftruggeeftilla,
Povero d’altro Sole , e d’altro lume,
Alprimo fuon de la diurna fquilla
Le palpebre appannar talhpr prefume.
Quando le luci, che dormir mal ponno,
Al pianto aprir dovrei, le chiude al fonno.
111, E’I fonno, il fonnoancor pietofo anch’effo
De l’amorofc mie penaci cure,
Qiialche raggio del ver mi raoflra fpeffo .
Tral’ombre lue callginofe e fcurc,
E dal mio ben vifibilmente efpreffo
In fanguinofe, e pallide figure,
Con f die cito horror, che mifpavenca,
Smulacri talhormirapprefenta.
izj. Giorno none, che coninfaufte cole
Mon mi minacci alcun prodigio trillo.
Deh quante volte l’intrecciate rofe
Per fe fteffe cader dal crin ra’hò vifto/
E quante fcatur ir dal’amorofe
Poppe infiemc col latte il fangue mifto?
La mano il petto involontaria offènde,
£ mal grado de gU occhi il pianto ìcende.
CANTO DE CI MOOT TAVO. 38^
•4
Mìfembra il lieto appi au.£o urlo fanello
Eie cetre per me non. fon canore.
Non sò che d’infelice , e di molefto
Mifcrame, miprefagìrce il core.
I Col Sol, che forge, a dipartir m’apprefto,
l toppo lunghe tiir c^ue le mie dimore.
Prima al Gìel,che m’attende,c poi girdeggl#
A riveder colui, che tempre veggio.
II). Detto COSÌ, fpal ma il bel carro, c poi
Per l’aura Orientai la s ferza feote,
El’aurcenubi'de'confini Eoi
Rompendo và con le purpuree rote.
Màpurlaffa, in andando naverco’fuol
Travagliati p e nficr tregua non potè,
Etondeggiando ognor tra quelli, e quelli ,
, Vola aliai più con lor> die con gli augelli.
Ufi. OImè dunque il mio ben (diceatrav,^
Inlochimal tecuri e perigliofi
Adogn’incontra di Fortunaria
Solo , & a mille rifehi in preda efpofi?
Hebbi core , ò mio core, anima mia.
Di lafciarti tra moftri empi c rabbioliì
Nemici di pietà moftri arrabbiati,
Mà molto mendi me cirudie fpictatL
U7- E forfè a punto allhop intentalo m’era
Ne* giochi a traftullarmi> c ne le felle.
Quando deve! tu, gioia mia vera.
Con la morte fcherzar per le forefte.
Ben mi ftaria , c’havcfle alcuna Fera
Tinte nel fangue tuo runghic funefte,
Ben per un fallo inefcufabil tanto
1 Gìuftapcttnnùforii eterno pianto,
( ^ fi 2, Deh
j8« LA MORTE,
xi8. Deh farà ver, ch’ancor tra qucfté braccil
Stringer ti ^offa un’altra volta maij
Degg’io piu ribacciar la cara faccia?
Rivedrò de’beeli occhi i dolci rai?
Begli occhi , ani qual timore U cor m'ag-
Vi troverò quai dianzi io vi lafciai? (ghiacci
O fpenta è forfè pur la luce voftra ,
Si come il fogno hdrribilemi moftra?
iip. Sofpefa ftò tra lo fpavento , el dole,
N alla più mi rallegra, il tutto io temo.
Sùfufoaugellii accelerate il velo,
C’homai la notte è sù’l confine eftrcmo.
Fugata Tombra, crifchiarato il polo.
Torte à fpccchiarciin altre Sole andremo.
In tal guil'a illurtrando il mondo cieco
Venere bella fi lagnava feco»
• f
150. Così dubbia tra fe la madre Hircana
Spertb hà dc’propri danni il cor prclàgo»
Qualhor cercando a i figli efea lontana
Torce il part o da lor ramingo e vago.
Temendo pur, ne la fartbfa tana
Fiero non entri a divorargli il Drago,
O’pur furtivo in tanto il pièjnon mova
L'Artuto Armeno a faccheggiar la cova.
ijr* GiàdiCitheraala magioncelcfte
Labclla Dea d’ Amor fkcea ritorno.
Già di refe, e di perlcinun contefte
S’havea’l crin bondo, c‘l bianco feno adorne
B mentre il chiaro Dio, chclpoglia , e vcftc
D'ombra la terra, cdlfplendorcil giorno.
Stracciava de la notte il bruno velo ,
L'ultimc rtclle accommiatava UCido.
L*Aur
CANTO BECIMOOTTAVO.
Iji. L’Aurora intanto, cl\e dal Tuo balcone
6U humidi lumi abV3afta a la campagna,
Vcdcanhelante, c moribondo Adone,
Ch’ancor con ficvol gemito (i lagna-
Vide, che*l duro fin del bel garzone
Ogni Ninfa con lagrime accompagna,
B che tutte iterando il dolce nome
Battonfi a palme, e fquar cianfi le chiome.
Diceano. fmorto Adone. Amor dolente
Horchc non piagni? Il bell* Adone è morto.
Empia fera c crudcl col duro dente.
Col dente empio c crudel l’uccifeatorto.
Ninfe, c voi non piangete? Ecco repente
Adon vofir o piacer, v offro conforto
Lafciadel proprio fangue humidi i fiori.
Piangete Gratie, e voi piangete Ameri.
IH- Giace Adone il leggiadro. Adone il vanto
Di quefte valli in grembo a l'herba giace
Pallidetto, e vermiglio. Il rifo, il canto
Lafciatè ò Mufe. Amor fegni la race.
Piangete Adone, Adon degno ò di pianto.
Sbranato daCingbial crudo ©vorace.
Adone, il noftro Adone borpiu non vive.
Piangete ò fonti, e lagrimate o rive.
135. Pianga la bella Bea l’amante amato,
Sepur quaggiù da la fuasftrai lm,ra.
Non più Ubacia nò, non piu 1 ufato
Sguardo foave in lei P.*“° , ^ ..
P?ù del moftro homicida ha il cor lpietato>
S?-l caro Adon non piange, e noiifofpira,
Stilli iu lagrime gli occhi afflitti e molli.
Piangete ò rei ve, e rirpondete o colli.
° R 3 Miiero
jpio ■ LA.MORTE^
136. Mirerò Adon , tu pien di morte il vHb
V erfi ranlma fuor languido e ftanco.
Porta piagato a un punto .'e porta incllb
Venere il core, il bell’Adone il fianco.
11 fianco (oimè) del bell’Adone uccifo
Più del dente, che’l morfe, è bello, c blande
Raddoppiate co’ pianti alto 1 lamenti.
Piangete ò fiumi, c fofpirate ò venti,
137. Cani infelici, il voftro Duce caro
Freddo sù l’herba, e lacerato ftallì.
Piangete Adone, e di latrato auraro
Empiete i muti bofehi, i cavi falli.
Bclchi un tempo felici, hor per avaro
•eftin rigido e rio dolenti c laflì,
<3ià lieti , c chiari, hor dolorofi, e fofchi>
Piangete ò fallì e rifonate ò bofehi.
Cosi piangean le fconfolate, e fora
Ufeia d’alti lofpir mifto il lamento.
A sltrifto fpettacolo l’Aurora
Stille versò di rugiadofo argento>
Com'ella per pietà volefle ancora
Piangendo accompagnar Palmi torincnto-5
E ftupida d’un mal tanto improvifo
Subito a Citherea ne diede avifò.
Lafcia ò Dea {le dicea) deh lafcia homal
Di rotar l’orbe tuo, che piùnonfplende*
Non vedi tu laggiù (feendi, che fai? )
Di morte, e di dolor fembianxe horrende ì
Cingi U bel crin , non più di lofc , e rai.
D’atri ciprelfi e di funefte bende.
Tempo non è da far perla via torta
(Mentre il tuo Sol tramonta) al Sol la feorta.
Non
CANTO DECITvlOOTTAVO. 35I
140. Noncosì d’Euro a. le gagliarde fcoffe
Tremaitiako Appenniii piantanovella,
Coinearannuncio Korrlt>ile- fi molle
D’accidente SI rio la "Dea più bella
Fermò vinca dal duol, cHe la per corte,
Iiruocoribjil fuo cercVxlo, e la luaftcUa.
Stupì, finorl, fCi dal naortal dolore
Supprelioil pianto, e s’ingorgò nel core.
141- Màpoich’alira impetri olà il duolo
Cede, e potè del petto il varco aprire,
Parte volta a le ftelle, e parte al iuoIo,j
Piefe altamente in c^xicfli r gulfa a dire.
Horqual(vivo collii, ebe reg^c Hpolo)
Hebbe tanto poter, terreno aulire?
Regnali mio fommo Padre? ò pur’Infani
Signoreggiano il elei gU empi Titani?
141* Rotte TorTe le rtrpi hà d’Inarlme
CouVaVtera cervice il fier Xifeo?
DaVefevo, il cui giogo ancorropprlmc,
■Rifollevala frgynte Alcioneo?
Da le valli d* Abili o ofcure&ime
Pulrainato riroro’c Kor Briarqo?
O’d’Ema in Cipro pur fi riconduce
A rivedere Hncelado la luce?
l4J-Nongià, no mi produfieinbofco^òinfiume
Di Deità plebea ruftica fckiatta.
Siam progenie ancor noi di quel gran Nume
Che del bxlmine eterno il foco tratta,
ChÌ Tt\\e ragion di violar prefunve ?
OguUegge del Ciel dunque è disfatta?
CVre ftragi olmè? che ftratii empi fon quelli?
Chiufton tanto furor Talme celeftl?
R 4 Ingiù- ,
LA MORTE,
J44. Ingluftl (fimo elei, di lumi indegno^
Degno di ricettar fol ne’tuoi chioftri
Simili apunto acjuel, c’hoggiil fuo fd^gno
Nel mio bene ha sdogato, infami moilri*
Tiranni iniqui de l’Ethcreo regno,
Ecco pur’appagati i defir voftri
O quanto a torte a voi gl’incenfi accene
Lo fclicrnito mortale, e i voti appende,
r. ^
145. Già non osò con voglie a voi rubelle r
Qtiel mio, che collagiu morto fi piagne.
Per alfalir, per cfpugnar le ftellc
Fabricar torrì,ò l'ol levar montagne.
Già non tentò con quella mano imbelle>
Sol ferc'^fa a domar per le campagne,
Sovra Phi^mana ambitione altero
D’ufurparvi Phonor, torvi Pimpero.
14^. Vanne ai templi di Scitliia il tuo digiuno
D’human (àngue a (bramar Giove rabbiofo.
Qual fu la colpa? in che t’offèfc ò Giuno
Quell’innocente elTangùe, e fanguinofoi
Chiedea forfè arrogante , & importuno
G li abbracciamenti^ del tuo ingordo Spofb?
Anxi humilraente, c fenza alcuno orgoglio
Vivea romito infolitariofcoglio,
147. MàchegUvalfeoimè ?nonpuòceIarfi .
Da maligno lìvor fomma beltate.
Hor d’ognl voftro ben fuperbi, e fcarli
Trionfando di me, lafló regnare.
Poich’ella ha ouefti detti a Paria fparfi.
Per le piagge del Cìel frefche e rofatc
Portata da la gemina Colomba
Vclociffimamcntc a terra piomba. *
Hccub»
CANTO DECIMO O'X"rAV0: j5>,
J48. Hecubacon tal In Troia forfè
N’aadò latrando inFu.rlata e Folle,
Quando lafciar la bella, figlia feorfe
Il Greco aitar del proprio tangue molle,.
Etalniicrcdo In babilonia corCe'
LaDonna, che regnar j>er Fraudo volle,
Con una treccia fciolca , e l’altra avinta.
Con una poppa avolca , e l’altra feinta.
14^. Dabngc udì del Giovane mcfcliino, |
EdeleNinfc laplecofa voce,
Ecoltimpii preciprtoto c chino
Gliaugei corficrl aceclerò veloce.
Magnando a limi rar vien da vicino
L’o{)rafpietata del ClngUial feroce.
Colali lancia, Sc incompoftae fcalza
Da l’aureo carro in sù larivalbalza,
J;o. Salta da l’aria, e vede apcrcamentc
Adoncadnro cernaine condoctoi
Vededa la lunata arma pungente ,
11 vagp fianco fulminato e rotto,
D’ibel collo sù gli homeri cadente,
E la bocca, che languè, e non fàniotto,
E’nveggcndo ferrar luci sì vaghe
Sente aprir fi nel cor p r ofonde piaghe.
||i. De begli occhi fcrem il puro raggio
folto nembo d.i lagrime coverfe.
p gual’ontaa le guanc<e, o <|ual’oltraggIo
Fece aie cbiotneinnanellatce terfe:
StraccioWc , c del bel vifo il vivo Maggio
Di vivo Cangne, & immorc^^lperfe,
Etai caldi fi>ftir le nt^iudo il freno
Coa il feno.
Toft»
Jjx. Tofto fi gitta in sù’l bel corpo, e coinè
Forfennata, e baccante ,il grido fciogUc ,
Gli difiacciala velie, il chiaaiaanome^
Gli ricerca la piaga, e’n braccio il toglie.^
Con gli occhi lava, e con le man raccoglie
E da coftato i tepidi rubini
Terge con l’or de’diflipati criai.
ir La bella man , ch’abbandonata e (lanca.
Rado il Tuoi con le dita, e i nodi allenta.
Dentro la neve tepidetta e bianca
De l’una e l’altra l'uà ftringe, e fomenta,
E’n lei quel moto, e quelcalor che manca»
Di fvegliar, d’aiutar s’ingegna e tpita.
Sii lo Imorto garzon s’inckinae piega,.
Lo {cote, il preme, e di parole il prega^
ij4. L’un con muto parlar pietà chiedea
Profondillìmamente fofpirando.
L’altra con gli occhi pur gli rifpondea
Amarilfimamente lagrimando.
Cime, che veggio? è quello Adon ì {dicca^
Chi ti feri? come t’avenne? e quando?
ChifùNcttarc mio? chi f6.il crudele»
Che le dolcezze tue fparfe di fiele?
Qual crudo mollro,6imè?qual mano ardii»
Tanta licenza a danni mici fi prefei
Come ogni atjprczza fua, dolce mia vita,
ilTtc non raddolcìfatta cortefe ?
Ahi che ferij^uo petti una ferita,
Ne la tua mbfte la mia vita ofFelè.
Quel tuo saguc è mio fangue, c quel torme-
Ch’affiigeil corpo a tó;ac*l!j»lina io Tento. { to
CANTO DECIMOO TTAVO. 35,
156. Nontidifs’io : Oi (cgu-lcar-dch laflTa
Per ’mKoCpicc balie orme Ferine?
Ch’àguila dibalen, cHc vola e pafTa,
Correrai tofto ad linm.atu.ro fine.
Staro pur fufleU mio prel'aglo (ahilaiTa)
Bugiardo in augurar tante ruine,
Ch’elfangue il tuo bel volto hor non vedrei,
Miferabile oggetto agli occhi miei.
157. O troppo de le fere afpro fegiiace,
E^iconfigli mìei credulo poco.
Qùant’era il meglio tuo ftarrenein pace
Nc’inlei giardini, ov*è perpetuo gioco ?
Hor’il trofeo de la rua caccia audace]
Pia la perdita Col del mio bel foco. .
Sventurata beltà, come in un punto
Del tuo corfo vitale xl fine c giunto.
j;8. Dunque andran quelle lucliniiaraorate
Nelfen di morte a furdcar gli amori?
Quelle man bianche , e quelle ckiome aurate
Ad imbiancare, ad indorargli horrori?
Quelle labra fiorite, &: odorate ^
Dentro le toinbc 3. ^ fiori?
Dunque 'andrà lo fplendor di quel bel vifo
A portar ne gli Abiffi fi Paradiib.?
fS9- O miei veri rofpctti,troppo veri
Sogni temuti, hor ben’il dubbio intendo , "
Hor de’pr pdigi fpavenrofì e fieri
Il gran mlflero, eia ragion comprendo.
Ecco come indovini i miei pcnlieri
V etacl fìir de l’accidente borrendo.
Ciò che previfto ffi ciò che predetto
©a McrcurÌQj c bapur effetto.
^ Deh
11 A M-O R X 1£j
Uo. Deh qual furia mi trafl’eJ e qual’errorc
Mi fece ogni dcvcr porre in oblio.
Qu andò per vana ambition d’ honorc
Solo qui ti lalciai nel partir mio?
Quefta fu la mia féì'quefto l’amore ?
Di te dunque, e di me tal cura hebb io?
Non s’incolpi del danno iniqua Sortc>
Frutto del mio fallire e la tua morte.
liì. Adone, Adone, ò bell’ Adon, tu giacl>
Nè fenti i miei fofpir, nè miri il pianto».
O bell’Adone, ò caro Adon, turaci,
Nc rilpondi a colei, ch’amafti tanto,
Lafciami lafcia imporporare ibaci
Anima cara, in quello fangue alquanto^
Arreda il volo, afpetta tanto almeno,
Che’l mio fpirto ìmmortal ti mora in fcao*
Accoda accoda al contrafàtto volta
MiferaDea, la faccia, e gemi , c plora,
E s’alcun peregrinfpirito accolto
Tra quell'aride labra ancor dimora.
S’alcun tepido bacio a Morte tolto
Ne la bocca gentil palpita ancora.
Coglilo, e finche’ n pianto il cor lì dempre^
L’imagindcl tuobenbacia perfemprc.
U}. Con femirotti, e finghiozzati accenti
La Dea del terzo del cosili dole.
Ma tanto il duol s’avanza infra i lamenti,.
Che le legala lingua, eie parole.
Alza la fronte, e i pigri occhi dolenti
Già vicino a l’Occafo,il luobel Sole.
Mà vacilla lo fguardo, c fparge infiemc
L’alma dal petto, c quede voci eftreroe.
là. fogZA
CA^TO DECIMOOTT AVO. 5^7
1É4- Pà forza al duolo^ ò mìa. fedele, eftendij
la mano alquanto a la mia n'ian (^ledice)
Prendi cjaeft’a reo infor curvato, c prendi
Quella Creerà mìa poco felice.
Poi l’uno , e r altra al facro te mpìo spendi
De la Dea bofcliereccla, c cacciatrice,
Fàclieteftin per Tempre ivi fdfpefi ,
Con l’arml ixx&ude 1 ma 1 veftiti araefi.
i6j. Eccomi al paflTo, ove corwìen purch'io
Scenda la^g^lù tra gli amor od Spirti,
Doppiando a Stige ardor con l ardor mio ^
CrcUendo ombra con l^omlsra ai verdi milU
Mà ciò V>en mi fi, dee, clic fui
(Eperdon tene chegaio 1 ab ubbidirti.
Arma tu di coftanxarl petto franco
Meglio ch’io non armai di ftraliil fianco
166. lo polche da le ftelle è già preferìtto
Irretrattabilmente, e da gUDei ,
Che da crudo animai deggip trafitto
Hoggi morir sù*l *^^^**’
Cedo al deftin, nè in tale fiato afflitto
■più (;fe pot efll ancor 1- vi ver vorrei.
E qual mai più: vivendo havrci contorte^
Se’lmio caro Saetta a piè m’èmorto?
i<7- Mà pria che all occhi addolorati ernem
Chiuda a quel > che n forte punto lovidi^
Vòche l’tatimo dono almcntirefti.
Gli altri Cani ti lafcio amati e fidi.
Altro hor non hò, che quelli crinVc quelli
Prcgoti> accerta, e di tua man recidi,
E ferbagli per lui, che’l cor ti diede,
ie
LA mort;e,‘
1^8. Tu, fe vivrà l’amor dòpo la vita,
Cura, che le mie fpoglie altri non tocchi,
E che vii mano in alcun tempo ardita
Arco de’miei non tenda, ò ftral non fcocchl.
Qui gli manca la voce indebolita,
E di grave caligine i begli occhi
Opprime sì ch’aprir più non fi ponno^
De la notte Fatai rultimofonno.
Sù’ibel ferito la pietoCà amante
Altrui compiange e sè mcdelma ftruggey
Efparge (laflià lei) lagrime tante,
E con tanti fofpir l’abbraccia, e fugge.
Che par già d’hor’in hor l’alma anhelancc
V oglìa fuggir , dove l’altr’alma fugge.
In cotal guifa al’irnplacabilpena
Mentre cerca allegiarla, accrefee lena*
17 o. Furvifte arboreggiar l’heibe minute
Intorno a quel cadavere gentile.
Perche volfe di lor cosi crefeiute ^
Fargli la bara ambitiofo Aprile.
Fama è , che l’afpre querce, e Pelei hirfiite
Incurvato le braccia in atto hurailc,
Dov’ei fpirava ancor t rà i funerali.
Spirti amorofì almen, fe non vitulu
*71. I Cani iftelh di pletate accefi
(Raro eflempio di le doppo la morte}
Preflbil caro Signore a terra ftefi
Con un flebil latrar fi doglion forte;
E d’ogni atto amorevole cortefi
Ne’cafi ancor de la finlftra Porte >
Emuli in ciò di Venere in&lice ,
,Yan lambendo a baciarla cicacrictf .
_
CANTO DECIMOOXTAVO.
yji. Ma ceda Ogni altro duolo a quella doglia^
Ch’ala bella Ciprigna il petto punge.
Ellaa gli occhi d’Adon, pur come voglia
Compartir lor la luce ì Cuoi congiunge.
El’infcnfata,efetnlviva fpoglia
Delbalfamo d’AmorccmdUcc& unge ,
B col volto di lui fi. ftrlrrge tanto.
Che non da loco a lo lgm gar del pianto.
J7J. Sù la guancia di fior, di fiamme priva.
Tepida vena, e lagrlmola verfa,
E’lcolor,e’lcalor delia, e raviva,
Ch’involando ne va M.orte perverfa.
Nonfai dirs’egU eftlnto ò s’ella è viva, ’
Slpocohumanotrà lor forma diverfa.
Nè difecrner fi può qual viva e fpiri,.
Senon Colo ne’ pianti, ne’fofpirìi
*74. Chi vide mal di nube in {peffe ftillè.
La pioggia, che col lampo a un tempo cadey
Tal temprata d’humori, e di faville
Imagini tra fe quella beltade,
E mentr’apria tra mille fiamme e mille
Rufcellettidi perle, e di rugiade ,
Li atti melfi> e gravi fi dolca.
Q«ìA deve amante, e qual convicnfi a Dea?.
*75. L’humide luci in prima al Cicl rivolfe,.
Pofcia atcrrachlnolle, e’nlui raffiffe.
Lo fplrto tutto in un tofpiro accolfe,
E folplrò, perche lo fpirto ufcifle,
Al fin la lingua dolorofa fciollc
In dolci note amaramente , e difle;
Mlfera, ma in sì largo il pianto abonda,'
Che fiìiniUerge U voce in mezoa l’onda.
t : ' Mifera
ìtionTl'Td
400 L A M O R;,TE,'
ic6. Mlfera (indi ripiglia^ & è pur vero.
Che fi giri lafsù ftclla sì cruda?
Hor godi invido Sol, vattene altero,
Che’lbeircmulotuo le luci chiuda.
Poco era in braccio al Getico Guerriero
Havermi a tutto il Ciel moftrata ignuda,
S’cn firana ecclifle, e’n fiero afpetto c duro
Noa vimoftravi il mio bel Soie olcurò.
J77* Sei tu (dimmelo Adon), Tldol mio care ì
Tant’ofaj e tanto può Morte fuperbaì
Dov’è de le ftelle il lume chiaro?
A che fiera tragedia il del mi ferba ?
O già sì dolce, hor dolcemente amaro,
Com*ogni mia dolcezza hai fatta acerba ^
Ben’a Mitra fei tu fimile in tutto,
Nato d’amara pianta amaro frutto.
178. ^ Io per me ^urerei,che per difpetto
Là nel foco di Stige, e di Gocito
Quell’arco tuo malnato^ maledetto
T emprato fu dal miocrudel marito ,
E quel Cinghiai, che t’hà Squarciato il pecco
•Di Cipro no, ma l’Inferno ufeito.
Tutta entro a sè di Cerbero la rabbia,
E 1 furor de le Furie io credo c’habbia*
J75>- Ma volfc forfe la malvagia pera . -
•Dc’tuoi chiud penficr cpnftanti e fidis.
E de la fiamma tua' pura e (incera
Cuxiofa fpiar gl’interni nidi.
Ah che farmi vedere huopo non era
(Che eh a’'o ognor ne’tuoi begli occhi il vidi)
Per mofirarnvi il tuo ampr fccuro c certo
$TÌfi;ciatQj^ bel ij;€0(eapeico»
CANTO PBCIMO OTTAVO. 4<«
iJo. Di non poter cangiar fol mi <qucrclo
ColClcU’AbiffojCn’hò cordoglio, &ira.
Màcomevefto incorro tiìV>ll velo,
Scl’alraa mia per la tua biocca fpira?
Sclafeliciià, cVio godo in Cielo,
Pcndedal moto, ch*i tuoi lumi ^ra,
Eia mia Deità te Colo ador^
Com’effer può, ch’io viva, e chetumora2
Ih 0 Morte, ò dcVluferno Arpia rapace,
Come Tempre per ufo il meglio furi.
Qualunc^u’ altro ladron rubando tace,
E celai furti Cuoi ne gli antri ofeurL
Tu di tue prede alteramente audace
Ti glorile di nafconderle non curi,
Anii ne fai con mill’applaufi, e mille
Cantar’hinni, arder lumi, e fonar fquUIc.
i8i. Laflk, th’iobcn vorrei D%lta rapina
Torre aliar tiglio tuo fozzo & infame,
E racqaijlarquefta b^tà divina,
Troppo bell’efca a si voraci brame*
Ma legge irrevocabile detti na.
Che non s’annodi mai fpezxato ftame,
É voto'il fiifo, c la conocchia fcaica,
11 filo venir men veggio a la Parca.
i85.Gran Padre bar tà,che sù’l gran trono
Hai de le cofe unìvcrfal governo,
Pofeia c’hai tanto ben da me divifo.
Rompi le leggi del deftin fuperno.
L’invida man, c’hà quel bel fil recìfo.
Perche Tactorce a la mia via eterno?
Perche perdura & immutabil forte
Mortala! Hmmorcal non può laMortcr
O per-
L A M O H t Ey '
184- O perche di forbir non m’è ccyitimcfTo
In cima un bacio, ò in un fofpiro accolta
Una morte medefma entro l’ifteffo
Labro , ove l’alma mia vive fepolta ?
Impotente dolor, poiché per elio
Non può dal virai nodo cUer dìfciolra.
Ahi che troppo contraria al bel delire
Quella immortalità mi fa morire.
3Ì5. Con quel poco di fpirto, che gli rella.
Di Ciprigna i lamenti Adone udia.
Nè potend’altro, inflebil vocecmella]
Dir le volea, Mia vita, Anima mia.
Ma fprigionata l’anima con quella
Parola aperfe l’ali, e volo via?
E da la bocca eflangue c fcolorka
In vece di Mia vita, ufd la vita.
ìB6. Ufcl fdegnol^ c quah fvelta a fórra
De la cara magion poco habitata,
Lafclando pur mal volentier lafcorza
L’alma di sì bei corpo innamorata.
Mentre de’chiari lumi il foco ammorza,
Impietofifce ancor Morte fpietata 5
E fentendo fcaldarfi il cor di ghiaccio.
Per volerlo baciar, Io ìlringe in braccio*
187. Yolfe le labra allhorla belfh Diva
Con labra compor pallide, e fmorte.
Per impedir’a l’alma fuggitiva
Forfè l’ufcita, chiuderle le porte.
E per raccor qualche reliquia viva
Del dolce, che furando iva la Morte.
Mifera, ma trovò fecchi, c gelati
Ne gli anheliti eftremii baci, c i fiati.
Lafci^n'
tANTO DECIMOOTTAVO.
i88. Lafcìandofi cader fra cento e cento
Ninfe, che’n mefto elagrimofo choro
Facean co’gridi un tragico lamento,
E con le palme un Are pi co fonoro.
Da begli occhi fpargea fila d’argento,
Eda’iaccri crini anella d’oro >
Nè per altra beltà fu glamai tanto
Bello il dolore, e pretiofo il pianto.
i8^. Mille piccioli Amori a trecce a trecce
Qiiafi di vaghe peccKie induftri eflami,
Segnando ne le ruftiche. cortecce
i’mfortunio crudel, gcmontra’rarah
E faretrati, e con fpuntate frecce,
Rottele reti d’or, fcioltii legami,
Gittate a terra fiaccole, e focili ,
Fanno ale trifte eflc<iule oflev.piihumUi,
yo., Chi de le belle lagrime di lei
aprezza le penne, e cbi le labraalpergc.
Chi nél’humor di quc’begli occhi rei
Tempra gli ftrall, e chi gli arrota e tergcw
Chi difdcgnando honaai palme,e trofei
Da facella immortai dentro v’immerge*.
Chi mcntr’ella il bel crin fi fvelle e frange^
Tutto fermo in sù Tali, afcolta, c piange.
»?i. Altri da terra le Tpezzatc ciocche
Coglie de* fottili fiimi capelli.
Altri h’avolge le dorate cocche.
Altri ricco cordon tede di quelli.
Vanno a baciar le languidette bocche
Hor di quefta, hor di quel molti fratelli. ,
Ufficiou ancor molti, ^e dolenti
Volano intorno a varie cure intenti.
LA MORTE,
1^1. Qual sà la guancia di fquallor dipinta
Scilla d*acque odorate un largo fiume.
Qual sù i begli occhi, la cui luce tinca
D’ombra mortai, mendica è già di lume.
Per fufcitar qualche favilla eltinta
O di vita ò d’ Amor, batte le piume
Altri mentr’egU muore, & ella langue,
Afciuga a runa il pianto, a Talcro il {angue.
ipj.Con gli Amori piangean le Gracic anch*elle
Quando rivolto in lor l’afHitto ciglio,
V enere a sè chiamando una di quelle.
Ratto mandolla a ricercar del figlio.
Piega il ginocchio Agiaia , e da le belle
Compagne di partir prende configlio,
Mà dubbiofa, e {bfpefa il paflb move.
Che trovarlo vorria, nè se ben dove*
j^4. Mira, e rimira il Cicl, la terra c’I marei«^^
Poiché per tutto Amor l’ali diftende.
Se del fiero fanciul veftigio appare,
Mà del loco, ove fia, nulla comprende.
Alhor da terra inver l'cccelfe c chiare
Regio de l’Qlimpo in alto afcendc,
E’I trova alfin colà, sovra 1 fupcrni
Poggi celcfti infra i begli horti eterni.
1^5. Stavafi Amor de Io {Iellato mondo
Sotto un mirto fiorito entro igiar dim,
£ duo d’a^etto amabile e giocondo
Coetanei fanciull havea vicini.
L’ un , che fu de le nozze amor fecondo.
Di verde perla attorco 1 biondi crini.
D’aureo focco calzato , craHimenco,
%Uo d’Urania, c di Lieo,
CANTO DE CMOOTT AVO. 4oj|
L’al era quei, ch‘al Regna cor Covrano
Porge il licer divino in cavo trnalco.
Paceantrèsè coftoro un gioco cftrnio,
E moveancon le dita u« ftrano afl'alco.
Morie palme ftringea no, hor de Umano
Gittavan parte, e fofteneano in alto,
^quinci, cquindii numeri per fcherzo
Ea Sòrte a un tempo eflcr citava in terzo.
157* Era de la conte fa arbitro eletto
Comò, Dio de'conviti,c de le fede,
Como inventor del ri£b» e del diletto.
Piacer d'ogni mortai, d’ogni celeftc-
Ets’eran vari premi al Tuo cofpetto
Propofti già da quelle parti, c quelle.
Recata havea di roCe H.na corona
Ir'habitator di Pindo» c d’HcUcona.
Di nettare purpureo una capace
EU pegno, cn aflegnato hà Ganimede.
Amor, ch*è nudo, e fuor che ftrali, c faceìr
Cofanon hàxxia vìve Col di prede,
Prefo a la rete Tua dura c tenace
Promette al vlncitor c mercede
Indico augcl, ebe di Cmcraldo,cd oftro
Hà fregUta la piuma, c tinto 11 roftro.
E già vittorie tu', alfinrimafo ; '‘i
Pacca di gridi rifonar le slcrc,
E*nCupcn>ìto di si liceo calo ,
Per tutte dibattea l’ali leggiere,
IndipoftofiaboccaUdolce vaio
Tutto votoUo , già fornìà di bere,
Quando a lui s'acccjftò dogliofa, c betta
DiC^tllercaUmcff^^t^le^».a^GeU^^.
Come
±00. Come le fu ne l’ambafciata importo.
In difparte il tirò da l’altra gente.
Nè gli hebbe a pieno il fier lucceflb efpofto.
Ch’ogni fua gioia intorbidò repente.
Vienne (non più tardar) vientenc tojrto
A confortar la mifera dolente ,
Dico la madre tua, c’huopo ha d’aiuto,
O d’ogni forza efpugnator temuto.
toi. llfindiqueftodirnonbenfoftennc
L’impatlente, e curiofo Arderò.
A pena incomi iciò, che la prevenne
Senza intender diftinto il fatto intero.
Et O (qualTando per furor le penne^
O là, chi fu? non mi negare il vero,
Chi fù (proruppe) ardito? ò chimaifia
D’addolorar la genitrice mia ?
tot. Contro il Ciel, contro il mondo, e contro
Armargluro la deftra,e mover guerra. [Giove
divertito il farò di piume nove
Novi amori a furar fcenderc in terra,
Fatollo ancor ( fé punto ira mi move)
Con quella man, che’l folgore diflerra.
Dagli ftimuli miei punto & ofFefo
Gir folcando l’Egeo fott’altro pefo.
40 j. Se fia Saturno del Tuo duol cagione, ' ‘
Vecchio maligno, e neghìttofo, e tardo.
L’udrai nitrir frà i regii armenti ,e fprone
Al fianco gli farà queft’aurco dardo.
ScdìCilleneil volatorladronc
Vela d'amara nebbia il dolce fguardo,
Ecco in Athene hor’hor tei’ do ferito,
NàTaittgli viuxàde laCuaPitho. »
CANTO DECIMOOTTAVO. 497
»04; Se daPallade nafce il fuo cordoglio,
lacoaVuIcanricopulata inftemc,
voglio,
moftruoro teme,
ferrato il vano orgoglio,
pi ò Phoijor per me fi teme,
c> ^ cinto di diarpro, e marmo,
^*a,ch’afcnno mio {pedo il difarmo.
canto danno,
^diario induri nodi avinco,
T f^^^^SelIi, e sferze Tue faranno
de l’Alloro, e del Giacinto,
jirder sforzerò con pari affanno
^ reddo cerchio fao la DeadiCInto.
^“ggeràilcor (fe’I mio Furorfi della)
^naene a quello, Endimionc a quella.
°Qoj^^'^^*‘>ch’lfuo piacer turbi, e’I fuo gioco
^ che di duo ventri al mondo nacque*
2 Ove ogni valor gl i varrà poco,
*iovi ardori il condurrò per Tacque.
P cède al mio Tifteflbfoco,
‘'de a madre fulminata giacque,
^^glicolfuo vino agita altrui , >
®poirocolmio {frale agitar lui». j
Scminlftro.raràdi queftopianto
l’ondofo O cean T hii mldo padre,
C’quel.ch’vn tempo Amore ab horrl tanto
Rigido Réde le Tartaree fquadre,
'scatenati , c fupUci mi vanto
Di trargli a’pic de la mia bella madre
^ermoltrar quanto folle è chi.non crede, .
,.€h’a la forza d’ Amor c ogoi aitra cede.
Cosi
L A M O R T E.
to8. Cosi did'e, e col fin di detti tali '
A la voce sfrenata il fren raccollci ^
Poi più veloce affai, ch’un de’fuoi ftralib ^
L’impeto ruinofo Ingiù rivolfe, ^
Ecofgeminofibilodel’ali, f-
C he con rapide fcoffe a volo fciolfe, ^
Lei precorrendo, che tra via rimafc, ^
Sdracctolò ratto a le materne cafe. ^
X09. Come adufto vapor, fpa'rito il Sole, 1
Che coniraggio poUente in alto il traile, i
Di lunga srcrza, c lurainofa fuolc i
Rigar le l’aria le contrade balle: :
Cosi di Citberea l’altera prole 3
Parve foco, cfplcndor.fecopartaffc ' ì
Quando in terra veloce a calar venite ' ^
T atto ferrato ne le tefe penne» i
ifo. Chi può l*iran«rar, narrarli duolo'
Del fuperbogarzon, quand’eglihà feorto
Fofeia chc’n Cipro ha terminato il volo >
De'duo l’una malvivaie l’altro morto*
D'Adon compagno, a Venere figUvolo*
Lui fenza vita, c lei fenza confòrto,
O come in preda a i defperati affanni •
Si fquarcia il velo, e fi Ipennaccbia i vanni*.
aii« QuaraugelUnche'l dolce ufato nido
Dove i figli lafciò, voto ritrova.
Gli vola Intorno, e con pietofo tfrido
Affordandola valle , il duolrinovai
Tal dagli occhi d*Adon , sù l’albergo fido»
Non sapartirfi,e nulla più gli giova,
Piagne i perduti f^ardi. p'n tutto cieco
lanonefferDio per morir lèco.
Mi
CANTO DECIMOO TTaVO. 40^
tu. Ma per non raddoppiar l’accrbcpcnc
Di colei, che gli diede cll'erc, e vita.
L’alto dolor diilìmu la, c. ritiene
Ale correnti lagrime l*uCcita.
Indi per confolar a leifen viene.
Che trahendo dal cor vena infinita,
Parchepergli occhi fuor voglia in tat’ac(|tic
Verfar tutto c^uelmare, ond'ella nacque ,
ir;. Ella acuì per morir con lui , che more,
I^elkr nata immortai molto rincrcblsc.
Di sUerventeSe efficace amore
Eternar lamemorla almcn vorrebbe ,
E con l’afpra memoria anco il dolore,
Che dopo morte a gran ragion gli debbo.
Qnindi ognor repecendo il caro nome
Pace non vuol con Vinnoccnci chiome*.
114. 'Mcacreintorno cadean le chiome fparte,.
Meraviglia gentil nacque di loro.
Ch’abbarbicate in quefta c’nquella parte
Trasformaroin fmeraldo il lucid’oro,
PreCct radice, e con mtrabU'arte
L’herba arriebir d'un fignoril theforo ;
E'i nome de la Dea lacere, e tronche
Serbano ancor per l hunùdc fpelonche.
IV Volca fuggir’ Amor, tanta piotate
— Va rt^ofee materne al eoe gli venne,
Ma de'u. lagrimettc innar ^ntate
La .béàb pioggia gU Cpvuazò le penuoi
N è potendo t ratear Vali bagnaec,
il volo a forza entro’l bel Ceurhcnnc,
X tentò con doUUCmi argomenti,
ID'acquetar quelle doglie, cque’lamcnti
m II* s Tutt%
419
LA morte;
zi6. Tutto pien di fc fteffo egli s'apprefTay
E fparfod’amariffima dolcezza
ha ftringe, e bacia, e con la benda ideda
La rafeiuga i begli occhi, e l'accarezza.
Madre (dicea) di confuniar deh ceda
Con l’altrui vra in un la tua bellezza.
La povertà de gli antri ofeuri e vili
Indegna è di veftire aurei menili.
217^ Perdona a l’aurec trecce, c ponihomal
A sì lungo languir mifura, e frenoi *
Nè più turbar, c’han lagrimato adai>
De’duo Soli amorofi il bel fereno.
^ Che fé di Dea celcfte opera fai
Viva il bel foco tuo fembrando in Ceno ,
Il pianger tanto un ben caduco e frale
Ti vien quali a moftrar Donna mortale.
ti8. In trono mio dentro i tuoi lumi belli
Stadi e’I foco, e Io flral che mi donalti.
Non foggiogo con altro i cor rubelli.
Qui fortdato è il mio regno , c tanto baiti.
Non pianger più , che non fon’occhi q^uelLi
Degni d’eìter dal pianto ofFeli c guaiti
Si fiHla inquell’humor Tanima mia.
Ch’altri pianga per te più dritto fia.
j^ip.Che fia di ine,ch’i miei per Tempre hò chiuiì,
Se da te canta gratia hor non impetro?
Romperò l’arn^ mie, fe ciò ricuu ,
A piè di quello tr^agico feretro
Se ben fon già tutti i miei di ali ottud ,
E l’arco ch'era d’or, fatto è di vetro ,
De la face l’ardcr gela, c s’ammorza,
£ io col pianger tuo perdo oguìfor^a.
LaiTo
canto decimoottavo. 4II
“e, C‘='> '“gue Natura,
icnquafi a mancar la ftIrpenoAra;
V l^ebo, che di nube ^fcura
^ a la fronte, e pallido fi moftra?
cnc ogni fiore, c lecca ogni verdura
^{quefta già fi lieta herbolachioftra,
Pp! I ficherzar vi luolc,
cr altri fiati relpirar non vole.
I dolenti augelletti ò muti tutti
accion trà’raini, ò fanno amari tcrfi.
>ra le tue colombe a tanti lutti
om’hanno i baci lor rotti c difperfi.
Mirane la tua cura i £alfi flutti ,
Crepar fremendo ancor voglian dolcrfi
E le belle unioni a te sì c^e
Divengonper dolor lagrime amare.
^V* <iuclla beltà, che Tel mi porfc
Ita, e vigore, anch'io morirmi fento.
flen potrebbe ildefiin punirti forfè ,
Che chi nacque di te, per te fia fpento.
"cl pianto, che fin qui cropp’oltre corfe ,
falche parte rifparmla, c del tormento,
^ er ferbarmi la vita miglior forte,
Oper pianger la mia con l’altrui morte.
’l’l^^egifi, che perlai piangali le Dive,
fonerà le miferie ancorbcato.
Mori quanto aia vita, a l’honor vive ,
^oitalfùll corpo, il nome immortalato,
piange cola d’Arabia in sii le rive.
Micraviè più coftui, che’l fuo peccato.
Amori in Cipro, i bronchi, dumi
*'muko pianto c cosxon pianto i fiumi:
^^2, L A M o K T E ,
irx Fu bello, ò ver, non però già d^alciitia
Grada (fu con la laa pace) V
Ch’ac^cruaeli queft’honor, qacftafortUQa
Ch’enUiggctto tcrrcn mai non s adon
Merico de2;ne di divini amami».
EqrA’.ma.lcuuDioco&momk^
UfàvalctquJchepecfenoavale.
Il f. Tu Tombra di colui piangendo o&ndi
Che felice ripeta, e lieto giace,
E gode forfè entro gli abilh horrend
/-Inf. rn non hai quietccpac*
Le hamme, c i darai .
Che cioiuropcretfi,acutc4icori , •
?ar fcn?ir (fuorch-altuo) piaghe, K ardori. _
.16. Cof. fcoprlva Amor nntet no affetto, ;
Evolandoinquelpuntoancovolea
Per Inparte '<'«5"^ i
Cà ne’begll occhi, entrardiCithetea.
' Ma rcfpingendo il crudo pargoletto
Conlamanbellal’infelicePea. _
Taci, taci (glidiffc) a che prefumi
Baciarmi il Wo, Se aUiugatmi tinnì*
, ,7 Tardi con quelli tuoi mi torni innanri
intcmpeftivlJiomai vewi, e conforti.
Hot mi lnfm?hi ,e'n contr’a me yur diatiu
L'arroì volgefti, e n'hcbbTmgiutie, e lott
Ah che di ferità le Tigri avanti. _
Nè brami altro giamai.che ftragi, _e mottu
fruaUcolpa.cnonaltrondeufeio
U foamottc.U tu» daoB» , e Ipumomio.
I Càì^T0T>*EC1MOO
TAVO. A'5
ItiS. 5i7, su rat tene aW>orco,*afixctT:a l’ale
Con quelli d’ognWs e t\ 'vedovi Amorl-
Recami preCo il p er fido ani m al c,
L'ei^piodiftruggiror de’noftil Vionorii
A?cloch’io con 1 amor d’og,nl mio naalc
Folf^in parte sfogar tanti dolori i
Ch’almen con la l*ua morte a te s’afpctta
fardclaVitamiac^ualclie vendetta.
1 u^. UbbidlfceiV fanciul -pronto c fpedito,
Nc tarda a riveltir gli uiatl incarchi.
Già va per tutto col drappello ardito
Spiando ibofcKl , attrav c riandò i varchi.
Luno;e li fentc per Vlterboro lato ^
Loftridordclc pene, e'I fuon de gli archi,
Mentre ciafeun di lor per latore a
Apparecchia gli a rnefi, c 1 armi sppre .
tjo. Di faette, di fpiedi, e di ritorte
Armato vi relVerclto pennuto .
Qual col elaocchio a terramcurvail forte
O’di legno, ò di nervo arco cornuto.
Qu.1 fìr coniuvre U reo Cmghule a morte
Irorbifce a dura cor e il f<=r ‘
E lievemente poi. meotre 1
Con reftremoàel dito m punta il tocca.
in Cosi qualilorda le granite fpiclie
' seme stilala il metidor I ar.ftee,
Scote su 1 ai formiche
ù fnòì di lunglie. e uett Urte
Rigmdo ilfnold
C osi tra lor flnol fchietatc e mifte'J
Partendo, humoii
Vanno a rapire ^
L’apldoratcagUodorat.Horu
di
414 LA MORTE,,
251. Già la felva fi cerca, c fi circonda ,
Ciafcuuo il primo aprovaeflcr s’ingegna. ' 2
T rovano in tana al fin cupa e profonda ó
La Fera, che del giorno il lume sdegna, i
E con la bocca ancor di fangue immonda , i
Poi ch’offefa hà colei, che’n Cipro regna, 5
E colto il fior di così nobil vita, n
Quivi di tanto error vive pentita. "
2JJ. Tirata è fuor del cavernofo fafib ,
Altri la gola , altri le gambe allaccia. i
Chi sferza con la corda il fianco lalVo, 3
Chi datergo con l’arco oltre la caccia 3
Move tardo , e ritrofo. il piede, e’I paflb, t
Timida trema , c fbigottita agghiaccia j
L’orrida prigioniera , e’n van fi feote, i
A cuila Dea parlò con quelle note. i
234. O di qualunque moftro afpro c felvagio
Più maligna, e crudel Furia, non Fera
Tu fer’ardifti aquelbel fianco oltraggio,
-Che de’colf^i d’amor degno fol’era?
Tu di quel Sol difcolorar.e il raggio
Che faceafeorno a la più chiara sfera*
Romper d’un tanto amore il nodo caro;
E’I dolce mio contaminar d’amaro *
23 1. Hor qual rabbia infernal? qual ira infana
Stimulò sì la tua fpietata fame ?
Com’osò la tua gola empia e profana
Di tal’efca cibar Pavide brame >
Potcfti efier sì cruda, e sì villana
Inaccorciarqueldilicatoftame »
O di tal ferità ben degna provx
Rea ventura dai del iovra ti piova.
La
CANTO DEC IMO OTTIAVO. 41;
lj6. LaBcftia allhor, cKe d.*amorofo dardo
llfalvatico corehavea trafitto,
Quafimordacc can, c*hu.milc,c tardo
Riedcal fuo correr tor dopo il delitto,
A quegUarpri rimproveri lo fguardo
Levar non ofa oltre mifiira afflitto.
Pur la ruvida fronte aitando in fufo
In sì fitti grugnictti aperfe il mufo.
^}7* Io giuro (ò Dea ) per quelle luci fante,
Che di pianto veder carchemi pefa,
Per queftiamori, e quelle funi tante
Che mi traggono a te legata c prefa,
Ch’io far non volfi al tuo leggiadro amante
Con alcun’atto ingiuriofo offefa.
Màlabeltà, che vince un cor divino,
Può ben’ anco domar fpirco ferino.
Vidi fent’alcun velo il fianco Ignudo,
11 cui puro candor l’avorio vinfe.
Che per farli al calor riparo c feudo
De la fpoglia importuna il pefo fcinlc;
Onde il mi© labro federato c’erudo
Per un bacio involarne oltre fi rpinfc.
I-alfo, mafenzamorfo, e fenza danno
L’hil pide labfa mìe baciar non fanno.
Giù elio dente crudel , dente rabblofo
D’ogni dolcezza tua ffi l’homicida.'
Quelle a le gioie mie tanto clan no fo
Punlfci, e di tua mano hor fi recida J
E come de Taltrui fu fanguinofo,
Tinto del fanguc fuo fi dolga, e (Irida;
Mà fappi (òDea) che fe t’ofFcfe il dente,
(Scufiini Amor) fu l’animo Innocente.
y 4
Con
LA MORTE,
Z40. Con tanto afFetto a l’unica belcate
1 /uoi rigidi amori il Moftro efprefle,
'G he del rozo rivai mofl'a a pi etate ,
Di quel fallo il perdon pur gli concelTe,
E per ambition, che de l’amate
Bellezze un. Moftro ancor notitia haveflc,
Men fofco il guardo a’fuoi fcudier rivolto >
Subito comandò, che falle fciolto.
Z41. Sciolta l’afflitta e defperata Belva,
Cercando va la piti ripofta grotta.
Vtigge dal Sole in folitaria lei va
Tra folti horror!, ove mai fempre annotta.
Per vergogna, e perduol quivi s’infelva,
E la zanna crudel vi lafcia rottaj
La zanna, ch’ofcurò canta bellezza, *
Contro que’duri falli a terra fpezza.
La federata allhor Ninfa loquace.
Che prima cagiondi tanto male,
Iodico Aurilla, che la lingua audace, '
Sciolfe Adone accufando d gran rivale ,
Pentita anch’ella, e non trovando pace
Nel dolor, che l’afledia, e che l’allale,
Scn fogge al bofeo, Quitta l’oro , e dice:
Vanne de’cori avari eua infelice.
1 4?. Oro mal nato, del tuo peflim’ufo
Previde i danni il Cielo, e fé ne dolfc,
E qiiafi in ftretco carcere, lagglufo
Nel cor de’monti fcpelir ti volfe.
Chi , che la prigione, ov’eri chiufo ,
Homicida crudel, ruppe, e dlfcioirc J
Del ferro ifteft'o più crudele e rio,
Se non che’l ferro fù, che ti feoprio.
E pur.
CANTO DBCIM-OOTTAVO. 417
144- E pur’il Sol, polche ci vide foie,
Polche furie tue forxe al mondo note,
Si compiacerne di ce, del cug fplcndore,
E bel del carro n’indorò-le i\>te.
Per te polTanza al fuo gran regno Amore
Accrebbe, e’n tua vii cuce il tutto potè.
Tufabricalti i più. pungenti ftrali ,
Nè fa mal fenza re piaghe mortali.
145. Qual cor non domi2 ò cjual valor si forte
fia che fenza cader ceco contraile?
Qual s\ ritrofa V ergine le porte
Non t’apre de’penlicr pudici e cadi?
Opeftlfero tofeo, ù morbo, ò morte,
Ch’i più puri defir corrompi eguaiH,
Ben’è ragion, fe ne’ più cupi fondi
Quafi per tema pallido t’afcpndi.
146* Ma c^ual potea de 1 mio più grave fallo
Altri per tua cagion commetter mai?
Fù piu del fragilillìmo criftallo
La mia perfida fé fragile all'ai.
Per cupidigia d’un sì vii metallo
Innocente beltà tradire olai,
Forfennato difpetto, impetto flolto,.
Ch’ala Diva de’ cori Ucore hà tolto.
147. rcrei Barbare Fere, ingordi moflri,.
Ufeite horride de’Tigri, Orfi no centi,
drcite a divorar da’cavi chiollri
Col mio corpo in un punto i miei tormenti,.
Ben faranno (crecl’io) gli artigli voftri
Del tarlo, c’hò nel cor meno pungenti..
Ferodi quella Fera aliai più pie,
"Se fepplcbfo d^cte a l’ollà mie.
S f Mà
\
418
LA MORTE,
148. Ma fe le Fere pur crude c proterve
Per maggior crudeltà trovo men ree.
Quella man, cjucfto (Irai che fa? che ferve,
Che’i fen non m’apre, e’I l'angue mio non bec
Hor che’n me più l’inlania ebra non ferve,
La ragion fue ragioni ufar non dee,
E vendicar con piaga memoranda
Di tanta fellonia l’opra nefanda.
JSi
149. Volgi a me gli occhi, e mira i pianti nnei
O di pi igion sì beltà anima ufcica :
Alma, che fcioltaper mia colpa fei
Dal bel nodo ond’Amor ti ftrìnfe m \xtx.
Deh perche non pofs’io, come vorrei.
Seguitarti volando, ove fe’gita?
Sì, sì potrò , che di queft’anreo llrale
Le penne per volar mi daran l’ale.
B
'X
a
1150.. Quello mio fido ftral ,che tanto afperfo»
Perlefelve hàfin qui fangue ferino,
Pia che ncUàngue mio tinto, &: immerfo
A si gran volol^r’hor m’apra il caminOi
Sì dilfe, e nel bel fen lo ftral converfo-
Sodisfece al tenor delfier deftino.
Onde di tepid’oftroun largo rio
Torto a macchiar le vive nevi ufció.
. Bacco, che la mirò dal vlcin colle,
Bacco, ch’era di lei fervido amante ,
Raccolfe per pietà lo fpirto molle,
E cangiollo in leggiadra Aura vagante.
Hor cangia“a anco in Aura, e vana, e folle;,
Mobil (come fó Tempre) & incortantcr
N è tra^ tarmata in lieve Aura fonora
Di gai rii certa, & mormorare ancora .
sfiata
Canto DECIMO OT T AVO. 41,
iji. Efetta Auraramlnga , a tutte l’horc
Colàfcn vola, ove l terrcn fiorifee,
Equlvi ilbeirAdorx mutato in fiore
Moke co’bacì,e co^Torpir nutrifee,
E dalcbellc foglie in vano odore
(Vana emenda dal danno) almen rapifee.
Poi per lo fottiUlHm.0 elemento
DI me dolci rapiae innebr ia il vento.
15}. Più che mai tardi da’ profondi Abilfi
La notte di quel d\ nc l’aria afeefe j
Nc canto mai dapoi clic*l Sol parcifli
Le fue tenebre ufatc il mondo attel'ej
Nè mal velata di pietofe ecclilfi
Si pigra HeCperoin CIcl lefaciacccfci
E quando aperfe lo TtcHatbpolo ,
Tutt’altro illuminò, che Cipro folo.
Il Pine DeI- Decimoottav©
C A » Or
» ^
410
la sepoltura
CANTO DECIMONONO.
ALLEGORIA.
ON la vifita de’ quattro Dei ami-
cidi Venere, i quali vengono a
condolerfi con eflo lei, fi allude a
quattro cofe, che.concorronoa,
fomentar la lafcivia. Per Cerere
s’intende la crapula, per Bacco
l’ebrietà, per Thetide l’humor falfo, & per Apol-
lo il calor naturale. Le favole di Giacinto , di
Pampino, d’Acidcjdi Carpo, di Leandro, d Achi-
le, & d’ Adone ifteflb , morti nella più frefca età
per fortunofi accidenti & trasformati per lo pià
in fiori, ò in altre foftanze fragili, fon polle ò per
fio-nificare natiwralmente l’effetto , & la qualità
dfquelle cofe , che foniìgurate in elfi , ò per el-
primere moralmente la vanità della gioventù»
& la brevità della bellezza, ^
4«
AKGO MENTO. . T
Uenere Vènere piagne, e /* lamenta^
4. ’Evtfitatn da gli amici Dei ,
Sepolto in nobil tomb^ è poi da lei
il merto Adori che 'trago fior diventa*.
I y Umano ufficio è veramente il pianto,;
I I E piu, proprio d.e l’iiuom forfè, cne’J ri-
JL JLPoich’ apena veftico il fragìl inanto,[(a
In aprirgli occhi al Sol, ne bagnali vifo.
Nonfìdia nòdiqucft’affecto il vanto
L’animal, chefi duol sù’l corpo uccifo.
Formar, non fan, non fan vei'far le Fere. . i
Figlie de la ragion, lagrime vere.
1. Por quantunque a ciafctin fin da la cuna
Sempre quafi quaggiù, pianger convegna,.
Dovetràmille ingiurie diTortuna
Fuor che doglia, c miferia altro non vegna»
Sic fi trova caglon Torto la "Luna
Dalagrimar?cheTiaben Sìufta,e degna.
Qualunque trìfta, e miTerabil lorce.
Merita più pietà, cede a Famorte.
J. E fe ben chiper noi volTe Partire
U tolfe l’ago, e l’ ha lafciatoil mele,
OndefonnS scappella, e nonmorii^
Quando Inpace ripofa un cor fedeles.
Purfcnzainconfolab ile martire
Far nonfipuò, nè.Tenzaafpre querele.
Quindi PiftcBa ancor parole di Dio
Sovra l’amico Tuo piange e langmo.
redefr
9
'411
LA
4. Veder, che poca poi ve, € fofpir breve
T ariti lumi, e thelòr ingombri, e prema a
Grava altrui sì , che ben ftimar fi deve ì
De le cole terrìbil rcftrema
Chi fia, che come al Sol. tenera neve
Non fi ftempri mu'ando, c che non gema,
Fatto d’alti penfiernido sì bello
Seminario di vermi entro un’avello ì
'f, E che fia poi, fe*n sài vigor de gli anm
Mentre i lieti di l’Aprìlverdeggia ,
Giovane pianta , e per più gravi danni
Bella ancora, e gentil, fvelta fi veggia?
Ma gli acerbi cordogli, e i duri amimi
Ahi qual’angorcia , ahi qual dolor pareg^a ,
Di chi fterpato a la ftagion piò verde
De le gioie fperate il frutto perde ?
6. Quando per morte incenerito e fpento
Alma, ch’avampa, il fuo bel foco vede»
E recifo quel nodo in un momento.
Che già Itrinfer sì dolce Amore, e Fede,
Non s’agguagli tormento a quel tormento,
Queft'è il doìor , ch’ogni dolore eccede.
Materia amara da folpiri , c pianti
Non ch’a i mortali amanti. ^
'7. VENERE poiché sù la fredda fpoglia
Sparfe lungh’ora invan lagrime, e note ,
Deh qual lenti nel cor novella doglia
Al raggirar de le notturne rote.
Quando tornata a la deferta foglia.
Ne le camere entro vedove, e vote ?
E’ibel Palagio plcnd’horrorfiincfto ’
3^idefcnza il fuo Sol folinga, «nella ?
canto DECIMONO'NO. 4ij
8. Quella magion, che dal divino Artifta
Fabricatafò già con canta cura ,
Lefcmbraahi quanto infaufta alafuavifta)
Defolaca fpelonca, e tana ofcura.
Si la memoria per piacer l’attrifta
Cb’odia l’oggetto de i* amate mura,
fi elei de ridol caro, hor che n’c priva,
Quafilnferno noioro, abhorre e feniva.
j. ComePaftor, che tardi il piè ritragge
Verfo l’ovile a parti corti, e lenti,
E trovalo da fere afpre c Telvaggc
Tutto fpoglìato, ò da predaci genti.
Per le felve vicine, cper le piagge
Chianib c richiamai Tuoi perduti aimentir
E da le folitudlni profonde
Nulla (^uojxfhe lavallc) altro rifponde.
' IO. 0 come Vacca, a cui di fen rapito
Habbia il picciol vitel dente inhumano ,
O col maglio crudcl rotto c ferito
A piè del Scro aitar rigida mano.
Di dolorofo e querulo muggito
Rimbombar fa d’intorno il monte, e’I pianoi
Ukima al prato con dimeffe corna
Efce di mandra, & ultima ritorna.
11. Cosi dapoi chc’l calò empio fuccelTc
De l’inlelicc Adon la Dea di Gnido
Baciando Torme dal bel piede imprefle,
Trafeorfe il muto, e folitario nido.
Ne Iattanza, ch’Amore untempo eleflc
Dc’fuoi dolci trafìulli albergo fido.
Guarda il letto diletto, e quivi afflitta
Geme , rabbraccia,e fovra luifigitta.
'414. lA SEPOLTURA; /
II. SolafoventealbelGiardin fenriedc,
Yifitaì*antro ombrofo, e’I poggio aprico>
Dove l’iierba Itampata ancor^ù vede
De le veftigla del diletto antico.
Parla a le piante fconColate, e chiede
Al fordo bofeo il fuo fedele amico. ^
Bagno di pianto i fiori, ov’ei s’affife,
E fcher zo feco dolcemente, e rife.
L’aurora ufeì, non già di lieti albori ,
Mà di lagrime, e d’ombre afperfa il volto >
Nè di vaghi portò purpurei fiorì,
Mà di brune viole al crine avolto.
Seguilla il Sol ^ mà non fpuntò già fliori>
Prigionier frà le nubi, anzi fepoltoi
Onde bendati difunefto velo
Parean vedovo il mondo, e cieco il Ciclo.
Et ecco a confolar le doglie amare.
Che le fan de’begU occhi humidi i lampiiT
Vengon Febo dal Ciel,Theti dimarc»
Bacco da’collì, e Cerere da’campi,
£ con detti foavi, onde già pare.
Che di pietà ciafeun di lor n’avampi.
Si sforzan d’addolcir quell’afpra pena,.
Che’l lor le ftrugge in lagrimofa vena.
Scalza ne vien colei, che di T riquet^
L’ifolaregge, e quafi è tuttaignuda.
Se non ch’un drappo d’amariglia feta
Cela quanto convien, che celi e chiuda.
In cima al capo, e’n sù la fronte lieta,
lC’hà le luci infocate, e Tempre fuda.
Serpe un lerto di fpiche, einmezo a.loro4
.Eabf ìcato torreggia un caftei d’oro^
^ piante
'CA>rTO totCl M.ONONO.
U. Punte d’argento, c fronte ha di zaffiro
la Dea diqucll*hu.m.or ,chic manca, c crefcc*
Cinge fregiata di ccr vileo giro
ScagUofa l'poglla d’tiipcrboreo pefce.
L’ondofa cmoma poi d’oftrl di Tiro
E di ciottoli, e concKc i ntreccia, e mefc
II chriftalllno fcn, clic ftUla gelo.
Copre di talco un traCparente velo.
17- Non ha di piuma U mento ancor veftito
Cinthio,edi fcKietco minio infiamma ilvo ho
Gli circonda Ubel crin lauro fiorito,
Il crine in bionda xazxera difciolto.
Dì fila d’oro hà il ricco manto ordito.
Di ra<y<ri d’oro un cerchiò in fronte accolto.
Con Smanca foftlen gemmata certa,
E gli pende dal tergo aurea faretra.
IS. Nel vifo il Lieo ride dipinto
IJÌ frefea rofa un giovenii vermiglio .
Tien ne ladcftra "il thirfo, e d’hedre avinto,
E d’uve il crìa , che gli fann’ombra al ciglio,
DiCaCpia Tigre attraverfato e cinto.
Che di firforo h à l’un e l’altro artiglio.
Porca Ubel fianco, e l’homero celclte.
Rancio coturno il bianco piè gli vette.
19. Hor mentre tutti in una loggia ombrosa
In cerchio alfifi a trattener fi danno,
De la Diva piangente, e fofplrofa
Ccrcan di mitigar Tinterno afFannoi
B’ntenti ad acquettar l’alma dogliofa
Con le miglior ragion, che trovar famio»
Nel cafo] acerbo del fanciullo morto
Tentano di recarle alcun conforto.
Fattc^
LA SfiPOLT0RA,
mefta guancia ella del braccio
S havea colonna, e de la palma letto ,
E con varie vicende hor foco, hor ghiaccio
_ Hor nel cor l’alternava, hor ne l’al petto*
Romper parca volcffea l’alma il laccio.
Si profondi fofpir trahea del petto,
Quando Apollo il primiero a lei rivolle ^
Gli occhi, e la lingua, & a parlar lal’ciolfcl
11. Quantunque fulTo il gran Paftor d’Ameto
Colui, chelpinfc a tribularla il figlio.
Onde di tanto mal contento c lieto
De 1 effetto godea del fuo configlio ,
Coprendo nondimcn l’odio fccrcto
Con finto zelo d’un’affabil ciglio.
Come i grandi tra lorfogllono fpeflb ,
V enne con gli altri a confolar’anch’efio.
ti. La cagio de la riffa, e del difpctto.
Onde la Dea gli diventò nemica.
Nota è pur troppo, e quel ch’altrovc hò det-
Huopq qui non mi par, che fi ridica. (to
Vols’ei però, celando altro nel petto ,
Dillìmular la nemicitia antica,
E quali fcaltro adulator di Corte ,
Compianger del Garzon feco la morte .
xj. S*è vero (eglidicea) che nel tormento
Spedo è gran refirlgcrio haver compagni,
Afcolta i cali miei,', ch’ogni momento
Piacer devrei viè più che tu non piagni.
Forfè fe la cagion del mio lamento
Vuoi contraporre a quella, onde ti lagni»
Veggendo che’l mio mal fft maggior tanto.
Darai pace al dolore, ò tregua al pianto.
Laffo
CANTO DECIMO M O NO. 417
24.LaiI(),q^ual’huomo in terra, in Ciel qual Dio
Fu mai di mcpiùfvcnturato amante?
Di Dafni non dirò che non morio ,
Mà vive ancor tra le mie Caere piante.
Nè parlerò di Cipariflb mio.
Che volfc per follia morirmi avante.
Conterò Colo il mal da me corti melVo,
Chomicida crudelfuidi me Itcflb.
!;■ loftciTo (ahi quale allltor fofpinfe c moffe
Lafciocca delira mia (iniftra forte?)
Con quella man, che l’idol mio percolTe,
Fuiirùnillro d’unfccmpio Viorrendoefortej
£ben ch’errore involont ario folTe,
Efenza colpa il colpo, onci’laebbe morte,
Tanto fùdi pietà più «legno il calo ,
Ch’addufle alamia luce eterno Occafo,
Una Tolu dal Ciel, mentre la quarta
ilota girando in giù lo fguardo affifo ,
Trai verdi colli de l’antica Sparta
Veggio un fanciullo in sù ThcrbettaalTilb.
Scultore in marmo, over Pittore incarta
Di formar non fi vanti un sì bel vifo.
S’havefle U Beltà corpo mortale.
Credo, che la Beltà farebbe tale.
17. Chi vuol l’oro ritrar de’crefpi crini.
Da le Grafie filato, e da gli Amori.
Chi de le molU guance i duo giardini, ^
Dove del ms-ggioir verno hsn v\tz i nori y
Chi de le dolci labra, i cui rubini
Chludon cerchi di perle, 1 bei thefori.
Chi de »li occhi ridenti il chiaro lume,
SpiegafrineCpUcabUe prefume.
418 tA SEPOLTURA,!
^8. Giacinto In forama è tal (cofi s’appella)
Che digrada , e vaghezza ogni altro avanzOt
Sc-ion quanto gli fa l’età novella
Superbo alquanto il getto, e lafemblanza,
E l’andar d’arco armato, * di quadretta
A PoTgogUo del cor crefcebaldanza,
Ond’è terror dc’mottrì, edelebelvc,
E piacer de le ninfe , c de le felve.
ao. L’altabellezza del Garzone altero
Subito apena vitta, il cor mi tolfe»
Me^cè del figlio tuo, ch’lniquo c ® ^
Sempre (non so perche) meco la volfeij
E per moftraifi più perfi tto Arderò,
Tanti alfinm’appoftò, che pur mi colle.
Màbetvcbe d’altri ftraliei mi ferme
Civetto fu il più crudcl, che mi trafitte.
To. Per queft'amor , ch’odiar mi fé metteflbj
E per cui nonhavrò mal l’occhio afeiutto.
Io mi feordaì del Cipreffo,
Piante per me funebri, e fenza fnitw.
Leucothoei che languir ini fé sifpcffo.
Di mente per cottui m’ufci del tutto,
elida, da cui già tanto amato fui,^
A me voIgeau,&io volgcami alai.
)t. Per meglio vagheggiar quegli ocdii cari.
Che m’abbaggliaro, e m’ingombrar di gelo
Sprezzai di Delfo gli odorati alteri,
Kè più curai le vittime di Deio i
E’ifren de’ miei deftrier fulgidi e chiari
Lafeiando l’Hore a governare in Cielo »
Rapito a forza da’ deliri accefi, ^
Corfi a l’cfca del bello, e’n teriafccu.
£
CANTO DECIMON ONO. 4l|f
31. E come già f et paCcolar armenti
Venni d’Anfrlfo adV\a\>itar le fponde.
E’I biondo crln> che di fiammelle ardenti.
Era cinto laffu clnh di fronde*.
Cosi par far qucft’occfii almen contenti
V olfi d’Eurota ancor frequentar bonde, J
B quanto foco la mia sfera ferra
Portai tutto nel cor, feendendo in terra.
35. Un Sole (ò chi mel credei) un altro Sole,
C’havea duo Soli in fronte, io trovai quivi,
E vlè più, cheT mio lume in Cìel non fuolc j
Rawgi vibrava sfavillanti c vivi,
Inhcmc ne fchcr mian le valli fole
Da gli ardori amorofijC dagli cftivi,
E ne vider fovente in bei foggiorni
Dilli par l’horc, claccrarc ì giorni.
34- Più d’una volta al Giovane fù dato
Ad un de’Cigni miei montar sù*l dorfo,
Pliid’una volta del Cavallo alato
Premcr’il tergo, c moderare llmorfoj
B non fol di Laconia, ov'era nato,
L’ampic contrade vifitar nel corfo,
Ma talhora arrivar lieve e fublimc
Di bel Parnafo a le fpedite cime.
33. In folea fpcllc volteandarnc fcco
Del verde monte infrà i più chiuli allorii
E quivi a l’ombra del mìo facro Cpeco .
Trà le dotte fontane In grembo a i fiori.
Gran tradullo ci prendea di cantar meco
Del noftro Giove 1 fanciullerchi amori.
E io poftogUln mauo il mio ftromcnto,
^rimegnava a dolce concento.
Tal-
.ji'Xlal-.
(.sfHrJLsrMi
LA SEPOLTUB^A,
f . Talhora a tender l’arco & a fcoccarlo ,
Ben eh alTai ne fapelTc il giovinetto,
10 m ingegnava meglio amraacftrarlo
Contro le fere in qualche mio bofehetto.
Ma fra rutti i piacer, di cui ti parlo,
11 piu continuo, e principal diletto
{Ahi che folo in parlarne impallidifco)
Era il giocar con la racchetta, eldifco.
che la Cagnuola infana
la di rabbiofo incendio arder l’eftadc.
Quando l’agricoltor con la villana
Stafiì ne 1 a.ia a (pigolarle biades
Ne l bora, che quaggiù^ da la fovrana
Parte del Cielo a filo il raggio cade,
E l’ombra, che daPindice difende.
Dritto a la feda linea il tratto ftende.
5** N andamo un di fin chc’l mio carro il fcga%
GuTe a toccar de le diurne mete,
Nel trincotto fatai giocando un pegno
Altre cacce a pigliar con altra rete.
Con quella rete, ch’entro il curvo legno
T elle in (pelli cancelli attorte fetc*
E dalc tele, e ben tirate fila
Fa percoffa lontan balzar la pila.
jy. Tratticnfiin prima a palleggiare un poco,
Indi meco.s’accorda ala partita,
E mirando Io fcherzo in vero gioco,
Prepofto il premio, a la tenzon m’invitv,
Incominciava ad^avampar di foco
La huancia intanto accefa c colorita,
E le fuc vive, fervide faville.
A feminar di rugiadofe i^c.
Onde
CANTO DB.C IMO NONO. 4ii
40. Ondcdepoftoua fuoleggicr farfetlo
Di molle (età, c tinta In, oftro fino,
Indorò 5 lafciòfcmplicc c fchietto
Solde l’ultima fpoglla il bianco lino,
EraifcoprìdcldUicato petto
Il polito caadorc alabaftr i no ,
Ma del mio corc aAai più. forte e greve
Cicfcea la fiamma in. rirguardarla neve*
4r- le botte del fuo braccio erano tali, ^
Che quant’ci n’avcntàv a ò fcaifc, ò piene»
Tant’erano al mio cer piaghe mortali,
Tante a l’anima mia ,,
Ebcn attender lacci, c rcoccarftrali^
Per legar e ferir con doppie pene,
Ne le luci tcnca Ter ene e liete
Vie pi^ che ne l^ naan> l’arco, e la rete.
/
41. l^retc,ch.c di corde ha la treccierà.
Batte la pelle, che di vento è pregna ,
E^con la gamba, c con la man leggiera
'Diieguina, craccorla ogn’un s’ingegna.
Qual dcftra è de le due piu delira arciera.
Vince, e’I numero conta, eT loco fegna,
S’avicn, che non l’invella, ò che la faccia
Ne la fune incontrar perde la caccia.
45. Somiglia il gioco, ond’io con lui combatta^
Di duo madri da fcherma’accorto allalto.
Hor và per dritto , hor di roverfeio il tratto,
Hor di polla , hor di balzo, hor batfa, hor alto
Hor il colpo, che vien rapido e ratto.
S’incontra in aria, & hor s’afpc? ta il lolto.
JHLor fi trincia la palla, & hor -aduta
Tra gli angoli del mur • ò • ^ iteuta.
Ho
LA sepoltura;
4+. Hor quinci , hor quindi,&hor veloce, hor
L’cnfiaco curio fì làectaerc«cca. . (pia^*
Per Io tetto talhor vola lontane^
Talhor radela corda, e non la tocca?
E regolato da macftra mano
Nèierpe per fuol,nc iirimbocca.
Torto ch’urtato vien da quella banda
SI rimette da querta, eh rimanda.
4;. Quali in duello (ingoiar di Marte,
L’un’e l'altro la dcftraa tempo move.
L’un’e l’altro egualmente aggiunge a Patte
Aftutie, e finte ìnàrpettate e nove,
SI ch'accenna talvolta in una parte,
E poirlefce.a Pimprovifo altrove.
Con tanta leggiadria, che mai non falla.
La fiageilata, e travagliata palla.
45. Già fegnate ha due cacce ognun di voi.
Onde ftando del par fi caugia fuo.
Fin c’habbia il gioco al fin per l'unde’dqi
La vittoria, ò la perdita finito.
Ciafeun fi ftudia co’vantaggi Tuoi
Schivar il falla, c guadagnar l’invito.
Et a bcn’adoprar cauto procede
In un tempo con l’occhio, il pugno, c’ 1 piede*
47. Più volte c più da quella parte c quella
Gimmo, c tornammo la medelroa a gulUv
Onde tra noi la palma in dubbio torta
A lance cgual folpcfa 6c indlvifaj
Quahd’cccù II crudo Difeo (qimè) s’appretta
ATar che fia la pugna alfin dcciCh.
Ch'è di metallo ben mafliccìo, c tondo
Toga
^afi un palco di fmlfurato pondo
48* Toglie il figlio d’Amlcla 11 vafto pcfo>
Chepritnaiu alto poggia, e poi ruina,
Ttogni sforzo ala graia prova intefo.
L’urfe l’altro ginocchio allarga, e china.
L'alza a fatica, al fio. polche l’hà prefo, .
Con piè ben fermo e faccia al Ciel fupina
Le braccia allenta e’I xorbinc veloce
Segue con la per fona, e con. la voce.
49» lo, che veggio il fuo lancio andarne a volto
Che poco in sufi leva, e G. dilunga,
E chefatto più lubrico dal moto , ^
Gli cade à piè priach’a mez’ uria giunga,
Mi provo anch’io , ma noi Collevo , e roto.
Ben che del premio alto defi mi punga, ^ ^
Prima che’l guardi,c’l t occhi, acciochel gitto
ElTendoil cuneo cgual, vada piu dritto.
p. PoicUcH^nttnim *hó'ben'ì?Jtlàc,.uco iigiro, ,
Tutto più volte lo miCu.ro, e libro ,
E per far meglio, e tr ar più lunge il tiro,
La man sù per V arenalo frego e cribro.
Volgo in alto la fronte, e’I Clel rimiro ,
E sùlc membra mi bilancio, c vibro.
Perche vò che con fcoppio,e conrimbomb*
Saglìaalc nubi, c poi trabocchi a piombo.
ji. Sovra Sa mole del voi ubil ferro
M’inchino & a CcagUarlo al fin m’ accìngo,
Infra labafc, eT cufpidc l* afferro,
E fortemente ad ambe man lo ftringOj
Con gran preftezza il dlilcrr®,
E ciuci colpo funeftoavento eipingo.
Che finche ftian del Ciel le tempre
Fia memorando, e lagrimaoil tempre.
Voi. llm ^ Zefiri
454 LA SEPOLTURA, 3
Zefiro Upeggior vento, e’I più fellone .
DI quanti Polo ne tien ne l’antro horrendo, ;j
Era in amat’anch’egU il bel Garzone ■
Già mio rivale, e ne languiva ardendo.,] *
Ma fprczzato da lui per mia cagione ::
Sèlchernìr, me Tempre veggendov o
Si fiera gelofia nel petto accolfe , ^ ^
Che ili tutto in odio il prim’ amor^rivollc* s
55. E ftando il noftro gioco ivi a vedere - ]
Sli l’alto Taigeta, il vicin monte, >
Modo ad Invidia de l’altrui piacere , i
Godeadifarglifoldifpetti& onte. (
Hor gli ficea di ceda i fior cadere ,
Hor’ i capei gli fcompigliavain fronte^
Talhor la vede gli tranea con rabbia,
Ecalhor gli Ipargea gli occhi di fabbit.
54. E’ben véiT^lb talvolta ih mezo a liVtf,
Ben che crucciofa oltre Tuo dilc,e cruda*
Lo rpirito malvaggio arde, e fopira
Ib rilguardando il bianco fen, che Luda*
E mentre freme intorno, e fi raggira
Avido di baciar la neve ignuda,
/Dolce il lufiuga, e da’bei membri amad
Mitiga il gran calor con fr efebi fiati.
<y. Ma vido il tempo acconcio a la vendetta*
Cangiala foffio crudeU’aurafoave,
$1 che di là, dove la mano il getta,
Torce a forza e didorna il bronzo grave*
E più Icggier , che fulmine, ò faetta,
Ch’alcun riparo a l'impeto non bave ,
Con tanta furia per traverfo illan da,
Che và dritto a fcrkJo insù la guaijpia •
43#
CANTO DECIMO ÌSX ON O.
j<. Sona la manca guancia, ove tremante
Palpita il polfo entro l-a tempia cava.
Il globo impetviofo e fulminante
Percoffe la beltà, cK*lo tanto amava.
Cade a lo fconcio colpo , e*l \>el feinbianté
Scolora, c foixamentc il macchia, c lava,
Perche tofto ne fpiccla in sù l’arena
hi tepìd'oftro una vermiglia vena.
57* Qual papavere fuol da falce , ò ventA
Tronco il gambo languir pallido, e chino;
Tal’era a punto il folito ornamento
Sparìa dal volto, c lo Iplendor divino, •
M.oria nel labro il bacio > e giacca fpenta
In fepolchro difquallido rubino
Gli occhi, giade le Gr atic alberghi fidi,
Rimanean cavefode, c voti i nidi.
•
si, Tofto che cjucl bel vifo io vidi tinto
hcl fangue (oimè) de la crudel ferita
Corfi arecarrai in braccio .il mio Giaciuto,
Per dar con herbe a la gran piaga aita.
Ma poi ch’ogni opra alifin nel corpo cftlnto
Fù vana a richiamar l’alma fuggita,
Pianfi cosi , che de le ftclle il Duce
Parca fonte di pianto, e non di luce.
S9- Giuro per la beltà, che sì mi piacc^ue,
E che portò d’ogn’altra in terra il vanto,
Che quando il mio Fetonte uccìfo giacque
Non nii dolfi cosi, nè pianfi tanto.
E ben giuda cagione allhor mi nacque
Di Ccntir maggior duoU far maggr\or pianto.
Ch’affai pivi forre, c più mortale ardore
Di quel ch’ao seù U inondo, arfe \\ core
TX pindo
45^
LA SEPOLTURA,
40, Plndo fel’sà, s’io più cantai, nc rifi,
SalTelo il choro mio pudico, c faggio.
Se ben sù’l carro d’or pofcia m’aflìfi ,
Rotai gelato, e ruginofo il raggici
E pailando di là, dove l’uccifi.
N el mio lublimc,. e sferico viaggio.
Sempre cinto di nubi arre e maligne
Sovra i campi verfa i piogge fanguigne.
4i. Voiripcrgloria;fua,pcr mio conforto
Lafciarne in terra una memoria bella.
Cangiai del gioco lo fteccato in horto.
In aragna mutaHa reticella ,
E feci un nobil fior dal cordo morto
Pullular’in virtù de la mia (Iella,
Che con note di fangue ha sù le fogli»
Scritte le Tue fventurci e le mie doglic-
s
li
i
I
I
*1
Produfiì ancor sù le vicine rive f •'
Gemma di qualitàfimile al fiore.
In cui pur di Giacinto il nome vive, '
E di porpora, e d’or ferba il colore. ■ '•
E la forza del fulmine prcfcrivc. v
E la pefte difcaccia, e’I mal del core.
Ri de ne’d'i ridenti , e per coftumc
Quand’io mi turbo in Ciel, turba il fuo lume
^3, Qui conchiufe il parlar lo Dio lucente»
Quando colui, ch’a premer l’uve infegna,
Quella (incominciò) che veramente
Merita gran pietà feiagura indegna,
Rifovenir mi fa d’un’accidcnte
Peggior d’ogni altro, che nel mondo avegna,'
Lo
qual fin che sù i poli il Ciel fi gir i.
Sempre m’apporterà pianti , c folpiiL
R(ì
^4' E fi come nel caCo acerlao e reo
Nonfur men gravi le ru.ine, e i danni,
Coòì noumen d’ Apollo laà Baflàreo
Darà cagion di dolorofi affanni,
Perche l’iiifor turno, onde cade©
MiCerom svi l’ Aprii de’più verd’anni ,
Si come anco in beltà non ne fu vinto.
Così non cede Pana pino à Giacinto.
éj. Pampino (ò bella Dea) che fovra l'ermc
diveggia nacque del mio Pattolo,
Tù<iclaftirpc de gli A-mori un germe.
Fior di vera bcllcxxa in tcrrafolo.
Senonandade ignudo, e filile inerme.
Porla raflbmigliarlo il tuo fìglivolo.
S’egli non havea gli occhi , & havea 1 ale,
Potea parer* Amor, nato mortale.
ÉÉ. La bella fronte gli adornò Natura
Di gentil maeftà, d’aria cclefte.
Dolce color di fragola natura
Gii frcearoffegglar la guance honcftp
Ne la bocca ridca la grana pura
Tra fchictte perle in doppio fil contefte,
Nè quivi haveaia rofa purpurlna
■Prodotta ancor la Tua dorata (pina.
/
<7. La notte tenebrofa , il Ciel turbato
Sirifehiarava dc’begli occhi al lume.
11 vago piede imporporava il prato,
La bianca mano innargentava il fiume»
Qualhor liev’aura con foave fiato ^
1 Confondendogli il crin , (corea le piume',
\ Parca fpar fo su’l collo il bel theforo
Sovra un collo d’avorio un bofeo d’oro.
X 5 Che-
ti*
4j8 LA sepoltura;
£8. Che veggio oimè {difs’io quando ferito
Fui pria da lo fplendor del chiaro raggio)
Chi è coftui ì di qual contrada ufeito? ^ ^
Deh qual feme il produlVe? ò qual legnatici t
N on già, ben che tra Iclve, ei fia nutrito,
Di N infa il partorì ventre felvaggio, ^
T4Ò, nò, non nacque mal nel terrei! noftio *
De la fchiatta de’Fauni un fi bel moftro. ^
0
<5. Eller non può giamai, che beltà tanta '
Di coli roza origine proceda. ^
Mercurio è certo à la fembianza fànta , i
O’piCi tofto Himeneo, quant’io mi creda, 1
Mà dove fon de l’una e l’altra pianta
J pennuti talari? ov’è la teda ?
Poi c’inà il crin d’oro, efler dee forfè Apollo
Senza i^etra, e fenza cetra al coUo^
.70. O’fc’lgiudicio mio nen è fallace.
Se non m’ingannanle fatezze rare.
Sarà, ben che non porti arco , nè fece »
Il figlio di colei, che nacque in mare,
Mà fcufimi la Dea, fia con fua pace.
Io dirò, ch’impollìbile mi pare.
Che membra si gentili, c fi leggiadre
Deggian Marte , ò Vulcano ha ver per padre,
71. Dimmi vago fànciul, dimmi chi fei?
Tua-progenie dichiara, e tua fortuna.
Sì sì, sò die m’appongo e’I giurerei.
Certo del Sol ti generò la.Luna,
Perch’ affai ti vegg’io fimilc a lei,
Quand è ferena, e fenza nube alcuna,
E tal ti mollra ancor la fronte adorna
Di due sì belle, e giovinette corna.
Hil
>
CANTÒ DECITA. OTSTOTSrO. 43^
li Hot qualunque tu Ga,V>cn. cK’io (la Dio,
fette mia Deìtate 11 Ciel dlCprexxa,
£ te mortai far pofl'effbr v o gl' io
Di quanta hò colafsù gloria. , e grandezzaj
fero chefe celeftcè il Cangtic mio,
Cclcfte è ancor la tua Comina l>ellezza ,
fnvò di tanto ben, rifiuto e fclegno
Detcrne gioie del beato regt\o.
t
7Ji Non curo fenza te, da tc dlvlCo
Sulcftellehabitar l>5u.mc imtuorcalc»
fercb’cflìliomi fora il Par adì Co,
Blontan da la luce, oml>r a infernale.
fiu d’un fol guardo tuo > ■piu d un (orrifo,
Sèiel divino nettare mi cale.
Habbiami, ò fiafi in Cirelo, ò fiafi altrove.
IPurche Pampino m’ami) in odio Giove.
74. Mentr’Io così parlava, ei de la loda
Superbiva ridente, e baldanzolo,
E dimenando la laf ci va coda ^ ^
Dava feeno, cKc’l cor gioiofo.
Hor chiW che con pietà non m oda ?
Oqual ha, che non pifng^ > occhio pictofo,
Mentfio racconto (aln sfortunato) altrui
Le dclitic, c i piacer , c’hehbi con lui?
7,. Quando il merigs'to
sSza rabViofo la campagna apnea ,
Nc raccogUea, ne nafeondea fovcntc
Tràiombre denCe unalelvctta antica,
E fcorgeaiie amboduo piacevolmente
llcorpoeffercitar conia fatica, _
Lanciando il thirfo, over la pietra in alto ,
A la lotta, a la danza, al corfo, al fallo.
Nè
LA SEPOLTURA,
440
7^. Nè palmcj ò lauri eran le fpoglle*, e i preg^
De la vittoria ai duo felici Atleti,
Ma ghirlande, e farapogne, e dì bei fregi
Ricchi coturni, e zanii, e dardi, e reti,
Et oltre quelli ancor quantunque egregi.
Altri premi più dolci, e più fecreti.
Le pugne eran fenz’ire, e fenza olfele.
Et era arbitro Amor de la comefe.
77. Quelle bellezze ruftiche & incolte.
Quelle fue chiome fcarmigliate efpartc
Aliai più mi piacean di molte e molte,
Che polir fuol lo ftudio, adornar l’arte.
Gli Orfacchini cacciava anco a le volte, '
E 1 Leoncini in quella e’n quella partei
Et io per le forelte, e per le tane
Gli porgea l’arco , e gli menava il cane.
78, Talhor ne Tonde placide e tranquille -
Seco feendea del fiume amico e fido,
E lavandoci infieme, alte faville
Traheadal freddo humor TArcier diGni4o
Di gigli, e rofe , e mille fiori e mille
Si fregiava la ripa intorno al lido , ^ -
E f.’.cea con frefc’herba in largo giro
Coronadifmeraldo al fuo zaffiro. .
Gli afpri Egipani, e i ruvidi Sileni
Rompeano anch’elfi il criftallinogelo,
S’acciiffavan nel gorgo i Fauni oueni
Col capo a Tacqua, c con le piante al Cielo^ /
E feoprivan di fuor, e curvando i feni,
De’rozi dorfi il rabbuffato pelo. i
Poi de’pefcl dorati in sù le fponde
Trahean le prede da Is lucid’onde.
Irri
L
CANTO DECI Ni. 44,
> cK’entro le vene
harvea celate,
tdiftondeasùle purpurc arene
Seminatrici d’oro acque gemmate,
p rilucenti pietre, oiid’cran piene ,
mfeegUendo, eie concliiglle aurate.
Et lofemprc a la pefea , al nuoto, al bagno
belmzoCD ÉmciuUo era compagno.
*1. Per qualunque di Lidia eftrania riva
Sempre il feguia con piè Ipedito cprefto .
Se cantava talhor, lieto io l'udiva,
Sepoitaceafijion’eraafftitto e mefto.
Li notte in odio havea, clie mi rapiva
§uel §0lj Lenza il cui lume Hor cieco rcflo*
Cosi pallai, mentr’liebbi i fati amici,
ColSacirettomio l’Kore felici.
ti.Màvoire il Cicl, che da me lungo un giorno
Sù’ltcrgo (oimc) d*un fiero Xaiiro afeefe.
Diverdi foglie un guerni mento adorno
Per lo petto, cpcrl’homero gliftcfc.
Legato In fronte a l'un’ e 1 altro corno
Un fiocco di papaveri gH nppefe j
E a la bocca per frenarlo al corfo
Di pieghevol corimbo ci fece il morfo.
Ij. Sovra la groppa di viole , e rofe
Fabricogli.le bavbe, clesirelle.
Poi su le fpallc floride, c frondolc,
Com’a i dcllricr s’adattano le felle.
Gli valTettò dintorno, e glicompofc
La fua dipìnta e variata pelici
X’nficme attorto con purpureo naftro
Sìfedi giuttchi» e ferule unvincaftro.
" '^5 Poi-
^4^ la sepoltura.
84. Poiche’lToro crudel, ch’Orfi, e Leoni
VlnfecU rabbia, ecoricio hebbe inrai gui£c>
Prefeie a montarlo, c’n sù ì fioriti arcioni
Selvaggio Cavalier, lieto s’alfife,
E a (fildoflo, e fenzaftaiFe, ò fproni
A governarlo intrepido fi mife.
Così per balze alpeàri, e pervie corte
Sferzava ìl’luo uccifor verfo la morte»
85. Fin che fi fu nel prato apicn pafeiuto,
E nel rufcello abbeverato Intanto,
Come intelletto, e fenno havefle hayuto*.
O fiato fufl'e al fuo Paftorc a canto,
, Soffrendo il pcfol’animal cornuto.
Cavalcar, maneggiar lafciofli alquanto
Onde Pampino mio parca per Pnerba
Altra Europa più bella, e più fuperba.
t6. Ma perche forfè troppo egli fen gìflc
Di tanta gloria, e di tal foma altero,
O perch’invidia il vide, e fen’afilifle
Cinthia, c’hà de’Giovenchi il fommo impelo
E con acuto ftimulo il trafiffe.
Ci manfueto ci diventò si fiero.
Ch’incominciò per difeofeefi calli
A làltar folfi & a crafeorrer vallL
87. Per l’erte cime de la rupe alpina
Impetuofamente a guadi paf&.
E con corna craverla, e fronte china
Ehi, e roveri urtandoli capo abballa,.
E porta ne l'andar canta mina
Che pietre fpezza, & arbori fracafla.
fiamme da gli occhi torvi aventa e fcocca^
£ horendibianùù ha ue la hocco.
^ .Vedi
443
CANTO DECI'NIO N OMO.
%
M. Vede il Garzon, cK’ind o mica e feroce
Labeftìa a traboccar va per laÌDalza,
t con la man fi sforza, e con la voce
Di placar quel fiir or, ma più l’incalza,
Cile rinforza {buffando 11 pie veloce.
Apre le nari, e l’irta coda Inelza,
Torce lo fguardo, e con o\5li<que rote
Lafchiena incurva, e la cervice IcoceJ]
Dove, dove ten corrls arreda i palfi
Toto pcrverfo, Ineftoral^il "X oro.
. Non vedi (oiiiiè) cVie era <queft afpri falli
Miferamente, e {enz.a colpa io moro?
Non far, non far, cliela crcataiolam
Tri pruni, efterpl <qvLcda chioma d oro> ,
Quella, ch’ai mio fedel cotanto piace,
Esò, ch’è del fuo cor n-odo tenace.
«0. Io t’adornai le corna, e di bei fiori
Lemani aeoronarti hebbi si pronte,
E tu nel fior dc-glor m mici migliori
Precipitar mi vuol da oucfto montei
Vedi, che fon’ ancU’ io fimile ai T ori.
Come la tua fai cara è la mia fronte.
Sci pur miniftro a coltivar la fpica ^
Dela Dea, che di Bacco è tanto amica.
51. M^e dime , che troppo incauto fui.
Pietà non hai, nè curi un Nume famo
Portami almeno al mio Signor, da cui
Forfè havrò dopo morte honor di pianto.
Forma bumana, favella , e narra a lui
1 Vmola mia forte , e miierabil tantoj
i c“e Sùauolm! da la! divifo,
tettai: sì ciudelmeme uscifo.
444^
LA SEPOLTURA,
C^cfti efprimer piangendo ultimi accenti
Gli udir le Ninfe de’vìcini colli,
Le Ninfe, ch’a me poi mefte e dolenti
Vennerlo a referir con gli occhi molli.
Ma 1 orgogliofoBue, che d’ire ardenti
Havea gli fpirti infuriati e folli,
Non curando i fuoi preghi , ò le mie dogUe>
Trallelo alfine, ove lafciòle Ipoglie.
Scotendo II dorfo con terribil crollo,
Pofeia c’hebbe un gran folto in aria prcfb>
Do se lunge lo Ipinfe, indi lafciollo
Sovra il duro terren battuto, e llefb.
Onde sù le vertigini del collo
Cadendo del bel corpo il grave pelo,
Fiacco la nuca , e’n guifa il capo in£faoic>
Che la rigida felce anco ne pianfe.
54* La.To, con qual querele, e quali accufe
Io maledilli aJlhor le ftelle tutte?
Peniate voi poiché le luci ci chiulè,
Scrimafer le mie di pianto alclutce.
P A^lì, e d’ambrofia dolcemente infufe
Le iiedde membra e di belfangnebruttCj,
Cosi 'tracciato in braccio io me l’accolfi>
£ del rato, e più del mio mi dolli.
* ‘rnmi Pampino mio , deh dimmi hot quale
I uccile empio e crudel inoltro iracondo,
^ Baco tuo doglia immortale,
Ch’clier folca per te fempre giocondo
Seforfe ti fbranò crudo Cinghiale,
La ria progenie eftirperò dal mondo.
Senza iafeiarne pur di tanto ftuolo
A le facete di Diana un folo.
Se
Se Tigre acce£a d’ira, ebra d’orgoglio
De l’amato mio ben t ù V bomicida,
Hor'hor dal carro mio rcacciar la voglio >
Come rubella , al Tuo Signore infida..
SefierLeon mi diè queito cordoglio,
A quanti in grembo l' Africa n’annida
Morte darò , nè fìa pur ch’a i Leoni
De la gran madre Cibela perdoni.
Ma fe perfido Toro, ^maledetto
De’ tuoi di non maturi il filo ha mozzo,
E con gloria fen và ( coinè m’handettoi
Del tuofangue gentil macchiato e Tozzo,
Dimoftrar gli ben tolto io ti prometto
Quato il mìo del Tuo corno ha miglior cozzoj,
O il mio thirfo farà , ch’a lafciar’habbia
Sovra il tumulo tuo l*^ultima rabbia.
jJ. Perche non Ceppi, che calcar lefpalle
Bramavi pur d’uà Tauro iniquo c rco^
Ch’ì deftrier generofi, c le cavalle
Da l’armento Pilano, e da l’Eleo,
E da’prefepi antichi, c da le ftallc
Thaurei recati del gran monte Idcot
Patria del belfanciul, da Giove accorto
Sotracto a lacagion, che mi t’hàmorto,.
9% Se fiati i miei penfier fixflcr prefaghi t
Che per un vano e glovenll piacere
Erano i tuoi defir cupidi e vaghi
D’effercitar cavalli , ò domar fere ,
T’havrei dato di Rhea sferzar’! Draghi,
T’havrei dato affrettar le mie Pantere.
Emo de la Tua ftefl'a aurea quadriga
T’iiayrcbbc Apollo amiariehiefia Auri
'44^ LA- SEPOLTURA,
jio. Ahi l’Oreo fordo, dnd’ altri unqua no rledc.
Mai non fi placa, e fuo rigor non fraude.
Nè mai rende Pluton le colte peder
Per ricco dono di chi prega, e piange;
Che s’accettar voleffe aurea mercede,
Quant’oro accoglie, e quante gemme il Gage
Quante ricchezze han gl’indi , e gli Eritrei
In cambio del mio Pampino darei.
loi. Deh che’I poter morir caro mi fora
Per unirmi al mio ben nel cicco regno.
Ma tu fpiecato Sol, che chiara ancora
Portila luce tua di fegno in fegno.
Perche di far col Tauro (oimè) dimora
Ne gli alberghi del Ciel non prendi a fdegnò
Poic’hàfepolco un, Tauro empio d’inferao
V n si bel Sole in Occidente eterno.
•gox. Fuggano i Fauni la funefta fponda,
Piangan le Ninfe la crudcl fortuna,
Scolorifca ogni fior, fccchi ogni fronda.
Copra l’infaufto Ciel nebbia importuna.
Rompa l’urna il Sangario, e Tacquabionda
Del mio Patrolo homai diventi bruna,
Abhorra Dioneo con le Baccanti
Le liete menfe, e gli organi fonantL
ìpcj. Cosìdolcami , c’Ilrozp ftuol caprig*®
Seguiva «Ito ululando i miei lamenti.
Giaceva il bullo Iqnallido , e fanguigno,)
Ma Icincillavan pur gli occhi ridenti.
Ancora il volto amabile e benigno
Role frefchc nutriva, e fiamme ardenti ?
Nè da le labra fmorte e fcolorite
£ranl*a^tte Gratie ancor partite»
Atropo grida. Il fommo Giove
Più non vuol (Bacco ) homai, che di quereli»
Il Fato al pianger ttxo con gr arie nove
DaPuCaco tenor diitornai cieli
E’I gran decreto a cancellar fi move
De le ParcheimplacabilijC crudeli.
Onde malgrado de le ftelle ree,
Nonpafferà’Ltuo amor Tacque Lethee;»
105. Vive Pampino vive, c ben che fembrl
Spento deTuoi begli il lume chiaroj
Vedrai tofto cangiati i vaghi membri
Nel buon licor , cl>’ altrui farà sì caro.
Ti diè (sò che con duol tene rimembri).
Morendo afpra cagion di pianto amaro.
Per dar’ al mondo tutto hor ch’egli è mofCt^
Oagion poi di letitia, c di conforto*
io<. Diffc, e miraeoi novo allhorm’appatrci
Prefe altra forma il Giovane infelice,
Il cadavere cflangue abbarbicarfe
Vidi ratto nelfuolcon la radice.
Et fatto lungc ftipit«,con fparfe
Vari rampolli poi da la cervice
Le braccia germogli ar tralci novelli,
Divenner foglie 1 panni, uvei capelli,
K>7 . Serpe la nova pi anta , e i rami ombro^
Piet^ando intorno Tincurvate cime.
Serbano ancor ritorti e fleflUofi
L’antica effigie de le corna prime.
■Nlutafiàn vivo il fangue, c fan^uinofi-
Gli acini fono, ond’el licor s’elprimei
E*<qviella fpoglia, ch’infenfata, e privai
Era intatto m vita», in Vite viva.
Tolfo
44S la sepoltura; If
lo8. Tofto ch’io vidiil trasformato bufto t
V eftir del vago Autunno i verdi honorl j
E i tronchi ignudi del vicino arbufto i
De la pompa arrichir de’fuoi thefori, j
V enni in defio d’all'aporar col gufto i
De’bei racemi! generofihumori, ^ i
E da l’eftinto autor de’miei tormenti 3
Golfi i maturi grappoli pendente j
105». Premuto il dolce frutto Infrale mani> *
Stille n’ufcir melate, e rugiadofe,
E fcaturir dal gonfio fenoi grani ;
Acqua odorata , e di color di rofc, - ' 1
Raccolfermezo ftupidii Silvani
Quelle porpore belle, e pretiofe,
E con lebbra, e con le man vermiglie
Del prodigio elblcar le meraviglie.
310. Et in quando di manna humidi e gravi .
Schiacciai col dente i turgidi rubini,
E vie più dolci gli trovai , che i favi.
Di pampi fregiar mi volfi i crini}
Et ò Pampino {difiij ancor foavi
Sono i coftumi tuoi piu che divini
Fatto il bel corpo tuo frondofo c verde
Le Tue prime dolcezze ancor nonperde*-
III. Certo tu vivi, e per pietà l’Infèrno >
Rivogò lafentsnza afpra efevera
Nc veder ti lalciò nel ballo Averno
L’occhio fatai de lacrudel Megera.
Non diè la terra al Tuo ornamento eterno
T oraba commune ala vulgàrc fchlcr^
Ma vergognoin, acofe vii* avezza,
Pinaicoudere in ièn UQca bellezza.
Umio ♦
f CANTO DECIMONONO. 44^
Hi. Il mio gran Padre in arbofccl ferace
Cangiato t’hà per honorare il figlio,
E del voi, che già fu sì vivace,
Ti lafcia ancora il bel color vermiglio,
Efachc’lfucco tuo dolce, e mordace
Tranquillili petto, e raflexeni il ciglio,
Efgombrìdal penficr le nebbicofeurc
De le noiofe & inapor cune core.
■ II). Odelitiadcl mondo, e dc’mortali,
Odcl nettar celcfte elTempio in terra.
Spiritofa bevanda oblio de’malì
E pace de’dolor, eh* altrui fan guerra,
Quaifur mal per forze , ò guai virtuti eguali
A l’invitto valor, chc*n te fi ferra J
Ogni altro frutto ho mai per te s’abhorra.
Nè tcco in pregio altr’ arbore concorra.
J14. Qual più famofa pianta infciva alberga
Convien che ceda al tuo ben nato ftelo,
E che qual ferva tua , curvi le terga
* Sotto quel pefo, ch’è fi caro al Cielo.
Non fia giamai, ch’a tanta glorih s’erga
Il Fico, il Pruno, il Melagrano, il Melo,
Da Palma Iftefla, ancorché qual Rcina
Sovra falere trionfa, a te s’inchina. »
Et aragion la priina laude havrai
Da Fauni, da Pallori, e da Bifolci.
Perche falere non dan, come tu dai.
Diletti al fenfo fi foavi e dolci.
Tupiù d’ognl altra a gli egri Ipirti affai
I Porgi riftoro, e’I cor rallegri e molci.
\ bangvùCcon di te privi e balli, e canti.
Nè ion mai fcaza ce menfe fcffancl.
Hor
Ijf j© LA SEPOLTVRA.
ji6. Hor non cur’io, pur che tu racco viva.
Che facraa Giove uà la quercia antica.
Il ricco pioppo ad Hercolc s’afcriva.
Di Febo il dotto lauro cfler fi dica.
Habbia Minerva pur la verde oliva, -
Habbia Cerere pur la bionda fpica.
La bella rofa a Citherea fi dia ,
Sola di Bacco tuo la Vite fia.
liy. ^Tacqui di ciò ddtto> c ben capace fofla
Cavar feci nel faflb» c ben’agiata ,
E’I frcfco fior de la venderainia roffa
Riporvi de la ruftica brigata,
Onde da sè, non pefta, e non pcrcofla
Vfcl la prima lagrima rofata.
Pur cominciar ne l’apprcftato bagno
Col torchio a premer TuvcjC colcalcagnow
Ii8. Ferve già l’opera , già viene a carpirli
Il novo parto de’viticci opachi.
I Coribanti infani , e gli Agathirfi ^
Van quinci e quindi, e i Satiri imbrisicl^
Chi sfronda i rami per ghirlande or diru>
Chi fvclle i rafpi, c chi ne fpicca i vachi
Chi n’empie il grembo da quel lato c qucfto
Chi n’attende a colmar fefcina, ò cello.
Altri, come talhor ne l’aia ftanno^
De le biade ^ufciate i monti integri.
Nel cavo vaio raccogliendo vanno
I grani in muchi . e megliono i più negri*
Altri portando i palmiti , che fanno
Oltre modo brillar gli fpirti allegru
Vien la gravida già madre de l vino
Con rifi,.e cancUj[caricar nel tino.
parte
Canto deci monono. j^ì
HO. Parte poiché fornito Hà di comporre
Il cumol tutto, onde la cava è piena.
L’uva, che già calcata in rivi feorre,
A vicenda co’ piè Ivifccra, e (vena.
Già fpicciail vino, e già comincia a fcioric
Ifuoivivi torrenti in larga vena,
£ fa bollir la violata ij^uma,
Da cui grato vapore diala, e fuma,
tu. Mugghia la turba intorno a le beH’ondc>
Che’l purpureo rurccl per tutto verfa.
Del canal, che ne piove , e fi diffonde,
Qiiei ticn la man, qucfti la bocca immerfà»
Quei de le dolci {bilie , c rubiconde
Tutta ha dentro , e di fuor la gola afperfaj
Quefti da poi che’l ciottolo n’nà pieno,
V’ateuffa il volto, e fé n’innaffia il fenou
m. Chi ftringe con le dita entro la tazza
Di lieti fiori incoronata, il grappo.
Che di libarlo apena fi folazza.
Col fommo labro, e chi tracanna il nappo.
Quel furor dolce, c quella gioia pazza
£à che non curi alcun Uno, ne drappo.
Onde fan roffcgglar l’uve bevute
L’hifpide barbe, e le nafcelle hirfate,
113. Alcun ve n’hà, chela virai rugiada
Con un corno di bue per bere attiene,
E guftata che l’hà , tanto gli aggrada
La foftanxa del del data a le vigne.
Che forze è poi, che titubando cada
Con luci enfiate c torbide, e fanguigne,.
E vinto da colui , che mutò forma,
Ebro vaneggi, e tramortito dorma.
'45^ tA SEPOLTURA,
I14- Non hebbc forza l’invcntor del mofto -
Di più dir’altro a icircoftanti Numi,
Che l’amara memoria inondar rotto
Gli fé le guance di duo caldi fiumi,
Onde il fémbiante in grave atto cqmpofto
Tacendo s’afciugò gli humidi lumi,
E poi ch’egli del tutto Irebbe taciuto ,
Cosi parlò lo Socera di Pluto.
J15. Ne’voftfi cafi (ò Dei) non vi confolo.
Che di pianto fon degni, e di cordoglio;
Ma chi langue d’amor non è mai fblo, '
Anch’io d’ìafio rammentar mi foglio.
Taccio quanto foifcrfi affanno c duolo.
Che l’antiche follie narrar non voglio.
Narrerò d’un ^arzon tragedia tale.
Ch’io pianfi piu l’altrui, che*! proprio male*
Nè trovar fi porla chi farne fede
Meglio di me, che l vidi unqua potette,
Perch’ove bagna a la mia reggia il piede
L’onda di SciUa, iUcafo empio lucceflc,
Videlo ancor coftei, che tra noi fiede,
E’I vider Teco le fue Ninfe iftette ,
E v’accorfe pietofa , e fe ne dolfc ,
E tra le braccia il mlfero raccolfc.
u-7* Aci il gentile , un Paftorel Sicano,
Fu già di Galathea l’unico foco,
Galathea bella , che feguita invano
Era di Polifemo in ogni loco.
Appo lui quafiftilla a l’Oceano *
Era ogni altra bellezza ò nulla, h poco.
Onde ciafcunaNlmfa empiea d’amore,
E ciafcun’huom d’invidia, c di ttuporc.
Cedano
CANTO DECIMO NONO. 4jj
u8. Cedano ì duo, che qu\lo<lat\ Kan canto
DiSemcleilfiglivolo, e di Larona,
0’ qual maggior beltà celebra il xanto
De le dotte lorelle m "Hlelicona.
Il filo puro candor toglieva il vaat<»
A le bianche Colombe di Dodona.
Il filo dolce rortor faceva oltraggio
Ai color de l’Aurora, a i fior di Maggio*
119’ Una collina, che riTporidc al mare,
Vcriunnocon Nettuno accoppia, e raefee.
Per entro Tonde fuc tranquille, e chiare ,
Publico albergo al mài difeCo pefee,
Unpavimento lucido trafpare.
Lo qual vaghezza al va^o (ito accrefcc.
Di nicchi fini, e di lapilli terfi,
Tutti fmaltatl di color diverfi»
150. La’vcda Therba tremula indiftinto
Agitato dal flutto, il giunco pende.
Divario mufeo il margine dipinto
Molle di frefea arena un letto ftend©,
Si d’alti CafiTi incor o nato e cinto ,
Che loffio d’ Aquilon mai nonl’oflcndc.
Sol placid’aura intorno al curvo grembo
GTincrefpa Torlo, c gTinnargcnta il lembo<
131. Tinta d’azurro ne le ripe cftreme
Par la verdura, e l’acqua, e verdeggiante,
Kagionar punto, e falutarfl infieme
Il cultor quinci e quindi, e’I navigante.
Mentre Tun rade il lido,e l’altro il preme,
Han communi tra lor Taighe, e le piante.
L'un può col remo cor Tuve dal tralcc.
L’altro i coralli mieter con la falce.
LA SEPOLTVRA, ^
Qu\ folca 6alathca,lafciando Ubali#
De Taltre Ninfe, e de le Dee marine.
Dal ter^o d’unleggier Pefee cavallo
Sùrafciutto fmontar del bel confine»
Et Acide le membra di criftallo.
Molli di perle, Schumidi i^ì brine.
Con mille caldi fofpiretti'e mille
Gii rafeiugava le cadenti ftitle»
ijj. Vnglornaufcìta pur f come folla) *
A fcherzar per le liquide campagne.
Venne il fuo amor per la cerulea via
Separata a trovar da le compagne ,
E difeefa, ove fà l’ifola mia
Vnpromontorio fol di tré montagne»
Senza fofpetto alcun d’infidia altrui
Stavafi fola a trattener con lui.
Ij4. Di duo pendenti- d’indi ci zaffiri . ^
Gli havea guernito il deliro orcccbno » c
E circondato con minuti giri [manco.
Di tré lince di perle il collo bianco.
TcncagU conlorrifi, e con fofoiri
L’una mano alla guancia, c’I aitraal fianco,
E dolce à sé ftringcndolo, nutriva
Dentr o i l gelido fen U fiamma viva*
ij;. E baciandordlcea’, Che fia che fclolga • ^
Giamai q^uc(loì(ò mio ben) caro legame?
Pria che u rompa, ò ch’altri a me mi tolga,
Yò che fi rompa ilimlo perpetuo ftame*
Frema|> fcopul (fesà} s'adiri, c dolga
li cerror di Sicilia, U mofiro'jnfame,
Di cui più fiera e rpavencoCi belva
Non vivo la tana» e non alberga in felva.
Iatt%
CANTO DECIMON ONO. 4;;
i)(. huoqalpaufaal vezzi , e Ce noncronchci
Leniate le dolclflìmc caterxc,
Scgoavan con le pietre, c corxl c conche
Delegiòlelaromnaa, e de le pene.
Sàlolcogliato fcolplan per Icrpelonclic >
Per la riva fcrivean Covra Tarcnc
Suggellando i caratteri co*baci.
Acm Galathea , GalatHea d* Aci.
IJ7. Hor mentre incauti, c Cenz’alcun pcnficro
. Stanno in tal guifa a traft vallar fi i due ,
Eccoviene ilCiclopo l\or rido c fiero j
A pafcolar le pecor elle fuc-
Sotto la manca aCcclla vxtv cuoio intero
Per zaino ticn di ricucito bue.
Bcnfifcorgeil crudel , q^uand’egU giunge»
1 folcggiar siil’irola da lungc,
ij8. NondlUcvcfiringa , ò di (ambuca,
Mà di mafiiccl abeti bà cento canne.
Cento buche ogni canna , & ^ni buca
^ifurato U Cuo giro è cento (panne,
Quella Cuoi, quand’avicn , ch'ci riconduca
Ta greggia a l’hcrba fuor, porfi a le zanne >
Et accordar con cento fiati c cento
Dc’dìfcguali calami il concento.
JJ9* Ti reco, ò Galathea^ j da quelle rupi i
Due pargoUtic, c Icggiadrectc Damme,
Pur cne gU ardori ci piaccia Interni e cupi
Alquanto mitigar de le mie fiamme.
A te le dono» c le fottrailt a l Lupi,
CheletogUeanoale materne mamme.
ce Lupa crudel non fia chlo rcoìpì,
Ch'afiài preggio il miocor divori e ^olpU
Noi
4j6 la sepoltura; "
, 140. Non mi fprczzar, perch’io di queftarocd#
Habiti l’afpra c ruvida latebra,
Nè perche’l lume mio, cli’a goccia a goccu ■.
Per te fi ftilla appanni una palpebra.
Non »i fchcrnir , nè far che sì mi neccia
L’orgoglio, onde ten vai tumida 5c ebra. •
S’io séprc a’cuoi mlnchino,c m'inginocchio,
Abbonir tu non devi il mio, grand’occhio,
/> * 4^ ' ® c’habbia un’occhio folodo non fon’or-
Il mio Guardo è di Lince, c non di Talpe, [ho
. Ben ti {coprì l’altr’hicr preltb quel forbo ^
llbafto mio, ch’avanza Olimpo, e Calpc,
, Colfanciul, ch’io farò patto del corbe.
Ad onta miafeherzar Cotto queft’alpe. ^ ^
Ma s’altra volta il colgo, il mal fia doppiai » *
#Io ten farò, fencirtofto lo feoppìo.
141. Così cantava, e volea più dir-forlc 1 ^
Col guardo fempreintcnto a la marina» .
Quand’egli a calo inver la laida il torfe/ ' .
Che terminava la gran balza alpina, [ ** .
E de la copia mifera s’accorfe, ^
La qual non prevedea tanta mina, *’ *
E d’amor tutta cicca, e tutta ardente
Al periglio vicin non ponca mente *
145. Ah che ben ti veggj'io (colmo d'orgoglio) *
Non fuggir Galathea (diffe il Gigante) ^
Ti veKÌo c la vendetta homai non vogU*
Più differir di tante ingiurie ctantcì
E vendicarmi vò con qucfto fcoglio,
Ch’è del tuo duro col vero fcmbiantc, ^ ,
E la luce per te non troppo allegra '
' Segnar di qucfto dì con la pict ra negra .
CANTO DE CI MOiMONO. 457
♦4-Dcuo,c fatto in an pu.nto,eccounfracaflb,
Ond intorno il Cicl frcm.e>c’ l mal rimbomba
E d’alto inun precipitato a baflb
Mczo il gran monte impetuoro piomba.
Sovrail mifcr Garz-on ruina il fàllb.
Egli porta in un punto e mortC,c tomba
Sottolarapc, cKc*l percote, c pcfta.
Fulminato, c fcpolto ìndeme rcfta.
lonon so quaVaftetto a rimprovifo ^
Più nel cor de la Ninfa allhors’avanzif
E’ira contro UfcUorà, c'habblarecifo
Il bel nodo, eh* Amor {friafe pur dianzi,
O’ia pietà del Giovinetto uccifo,
qual si bello anco le giace innanzi.
Che non con àlcri forfè arti, c pallori •
(Se poteffer morir) morian gli amori
Dunque per te (prorompe al fin gridando)
Il fior d’ogni mio ben languc diftructo,
Perfido Lelirigon, Moftro cflecranJQ.
l'ortcnto di Natura immondo c brutto?
Così grada, c mercè s’impetra amando?
CosVs*octicn de le Facichell frutto?
Non credo nò, nè fia mai ver, ch’uà c 3 re,
R.0Z0C villano mgentiUfea Amore-
147. Mà che? Ben pagherai d*un canto tòrto
La pena In breve, di quel lume privo,
Che quei terreno Sol, c’hoggi m’hai morto.
Indegno fùdi rimirar già vìvo.
Ben che ituoCdeeno infano , c poco accorto
V til gli fu, per eflergU nocivo,
D*ucclder tl credeftT Acide mìo,
£ rivedrai, che d'huomPhai fatto Dio.
rw. 11. ' , V
Sà.
45* LA SEP^LTVRA,
14* . Si dice, indi quel corpo amato c bellòa
Ch’incapace c di vita, e di {àlutc, »
T rasforma in chiaro e limpido rufcello ,
Con la divina fua farai virtute-,
E poic’hà del gentil fiume novello ^ ^ ,
Con le lagrime fue Tacque accrefciute,
^Ifàlfo inu n col dolce humor confondc> .
£ rimefcola infieme onde con onde.
149. Vdifte,ò Dei, del fiero il crudo fdcgno j
Non già quanto a feguir n’hcbbe dappoi-
Io*rsò,che’l vidi,eparmi ancor ben degno.
Da ricordarfi, e raccontarfi a voi,
lo’l vidi , c’I so, però chc’l vago it^egno
Intento ad oflèrvar ne gli atti tuoi j
Ciò che diirc,e chefé, ciò che gUavcnnCe,
Più falda impreffion mainon ritenne.)
jjo. Così vedrete alfinj che pur’ilcorlc -i
Labcftemmiafataldi Galathea, l
0nde quar.t’egli errò, tanto fi dolfc ,
Perdendoli Sol, la forma, e la fua Dea, . *
Lasiufta lesile del deftin non volfe, . y
Ch’impunità n’andalle opra si rea. il'
Sovente vendicar le cofe belle
(Come fimilia lor) foglionle ftellc.
151. Quando del colpo iniquo & inhumano
Gonfiando infuperbito i Tuoi furori,
D’haver morto il rivai di propria mano .
Vantava ficco i trionfali honori, • ‘
E credea follemente il moftro inlano
De la Ninfa gentil goder gli amori,
Permific il Cicl, che di lontan vcnilTc
Ad ingannarlo, ad acciccarlo V lifl'c. . .
. . . .Cuci
CANTO DECI MONONO. 4;^
Giacca (G come femore liavea per ufo)
infondo a l’antro Tuo icabrofo e vecchio.
Havcagli Uvei de la gran, lupe chiufo
Un grave oblio da Vun’a l’altro orecchio,
Quando tra l’uno , c’I Conno ebro, e confufo,
Ihcrfo de la fronte unico Cpccchio
Con doglia incomparabile repente
fuor del concavo Luo fvellcr G fente
Nonfarlan tal romor Teternerote
Secadefle del Ciel l’immenCa mole,
0 filile pur, (ì come cCTer non potè ,
Da l’epiciclo fuo Cebi anta to il Sole,
Con quale (Irido, eftrepido G (cote.
Con qual farla il crude! s’arrabbia, e dole,
Mentr’il Guerricr nel ciglio il pai gli ficca,
E’nsù'l bel del dormir rocchioncfplcca.
1J4» QuaG fin nel ccrvel la rlgid'iiafta
De l’acuto tÌ7,zon dentro gli caccia,
E de la gemm alilo vivace e vada
Impoverlfce la cerribll faccia.
Quei con la fronte fanguinofa c guafta
PaGmando diftende ambe braccia,
Poi fi leva, c tcnton va con la mano,
Ma l’aria ftringc, e lui ricerca invano,
Jl- Ricercali feritor, nè sa, nè vede
Dove, nè come al Tuo furor G fura.
A l’avanzo de’ miferi ne chiede.
Che tienfepolti entro lagrotta ofeura.
Mà la voce cremante indietro riede,
E è tojta à clafcun da la pavra. ,
1 1 twon del grid® , U picchio de la clava. ^
Tutta fa rUemir Pombrofa cava-
■ V t ' Aprendo
LA SEPOLTVRA,
460.
156. Aprendo rufclo alfiti del cavo foeco, .
SI terge il fangue, onde la fronte e fozza,
E quando al chiaro Sol lì trova cicco
Moki di quella turba uccide e (trozza.
Smembra i compagni del facondo Greco»
Come Leon faria Lepre, ò Camozza,
Parte alfafl’o n’aventa,c non indugia,
Ch’un ne (brana,un ne fcana, un ne tragugla
157. Perduto il di, ch’alni per Tempre annottjt»
Battcfi ad ambe man l’eftinco lume,
E da la piaga de la fronte rotta
Fa di (angue fgorgar torbido fiume.
Fuor de le labra per l’opaca grotta
Stillabavefan^uignc, e nerefchiumc,
Eiicl fango deifuolo, e ne b polve
Se rtcflb immerge, c bructameute involvc..
158. Del crin, che rabbuffato, c non rondato
Con lunghe ciocche in sù le fpalle pende,
Del mento incuko, fquallido, c barbuto.
Da cui ben folto il pelo al petto fccndc,
Del petto ifteflb, il cui pelame hirfuto
Rigido tutto, e fctolofo il rende,
Gli aghi pungenti , e l’irtc lane, e groflfe
Per ira, c per dolor fi (traccia a»fco(Te.
15^’ Vuol pur trovar, per vendicar l'oSef^
Che gli (errò la lucida fineftra.
Sù l’e latrata s’alfidc afpra c fcofccfa^
Che fh fpIragUo a la fpelonca alpeflira.
Sotto la mazza attra ver fata c ftefa
V feir fa la Tua greggia, c con U dcftr»
Mentre lachlula (barra inalzale apre.
Di cora9 ia co^ao aonovera le Cafre*
1 *ANto DECIMO NONO. 4<i
/ ^Afeiomefapràmaì, dove fi celi
cauto, SI fcaltro, è ^Tagace.
Ciùj uò penfaii cVun vello ^fconda e veli
iMàiotoìvioannator fix^ace ?
Montons’inftn^c, c mente i coxxij e i beli,
Glipal^^aU tergo, ernie! camina , e tace.
Cosicoverto di lancia p elle
Gli foitiagge, e paffa infra Vincile.
rti-Hor ]^oCcia)ehe non Col 1* occhio gli ha tolto
Cohronco aihccioil Peregrino Argivo,
Ma da Vinfame arena il le gno Icioko,
Già da la cruda man campato è vivo,
ìuria, ondeggia, vaneggia, e comeUolto
Non mcn di tenno, cKe di luce privo, ^
Languendo a un punto, c minacciàdoinheme
Più delmar, che’l produffe, horribii freme.
i6u “Vfeito indi de l’antro, arbori Intere
Fiaccò con Turto, c con la man divelfe,
Nè tra quell’ire fuc fuperbe e fiere
Quefto tronco da quel diftinfe, o fceUè,
Sbaib’Ù CralEni antichi, & elei altere >
Speziò certi robufti, c querce eccelle,
E furibondo errò per tutto, e forfè
Cento volte quel dì Tifola corfe.
i<3. Cerca c ricerca, ovcNcfiun s’appiatta,
1 Et alzai! grido fpaventofo e grande.
Ma quel Neflun, che labciropra ha fatta,
Giàper Tacque loncan la vela ^ande.
Nelfun per ogni tana& o^nl natta
Chiama , cT^eflun rifponde a le diraande.
Fuorché dal cupo fallo i tre fratelli.
Che batton sù Tancttdlnc i maricllL
y ^ Vola.
462. LA SEPOLTVRA, '
164. Volala nave, c quafiaugel^ l’oii^c.
Batte de’remi fpedite penne.
E nc’fali fpumantl il roftroafconde -
Sofplnta in alto da l’alate antenne. . . ^
Sù le deferte folitarie fponde
In tanto ei con grand’impeto ne venncy
Dove fi fa pur nnalmente accono,
Che partito il naviUo era dal porto.
j6s- Allhor slgroffarupe,efipefante^
Spiccò dal fianco al gran monte vicino, =
E con braccio feroce e fulminante
Lanciol la dietro al fitgitivo pino,
Che pien di fere, c carico di piante
Vnbofeo foftenea sù’l tergo alpino,
E feco per lo Ciel trattando il vento
Traile col Paftor tutto un’armento.
j66. Quali animato monte impofto a monte. „
In cima a l’alto & elevato colle ^
-Piantato il crudo in pièi l’horribil fronte
PrefTo le nubi alteramente eftolle,
Hor minacciando Ciclo oltraggi & onte,
HorPortuna appellando iniqua e folle,
Hor beftemmiandain atti horrendi e fchifi
Il vento, il mar, la vela, il remo, eThifi.
167* Quivi in sì fiere, e sì crucciofe voci
Sue querele fpiegó languide e mefte, ^
E d’urli sì terribili e feroci
L’aure intronò, le piagge, e le forefte.
Che fe ben de fuo moftri infra lefpci
Frcmea pien di procelle, a di tempefte.
Giacer parve fenz’onda il mar’immoto , *
E tacer’Eurs. & Aquilone, e Noto.
Per
CANTO T5ECIMONO NO. +<>
5et tenore, e rifpofta a*fuol lamenti
wfpelonche vicine, e*l mar’iftefTo. I
Gcner Gufi s’adir, fifchiar Serpenti,
wpi ulular per que* vallon da predo.
Corfer leNinfca qucMogUofi accenti, '
Ncttunoil gcnitor vi corCe anch’eilo,
fi ne pianfero in fuomflebile c rauco
Tritone, e Protheo, c Meliccrta e Glauco.
(dicea) va dormi occV»io dolente.
Tu, cui tanto è il dormir caro e foave,
fi ira ftraniera e traditrice gente
pur il Conno tuo profondo e srave.
▼ «I aormi va, ma intanto ampio torrente
D’infruttuofe lagrime tllave.
Occhio feiocco, occhio pigro,occhio gravolb
Come t’hà concio il tuo mortai ripoio.
170. Quando più he l’inganno, e nel periglio '
Sguardo devevl hayer d’Aquila, & d’Argo,
Allor men cauto il £i?cchiofo ciglio
Sparger .ti piacque d’infernal Lethargo.’ 1
Va dorràhvà ma intanto egro e vermiglio,
Verlàdi fang uc un rio tepido e largo,
Bquefta folca tua vota caverna
Chiudi in Conno perpepetuo,in notte eterna.
171. Laflb,più non fperar gU alti fplendorl
Riveder mai de la tua fiamma antica.
Nè piante verdeggiar, nè rider fiori
Invaile ombrola, òìn collinetta aprica.
Fatta (tua colpa) dé’fuoi chiari honori
V cdova quella fronte hoggi mendica,
Spento del volto mio l’unico raggio.
Come farò, fe luce alta non haggio ?
V 4 I»-
à
4(4 lÀ SEPOtTVRA,
171. Indarno, indatnoò Sol per me rmaCci '
Poiché m’ingombra fempitcìma fefa.
Trionfa pur, che negra b endà hor falci
Del lume mìal’inccclillàta sfera.
Lieto homai Giove ognifofpetto lafci,
Ch^ più non ofail cor, la man non fpera*
Mon fpera più con unmortal trofeo
L’opra fornir, chc’ncominciò Tifeo.
173. Alcun più qui de le cornette travi
Da lungeil corfo, ò de’nocchier nonfpia,
Cortan fecurc pur, corran le navi
Per la piana del mar liquida via.
Ycngan merci prctiofe gravi,
Radano a lor piacer la riva mia,
J£ {piegato per l’onde il volo audace.
Senza (pavento alcun pafiìno in pace.
174. Hor per traftullo ler fi com’io foffi
Fera che giace incatenata, e dorme.
De le grand’unghic mie, de’miei grand*oflì.
De l’ampio ciguo, e de la bocca informe,
Dc’mcmbri tutti linifurati c groffi,
Dc'Satiri , c Paftor feguendo rormc,
Verran le Ninfe intrepide c fecure
A tor con lunghe canne alte mifurc.
J75. Et io, che già si grande , c si robufto
Non hebbi eguale inparagon di forza,
Hbr che dd mio negletto inutil butto
Caligine mortai la race ammorza,
Mercedi chi v’affifle il remo adduflo,
E poi foggi fotto mentita feorza,
Mi rimarrò per mio maggior tormento
Fifehio ala plebe, Scagli augeirpavento.
CANTO DEC IMO NO NO. I 4^5
I7<. DcK quanto f« per me mifera l’hora
Quanto il nial nato pr.fl'aggicro Infidoj
Girò Iattanza e combattuta prora
Aqucfto mio già dolce antico nido.
Troppo felice lo mio ftato fora >
Se d’Etna il monte, c di X 1* inacria II
Scquefterlveun tempo amene diete
Viftemai noahayelle il Greco abete.
*77» Evcr,cKe quando il traditor m’aiTalfc ,
Pcrlafciarmlde Tocchio orbato c fceniio,
Viibomlcclvol non osò già , ne valfe
Mover publico affalto a Polifemo ,
Ma con lufinghe allcttatrlci e falfc
Tefe l’infidia del mio danno eftrcnve-, •
E Teppe i fuol peitfier perverfi e rei
Sibcndiflìm.ular, ch’io gli credei,
178. Quanto vaglia U-mIo braccio, e quato po8a
Faranne queft’arcna eterna fede,
Laqual dìfanguepcr gran trattò d’otta
Rotteggiar tutta, e biancheggiar fi vede.
Sallo de l’antro mio la ci^a rolla,
Che pien d humane, c di ferine prede,
Hà ditefchi,e di pelli intorno
11 negro muro horrlbilmente adorno.
vj$. Onde s’allhora un picciol cenno,un*atto
Scorto haveTsIo del fuo vlllan talento.
Penlar fi può, fe ftratio cgual mai fatto
Fu da Lupo affemato infra Sarmento.
O che quefto bafton fparfe in un tratto
L’hofla n’havrebe, eie minugia al vento,
Oc’havrci forfè a l’huom malvagio-c rio
fatto ;fIyo fcpolcro il ventre mio.
V s Nttlb
4
J^66
th SBPOLTVRA,'V
180. Nulla curo però quanto foffrirc '
PolTa per tal cagione oltraggi e torti,
Nulla fra dolorofe ombre languire
In un ftato pegglor di mille morti.
Quel ch’ogni pena eccede, ogni martire,
Dove fpeme non è, che mi conforti ,
Egl i è folo il penfar, che mi fia tolta
La b ella, che dal mar forfè m’afcolta .
181. M’afcolta forfè, e più che mai mifprczzaji
E già vederla adhor’adhor m’avifo.
Ch’addita con infolita allegrezza -
A le compagne il mìo fquarciatovifo. -
Strana mlferiamia, da la bellezza,
Per cui piango e languifco, eflcr derifo.
Bellezza (oimè i ch’a defperar m’induce.
E priva di pietà, com’io di luce. —
181. Hor goda, rida pur , ch’a me s’afconda ’
Per l’altrui fraude eternamente il giorno ,
£ che del lido favola , e de l’onda ^
Fatto io mi lìapcr quefte fpiagge intorno*
De l’una e l’ altra mia piaga profonda
Poco il danno cur’io, poco lo feorno,
pur che’n rifo fcl prenda , e n’habbi^ gioco
La foave cagion del mio bel foco.
i8j. Detto quello il feroce ,inver la cofta
De la montagna ripida e fublime.
Ch’ai figlio di Tiran già foprapofta ,
Del rubello del Ciel le terga opprime^
li palfo move , tacito s’accoda
A le più rotte, e dirupate cime,.
Quivi fovraunfcheggionde la pendice
Sitanco s’aiUde, e tra sl^peofa, e dice.
CANTO DE CI MONO NO. 4S7
'U. Villano Cavailcr, che con mentita
Spoglia molto conforme al tuo timone
ironte mia con la crudcl ferita
Senza luce lafciafti,'e fenza konore ,
Deh perche con la yifta ancor la vita *
Non mi togliefti, c inun con l’occhio il core,
Se con gli occhi del cor, mi villa privo
Veg^o i mici danni, e non hò vita, c vivo?
185. lo vivo, io veggiofC del mio ftratio crudo
L’afpra cagionm’è più che mai prcfcntc,
Bmentre un’occhio folo in fronte io chiudo.
Mille un cauto penficr me n’apre in mente.
Ch’altro di Galathea novello Drudo
Seco veder mi fa Vifibilmentc.
Il vegg’ioben , fe ben nottula , e peggio'
f uorche’l vedermi cieco, altro non veggio.
i8é. Amor Nume poflcntCjAbor Tiranno ■
Per aggravar de’ miei martir la fahna,
. Quando di me con arte, e con inganno
L’allaflia federato hebbe la palma.
Pur come riftorar volcfle il danno
De l’acciecato corpo a l’afflitt’alma,
dPer duol maggior, non per pietà, che n’hebbe
l.a villa raddoppiò, la luce accrebbe.
187 . Ninfa, hor ch’a me non più vifibil fej, *
Raddoppiar m’udirai l’ Jto lamento.
Che la cagion s’accrefee a i pianti miei,
E de la gelolìa crcfcc il tormento,
E fon, non chede’fallì humidi ei ,
Non che d’ogni augelletto, e d’ogni vento.
Non che d’ogni animai' del regno ondofo.
De glifcogli, c del mar fattogelofo.
Pefgc
a6Ì lA SBPOLTVR'Ar'^^--.
■ - *.
iS8. Pefce felice» e tcviè più felice * '
Pefee, c’hai e cento brada e cento branche»
Chi fovente non pur dapreffo lice
Mirar le membra criftailinc e bianche > v- •
Ma toccar le tàlhor non fi difdice, . f
Dal lungo nuoto afiàticare e ftanche, ^ ;
Le Aringi in cento gulfe ,in cento nodi»
E di tal gloria infuperbifei e godi.
189. Felice te, che ripiegata in arco
La coda incurvi^c’l tergo hifpido e nero»
E di ragion talvolta, e d»Amor carco
Fai di te Aeflb alci nave, c deAriero.
Poco ad Atlante il fuo Aellato incarco-
Invidii tu, di più bel pefo altero ,
Qualhor portando i vaghi membri a gali»
Mordi il (uo freno, e la foMeni infpalla.
J5>o. Cicco dunque lonon {onrbcn'che fi veggi»
L’orbe di queAo ciglio orbo rimasò,
Chc’l chiaro Sol, che nel mio cor lampeggia»
TIon tramontè nel mifcrabil cafo,
E l’alma innamorata ancor vagheggia
li fuo Oriente in qucA*0fcuro Oc calo,
E Jahelcà, che più di fuor non vede, *
- A riveder ne la memoria riede.
1^1. Non èqueAo non è, ch’arde c sfavilla
Le celcAl varcando oblique vie
IlSol,chek£)li’ombreaprcctranquÌlia
De la mia mente, c può recarmi il die.
Tu di queA’occhioml fià la pupilla.
Tu fola il Sol de l’atre notti mie.
S’a.me volgifcreno un folo fguardo,
fiafta ^ iliiuiùiiaxinì Ujoco,
CANTO DEC IMONONO.
I i)x. Perche piò contro il reo la lingua fcio^go*
' Pur troppo (ahi làfl'ol in Tua ragione accorto?
Equal prò, fe fdcgnofo al Cicl mi vo^o,
i Sicoixk’el£abro(la del mal, ch’io porto»
I Contro le ftcttc iiwan m* adiro, c dolgo,
Ed’altrui, che di nae mi lagno a torto,
Sedlhfierocafo, c (i fiaiftroJ ^ -
lo fui Colo l^^uxor* Colo il miniftro
Non fi&v non fà 14effun , che mi coftiinC^
Agir cicco c japin, non su fe’l làu
Tcr^ quel, che la naia luce eftinlè,
Ettlofplendor de’tuoi lucenti rai.
Kc meraviglia fia, fc m’arfc, e vinfc,
(lojnecobeu mi meraviglio affai ,
itorat quando talhor mirar ti vuole
CUion s’acciechi,'ò nons.’abbagli il Sole
194. lo, fe mi diffe il pel, chc’^1 mio perduto
Lume per forte racquiftar potefli ,
NÒ fol quel che mi toKc il Greco affuto
Ala come un fol n^^vea, mille n havefli>,
quanti di Giunon l’augello occhitKO
Girar ne fuolnc rampia rotaimprem,
QuantilaPama, e quanti il Cieln hà.ieco>
Mirando gli occhi tuoi tornerei cieco.
J55. Mifcr, dun^ea ragion m*blfofca c caggjo
Ecoslvachilovrafc prefame ^ ^
Cadde (com’odo) il giovane malfaggio,>
Che troppo alzò le temerarie piume.
Cadde cni per lo torto alto viaggio r
V oTcfler duce del paterno lume.
E qucft'alticr, ch’ai gran Motor fégucrray
fulminato ancor giace forteJf
'470 LA SEPOLTVRAV^"
1^6. Anco il Théban , ch’ambi d’eflcr’elctto ' ' ^
Giudice de gli Dei, cieco divenne *
Et io, ch’a.piii bel Sol con llolto affètto . '
De l’audace penfer /piegai le penne, ^
N on mi dorrò, fe sì sfrenato oggetto
La mia debile vifta non foftenne.
Confeflb de le tenebre il martire -
Eflerpicciola pena a tanto ardire. '
197. S’aggiunfe ancora a quello lampo ardente
Dura cagion, ch’abbacinai la vi/la.
De Targhi pianti miei Tonda corrente r '
Che ver fa tuttavia'T anima trilla.
Equalpotehtia’malfìasì poflente? ^
Qual cerviera virtù fiachq refifta*.
Quando infieme accoppiandbfi'in eccclTo
Han gli ardori^ , e gli humori un varcoiftello^
• * » . «
158. A quefta grave e mcmorabil piaga ^ *
Medicina non vai, cura non giova,
Nèd’herba per guarirla, ò d'arte m^a •
Virtù (ch’io creda) in terra hoggi n trwa,)
Tu, c he m'apprillì il cor. Ninfa mia vaga.
Tu, che ferifei, e che rifani a prova, °
Render’aTocchiomio la luce puoi
Gon una fola lagrima de’tuoL
19^. Folle come vaneggio, ancor Ti.nfana • "
V oglia a novi ardimenti ergo e fbfpingo?
Ancor conlpeme temeraria e vana
Adulando a me ftelTo, il cor Infingo? ’
E la Tigre del mar dolce & humana ^
Fatta al mio pian to al mio pregar m’irffingo?
Chim abhorri , mentr’hebbi il lume meco,
pp, fpczzar ) che m’ami hór ch’io foh cieco»
CANTO DE CIMONONO,’ 47T
100. tacendo ro{pira, indi dal loca,
Dovemefofedea> lento riforge,
E’I piè, come può meglio a poco apoco
Traheverfo il fafl'o,che*n sù’l mar h fporgcì
E poiché giunto là, dove il fuo foco
Arder folca fra racque>eITer s’accorge,
Conpiù placido volto, c piùfereno
Cosi rallenta a le parole il freno.
' ► • * *
101. Ma che cicco io mi fia, perche fìa priva'
La fronte mia de l’ornamento ufato.
"Nonè però, chc’n me non fplenda e viva^
La face ardente del fanciullo alato,
“Nètudi me devrefti effer sì fchiva,
Ne tanto havcr’il cor crudo , e fpietato.
Ami mentre mi doglio in tua prefenza.
Se m*odiafti con l’occhio, amarmi fenza,
aoi. Cicco è l’Hcrebo ancor, da cui ciafeuna
Traflc il principio fuo creata cola.
Cieca la Mone, ciecaè la Fortuna,
(Poffenti Dei^ cicca la notte ombrofa,
E’cieco il fonno , c quando il Ciel s^mbfuna
Pur lieto in grembo a Pafithea ripofai
£ pur de le lue fiamme accefe il core
AlafuaPfiche (ancorché cieco) Amore»
103. Chi sà fe’l Rè de l’amorofo regno ,
Del cui foco il mio cor si forte avampa, .
Spingendo di fua man l’accefolegno,
Smorzò de l’occhio mio la chiara lampa?
Forfè ch’amc, com’afedcl più degno,
V olfe il vifo honor ar de la fua Rampa.
Giuftalegge ftiraò forfè il protervo.
Che s’è cieco il Signor, fia cieco il fervo.
47t tA SEPOLTVRA, ^
Z04. Mad’akrapartcachidatameoppreffa..
Gravi cure d’ Amor fi ftruggc e sface, ^
Che perduto ha col core anco le fteilo,
Perduto ogai fuo bene, ogni Tua p acc, .
Poca perdita fia perdere appreffo^ ,
Del Sol la luce, e cieco efier mi piace.
Se quanto à Paltr ui vlfta è di diletto
Fora infeufto a la mia dogUofo oggetto,
aor^on hà per queftc rive ò trqnco, ò Cogl la*
- l^onpoggio adorno di fioretti, e d’herbc.
Che vifibil’jlmagme^ doglia ,
In fc ftampata per mio mal non fc^e> [
E ch’à queft’occbio la cagion non foglia :
Rapprefcntar de le mie pencaccrbc, '
Aqucff‘occhio mefchin,c’hor chiufocfpcnto ^
Piu nonfia fpcttator del mio tormento. j
ao<. 0*ch*aqueft’afprarupciologiraffi j
O’ch’a quello fcolcefo arido fcoglio,
VedeapareanùnegUalpcftrifalfi
ladure2zadclcor,percuimidogno ,
j. Ncdca nel mar qualhor piu irato latti ]
11 tuo fiiperbo c mioacciofo orgoglio^
E ne Tonde, ne Valghe, c ne Tarené^
U numero vedeade k mie pene.
107. Se d*Allèo,fed’ Greto, òfcd’HImcra ,
L'acque per rilguardar volgea la fronte,
Toftoprefcnteilfimulacro m^era
Di quel ch’io ver foinetticabil fronte.
Se la fiamma feorgea torbida e nera.
Ch'eruttala voragine del ipontc,
1 miei folpiri fervidi e filmanti,
% gllMcndU del copm'craao av^u.
I tANTO DBCmONONO. AH
I uii MiTefo>e cjoaxìtc volte i trsnchi vidi
I Stringer le viti, e l*Kcdcrc feraci?
1 le conche tràlor per qaeftilidi
^ 1 nodi raddoppiar e tenaci?^
l EifoUiarimerà entro! loT nidi
Darfi, ci coloxxwi affettuofi baci,
liinvido (rame Aifli fovente,
Deh perche voi felici, Se io dolente ì
W5. Ma che mctnbrar d* altrui, <jua(ìnioleftX
Ognigioia amorofa, ogni atto eftrano?
Q^ntc volte vid’io te lleflà in lefta
Scherzar col vago, 8c 10 1x11 dolfi invatioi
SalTclo ilgiufto^o,e faffel, quefta
Del cotto mio vendicatrice mano ,
Cherotto il dolce nodo, e fcioltoil laccio»
Siteruccife(c nepiangefti) in braccio.
ire. Oltredì ciò non poco io mi confolo ,
Che la mia luce in tenebre fi cange.
Però chavezzo al pianto , e natp al duolo.
Altro nonsò, che trar de rocchio un Gange,
Hor l’occhio ifitefo ad un’ufficio Colo
Più nons’occupain rifguardar, ma piange,
È piàngerà fin che col pianto unita
Stillandoli per l’occhio efea la vita.
MI. Tempo che l’occhio ebro fi volle
A i chiari raggi del fuo vivo Sole.
Per l’occhio entrò la fiamma, il cor l’accollé »
E h’arde ancor, si ch’efca altra non vole,
Allhor l’occhio fó lieto, il cor fi dolfc,
Hora eioifee il cor, l’occhio fi dolc,
Dolgim pur, ragion ben fia, che quanto
V’entrò foco & ardor , n’cfca acqua e quanto
Porge-
!F74 t a *$ E P O L T V R AV '
2.11. Porgemi ancor la cecità fperanza,
Che forfè fuor de’foliti confini
Con miror tema, c con maggior baldanxà’ i
f>a hoggi avante a me tu t’avicìni, '
£ con Dori , e Leucothoe in lieta danza .|
Tudrò tal hor cantar fovrai delfini,^ i
E ben ch’io viva in tenebre fepolto i
Havrà l’orecchio quel ch’a l’occhiò è tolto, I
131. Anzi tolto non già, ciò nònfia vero, !
Siami il Ciel quanto vuol crudele> & empio, i
Armifi pur l’ingìuriofo Arderò j
A mio loldanno,amio perpetuo feempio. . ì
Tor non potran dal cupido penficro i
Dela cara beltà l’amato eflempio, i
Nè tanto è quel dolor, che l’alma attrifta, i
Quant’è il piacer d’haverti amata^ c vifta. i
114. Vantaggio dunque ogni mio danno io chia- ì
Nè più quali mi cal di luce cfterna, [mo, 1
Perche quella, che tanto io goder bramo, i
Godo affai più con la veduta eterna, _ , H
La qual fifa nel Sol , ch’adoro & amo, , i
Dove dianzi era breve, e’ fatta eterna, ' i
Sol tutta intefa al bel , ch’ella delia, a
Hor ch’altro oggetto più non la defvia. * . i
115. Almcn nonfia , chcftralein me piùfcocchi \
Amor, ne ch’io m’affili in altri rai, ^
Si ch'accefe il mio cor da sì begli occlù, jj
Di bellezza minor non arda'mai. fi
A nzi fc i miei penfiet non eran fclocchi . a
Io fteffb il primo dì che ti mirai, 1
Ammorzar mi dévea quella facclla * v ìI|
Per giamai non mirar cofa mcnbclla. 11
Tutti
te
Canto decimonono. Xyf
a 1* onde, ai venti
?^tiliacfcìimo, e l’ode il vento, c l’onda,’
NtvtcVi^tx lafpiaggia a i mefti accenti
'^“^0^t\cc,8cAlcionJ) rifponda.^
fitto cor dopo i lamenti
^ìiijt’làifpetto oltre mitura abonda.
^'loVucclder fcfteflo, ò nc l'aperta
Gola àc\ mar precipitar da l’ erta.
«7- laMnìeroCa fittala, ch’aggrava
Che fece a mille fere oltraggio e guerra, _
Citta lontano, c con le note eftreme
In quella guiia fi lamenta e geme.
118. Fido bafton, già mio compagno antico, f
, Che mi foftl gran tempo arme , e foftegno
Rimantiin pace inquefto lido aprico
Hor ch’io peggio che morto, orbò divegno.
Forfè ad ufo miglio deltino amico
Ti ferba, evoltoin temo, ò in curvo legno,
Solcando i campi del gran padre mio
Godrai tu la beltà, cho non god’io,
119. Nè.più di maz2a homai, nè dì fampogna *
Gagliardia, melodia vò che mi vaglia.
Nè più d’honor , nè più d’amor bisogna,
eh’ enfi mlfero flato unqua mi caglia.
Prenderò dì me fteffb ira, e vergogna,
E fe fia mai, che lamia greggia afiaglia
Lupo , che per rubar venga dal bofeo,
Fuggirò brancolando a l’altro fofeo.
Ma
Alé LA SBPOITVRA, '
»ao. Ma che? feper mìo fcampo io nò» ti réca
Tra fere, e moftrij c tra dirupi, e poggi.
Chi guiderà lo fventurato cieco?
Dove farà, che le fuc membra appoggi.
Buona trave e fedcl vientcne meco.
Da tcl’uliimo ofl'equio kavrò fbrs’hoggi-
S’en vita al tuo Signor foftl corte.
Ben devi efcaal fuo rogo efl'er’in morte»
ìXt. V oi lènza guardia intorno, e fenza gaida
Ve n’andrete dilperfi b cari agnelli,
Nè potrà più la voftra fcorta fida
Tergervi Tunghie , ò pettinarvi i vclU.
Sò, molli a pietà de le mie ilrida
Difdegneretei pafcoli, e i rufcelli,
Mollruofi formando c diTufati
Gemiti humani in vece di balatL
diii. A Dìo cari Molofiì, e fidi Alani,
E voi Maftini mici pronti e leggieri,
Del mìo pregiato ovil carapion fovrani.
Forti cuftodi, intrepidi guerrieri.
Non più di greggia homai, non più dicam
Al voftro afflitto Duce è dì meftie ri.
Nè piùPaftor, nè cacciatorfiad’huopo.
Che d’efler penfi il mifero Ciclopo,
21J. Di cani huopo.non m’è , le non fol quanto
Ne fio, novo Attheon, lacero e morto.
O perche ne le tenebre, e nel pianto
Sia, qual cieco, da lor guidato c feorto. ,
Lafeio te de là caccia il pregio , c’I vanto
Cagna crudel, che*! cor mi fbrani a torco,
Lalcio in mia vece pafcolar contento.
Il felicePailor del fidlb armento.
Vienne
J <^ANT0 deCIMON ONO. 47*
H Vicoat nctvne b cr videi > tvi* l corpo lalTc^
l ,3|^^'^'i^amauregg,i.> o conduci
I lauta pietà, da. c^nefto iaffo
S ^^16 vagitvte a prcciplcio adduci. _
0?«4'io tvon rlca»g,ia a clafcun paflo,
SwjllWCctta de le divine Ivici,
conveancoC cicco io ben difccruo^
MtQwforaxlCchlarar l’inferno.
‘15. TacwdUcWlClcl crudo hoggigUnega,:
DA porgi, ò^infa, al defpcrato aita
Klg,idaKmfa, avara a chi ti prega ^
De la morte non tncn> che de
Ahlche coftdnonm’ode, e nonfi piegar
Perche la pena nàia mi refti iniinitai
Perche mi fia d’ogni mlferla in fondo
Mortela vita, e vivo inferno il mondo*
*16. Hortu, che miri H mio dcftln perverC^
Fabro Valcan, da le falfurcc porte.
Sedi chidiè le tempre a l’Oniverfo- .
11 fulmine temprar t’è dato m fortCr
Prima ch’io fia dal pelago foramcrio,
Pria ch’io di propria man mi dìa la mottCr
Fingi di provarn’un per aucfto Cielo,
£ quel cnc'lduol non può , faccia U tuo telo»
uy. Ma ben cicco m’hà fatto, e ftolto Inficac
Il dolor, che travolge i mlcidcfirl.
Di morir bramo , e uon fpcrando ho fpcnic
Di finir con la morte l gran marilrL
Mi rifiuta Platon, forfè che teme
Il troppo fiero arder dc’mici fofplrl »
Perche sà ben , ch’appo’l tnlo incendio g»v«
E Ugamina infcrnalfrcfca e foave.
'4fti LA SEPOLTVRA,
zi8. Pictofo (oimè) fol per mio mal diviene ' '•
Il crudo Rè de^regniofeuri ebaflì.
Nè vuol, che quinci a le Tartaree arene
Conia grand’ombra nàia morendo io paffi.
Che £è dannato a qucU’eternepene
Il pallido Acheronte hoggi varcarti ,
Havjrian veggendo in me maggior tormenti
Qiialcheconrorto le perdute genti.
Teme non forfè il tenebrofo inferno ' ‘
Quefte tenebre mie reijdan più fofeo*
Teme non forfè al mio hirore eterno
Raddoppi il Can la rabbia, e l’Hidra il tofeo.
Teme non crefeaalmio gran pianto Averno
E de mirti amorofì inondi il bofeo. i
Teme non beva, in Lethe un dolce oblio |
Sì ch’io più non rimembri il dolor mio. |
a.50. Così difs’egli ,c diè fi gran muggiti ,
E tanti mando furor torbidi fiumi,
Chelafclò per gran pezza impalliditi
I cliiariafpetti de’celefti lum i.
Cadde il remo a Caronte, e fbigottiti
, Fuggirò i moftri a i più profondi fiumi.
Stupir le Furie , e del fovran Tonante
. Hebbc novo timor l’arfo Gigante.
«
I
I
i
S
)
5(
Àji. Fù quello il primo dì, che trà abilR \
Vide Cocito aperto il morte Etneo, ^
11 gran Pelerò in cento lati aprirti,
E Pachinno fi feofle e Lilibeo, ^
Fremer Cariddi, e latrar Scilla udirtì>
Con Arethufa fi reftrinfc Alfeo, ^
' E lungo fpacio ancor poi ch’egli tacque,
^renu][o ììldìf t rimbojnbaroa Pacque* k
/ Piairfe ^
r
*^ANT0 DECIM.ONONO.
^ il padre , e*l crudo fato
quella ria rventura.
\ ^^'i]^nioiitìccl fó. tra sformato >
H'^ltidene ancor l’alta ftatura.
jol detto, c*n tale ftato
Wifce ancor nel fen la fiera arfurai
.tetta ^ven di fiirlofi incendi
^tlEilar tuttavia rofpii'i horrendi.
I *))• Poic’bà raccolto a la favellali freno
I i^Deafeconda, che perde la figlia
I Quella, ch’alberga a l’Oceano in feno,
k / In cotal guifa il ragionar ripiglia.
I Che torni in terra al .fin ciò ch’à terreno,
Eflèr certo non dee gtan meraviglia,
Morte al corfo morcalltcrmine pofe.
Ultima linea de l’huraanecofc.
Chi lagrimar non vuol, nè vuol dolerli
Ad oggetti immortali alzi il defio,
■ Ch’i dolci ii'utti fiioi tienlempre afperli
D’araarifllmo tofeo il mondo rio.
DI quefto hò tanti eflèmpi, e fi diverfi,
Che più che Tonde Ibn del regno mio.
Se fia ch’a dirne alcun la lingua .iòfclolga,
Non so ben qual mi lafci, ò qaal mi tolga.
Tacerò , mémor abili fra tutti
Calamp e Carpo, gTinfortunii voftri?
Che non pur non lafciar con occhi afeiutti
Alcuno habitator dc’re^ni noftri,
Ma.dier materia entro i miei fallì fiutti
D'amaro pianto a i più fpictati mollri,
E fer per gran pietà de’lor cordogli
Siagl^zzar Tonde, e lagrimar gli Icogli.
48« LA SEPOtTVRA^ 4
136. Super robli<iuc e tortuofe rive ^ ^
Dolbcl Meandro, e tra’fuoi ^di aprici
Paflavan lieti lècald’horeefti ve ^
Di pari età duo fanciullectl amici. , • ^
Simil beltà non li racconta,© fcrivc»
Ch’altrui d’ell'er giamai (Ielle telici.
Lafciaco havrian per lor l’Alba Orion^ ^
E la Diva di Dclo Endimionc.
137. Da che la bella coppia al mondo nacque, -
Mentre crcfccndo cntrambo in vano al paro,
Tanto il Genio de l’uno a l’altro piacque,
Che’n perpetua araiftà l alme legato.
Scherzavan dunque infra Tarene, e Pacque
Del fiume che fcorrca tranquillo, c chiare^
Atcraverfando con Tuoi giri ondofi
Quali fer pi d’ar geato i prati herboii.
138. Piantato havean nel verde mar^o un legno-
fi quivi appefa una ghirlanda in cuna
Propofta m premio a qual de’ duo quel legno
Giunto fu(Tc nuotando a toccar prima.
Sforzavafi ciaCcuo con ogni ingegno
D'acquiftar vincltor la IpogUa opima.
B'n così fattUor giochi, e traftuili
Travagliavano a prova i duo fanciullL
t}>. Sfiivlllan l’acquc, affai più belle c chiare
Patte da lo rplcndor , che le percotc,
In cucila gulfa , che fiammeggia il mare
Al folgorai de le lucenti rote,
Quando l'Aurora, chtfn levante appare,
1^ vel purpureo le rugiade fecce ,
E'I Sol, che ^ovlnetto efee di Gange,
Cfllstan carro di friocn U flutto frange. -
Carp«
' CANTO DECIMONONO. 4U
HO. Carpo del nuoto cflercitato e dotto
Molto non è ma Calamo gli è feorta
Ehorcol tergo, hor con la man difetto
Agevolmente lofofticnc e porta,
Talhor , pofeia ch’alquanto ei l'hà condotto
Per mezo l’acqua flcUuofa e torta.
Dilungandoli ad arte, innanzi palla.
Indi l’alpetta, & arrivar li lafl'a.
*41. Con tardo moto (à bello ftudio) e Icnto^
Bramolb d’eller pur vinto e precorfo,
Pian pian rompendo Io fpumofo argento#
Per la liquida via traetene 11 corfo.
Ma per poter trovarli in un momento
Qualhora huopo ne fìa, preftoal foccorfo,
IW caro emulo fuo , che gli e davantc.
Conia provida man lèguc le piante.
141. Il giovanetto , che’l compagno vede
Indietro ri maner quafi perde ntc,
Tolto il vantaggio alllror, che gli concede#
ScorreTliumido arringo arditamente,
E va, mentre rapirla palma erede,
Dove l’impeto il crahe de la corrente
Già già ftende la man fuperba e lieta.
Tanto è vicina la prefift'a meta.
Uj. Ma pria ch’a torre il bel trofeo la fporga*
Ecco fiero e crudcl turbo, che fpira,
E là ve, il fio volubile s’ingorga
Sofiiando a forza lorefpingc e gira, ,
E fcnxa Che di ciò l’altro s'occorga,
L’onda raflorbc , e ncja^ìaia il tira,
Ratto cosi ,che CalamoTbà feorto
Sommerger nói siàgià fommerfo , e morté*
V*mu X Che
V 481. LA SEPOLTURA, :à
144. Che fofplrl, che pianti, c che querele ^
Sparfe il inefchin Cu’ldolorofo lico, .M
Quando chiaro conobbe il fno fedele - -i
Elfer da la vorace onda inghiottito ? . ;
Fiume ingrato (dicea) fiume crudele,^ '
Che m’hai repente ogni mio ben rapito, :
Qiierta date riceve empia mercede ì
Chi tanta gloria, c cant’honor ti diede? - \
145. L’Hcrmo,il Fattolo, c quai per gémc,& oro
r^ù famofo tra gli altri il mondo apprezzi,
Perdeano appo’T tuo pregio i pregi loro , .
Ch’eribenpoirclloraaltrarichczza.
Quel ch’atitol di Rè, corna di Toro.
Mercè di quell’cftintaalta bellezza,
Ben ch’illuftrc corona habbia d’eletto» r
Ti riveriva, c ti cedcalofcettro. • -
X 46. M.à tu per far più ricco amo il tuo fonrc
Trangugiar lo volefti, avaro.fume, ^ 1
Che U nel grembo il Pò tenne Fetonte^ , ( j»
Tu raccogli altro Sple,& ihro lume. ■. .
Lallb, che’l Sol Ce ben da l’Orizontc .
Cader quando tramonta ha per coftumc, -i
più chiaro pofeia in sù’l mattin riforge.
Mal mio carpo apparir più non fi feorge# -
Z47* 'invidia albel frutto (oime^. vifpl*^
Naiadl quanto belle inique e rie? . *
Ditemi chi d’ Amor la luce efrinfc ? '
Chi Ivclfc il fior de le Speranze rnie?; . r . > .
Deh fé maidi pietà fprza vi ftrinfc a. , '} ^
Ite, cercatealtrove onde più piè.
fuggite, ove morendo giacque .
ic le ode fiamme infeno a
CANTO DECIMOMONa
<48. Lafciacc quelli , ove albergar folete.
Del crudo padre mio fondi homicidi.
Nè ^iii di que cridalliempi bevete,^
Ch'a sì rara beltà far canto infidi.
Abbracciatemi in tanto, e raccogliete
Le tronche chiome mie tra’voftri lidi?
E pria ch'io caggìa a ravld’acque in prcdi^
L’ultima grada almea mi fi conceda,
H?. Sia (cpolchroiramorcal Turna paterna
A l’una, c l'altra fpoglia inficmc unica#
Dove a neri caratteri fi feerna
Quella memoria in ogni età fcolplta ;
Arfcr del pari in una fìaminaeterna
Calamo, c Carpo, c viiTcro una vita.
Hebberoalfìn, nèfpenfe l’acqua 11 foco,
Una morte coinmun, commane un loco.
’)i. Così dice, e per »li occhi in tanto verfa
Fiume, ch’ai fiume huraor novello aggiunge
Poi tace ,c con la fronte in giù convcrl'a
Traboccando dal M ii;go, al fondo giunga
Riman la coppia mifera fommerfa^,
Felice in ciò, che pur fi conglungc ,
E'nficmc ottici, uc l’ultimo fofpiro
Morte d’argento, c tomba di zaffiro, •
J-ji. Lavaro col llcor gelido c molle
11 freddo corpo le forcllc mede i
R* fiutto’l pefo il genitor , ne volle
Tinàie file ricettarlo onde fimcfle?
Ma poiché vide al fine il garzon folle
Da forza oppreflo di dcftin cclcfte.
Lo ftrinfc in hra'-.cio, c con ammiro lutto
Cangiò Calamo incanna, e Carpo in fratto.
X t Hor
4g4* LA SEPOLTURA,
zft. Hot pafl'ar’infilentlo io dcgglo forte
*Di Leandro infelice ilcafo melto.
Lo qual tanca pietate a Pende porfe, ^
Che già ne piangono ancora Abido, e Sello?
Spctcacol mai più crudo ilCiel non
Torto il mar non fé naai maggior di quello,
E ben ch’ellér pietofo il mar non foglia,
L’ucci.e non dimen contro fua voglia.
15 j. Già di quel foco il Garxonet.to accefo. ,
C he la face d’ Amor gli fparle in Icno,
Havea più giorno impaciente actefo,
E l’ino'ordo defio tenuto a freno,
Tra lunghe cure ad afpettar forpefo,
C he fulleìl mar tranquillo, i l Cicl fercno ,
Per poter lenza intoppo , c fenza impaccio
^ Ricondurfi nuotando ad Hero inbraccio.
1J4. A i fervidi ardori erano d’Hero
Le bellezze oltrabelle elea loave ,
Onde fpedb folea pronto e leggiero
Farro a fc fteflb e navigante, e neve,
l/angufticattraverfar diqucl fentiero.
Che tra l'Afia, e l’Europa è portae chiave',
E la fua nonna a riveder veniva
Sconofeiuto, e notturno a l’altra riva.
Non sì veloce di dlfficil'arco
Al bcrfaglio volando efee faetta,
Nèbarbaro glamai sì lieve c fcarco
Da le molle a la meta il corfo affretta,
Com’ei pattando a nuoto il picclol varco J
Per tragittarli, ove’l fuo cor l’afpecta,
Vattene , e prende ogni procella a gioco ^
Pfij: njc;^o l’acqùà à ritrovar il foco.
- : . Dolce
I canto
OECIMOISI ONO.
Polccgli è fctica,cla dimora
rraialanotc, Se importuno xl giorno,
«coftrciio a partirli, odiai’ Aurora,
Ju- follecita è troppo a far ritorno,
pariitoapena poi. di clafcun’hora
Contrai momenti, c gira gli occhi intorno.^
q^^rnarvorr^bloe a la magio n telice,
c tra le dice.,
, «nfbtfe per gli sferici fentien
«tc£i del Ciel fenapre rotante?
atlRettor del di xoppi » deftnen? .
Chioiato è il carro fuo'licve e votante ? _
ri tó VcccKio, che vanni ha si leggien,
SUtà ceppi le fpedite piante?
ChcfanVancellelvie rapj^e e prete,
ebenonianftetta al paflagger celete.
«8.T«,cl>tivonmcn del Tempo Amot'hai l’ali
* E fc) de' Sol viè più pofle nte Dio-
Pongi i pigri ‘ori'<=>^ <= °r rr ’
. • Ch4ni minuto è fecolo al defio.
pur c'&’abV.afin co-curbm. mfernali
Quefto avortio, e qaeft’e fd.o mto,
^nfarvclocii oiorni, e 1 bore corte
Bjamo'ame tetto accelerar lamorte. .
^,5. Codlangulfce.efetK volte il Sole
% e’lidi IbeTl ha già tuf&to .1 raggio,
E, circondando Uterrena mole,
Aitretanto è tornato al gran viagpo,
I Ca che piangendo .1 giovine fi . ole [g.o
i ControilCiel.controil mardelgraveoltrag-
\ che vede In nebbia, c-n pioggia, e|nfiaraa,e n
Turbato il mare, e nuotefo il celo. g^
LA SEPOLTURA,. -
Preme la fpon6a,c’n sùlo*fcoglio afcendcj
Che la V ergin ibmmerfa ancora infama.
La cruilelcà del pelago riprende.
Le ftclle inique, iniqui i venti chiama, >
Et accufa Nettun, che gli contendcj x
La villa di colei , che cotant’ama, "i
Kè potendo appagar gli oc, chi, c i dcfir! »
Go’penlicr laconeggia, e co’lblpiri._ , \ .
i6i. Tuttofolcttoinsùlaripaalfifo *■ , J/;
V agheggia di lontan gli amaci lidi,
E rivolgendo a l’alta corre il vilb , ;
Co’muggici del mar confonde i gridi.
Perche color (dicea) che non divilb .
Coneiungc Amo ^ Fortuna empia dividi/
Perche non lafci m si leali amori
1 corpi unir, come s'unlro i cori ?
1(1. Ben raccoglier devria, fol’unaterrft. •-7
Due alme, che fon anco una forarmi*
Finir devria la procellofa guerra,
E 1 travagli del mat compor la calma. ■
Chi mi vietali paliaggio? c chi mi ferra
In parte, onde nocchicr ft^gno non fpalmat
Qual’invidia del Cicl per intervallo
Un muro trànoi pollo hàdi criflallo?
Che peggio far mi può ? qual ria fventura
Fu glamai , ch’agguagUafle il mio tormento?-
Sì lungo tempo una procella dura
In un u variabile elcmentoi
L’in {labilità del mar cangia natura.
Perde per me Tua leggerezza il' vento.
, TQucl ei e non hebbe mai fermezza avance,
rovòfol per mio mal fatto collanìe.
CAKTO X^ECIMONOMO. 4»7
/ aW (mando fia, che tanta rabbia cefli
‘^^/wAjjaueftc ingorde fallaci
tó» mante , òdepredar m’appwffi .
, che far parian gnUeili ,
' ^.niicclcftidWenir rapacii '
L degni ch’altri per Aubblo(aftraaa
pilà<&®i^rc aconquiftar gli vada.
Barbaro Spirto , che di neve fparw
* ÓcioelaioGelone i monti agghiacci ,
Equalbor furiando efei del* Arto ^
i’IIfiilmat.cTomU Cuoio . c'I C.el m.„aca.
Sola camion, perch’io di qo a non p r ,
SfiÒcUlC clvc dal mloben Itufcacc,
Padiembanàociaeftv
CofiOttcdofolncontf a me «rdcgni!
SeU eLinaà-iltheuc accefo .1 «tto.
C2uando Ubcl foco tuo tnP’ i -.i ,
turbo latua oVola, c*l tuo d;l«to?
Chi uà le dolci allhor 'f/j
Per mctod’ariaal volo tuo pp
a«7. DeHplacailtuorigor. deh, prego) homai
più moderato, c manluet p ^ ^
Softieu, ch'io rada, f V°’
Non poftaindi parar. sf»S' P". ^ ‘f»-
I O’fe Iti mio dolor pVc« .
1 1$:, Ih. «1 ti»<" “""""•'ga.
^8 hA SlPOLTr.KA;
i68. Quefte voci il mefchin pregando in Tatù
Sparge inutili a l’aria, e fenzo effetti,
Perch’Aulirò Cordo, & Aquilone i detei* -i
>Je portari viarlmormorandoi.detti.
V olumi d’otide per Tinllabll piano v
S’urtan l’un l’altro in minacciofi afpetti
Onde l’ali di Dedalo delia ^
Per uattar l’aure, Se accorciar la via.
«65. Giil’HclleCpontOje THcmiCperio cntt*
Copre la notte, horrenda oltre l ufama.
Ci elee l’ira di Borea, e pur del flutto
L'impbcabile orgoglio ognor s’avanza. ♦
Egli allhor più non vuol lido afeiutto <
La fpeme trattener con la tardanza;
E ^unto da lo ftral, che lo percote.
Piu Coffbrir quel differir non potè.
x70.Lo ftral, che’l cicco Arcier nel cor gli avfta
Gli è iprone al fianco, ond’apparir s^ccingc.
Tre volte del gran gorgo i guadi tenta,
E tré le fpoglie fi difpoglie e feinge;
Tré volte poi ne l’onda entrar paventa,
E tre de Tonda l’impeto il rcfpingc.
Cosi d’eCporfi in dubbio al gran periglio.
Non sa ne’cafi-fiioi prender configlio.
Ma su la vetta in tanto ecco -ha veduta
La fiacco la d’ Amor, ch’a fe l’invita.
Onde rinfranca la virtù perduta ,
E nel rifehio mortalla rende ardita.
In lei ferma lo Cguardo , c la làluta,
Come nuntia fedcl de la Tua vita,
£ contemplando quella fiamma aurata.
CouCcogUe la lingua Innamorata.
Ecóo
CANTO DECIMONO*NO. 4«^
171. Ecco ne ^^gno, ò luminofa , ò fida
Scorta a’mici dolci errori , ecco ne vcgt'®»
Non pìùccmoil furor d’Eurohomicida>
Non più del crudo mar, curo lo Tdegno.
• Tu fol per quefte tenebre mi grida.
Mentre m’apprcfto ad ubbire al Tegno,
Se ben mi favoreggia, c mi conduce
Altra Hella« altra lampa , & altra luce.
17J. Ancorch’io per la tua Incida traccia
Segua quel Sol, che folo è mio conforto»
Son dal lume però de la tua faccia
PIÙ che dal tuo fplendor ,• per 1* ombre fc(^*
Gli occhi Tuoi fono i l polo , c le flxe braccia
Sono il mio dolce e defiato porco.
Arianna, Califto , He lice, Arturo
Non rilbhlaranno canto il ciel ofcu.ro. ^
1%
174. Non vanti, nò Tarn bitiofo Egitto
11 luolucentee celebrato Faro,
Ch’afl'ai più da naufragio il core afHitto
Aflccuraquel rasiffio ardente e ctiiaro.’
E quantunque talbor nefia trafitco.
Il languir ra’è (bave, H ^ ^ oaxo.
Sarei con clTo di paflar .
L’onda di Flegecontc, c di oocito.
175, Tali accenti
Dilperfiinun con ^ molle a
ChJruttoignadoiu ..
Depon le vefti> c s ^nrzo a la. 1
i daino frnrm al cor, s(otxozl^ 1
Txrrva»
''atJXQtov
f ‘ raVcX".bri 1
La fagaalcorfo. Se f .rprabacta^j-
La dove fanno i flritcì ^ fca^lX »
Gon audacia infaicc al
49®. *LA SEPOLTtURA, '
i7ó. Sclcgnafi force il mio marito altero,
Ch’ci lo difprezzì, e tanto ardir gli fpiace,.
Onde col Rè? ch’a fovra i venti impero, ^
Fà lega per punir l’infaniaaudace,
Lo qual difciolto il fuo drappcl guerrierò>
Per far guerra maggior fàfeco pace .
E l’un’e l’altro indomito Tiranno
Con congiura crudel s’arma a fuo danno.-
277. Noto ne vlen d'a l’Auftro, e’I fcn di brine j
Carco l’ali d’humor,d’horror la fronte, ^
E ftillantedi piogge il mento, e’I crine '■
< Spezza le nubi e fàdel Ciclo un fonte, i
Vien dal nevofoe cplido confine’ “ *
Borea di Scithia, era delmare un monte ^
Indi il ragguaglia, e i mobili criftalli
Spiana in campagne, poi gli abbafla in valW
Sorge da’Nabachci contro coftoro.
li torbid'Euro, e l’Oriente Icore, '
N e raen fuperbo c rigido di loro ■
Con horribilfragor Fonde percote.
Macoli più corvo afpetto il crudo Corp/
Leva da l'Ocean gorme le gote.
Piove tonando, e folgorando fiocca • ■
L’hiriuta barba, e la tremenda bocca. • »-
XJ9- Da tai nemici combattuto il mare: • ^
Con tumido bollor rauco ftridendo
Mar più non già, ma diventato pare
Di calìgini, e d’Urli Infèrno borrendo.
E bero il Cicl, ma fiammeggianti, e cbiàrc'
Le faecte, ch’ognor feendon cadendo,
Fanno per l’aria più che pece bruna.
De Icficllc l'ufficio, e de taiLunat >>■
CANTO DECIMÒNONO. 491
x8o. Nudidi foco gravide, edigelo^
Portate a forza da feroci venti
Scoppiando partorifcono dal Cielo,
Lampi fangui^ni e ^mìni ferpenti,
E mandan giu dal tenebrofo velo
Un diluvio di laghi , e di torrenti.
Havcr fembra ogni nube, & ogni nemboi.
1 fiumi nò, ma tutti i mari in gremboi
z8i. Per lo ftretto canal, che’n sì gran zui{à.
Incapace di fe, fi frange e freme.
Va brancolando, cfi contorce cfbuf&
llnuotator, ch’ai cominciar non teme.
In fe fteffb fi libra, indi s’attuffa,
E le braccia, e le gambe agitainfiemc,
L’acque batte, e ribatte, e da la faccia
Col loffio, c con la man lunghe la (cacciai
Serpe a. lo frrifcio al volo augel fomigliar
Battello a i- remi, e corridore al morfo.
Hor Pafcelle agilmente a meraviglia
Dilata c ftende, hor le ripiega al corfo> ■
Hor fofpefo l’andar, ripofo piglia,
E volge verfo il mar fupino i dorlb*
Hor forge, e zappa il flutto, &an belante
Rompe la via co’calci. e con le piante. .
zS). Scorrendo va con fmifurati balzi ■ i
L’impctuofc eformidabii’onde.
La cui piena poffentc hor fàche s’alzi
Preffo a lenubi hor tutto in giù i’afcondc;.
Ei d;e. imbraccia ignude, de’pièfcalzi
Con fpeffo dimenar Pòrdin confbndej
E ben che fia nel nuoto habile e deftroy
Non gli giova de l'arce eflcr maeflro.
X 6 Beni
4^ LA- SEPOLTURA, _
^84. Ben conofce il fuo ftato , e sa ch’eri brcVc
X
Al petto laflb per mancar la forza,
-Perchedeiralfo hamor gran copia beve, ^
L’I vigor’ abbattuto innan rinforza.
Homaide’membri a galla il pelo greve
Softener più non vai, le ben n sforza,
E, lafpirto languente il corpo infermo i -
Move a gran pena, e non può far più fchermq
i8 Mentre che co’marittimì furori
Gioftra, e cerca al morir refogio e fcampo,.
L’alto fanal.chctràgliombroli horrori
Mollra il camin di quel volubil campo.
Ratto Iparifce e i vigilanti ardori c. . ,
Soffiato eftingue del notturno lampo,” ■
Ond’qi fmarrito, e defperato e cieco
Del fuo fiero deftin fi. lagna Ceco.
%i6i E di fiati rabbiofi ecco veloce ■
Novo groppo l’affale, e lo circonda, ; .c.
E’n un punto medefmo in sù la foce-, i t
Per lo mezo fi rompe un’arce d’onda . '
Che foffogandoilgemito,e lavoce II
Dentro quel cupo baratro l’affonda.
Due volte a piombo il trahe l’onda vorace^
Sorge due volte, & a la terza giace. . .
^87. Ma pria chc’n tutto abbandonato c ftan€'
Tra que’globi fpuraofi involto pera
Mentre mira il Ciel buio, e che-vien manco
,^De l'amato balcon l’aurea lumiera,
Trahe ndo pur de l’affannato fianco f ::l
lldebil grido, efprime burnii preghiera^
E , mandafiochi , e fievoli, c dòlenti . _ 'i
A cc madre d’ Amor, queffilasirea^» i
Dai
CANTO iDECriMONONO. 459
lii. Diva, che nata fei di quefte fpumc>
Deh affiena il furor de l’oiide irate,
Epoich’è fpento già il cortefe lume >
Ch’à quelle mi feorgea rive beate ,
Al fuofvanir del tuo benigno Nume
Blaluce CuppliCca e la pietate.
Nonconfentir, ch”uccitlan Tacque
Un fervo di colei, che di lor nacque.
Ma fe’l mio duro fin fcricto è nel fàto>
Sc’n qucft’onde morir pur mi conviene.
Fa ch’almen fia’l cadavere portato
Innanzi a la cagion de le mie pene,
A quel terreo felice e fortunato,
A quelle dolci un te mpo amiche arene.
Onde mi dian col pianto alcun riftoro
Quegli occhi, pcrcuiviffi, e per cui moro.
150. D i qoeft^eftremo dir languido e mozzo
Incerto ilfuono,& indiftintoudiffi,
• E fepolto con l’ultimo finghiozzo
Rcitò nel mal, chc’n fin dal centro apriflv
Il marein vifta fpaventofo e Cozzo
Ix fàuci apri de’fuoi cerulei abiffi,
E {palancando profonda gola
11 corpo tracanao con la paiola»
ajT» Hor chi può d*Hero fua narrar la' doglia?
Come ftraccioffi il crin, ftraccioffi il volto
Quando da la finefira inver la foglia
Lo fguardo al novo giorno hebbe rivolto,
E vide a i rai del Sol la fredda fpoglia
Del fuobcl Solecftinto, & infepolco?
GktofiI in mar la mifera fanciulla,
£repoltuiafiu.f(Lla tua culla»
i.
494 la SEPOLTVRA^* -
191. D’ambrofa pietà colmi i Delfini
Lo fventurato accompagnar fur viftU-
I mergini de gli fcogli cittadini 4
Con gridi il circondai* flebili e ttiftii * ' 3
Glifer refl'ecjuie i popoli marini . ( ì
Di NcreidijC Tricon uniti e mirti > T
E io lo trasformai nel fior d’un herba,,
Che di Leandro ancora il nome ferba. . /
193. Ahlmaperchenonnarro,edovclaflì>
D’Achille mio lo sfortunato finej
L’hirtorie altrui racconto, e taccio e pa(Io<'
Le mie proprie fventurè, c le ruine.
Scoglio sì duro, e di sì rozo faftb * > f A
Non ricettano in.lèn Tonde marine,
Che quando hebb’io quel merto annuncio'
Non fi furte a’miei pianti intenerito. £ii$lito
*9-4. Tutti voi vi lagnate afflitti Dei,'
Tanto d’un van piacer può la membranza ,
Se pianger volct’io quanto devrei,
Coin’havrian mai quert’occhi acque a baftazai
Tanto han vantaggio a i voftri dolor miei.
Quanto Natura na più ch’Amor portanza,
Perch’a Tamor, con cui s’amano i' figli.
Amor altro non è, che s’^artbmi^.
Ì95. Giove il gran padre tuo, madre d’Amorc^
Hebbe un tempo di me Tanima acccfe,
Madel deftino udito il fier tenore, <>
E de le Parche la Temenza intefà,
Perche figlio di lui molto maggiore '
Generarne temca, lafciò Timprefa,
E così Pcleo a cotai nozze eletto.
Principe di Thcrtaglia,Jhebbeilmio letto.
c ANT O D E C I M; O N O N O. 4,^
Tra molti mici, di qualità mortale,
SimiUalgffnitor, peoni produtti,
Che’nvecc di purgar la parte frale,
Reftardalfoco in cenere diflrutti,
L’olcimo che campò l’ince ndio, c’I male,.
Fu più vago e gcnt4l de gli altri tutti.
Di crin dorato, e d’uua tal bellezza.
Che ne l’aria feroce havea dolcezza.
157. Mà l’oracol di Themi, i l cui coufiglio-,.
E’decreto fatai, m’atterri forte.
Predille, c’honor fomnvo a quello figlio ^
E fomma gloria promcttea iaSorce,
Màchesù-’l fior de gli anni alto periglio-
Gli minacciava a tradigìon la morte,
Pugnando in guerra , e di cotal tenzone
Dcvcabeltà di Dònna eflcr cagione.
zjS . lo per alfecurar l’amato infante. • .
E da fpadc, c da lance, e da làette,
Ne l’onda. l’attufEai, che fiamegglante
Le rive innaffia al gran Pluton foggeitc»,
E quivi, fc non fol fotte le piante ,
Ch’io tenni per le man fofpefe, e ftrette,.
Del corpo in guifa gli afiatai le tempre,
Gh’ei neiu pofciaimpenecrabìlfcmpre.
Ciò fatto io lo condufiì al buon Chirone^
Che di Filata nacque e di Saturno
Colui, c’hor freggiaà l’horridaftaggione
I>i fette c fette ftellc al Ciel notturno.
Hor quelli ad alloaj: prefe il Garzone
In folitario albergo e taciturno ,
, "Là dove Pelio di tremende belve
l;.e file fpcloflchc oiabf ofc. empie , c IcicI ve>
V
%^6 LA SEPOLTVRA,
%
o. Nè d.’alUncnto cUlicato c molle '
^°Nutrilloil languid'ocio, e’n vii piacere.
Latte di rIgid’Orte, arpre.midolle
Di Leoni il pafccanoj e d’altre Fere.
Effeminarlo in quell’età non volle
T rà delitie foavi e lufinghiere,
Ma gli facea per la montagna alpeftra
Spedire il piede , effcrcitar la delira.
^oi.Hor Levretta, hor Cerbiatto, hor Caurivolo
Gl’infegnava a pigliar per la forefta,
E quando il mio magnanimo figlivòlo
Ne riportava ò quella preda, ò quella.
Il fido fuo governator non folo
Il ricevea con allegrezza, e fella',
Mà con gran lodi,& accoglienze-amiche
Il premio gli porgeade le miche.
jot. Di miei, di poma, ò pur <f uva naacura
Gli apjpreftava al ritorno il grembo pieno,
E per fargUfi egual ne la Aatura,
Le ginocchia piegava in sù’l terreno,
E chino , cballo con paterna cura
Quefte cofe gl’offria dentro il fuo ftnow
E^giovane prendcaftandogli al pari
Dal cortefe cuftode i doni cari.
jo j . Mà fe talhor per cafo in lui feorgea
Immodefto coftumc, atto villano,
Sevcrilfimamente il correggea
Col ciglio, con la lingua, econ la-inatro.
Et citerror de'gran guerricr, tenvea
Del Vecchio inerme un ceno, un guardo cftra-
E quella dcftra, e che poi vinfeHettorre, Jno
Alaverga cemuca^iva a fuppor re.
©Ine
CANTODICI MONONO. 4S7
¥1 ^ nc l’axmoHÌa fonerà
li decreto Centauro ivi finftruire.
Oc le piante, e dc*femplici calhora
A dimoftrargU lauùrtù s’induffe.
Volle a la fcherma ammaeftrarlo ancora,
Accwch’cfpcrco in armeggiar poi falle,
montar fu’l proprio dorfo,
^addeftrava al maneggio, e fpello al corfo.
lOf - Mentre fotte tal guardia, e’n tale fcola
Lalto fanciul ladilciplinaaprcndc.
La temeraria vela ecco vola,
*E 1 mio Kquido fen per mezo fende?
Ecco Paride rùo, ch’ad Argo invola
La bella, ond’Ilio alte mine attende,
Dico colei, che f6 già da te ftefl'a,
DePaureo pómo in premioa lui promeflà.
}®«TornommI. allhorail granprefagioamÉt»
Dnde volfi impedir, che non venifle?
EProtheo il confermò, che parimente
^ando il vide paflàr, gran mal predilTc.
Tot dunqucl'efca a queU’incendio ardente
Erorlgin troncar di tante riffe,
Che rapir mi devean l’unica prole ,
Io m’ingegnai con opre e con parole.
Vommenc ratto , ove’l mio fpofo alberga,
E 1 prendo a fupplicar, che mi conceda,
Ch’io ^uclnavilio in mar rompae difperga,
Ulurpator de la mal colta preda ,
E che col fallo adulteto fbr^merga
La rea del bianco augel figlia, e di Leda
Ma sì duro ritrovo il molle Dio,
Ch’cfiaudir nega in tutto il pregar mio.
Fofeia
4^ lA SEPOttbKA,
308. Pofcia cK’io fon dal Rè de l’acque erdu{a
Che violar non può la legge eterna,
Nc vuole al fato opporfi, e gir ricufa
Contro l’altro Motor, chc’l del governa,.
Torno fotto color di nova fcilfa • - •
Del Theflalico monte ala caverna ,
Quindi a Chirone il carro allievo io tolgo^
£poi fubito a Scirro il piè il rivolgo.
jop. Al Rè di Scirro il diedi, e fotto paiuxi
Finti nafeofto di reai Donzella,
11 pargoletto Heroe pafe?Tt]ualch*anitt ; ,
In compagnia di Deida'mia la bella,
A cui feoprendo poi gli occulti inganni^
Che la froda chìudea de la gonella , :
Per cer t ezza del ver feco fi giacque.
Onde il fiimofo Pirro al mondo nacque»
jflo. La tromba intanto del Troiano Marte ’
Suona per tutto, e l’univerfo Sede,
E’I giovane fatai van con grand’arte
Cercando intorno Ulific, e Diomedci
È poich’inveftigata hanno ogni parte,.
Giungono a la magion di Licomede.
Quivi prefentan poi diverfi doni' «r
A Tancelle di Corte i duo Baroni.
jij. La turba de le vergin le voglie ;
Volge dc’bafli oggetti a l’efca vile,
E qual cembalo, o thirfo, e qual fi togEe
Gemmato cinto, ò lucido monile,
Pelide fol celato in altre fpoglie
Diflìmular non può l’effer virile,
E difprezzando do ch’a Donna aggrada
Tofto a Telmo s’avanta, &a la fpada.
L*afbt-
CAN'TO DEClMOl^ÒNO.
L’aftuto efplorator, che’l ferro terfo
Havea tra di altri arnefi ftudio paltò,
Con un fcalcro forrifo a lui converfo ,
Del mentito vcftir s’accorfe torto}
Onde 4i quella larva il ver difpcrfo,
L’habico tcminile alrtn deporto,
• incitato ad armarli al campo Greco
Con faconde ragioni il traflè feco,
J. D’altè prodezze Tue , l’opre loda te, '
Di cui la fama iuiìn’al Ciel rimbomba.
Taccio, perche Taraano in altra etatc
Nobil foggetto a laMeonia tromba}
Onde de l’offa illuftri & honorate
Solo il mirar la gloriofa tomba
Invidi farà poi aitanti pregi '■
Stupire i Duci, e fbfpirare i Regi.
J14. Quc’valoroli égenerofi gefti, ’ n
Materia degna di si chiari carmi,
Si tutti voi già raaniferti, ’
D ingrandir con encomii huoponon parnu»
Teftimoni chiam’io Numi celeftì,'
V oi rteflì fol di quantici fé ne l’armi ,
Poich alcun, che prefentc horqul m’afcolta^
In quell’affedlo ancor fudò talvolta.
313* Saffelo il mio Ncttun, che l’alte muta
Peno molto a guardar ch’ei prima creile.
A^llo noftro il sa, che con Iciagura
Di contagio mortai gli Argivi opprelfc,
£ 1 fai ben tu, che fpello di paura
Tremarti già, cli’Enea non uccideflc}
Nè quella »ucrra fu men de le ftille
Sparfadel iangue,chedclmio Achille.
L’ingio*
fét LA SEPOLTURA,
316. L’IngiuftiflrmjaofFcfa io non ridico.
Nè voglio altruirimproverarquel corto.
Con quanta fellonìa dal fier nemico.
Con qual perfido aiuto ei mi fu morto.
Per non crefeer nov’odio al*odio antico.
Dove il mio intento è di reca r conforto.
Non sù però da qual’invidìa moda
L’ira in petto divìn cotanto poda.
317* De’corfieri immortali altero tanto
Nulla gli valfe il governar le brìglie.
Non gli giovò d’aver tra gli altri vanto
D’unico operator dì meravìglie,
Nè che Tonde per luì Scamandro, e Xant9
Portader del Troian l'angue vermiglie.
Impediti apalTar ne l’Oceano
Da’corpi uccifi folper la Tua mano.
318. Dopo Thaver lafclata al campo Achcò
De l’amato Patroclo alca vendetta,
Quando a Brhcida fua, dolce trofeo
Di fudor tanti , efièr congiunto afpetta.
Ecco ufeir d’arco difpietato e reo
Avelenata^ Barbara faétta,
Che memr’ti dadi inginocchion nel tempie
Colpo in luì fcocca inudiofo & empio.
31 fi- In quella parte inferior del piede.
Che nel fuolo dampar fuol levedigia.
Quella, ch’a i ferri, a le ferite cede ,
Perche tocca nonè da l’acqua Stigia,
L’alfal di furto, e di lontano il fiede
Con dral pungente il rioPador di frigai,
Lada, e veder mi fa fpentae fparita •
. La mia fperanza in uncon la lua vita,
' Evegg»'
canto DEC IM O isr ONO.
|J«. E veggio a un tempo la vermiglia veda
D orribiroftro, c fang uinoCo immonda,
Qifclla, che di mia man fu. già conceda
l^clcpiùfine porpore de l’onda.
Sguancia iinpalUdlr, cader la teda,
Perla polve drifeiar la claioma bionda,
E i begli occhi languir, cui gelid ombra.
Dimorcal nebbia étcrnameiue ingombra.
$•1
Ofpicndor de’PclafgKi, ò del Troiarw
Valor flagello, c de l’orgoglio hodilc,
^cra ne’ lati , cKe cader per mano
Dcvelfi effeminata, e non virile,
Perniano (oimè) di tal, diedi lontan®
Vsllc folca ferir la plebe vile,
Quanto migUor’almeno il morir t’era
Ucclfo de l’Amazona Guerriera?
ili. Soverchio è raccontar l’angofce iutern^
Onde in quel punto addolorata io
Oltre ch’a dir le lagrime materne
Cns'ifacilnon è , come l’alcrui.
per quede d’iiumor fontane eterne
l^ntto il mar dcftlllar deggio per lui,
^ per lui giudo è ben, che tanto in pianga»
Che nulla ih lor d’humidità rimaneva.
}i|. Devrei quanti ricetta entro il fuofen®
Il profondo Occan torrenti e fiumi
Tutti ne’trilli miei raccorre a pieno
Già de la cara luce orbati lumi
Nè sò come difciolto a fonde il freno,
Trgtcmpede di duol miconfuml.
Btjuante ha perle in conche ogni Tua riva
Non didempri per effi inpioggia viva.
LA SEPOLTURA,
5^1
314. Ma che giovar porlanoi pianti amati,
S’irrevocabil perdita è la mia?
Nel mal, ch’ò certo, e che non ha ripari -
Il non cercar tiraedio il meglio fia.
T rà brutto c bel , tra nobili , e vulgari
Differenza non fa la falce ria.
Tronca il fil del Paftore, e del Monarca
Col ferro ifteffo una mcdefma Parca-
31.J. Strania legge diFato, c diNatura,
C he de l’humane tempre il fragil miflo^
Congiunta habbia al natal la fepoltura,
E fvanifee quel fiore , a pena vifto.
, Pur col nov*anno il fiore, eia verdura
De bellezze fiic fa novo acquiftoi
Mal’huom poiché la vita un tratto pcr<M>
Nonrinafee più mai, nè fi rinverdc.
jié. GosiTheti ragiona, e la Dea bell»
Lf dolci ftille, onde le guance afpcr^c*
Poiché vede, ch’alcun più non favella.
Con un candido vel s’afeiugaeterge»
Indi il bel volto, c Puna c l’altra ftella, ;
Che tenea chine al fuol, folle vo 8c erge.
Et a la voce inferma, & impedita
Da fofpir, da fingiti, apre V ufeita.
Dolci gli effempi , e dolci e belle in uter#
Sonic ragion (difs’ella) Alme immort^
Con cui cercate agevole c leggiero
R endcrmiil fafeio di si gravi mali. .
Ma di tcmprar’in vece il dolor fiero.
Voi l’inafprite con pungenti ftrali,^
Che'cl rimembrar dc’voftri antichi danni
4^doppU foia» a I cuci pr cfeiicl affanni.
I canto DECIMONONO.
|M' LalTanon più del Clel chiaro Pianeta,
Non più fon'iod’ Amor ma<ire gioconda.
Non farò più la Dea ride ore e lieta,
Madi doglie, e di piane! Hidra i^condà.
Quello mio cinto, ch’ogni {degno acqueta,
^0 cheli cangi in Vipera iraconda.
^0 che di rote invece il biondo crine
^▼Cigano a cerchiar triboli, e fpine.
Diverranno! bei mirti, i vaghifiori
Ntriciprefli homai,flccchi pungente. ' ,
^gracicanaorofetcc, e i grati Amori
fwiecrudeli.&horridi Serpenti.^
Cornici infaufte, c nuntie di dolori
^-cfcmplicl Colombe. & innocenti, i
Simile ai Corvi veltirà ciafeuno
DcnùclcandidìCi^^ni irabito bruno.
o
Ji®- Dchpcrchcdalamandi Radamanto
Ricompra non pofs’io l’amato Amore.»
core, c l’alma io pagherei col piant»
Qif^ndo nonfiiffer faoi Tanima, e’I core,
j’erchenon potè almeno Impetrar tanto
Daldcftlnrigorofo il mio dolore.
Che fe*n terra trà’fior giace il bel Velo,
^ràicftclIelofpirtohabitiioCielo? ‘ ,
^hchc mcntr’ei laggiù languc in martiri,
h nongodrò lafl'ù diletto interno.
Saran fiamme T artar ce 1 mici fofpiri,
^ mia mifera vita un vero inferno,
ha Flcgetontc il foco dc’dcfiri,
Sarà Còcito il mio gran pianto eterno,
^ perche* n queft’Abiflo io mi confami,
MGmcher à Lcthe. fol U.Ì althilumi.
>oy[c<
À
LA SEPOLTURA,
35*. • Nò, nò, non fia glamai , ch’onda d’obli#
Spenga fiamma si bella, e sì gradita.
Nè lalcerò con tutto il dolor mio
D’adorarla lepoUa, e’ncencrita
E poi chc'lCiel non vole, e non pofsT#
Rilufcitarlo, e rendergli la vita.
Col rogo , e col fepolchro almen fia gtufto
Conlblar l’ombra , & honorare il bufto.
555.Non può,qualhor’avlen, che Morte feioglia
Il vical nodo a gli huomini infelici,
Moftrar maggior d’amor fegno, e di doglia
La vera fe de’più perfetti amici,
C h’accompagnando la caduca fpoglia
Con fiacre pompe, e con pictofi uffici.
Con l’honor de l’eflequie, c dello folla
Dar quiete a lo fipirto, albergo a l’olla.
354. Pelo dunque di Toi fiaràben degno
Meco impiegarvi à fabricar l’avello, -,
B tal fia de la febrica il difiegno, ,
Qual convienfi a coprir corpo fi bello,
E poiché la man voftra, c’ivoftto ingegno
Data havrà quella gloria a lo fica^ello.
Con pompofo apparato a lento pano
Vifitar meco il fortunato fallo.
W' Tace ciò detto, c fienza altra dimora j
A l’opra egregia altro principio dalli ,
Prende a toccarle dolci corde allhora t
Apollo, c sforza a feguitarlo i falli» . >
Che tratti già da l’armonia fonore, ^
Danno fipirito al moto à i palli.
Corronvelocialadivinacetra
^Frigia felce, cl'Africina pietra. ^
I CANTO DECI MONONO.
E dì Sparta, c di Paro 11 marmo corre i
Oiniracoldi ìuon) Forza <ii verfi,
Oadclì vedein unbalcn raccorrc)
Gran quantità di porfidi di verfi»
E mentre vicafi il camulo a comporre
Jmcominciaao a far politi e cerfi.
Glaceutofabri aprova, e cento maftd
Scgandiafprì, ainnano alab altri.
)T7' Mercurio allhor da la feconda sfera
Pw dar’efecto a’fuoi penfier leggiadri •
D'i’l’arti belle vi menò la IcHiera,
l^cl'induftria gentil nutrici, e madri.
Vcuneviancor delCiel l’alca ingegnic :a, ,
De modelli maeftr a, e de ^li fquair i
Palude dico, ad opra sì fblenne
Da Mercurio chiamata, anch’ella vc i ìc,
1)1 Taccian di Cariai celebri Obeli(:hI,
CcdandiMeafi altera i Moaumeiuì,
Che ncTecoli antichi a i Regi prifehi
P« raem uria drizzar barbare genti.. I
DI color verdi, e rolli , azurri, e mife i
Si varie fon le gemme J esilucenti
Tai fon de l’artifi-cio i bei lavori.
Che rendon grati i funerali horrorì.
i’*) Sovr’ otto alte colonne j c lotto un cerchio
Ripiegato in mez’arco , un’arca giace
Che la ftatua d’ A.mor tien nel co verchio
Piangente, c’n atto d’ammorzar la fac.'.
Nulladi fearfo c nulla ha di Ibvcrchio
Per effer d’uncadavere capacci •
Et è dì pietra lucida, mabruna, >
Semplice, fchietta, e feuza macchia alcuna.
y»L II, t t>ì
jo6 LA SEPOLTVRA,
340. Di qua di là la machina fanefta
Ha d’uiia, e d’altra parte un nicchio voto-
La Morte in quella , e la Fortuna in qaefta
Scolpite fon, c’haver fembranoil moto.
Ne l’altro fpatio inferior, che refta,
Altri duo n’hà-, ne l’uno cfprcira è Cloro, .
Cloro, che piagne, e rhorridclbrellc
Par che’n trocaudo un iìl , piangano anch’ clic
3 41 Oincortroaqiicfte hauvi legratie incIi^^
^ Che volte a rifguardar le Dee crudeli.
Da le vedove chiome al Tuoi recife
Stracciali dolenti le ghirlande, e 1 veli»
Lo Seul or, ched hà finte in cotal^uifc,
pà che ciafeuna pianga, e fi quereli ,
E per farla fpirar , dona e comparte
De riftefla Natura il fiato a l’Arte.
341. Vago feftone a le cornici altere
Tcfie ferpendo intorno intorno un fregio,
E v’hà di Cani fenici, e v’hàdiFere,
Di dardi, c lalfe un magiftero egregio.
In cima a l’arco Adon lipuò vedere
Sovr’aurco trono, c di mirabll pregio.
V na gloria d’ Amori alto fi fo ftenta.
Et al vivo l’effigie il rapprefenta.
34’v Pofaal piè ne la bafe, e de le braccia
Curva insù l’anca l’un tien la figura.
L’altro appoggia a lo fpiedo, & hà da caccia
L’arco a da fpalla, il corno a la cintura,
Ebentalnel fcmbianre,e nclafaccia
Del geniilfimulacro è la fcultura.
Che dal parlar’in forc, ond’egli è ^rivo< ^
Nulla quafi hà dclfinto, c tutte è vivo.
CANTÒ DECIMO N ONO.
IH- Prelloalapianta, a piè <3 e l’alta cada
Toctodelbel garzone il doppio ovatoj
Dimezo intaglio, c di Ceni tura bada
llnatal conlaiuortcè rilevato ;
Q^JÌnci Mitra fi vede afflitta elad'a
Frondofo di venir legno odorato,
2 dopo lun^oaifanno alfìn TofFcrto
llfeuciullo Cucciar dal tronco aperto.
H5- Quindi fi mira il fior d* ogni bel tate
Quando dal fier Cinghiai morto rimane,
Ecoinedalc zanne aCpre e fpictatc
^ccife refta ancor l’amato Cane.
N: de l’ìftelVo Can Tofla ho notate
Hinno molto a giacer da lui lontane, '
Cii’a piè di quel, ch’c Tacro al ino Signore
Ctcieneanch’caiiun cumulo minore.
£3
hcotal forma il’? iflrcmence adorno
De lagran tomba è il hel lavor fcolpico,
E’idrappello del del la notte, c’I giorno
Travaglia, accioche’n breve eifia compito,
Animacflrai m,acftri,e cura intorno,
Chefia l’ordin divlnbcn*cdegiiito
Con l’artefice dotto 11 ClUenc
^’architcttrice Vergine d’Achcnc.
Hi- Vtima che da le tnan celcftì e fante,
fufie in colmo fornitaopra sì bella,
Novc.voUc Lucifero in Levante
Precorfe al gran camin l’Alba novella
® murato dcftriero , anco alcrctantc
Guidò Notturno la più bada della.
CoinparfoU nono Sol , comparve in cutt*
^‘Hdificio fuperbo a pica codrutto.
r a Is
JOS LA SEPOLTURA,
348. Ne l’uklmo mattin dì tutti i nove
Per celebrar PelVecjuic al caracftincQ>
La figUovola vTaeftillìnia di Giove ^
Sor^c col crin coufufo, c l fcn difcinto ^
E con gli amici Dei valienc dove ^
- Giace ancora il Tuo ben di fangue anco.
Et ha l’urne de gli occhi homai si vote
ChfC geme si, ma lagrimar non potè.
,49. Comedi pictraabbafttlnseteifa
Statua q;entil, cheliouidi thefori
Di vivo argento In vaga conca verta,
S’avien, elVadufta fia daiìcri ardori ,
O’che non ficn talhor da man perverta
Rotti i canai di crlftallini humori>
Seccafi.e negaal’horticel, che l’angue.
Tronca le vene , il fuo ceruleo languc,
ifo. Così coftei, che’n caldo humor la vita >
(Ben che immortale) ha diftillata tutta,
NonpiagncpiCi, mareftainftup’KVita,
Ne l’ccceflo del duol fontana alcmtta.
Onde la bella guancia impallidita
Difcolora i Tuoi fior,quafi diftrutta.
Non però già , fé bene il pianto manca
D* addolorarla il fuo dolor fi fianca.
2 fi. Horperche’l corpo del garzo ndelunt 0
^ Fin ne’più clnufi penetraliinterni
Già tutto olcza imbalfamato unto
De’pretiofi aromati materni,
Mentr’al mortorio in un medermopunto
Apparecchian la pompai Numi eterni.
Con la ruina de la felva impone
La pira accumnlarfi al mono Adonti -
' CANTO DECIMONO'NO. jcf
!)»■ Vanfi a troncar de la fbreiTa annoia
I-cpiancegià per lunga età vecufte.
Cominciali a sfrondoTar la chioma ombrofa,
Tremano le radici afpre e robufte.
Score la vecchia rovere noclola
Diroze ghiande le gran braccia onufte,
Tper colla dal ferro, e da la mano
Si diftacca dal ceppo, e cade al piano.
ili L’clcc fuperba, cT platano rubllme
Trabocca, e’I fragglo verde, e I orno nero,
Incbinaìl dritto abete al (Tuoi le cime,
E precipita a terra il pino altero,
Alafcure,che’lfiede, e che ropprimc.
Cede abbattuto il fr aitino guerriero ,
E corron col mortifero ciprelTo
Anco il cedro, e Talloro un fato iHeuo .
H Fuggon le Fere d a’ c ovili u fati,
Abbandònan gli auge! timidi i nidis
Abbraccianò partendo i ■tronchi amati
le ninfe allieve con lamenti c flridi.
Et ululando i Satiri fcacciati
lafciano a forza i lor ricovrì fidi ,
Si ftraccia Pale i crin lunghi, e canuti,
Epiagneilbuon Silvan gli otii perduti.
Ili- Gemcla terra intorno, e 1 bofeo , eh era
Si ricco dianzi di verdure, e d ombre,
Impoverito di (ua pompa altera ,
Concede altrui le vie libere e fgombre i
Erifcbiaraiido lacaliginnera,
Hor che raro arbofcello ha che 1 adombre.
Senza invidia del prato, c fuor de l’ufo
Scopre a di occhi del Sole il grembo chiufo.
‘ ^ r j I»
JÌO
LA SEPOLTURA
356. Intanto pria ch’a fepelir fi porti,
Il Icttofi compon luoubre e mcfto.^
L’infima parte bàfovrarami attorci •
Di verdi ftramà un piumaccivol concedo.
Di fovratien de più bei fior de gli borei
Moke orditura il thalamo fanerto.
L’ordin fupremo e poi di gemme, e d’ori,
E di glebe d’incenfo, c d’altri odori.
357. La coltra, che’l ricopre, è cofi grande
Che’ntorno giù dal letticivol trabocca,
E da capo , da piedi, e da le bande
Con le faldi cadenti il terrei! tocca,
E d’un bruno broccato , il <|ual fi fpande,
Sovra tela d’arg-nto, e fi disfiocca,
E d’un fregio di perle ad or commifte
Riccamato ha il gran lembo a quattro li/ie.
3 j8 . Son de l’ifteflb i morbidi ori gl ieri ,
Dove il morto fanciul la certa appoggia ,
Han pur di fofea fetai fiocchi neri ,
É fon trapunti a la medefma foggia.
Sparla in sù’l volto i faretrati Arcieri,^
Gli hanno di refe una vermiglia pioggia,
E gli bàia piaga del coftato horrcnda
' Falciata Amor con la fuapropria benda-
Et ecco il rame già curvo, e forato
Con lugubre muggito alto rifona,
E chc’n cominci l’ordine fchicrato
De l’eflequiea partirfi, il legno dona ,
Primiero il vecchio Aftreo vien col Senato
Trai miniftri maggior de la Corona’
E tra col^or Sidonìo armato viene,
E con Dorilbe in nera verte Argenc.
Sci
/ CANTO DEC IMO NONO. ;xi
)to, Sei quadriglie <\*Aral<il, c eli nTrombcjiri
Ivano imianii a Thor rido fe retro,
AcaidiCavalicr fra gli altri eletti,
Due lunghe file poi tic ve ni a n dietro.
QuelfovraVbini, c cjuefti in sùGiannetti
Di pel conforme a l’armi oCcuro.c tetro
Erauchi, e fiochi, c‘langu.idi, cfoavi
Sol’piravano 1 fiati a i loronxi cavi.
In Alicorni a Icgier morfo avinti
Ben cento coppie in armeggiar maeftrc*
Conpoppe ignude 5 Se liabiti fuccinti
D'Annaioni leguian la turba equcftre,
Non già dardi dorati > archi dipinti,
iWà brunite lagaglie ar man le^deftre.
Le fofche chiome innanellate a l’aurc.
Vergini brune, e Giovinette Maure
)6i. Bianche altretante poifeguon le negre
Afuon di Cordi timpani, e taballi ,
Piene d’incenfo in tefta han conche integre,
urne in mandi limpide crifiallì,
Vefton gonne fguernite, e poco allegre ,
E fon cervi frenati i cavalli ,
Di gramaglie coverti, & ogni corno
D’aride fronde , c fcolorice adorno.
Succedean de laCc)rtedi Canopo,
Attraverfatl di fanguignabanda
Gli feudieri davante , i paggi dopo,
E di notturni fior cingean ghirlanda,
Di quel color, che’l torrido Et hiopo
Da la fervida 2onaa noi gli manda.
Cotte haveandi cottone ala Mor^ca,
Tuttidi pari età giovane e freCca.
Purpu-
LA sepoltura,
3^4, Purpureo carroalfin, ch’a biga abiga
Sii rote d’oio, e d’hebeno contcfte
Traheau venti Elefanti In doppia riga.
Le due Donne portava afflitte e melte,
Sovrafiedc a ciafeuno un Mano auriga,
E sù 1 capo Là ciafeun piume funefte,
Hnmidi gli occhi, e pallidii fembianti,
E tencbrofi, c lagrimofi i manti. !
3éy. L’illufiratordegrintellettiravggi ,
L'eterno theforier de l’aurea luce
Senza fronde ale tempie, e fenza raggi
Succede a quefti, e’ipopolfuo conduce.
Cìngonlo quinci c quindi ancelle, e paggi>
Come Signor d’ogn altro lume, e Duce.
Le Stagioni co’Mcfi, il Tempo, e l’Anno ,
E la Notte col Dì dietro gli vanno.
366. SÙ la mole portatile d’un monte,
Vicn quei,che’a Dclo, e’n Delfo bàia Tua reg-
E di bel lauri in sù la doppia fronte
Di quel finto Parnafo ombra verdeggia.
Quivi per arte è fabricato un fonte ,
Lo qual d’argento, e di criftallo ondeggia;
E preflb Tonde affai firaile al vero
V’nàdi rilievo il volator deftriero
367- Non confenti la Poefia, che fuflc
Priva di lei la compagnia follenne
E tutta feco la famiglia adduffe,
Fuor la comedia fol, che non vi venne ,
E tutti neri gli habiti coftrufl'c,
I Cigni iftefli nere hebber le penne.
Le bianche panile co’purpurci rcftri
Tutte eran tinte de’ più puriinchloftri-
Con
CANTO DECI M.O N ONO. 515
Con gli occhi molli, c languidi, c dimclt
LeMuleafflucc> c con turbata faccia,
Cinteli din di mortelle , c di cipreflì.
UMgranLka^i'or tirano abraccia,
SegQon d’abfmthio incoronaci anch’cffi
Cento Poeti la medefoaa traccia,
Idi dogUolc c c^ucrule elegie
lanuo per tutto rlfonar le vie.
)<9. Mercurio col drappcl de lo Dio biondo
Yolfe, ch’anco il Tuo ftuolo unico andaflc,
E’nfiiuilttodoun numero fecondo
D’altrctanti Oratori in fchicra tralìèj
Evi raccolCc di c^uant’Arci hà il mondo
liberali, e mccaniche ogni clalTe.
Che di Minerva con otlequio iacro
Prccedeauo, e feguiamo il fiinuiacro.
570» L’imago ancor > qual l’adorò già Roma,
Tra mille palme eli Imeral do, c d’oro,
V’-erade la Virtù, cinta la chioma
Di verde oliva, e d’immortale alloro.
Reggeano altre in siVl tergo, imraenfa fona
Un caduceo fovrhuman lavoro ,
Tutto d’argento fmifurato & alto.
Salvo le fcpi iol, ch’eran di fmalto,
J71. Dopocoftorconlofquadrondi R'hcti ‘
Tabernacoli argentei, e criftaUlni
Portano ftatuehortibili di Ceti,
Foche, Piftri, Balene, Orche, c Delfìni,
E chiufi in groffe gabbie, c’n deppie reti
Gran Capidogli, c gran Vecchi marini. ^
Hauvi Rofmari ignoti agli occhi noftri»
Hippoianùioui)«i^i,& altri mollai.
LA SEPOLTVRA/
371. Da volubili ordigni indi fon tratte
Per meraviglia d’ineffabil’arte
Navi, c galee con fommainduflria fatte.
Che le vele han d’argento, ed’or le farte >
Ignude ilfenpiù candido che latte,
V engon Nercidi con le treccefpar te,
E vibrali con le man lucide e bianche
Arbori di corallo a cento branche.
573. La Dea del mar tra Ninfe , e tra Garzoni
Sovraun carro di chiocciole procede,
Qiici forma han di Sirene, e di Tritoni,
Quefta hà di verde limo algofa fedc >
E van facendo ftrepitofi fucni
Mentre con lento andar movono il piede-,
E tra battute e ribattute conche
Fan le voci languir tremule, c tronche.
3,74. Segue colei , che^l dono altrui difpenfa*
Con lar ga man de le granifte arifte.
Van di (piche dorata in copia lmmcn(a,
Spargendo nembi le fue Ninfe trifte.
. Conducon parte in (patiofamenfa
■Vaiit vivande accumulate, e mifte.
Quanto apporta la terra, e l’aria, e’I mare.
Quanto il foco cond’fce, entro v’appare;
•^5i Reca de l’abondanza il fcrtll corno
V p’altra parte, di fin’or coftrutto ,
C’ h à di biade mature il grembo adorno,
Edifemi iècondi è colmo tutto
Squadra gli vàdi contadi intorno
Con armi proprie a coltivar quel frutto
Vomeri, c zappe, e falci, e cribri , c pclc
Cpnquamo de lajivfi'c a. Popra vale.
^1 « AcconiL
CANTO DECIMONONO. 51J
^6. Accompagnan di Cerere gli adufti
Dal Sorardeucc, e ruftici cultori
Icuftodi de’pratìjdcgliarbufti,
Pomona con Vercun, Zetìr con Glori j
Et han cancftri d’auree poma onufti,
E verfaii pieni calathi di fiorii
Et a qucftcj & a quelli il crin circonda.
Di Ciparillb la funerea fronda,
}77* Trahc pofeia del licor , che brilla , c fuma
La gente lua lo Dio giocondo e frefeo.
Giovani fcelti di novella piuma
Portano avanrcla credenza, e’idefco.
Ciafeuno ha in mad’un bel rubin.chcfpuma,
Vafel d’oro diftinto, c d’arabefeoi
E per tutto il camino a quando a quando.
Vanno à prova bevendo, e propinando.
378. Di verde mitra adorno, hauvi Filifeo,
Sacerdote di Libero, c Poeta,
Con tutto quello ftuol, chc’l fccol prifeo- 1
Appellò Mimallonide, e Maceta-
Qnal di fimilace il crin, qual di lentifco.
Cerchia, deporta ognifembianza lietai
Evan tutti vibrando horribilmentc
Chi coltello, chi thirfo, e chi ferpente.
I79. Vnplauftro a quattro, e sì leggiadre ,
Ch’invidia fanno al carco de l'Aurora,
Nifa conduce in raezoa quefte fquadrc.
Nutrice di colui, che Thebe adorai
E1 letto genial ,dove la madre
Giacque col^ran Motor , conduce ancora i
E del medelrao la corona pdfta
Di viti, cd’hcdjc inbbnchcfafce attorta.
X 6^ eia-
51^ LA SEPOLTVRA.
380. Cinquanta dopo cjueftaeb ri Sileni
Sovr’alineUi manfueii e pigri, ^
Cantando tuttavia vcrfi epiceni.
Gran cuoia gonfie in braccio hanno Tigri,
E vcrfanfone’calicij, chepieni
Tengono in man di bianchi humorl, c nlgri.
Da gli otri il vin, che fi diffonde e cade ,
Di dolci filile ingemmano le ftradc,
Sovra un bel foglio d*or preme Lie© -
La Fera , ch’idolatra è de la Luna.
Laconico e il vcftir d’oftro Eritreo,
Il cui vermiglio la viola imbruna.
Intagliata nel feggioè diPenteo
La dolorofa e tragica fortufìa.
Un Satirin , che fiede a piè del trono
Gonfia un corno caprin con rauco fuono-.
jSx. Piangendoanch’ei, del gcnitor Dionigi
Cinto di menta il gran capo vermiglio.
Senza la falce in man fegue i vefiigi
Il fuo barbuto , il fuo membruto nglio.
Cavalca un’aniraal pur di que’^bigi
Con lunghe orecchie, e tiendimeflbil ciglio
Va con le vene al collo enfiate e groffe ,
Col nafo accefo , e con le luciroffe,
383. Tinti d’ebuli, e morii volti informi, ;
Dopo’l cultor de gli horti Lampfacet
Armenti di bicorni, e di biformi.
Gregge di fc mi capri , cfemidei«
Satiri, Fauni, & altri a lor conformi ,
N i:mi efclufi dal Ciel, rozi c plebei,
So fpmgon da cent’argani tirato
■Vn’lmmenfo Coloflo c finifuiato.
Eorma
(iANTO DECIMONONO.* 51^
)I4. Forma hà d’immenCo c Gigantco colaffo
D’oricalco dorato un’lth-ifallo,
Cento cubiti lungo, e venti grolTo,
S'ichc ftridc al gran p cGo il piedcftallo,
E nel mezo del vertice, clic rodo
Inneftato il rubino Vià sù’l metallo.
Sì chiara fcintillar fte Ila Ti feorge,
Che Lucifero par , quando il Ciel forge»
Non vide Roma infra le fue colonne . ,
Mai miracolo egual piantato c dritto.
Ne tra Quante più v afte edificonne
Piramide maggior celebra Egitto.
Và de le Verginelle, c de le Donne
DiCithera , e di Gnido il choro afflitto ,
E cantando per via mefte canzoni ,
L’incorona di fcrci, e dì fedoni.
m
jtó. Pafsò poi de la Dea , che*n Cipro impera.
Tutto il correggiole con diverfi incarchi.
Di ceftto Sagittari armata fchicra ^
Veniva innanzi con turcaffi, & archi.
Di brocchieri lunati a la leggiera,
E di lievi loriche adorni e carchi,
Senz’elmi in tefta, c con corone aurate,
E l’armi erano azurre, c d’or &egiate.
387. Sccondarrano ì primi anco altri cénto
Gravile deftre di fpadoni, e d’azze,
C’iiaveandi puro, eben forbito argento
Le celate, le targhe, c le corazze.
Seguiva alfin per terzo un reggimento
D’hafte ferrate, c dì ferrate mazze,
E vario di color da l’altre truppe
Nerigli arnefl barca, noie le giuppe. :
Al
LA SEPatTVRA,
588» Al tergo di col^r cento Arieti
Con cento Tauri di color limili
Moveano il palio tardi c manfucti
Con tcfte chine, e con cervici humilL
Haveano in doflb l'erici tapcti,
Aurei frontali intorno, aurei monili.
D’appio feco le corna inghirlandati,
E di vermiglio vel gli occhi bendati*
j8^. I Sacerdoti ancor fon’altrctanti
Di coltella forniti , c di fecuri.
Con cui di forma, e d’habito eleganti
Con donzelli, c’hanno i volti ofcuri,
Splche di nardo, foglio d’amaranti ,
E calami di cafia eletti e puri ^
Portan con lento piè premendo il calle
Dentro vali gemmati in sàie fpallc.
Fanciulle arrecan poi di candide, e bionde
Di lagrime di mirra altre vafella ,
E foftien del licor, ch’entro s’afcondc,
Mille dramme di pelo ogni donzella.
E non menchei primier , fon le feconde
Guernitedi livrea rplendidaebella
Vermiglia han di quelli inlìn’a’pìè la vcftc^
Scorciate in bianca tunica van quelle»
Vn*altra legion pur di pedoni ’
Segue, e fon cucii inermi, e tutti hallatu
Qui Nubi, e Garamanti,e Nafamoni,
Et altri Negri in Ethiopia nati
Van con denti d’avorio, e con tronconi
^t)’hcbeno in man , di porpora addobbata
Vibrai! molti di lor ricchi incenlìeri,
Molti follengon d’or lampe, c doppieri-
Se bell:
CANTO DECIMONONO.
Sebcn non venne a que’pompofi uffici
Per le note cag\on la TDea di Cinto,
Non però Cacciatori, cCacciatrici
L^fciato già d’accompagnar l’eltinto
Cni trahe per man da le Rlfee pendici
Pardo leggiadro a ricca corda avinto
Chi da le rupi de la Cafpia foce
Tigre, ò Pantera indomita c feroce.
p). Chi fier Leon da l’Africana arena,
ChifuperboCervier dalbofco Thracc,
Chi l’Orfo bianco, diRuffia vi mena.
Chi di Scithia il crudcl Grifo rapace.
Chi d’Hircania, ò d’Epiro a lo carena
Conduce Alano alcicr, Molofib audace,
Chi con bracco , ò levrier tratto a la laflà-
Odi caria, ò di Creta in moftra palla.
394. Hauvi di Falconieri altri drappelli
Con Giraffe, e Canncli, e Dromedari,
Ch’entro eburnee prigion fomc d’augelli-
Portan sù’l dorfo peregrini c rari,
Quanti iTndi Cicl n’habbia più belili
Tumidi piuma differenti e vari,
E volar d’hor’in hor ne lafcian molti
Sol co’piedi legati, il rcfto fciold.
JJ5- Ecco la bara alfin , che ben compofte
Con vari emblemi intorno ha varie imp
E d’armari ^ucrrier tiene a le cotte
Di qua di la due maniche dittefe,
E con mirabil ordine difp^)tte
Lumiere illuttri in ogni parte accefè,.
E de’torchi lucenti anco la cera
Situile intuito al paramento, è nera.-
LA SEPOLTVRA,
396. Le Ninfe <U Ciprigna, e le donzelle
Circondan quinci, e quinJiil cadalctco >
E foftengon tra via le braccia bel le,
Ch’accennan di cader, del Giovinetto.
Hauvi anco altri valletti , e altre ancelle.
Che dolenti nel core, e nel’afpetto
La cuccia de’bei membri horrido alberg<
• (Pefo dolce e leggier) port an sù’l ter^o.
397. Vltimaa tutti i neri panmavolta
Venere bellail funcral coochiude,
E con viTo graffiato, e chioma fciolia
De le ftelle fi lagna invide, e crude,
Battendoli con mane anco tal volta
11 bianco petto, eie mammelle ignude. ^
Turba di ferve hà dietro, c d’atrio ilari
La fida guardia de gli Arcieri alaci.
398. Giunta, ovc’l bel cadavere difegna
In preda dar de la funebre arfura,
E dov’c già, d’uB tanto dono indegna ,
Edificata la catafta ofeura.
Fa Citherea depor fovra le legna
Il letto à[piè de l’alta fepoltura.
Indi fuppofta la facella a l’efca.
Fa che dello dal fofto, il rogo crefea.
J99- Già sùle prime fronde a,pcnaàpprc6>
Si dilatan gl’incendii in un momento.
Sonan le gemme de fregiati arnefi,
E fuda lojo, e fi disfa l’argento ,
Stillan fucchi d’Arabia 1 rami accefi
Che giàgrimpingua l’odorato unguento
Stride feoppiandoin liquefarli al foco
li na^do, U collo, il cinnamomo é’I croco
CANTO DECI MONONO.
♦80. Più nobil fìamma in terra un^ua non arie
Nè ccncr mai più ricco (ì corsole.
Chi di candido latte urne vi Iparfc ,
Echidi negro viti taxxc ipumofe.
Altri le mani ancor non havea fearfe,
Di biondo mele, edi più rarecofe.
Altri del {angue de gii uccifi armenti
Abbeverava le faville ardenti.
401. Verfanvielacci,e rctij&archìjcftrali
Volando intorno ì lagrimofi Amori.
Le vaghe penne fvellonlìdarali,
Eie fan cibo de* voraci ardori.
Le tré Eunomia ancor figlie immortali
yi gittan dentro i lor monili, e i fiori.
Vener le trecce d*or troncar fi volle,
Età le fiamme in vhtiina donolle.
401' Indi il bel rogo ancor, fecondo II rito.
Prende da manca a circondar tre volte,
Etinchinando il bufto incenerito,
Lebcllcxxe Calura in aria fcioltc.
Ma poiché già V ulcan languc fopiro ,
E l’offa amate ha in polvere rivolte,
DI propria mano il cenere rimafo
Raccoglie e ferra cntro’l marmoreo vafoi.
40}. Serrato il vafo , in cui chiudcafi quanto
Natura, c*f del di belle unqua creato,
Araor, che ftava in flebì l’atto acanto
Quali cuftode al cimicerio caro ,
Cercava pur d’intenerir col pianto
' L’afpro rigor di quel fepolchro avaro, ,
E con la punta del dorato ftrak
Vi fcolpl Covra un’cpitafio tale.
O pere-
ftt LA SEPÒLTVRA,
40 j. O peregrln,clie paflì, arreftailpaflb
Al marmo, fe non hai di marmo il core.
Giace fepolto Adone in qucfto fallo,
E giace leco incenerito Amore.
Nel cener freddo , c nel fepolchro baffo ^
Spento il lume è però > non giàl’ardorc-
E che lìa ver, tocca la pietra un poco.
Che fenz’altro focil n’ufcirà foco.
40 4. VI fu fofpefo in un gran fafcio involto
L^arco iniìemc con l’hafta, c con i’alcr’arini>
E’I dente de la Fera anco raccolto
Rdlò trofeo di quc’medefm.1 marmi,
F ù poi con lìmil cura il Can fepolto
E Febo agglunfe a gli altri honori i carmi.
Che sù l’avel de Tanimal trafitto
La memoria lafclò di quello fcritto.
405. Qui ftà Saetta , il Can, la cui bravura
Le Fere fpaventònon folo in terra,"
Ma quali a quelle ancor pofe pavra ,
Che’l Zodiaco nel Ciel raccoglie e ferra ,
Pluton per far la fua maggion fccura.
In guardia de l’Inferno il tienfotterra.
Che poic’Hercol dilcefeia quella Corte,
Fidar non vuole a Cerbero le porte.
406. Polciache*! nobil marmo incorai gulfà
Ha già d’Adon le ceneri coverte.
La meda DealaVc la pietra incifa
Del depofito caro, il pie converte;
E fiata alquanto immobilmente fila
Con gli occhi in alto, e con le braccia aperte
Trangofeiando più volte, alfin fifeorte,
£ romper il fuo tacer con quelle note.
Dolci
CANTO DECIMONONO.^
407- polcl,mcntr’al Ciel piacque, amate fpogllc
Giadolci un tempo , Hor quanc’amatc amarcj
Poiché negano Tacque a tante doglie
Fatte le luci mie di pianto avare.
Prendete quelti Eori> e quelle foglie,
Yliimi doni a le reliquie care ,
E’nveccdclc lagrime dolenti
Gradite quelli baci, 8c quelli accentL
408- S’invido fato, avaro Cicl mi toglie
Diftcmpi^.r gli occhi in lagrimoio mare,
Dlqueltatomba le funefte foglie
Nonmitorrà con gemiti baciare.
Se colei, ch’ogni fior recide c coglie,
Recifo ba il lìor de le bellezze rare,
Lolpirto almen, ch’afcolca i miellamenti,
Giadifca quelli baci, c quelli accenti.
40^. L’urna gentil , che le beirofla accoglie,
Sarà de’ voti mici perpetuo altare,
L’altc faville de Tacccfc vogli» ,
Là dove il cor lacrificato appare,
11 foco de’ Colpir, che Talma fcloglic,
Sanar fiaccole, e fiamme ardenti e chiarct
Ombra felice, fé mi feorgi, c fenti,
G r adì feij ciucili baci, e quelli accenti.
4ro. Qui tace, c chiede del fuo core il corc,
E gli c recato al primo cenno avante.
E'A’havea già, quando il Sabeo licore
Le vifccre condì del caro amante.
Sterpato, fvelto inlìn dal cento fore
Del bel jSanco fparato 11 cor tremantci
Indi il ferbò tra pretiofe tempre
Di celefti profumi intatto Tempre.
Tolto
la SEPÒLTiatlA>
411. Tolto inmanoquelcor , gli occhi v'affìtte,
£ contcraplollo cori pietofo affetto,
Et, O del più bel foco (indigli difle)
E del più puro ardor nobii ricetto , .
Che d’aver rifcaldato unqua s’udiffc -
In Cielo, ò in terra innamorato petta.
Così fuor di quel fen, ch’era tuo leggio,
Lacerat0,& appetto (oimè) ci veggio?
411- Forfe molhar mi vuoi , che non contento
De Tamor, che 'avendo in te bolliva,
Dopo’l cener gelato, e’I rogo fpcnto
Serbi ancor la tua fiamma accela e viva.
Ahi ben’il veggio, anzi in me ftefla il Tento,
Che ben che del mio ben vedova e priva,
Ancor’eftinco de’begli occhi il lampo.
In pari ìnceRdio immortalmente avampo.
4i3.Hor con qualdegnò honor,fnor che di baci
Sodisfar peno ad oblighi sì cari?
Ond’havrò per lavarti acque vivaci.
Secca la vena dc’miei pianti amari?
Chi mi darà le Inminofe faci ,
Spenta la luce di que lumi chiari?
Fuor dei bel volto , ove faranno i fiori ?
Senza i ^ati foavi, ove gli odori?
4h- Deh cheferò? Per quanto almen mi liccj
Io voglio al mondo pur con qualche fegno
Lafciar del noftro amor poco felice
Grata memoria , & honorato pegno.
S’a gli altri Dei ciò far non fi dimice, . ;
Scaltro mortai fó di tal gratia degno,
Per qual caglon non potrò farlo anch*io
O perche non l’havrà Fidolo mio?
Farò
CANTO DECIMONONO. 515
Farò dunque al mio ben MOelIb honorc.
Clic fece Apollo al lùo laaclullo u cUa,
Che non fti certo il mio gentile ardore
BiGlaciaco metibcl » ne di NarciCo.
Epoich’ci fu d’o^ni bellezza il fiore,
E di fiori hebbe adorno il feno , c’I vifo>
E mi fiu colto in sù l*eta fiorita,
Vò che cangiato in fior, ritorni in vita*
4t«. Trai Sori, ò fiore, il primo pregio havrai,
Torrailo fccttro a la mia rofa ancora.
Vinti faran da te «quanti ^lariwi
dori interra ne Cparfc, lu Cicl TAurora,
Ornamento Immortai ile mie rofai,
Perpetuo Korvor de la vezzodaFlorai.
Nova pompa del prato, e del terreno.
Novo fregio al mio crine, & al mio feno.
417. Farò Tempre di prò, che d‘anno in anno
. De la Parca malgrado, e de la Sorte,
Sirinovelli col mio duro affanno
La rimembranza di si cruda morte »
E i miei devoti ad imitar verranno
Con folcnne dolor piangendo forte,
Come fec’io quando il mio ben perdei*
La trifta pompa dc’laraenci miei.
418. -Quefto fiume vicin , chogiàfi tinfc ^
Del nobil fanguedel buon Rò Ciprigno,
Nel giorno ifteflo, cheTCinghiall'eftinfc,
Col corno rottocorrerà fan ^uigno,
Qucftq medermo mar clieT lido cinfc •
Dove l’opprcflftil rio deftjnmalig uo
Nutrir^ pefee tal nqlgrcmbointcrnQ^
Che xiccirà d‘ Adone il nome cterw». ,
Poiché
LA SEPOLTVRA,
4ip.^ P oiche così parlò di nettar fino, ^
Picn di tanta virtù quelcorc afperfc ,
Che torto per miracolo divino
Forma cangiando, in un bel fior s’aperlc»
B nel centro il piantò del fi\o giardino '
Tra mille d’altri fior fchieredLvcrlc.
Purpureo è il fiore, & Anemone è detto.
Breve, come fó breve il fuo diletto.
Rivolta pofeia al fido ftuolo amico
De’fervi Amori, c de’compagni Divi ,
Fù Tempre (ripigliò) cortume antico
D’honorar morti quei, che s’amar vivi.
Oflervatti ben tu l'ufo, c h’io dico ,
Accopiando al dolor giochi fedivi
Bacco, quand’empia Morte Ofelte uccilc.
Così fece il mio figlio al padre Anchilc,
*411. Quefto ritofeguir dunque m’aggrada
Ne le (acre d’Adon pompe funefte, •
Io vò, ch’ogni anno in quefta mìa contrada
S’habbiauo a celebrar tragiche feftei
E vò che vi concorra c che vi vada
Spettatrice non fol turba cclefte ,
M à del mar, de la terra, e de l’Abiff o,
Editrèdllo Ipatiohabbìan prefifio. ■
411. Còsi ragiona, c l’immortal brigata *
Il pietofo pender commenda c loda.
Onde ilgranbanditorde l’ambafciata,
L’autor de l’eloquenza, e de la froda,
Sù’l capo impon la cappellina alata, ’
Alate al piè le tallonicre annoda, ■ fi
Nè p«r gli Dei del del convoca c cita, *
Mà quanti il mondo n’hà, tutti grinvita.
S^l
CANTO DE-CIMONONO.
4M* Eperpofar rxc le ccru.lee piume
Già varca Intanto il Sol l*ondemarinc,
• E già fi lava entro le £aircfpume
L’humida fronte, c*l povcrofo crine.
Vedefi tinto il del d.’ ombre, e di lume
Ncltenebcofo,e Incido confine,
E’a sè far mezo chiara, e mezo ofeura
Dcla notte, c del giorno una mlllura.
^>* Eine Dei. Dscimonono
C ▲ M T 9 .
GLI SPETTA CO Li
V
< t *
CANTO VENTESIMO.
ALLEGORIA.
Givochi Adonli inftituiti da Vc-
nere ncireflcquic d’ Adone , fono
I per farci intendere , che quegli
amici , i quali veramente di cuo-
re amano , non lafciano con tut-
te 1 - ufficio fc dimoftràtioni poffi-
bili d’honorarc etiandio dopo la morte la me-
moria di colorò , che hanno amaci in YÌca.NelIa
gioftra» che dopo il tirar dell’arco , il ballo, la
iotea, & lafcherma de’duc precedenti, è lofpct-
tacolo del terzo & ultimo giorno, oltre i Ca-
Talieri Barbari, che v’intervengono , fono ad-
ombrate molte fàmigUe_principall d’Italia.Trà
le Romàne ve ri’hà primieramente quattro, che ^
vengono da Pontefici, come Farnéfi, Pcretti, '-
Aldobrandini, & Borghefi. L’altre ,chcfeguo-
no, fono Qolònnefi, Orfini, Conci, Savellì,Gae-
tani, Sforzi,Ccfarini, Cefi, Grcfcentii, Frangipa-
ni, Molari, Cafàrelli, Sancacroci, & Mattel. Vi
fi aggiunge di più il giovanelpofo Lodovifio ni-
pote di Papa Gregorio il Dccimoquinto , con-
giunto ultimamente in matrimonio conlaGc-
Ivalda, Principefia di Venolà. Per la perfònadi
Sergio Carraia s’intende ilPrencipediStlglian»
che così fper quanto dicono) fi chiamò il primo
capo di quella caia, Ne’tiè firacelli, che vengono
' apprefloi
ipptdfo , fi figurano i tr è figW-v o\l Gscolari l Sci
ftnifl^o Duca di Savola..I_*vino è detto Dorcfìo
. dei. Piemonte > ralcroAlpino
J Alpi, predo allèc^viali è 11 dominio dique*
/^^^*^F*^^^^5?'Z-o;Lcuclppo, cKc vuol dire Caval-
tóoiaiKjo', ikjualeèla divlCa atitlcadiquellcAl-
ttziclduc, cK^ fono gli tilt imi a comparire^
^*pprcfentar\o Spagna, Se "Francia- Auftriafino-
®iiu la Guerriera , cVi’èil cognome deH’unai
namraadoro il Cavaliere, ciò ò Oriflamraa, eh’
fi hiftoria nota dcilo Ccndò dell'altra A quella
ttianno , & il F.eonc Se. V A-cj^nila 5 l’uno per efl'cr
larmc di Caftiglia, l'altra per la poiTelfionc, del-
l’Imperio , Se i’ntvo Se l’altra , come geroglifici
Wla magnanimità. A. <qu.cClo danno il Giglio, &
& il Gallo., IViinò per ligniftcare iirudcttcfcud.#
ialtro petcVie- allude al nome della Gallia, &è
«Icdicatò à M.arte,cVic predomina quella nationc.
Nella battaerlia , ciac paffa crà lóro j fi accennano
le guerre pafTatc yl£* negli amori, che (accedono
traamendac -, Ci dinotali maritaggio fegulco tra
nucfta Coróna &c emacila- H proaollico d Apollo
lopra lo fendo dWulcano , contiene le lodi del
KèLodoyico,8c ^ ia breve compendio tutti i prò.
^ei£ della gnerist moda contro gli Ugonotti.
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AB.GOMENTO.
Dopo l'ejfequìe nobili e pompo
Venero injUtuifce i giochi efiremù
E compartiti a i 'vincitori ì premi.
Il 'vel/ifqaarcia Or le future cofcj
T ecco pur dopo camlii si lungo
E Scorge la meta il.mio corfiargià fianco
Onde co maggior frettalo sfer zo,e pugo
Al pigro ingegno il travagliato fianco.
Già la voce vien men, ma mentr’io giungo
Prcfl'o a lefiremo, augel canoro, c bianco.
Vorrei purgando il rauco fpirto alquanto.
Far viè più dolce, e non mortale il canto.
Qual volubile ordigno, il cui volume
Mifiiraquel, che dà mifura al moto ,
Giunto al tocco de l’hora, oltre il coftume
V eloci i giri accelerando io roto.
Quali lucerna, in cui s eftingue il lume,
Quando il vafcl d’o^ni alimento è voto.
Svegliando il vigor languido mi sforzo
Raddoppiar lo fplcudor , mentre Taramorzo,
3 . Somiglio peregrini che’fermo e fioco
Trafeorfa già quella contrada e qucftaj
Del patrio tetto , e del paterno foco
Scoprendo i fumi , i voti al tempio apprefta.
Sembro Hocchier , chefatto untcmpogioco
Per l’immcnfo Ocean de la tempefta ,
Torto che de la riva arriva al ft^ho.
Ripiglia U iUTkOi e da la fpiaca ai legno.
CANTO V 'E.ìSIT: "E. SlMd.
^ leandro novello > à cui trà l’ondc
Moftra lucida lampa, cccclfa rocca.
Ma mentre da vicinL mira le fponde,
Mentre eh’ adhor’adlnor la terra tocca,
gui^aIl mau’horrlb>ile il confonde,
CKe^U manca tremante il fiato in bocca,
Eiafciar teme pria cK’attinga il lido,
Tra gli {cogli lommer Ce, il debil grido.
Pur tale, e si benigna è lamia Tcorra,
Sichiara fplcnde, c si Terena c bella.
Che dal polo reai mi riconforta
In SI dubbio fa e torbida pròcellaì^
Ne tcm’jo già, ebe mi da fjpcnta ,o morta.
Perche mai non tramonta Artica {Iella}
E- può più tofto il Sol perder la luce,
Che cj^uel raggio imm.ortal,che mi conduce.
Dunque che fai ì rinfranca & avalora
A.hi Icnton vocator, le forxe opprellc.
Ben’hà tanto il tuo ftU cU lena ancora,
• Che ci bafta a compir l’altc promellé.
Beco già defta in Ciel forge l Aurora,
Sorga la MnCa al bel lavor , che celle.
Già con 1’u.lclmo fil f ebo la chiama
De la o-f aifi cela a terminar la trama.
7. La Ninfa d’O rientc aprendo il grembo
Trà nuvolctcl candidi, c vermigli.
Dolce verfava. & odorato nembo •
Di pura rnanna, e di celelli gigli.
Garriano intorno al ru^iadofo lembo
I dipinti de Tarla alati figli, ^
E per Tampio feren Favonio, c. Glori
Scoteano i vsuani, c precoriean gli arbori.
£ X Sereno
GXI* SPETTACOLI,
8. Sereno ii elei, d‘ un’aurea luce viva
Fregiava Paere puro e criftallino, ' '
Et d’odormolli, mentre il Sole ufeiva, ;
Seminava le vie del ino caminoi ^ .
Et a la funcral pompa Feftiva ^ .
Apria da l’ufcio d’oro, e di rubino
Da mille trombe falutato intorno, i ' :
Di millelampi incoronato il giorno. , ' 5 i
p. Tranquille» il mar, de Fonde fue facca,'.
Senz’ai cun monte una pianura eguale,
E quafi una gran tavola parea
Tinta di fchiettoazurro Orientale; u
E come in Cpccchio dì zaffir, v’ardca . • : T
In tal guifa, del Cìel l’oro immortale , -
Che detto havrefti , O che nel mar profondo
Sommerfo è il Sole,ò c’hà duo Soli il mondo
lo. Verdeggiante la terrà, e di bei fiori
Veftito il prato, c di color nelli,
Ricchi.amava ridendo i fuoPaftori ,
A le ghirlande, ai pafcoli gli agnelli.
Spande? list’ombre il bofeo , e fpcttatori,
De’bei certami i venti, egli arbofcelli
Taceano intenti al nobile apparato
Fermando il moto, c fpofpendendo il fiato*
ji. Tratta i Zeffiri a volo, e l’aria feorre
Del celeftc Senato il mefló eterno;
E non fa fol le Deità raccore,
C’han de la terra, ò c’han del cicl governo.
Ma chiamata vi tragge, c vi concorre
Del pelago la turba, c de l’Inferno.
Sol Marte irato, e fol V ulcan dolente ;
Non volfc, a i propri fcornl efier prefente. . .
k...
CANTO VENTESIMO. 5}J
II. Ad honorar le dolorofe fefte,
Infticuìce al funeral d'Adone ,
Da lo ftcllance Tuo crono ccleftc
Col conforce ìmmorcal fcefe Gianonc.
Per si nove mirar pompe funcfte
La cicca reggia abbandonò Plutone.
E per far quell’honorvièpmfollennc
11 gran Giove de l’acque anco vi venne.
ly Oltre Cerere, e Bacco, oltrela madre
Del forte Achille, e’I figlio di Latona,
•D'altri Dei, d’altre Dee u’hà varie fquadrc j
Berecinthia con Cinthia, Ifi, e Bellona,
ThemI, c Verta vi fon, nè men leggiadre,
Iride, & Hcbe, e Flora euvi, e Pomona.
Giano, Como, Thalaffio, indi s’aflìde
Tra gl’imraortali immortalato Alcide.
14. 'L’ordin non fi confonde, a ciafeun dafli
Secondo il proprio merito lafédei
E Mercurio il mazzier, difpon le claffi,
E d’honor.pari al grado altrui provedè.
A tutti gli altri Dei, che ftan più baffi,
Con l’aua Spola il gran Motor precede,
E più deporto il fulmine, tra loro
Eminente fi moftra in foglio d’oro.
15. Dopo colui, che l’ Vniverfo regge,
Ponfi il Signor, che fovra l’ondc regna.
A i Principi minor, c’han da lui legge,
Loco non lunge inferior s’alfegno.
Tien prelibai gran Nettun le prime leghe
Nereo conForco, e gente altra più degnai
Stan con mill’altri poi cerulei Numi
De gli humid’antri ufciti,i’vecchi Fiumi.
Z } Suege
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554 . GLI SPETTACOLI,
J 6 . Segue terzo la ferie il Rè profondo ,
Genero de la Dea, che n Etna impera,
E fecohà cjuella, che dal nofti o mondo
Diìcefc ad liabitar la Città nera, . ^
Succede fecolofo , e rubicondo
Lo Dio d’ Arcadia con la roza fcbiera.
Corna, c piante hà falvatiche , e caprigne,
E di minio le guance ognor fanguigne,
17* V’e di ferula cinto, edi gineftra
Silvan, de l’ombrc l’arbitro canuto.
Che Pale a manca, & hà Vertunno adeftra,
D intorno un foltoelfercito cornuto,
Rufticagioventù, ulebelilvertra, . *
Il Satiro lanofo, c’ì Fauno hirfuto;
Epreflo at^ucfti in nonfublimefcanno
Cerni, Lari, Cureti alTiiì ftanno.
18, Gran piano innanzi a la fuperba entrata ^ ^
Del bel Palagio, ove Ciprigna alloggia,
Spatiofo veftibnlo di lata
.Sotto l’aire fineftrc, e l’ampia loggia.
Che s’allarga e diftcnde in piazza ovata,
<^a(I di circo, ò di theatro a foggia. ^
Hà la t eia nel mezo, e come s’ufa.
Di palancati, c di bertefche è chiufa.
19- Scena e di lieti giochi, e par (leccato
Fatto per diffinir riffe, e duelli,
Trà ben falde colonne incatenato
Di graticci per tutto , e di cancelli}
Et hà da’capi a l’un’e l’altro Iato
Due porte con barriere, e con rallelli,
Per cui paffandopoi denno i campioni
Rapprcfentarpacifiche‘tenzoni.
^ *
Non
CANTO VENTESIMO.
10. Nonfoldi Cipro i popoli, e Ivlciai
Sono a Talto fpetcacolo prefenti ,
Màda viè più remoti altri confini
Vi convengono ancor ftraniere genti *
Paefani non mcn, che peregrini,
Stansù li balconi a le bell'opreintenti.
Parte occupano intorno i catafalchi.
Le (barre il vulgo, e’I baronaggio i palchi,
11, Poiché già pieno il campo in ogni parte
Scorge la bella Dea nata di Giove,
Appretta i premia i giochi, e gli comparte
Per difpenfargli a le future prove.
Fa varie fpoglie Tue por re in difparte,
E tutte rare, e pretiofe, e nove,
El lnalza, e fofpendc accioche Iproni
Siano de la virtute i guiderdoni.
11. In alto tribunal ftattene afliifa
Per poter più Ipedita haver la vifta ,
E mentre ingiù lo fguardo intenta affifa.
Giudicar meglio chi più loda acquifta
Intanto con rinfegna a la divifa
Dì porpora, e d’argento in lifta a llfta,
L'Araldo con tre fuoni intima il bando,
Poi publica il cartel cosi gridando,
13. La Dea del terzo Cielo in rimembranza
Del morto Adon, c’hà tanto amato in vita,
De’facri honorilapietofaufanza
Per tré giorni continui ha ftabilita.
Roggi, ch’è il primo, a l’arco, & a la danza
Con bella pugna i concorrenti invita.
Ne gli altri duo vuol che fi vegna in moftra
A la lotta, a lafchcrma, fica la gioftra.
Z 4
,53«f GII SPETTACOW
14. Ben fian de la vittoria i pregi tali, *T
Che non faranno invan fparli i fudori, ^
Nè poveri di palme trionfali ^ ' ’ ■ '* '
Invidia havrannoi vinti ai vincitori. ''
Chiunque in guifa ìndrhzerà gli ftrall^
Che riporti in colpire i primi honorii ;
O’pci volare, ò per Fortuna avegna , "
,Ricompenfa de l’opra havrà ben degna. ^
15. Quella faretra havrà, che colà pende,
E di fagvi vermiglio ha l’ornamento.
.Con quell’arco mbpflb, a cui rifplendc’j
L’un capo, e l’altro dì polito argento.
Chi pip vicino al primo il fegno offènde
D’uu nobil dardo rimarrà contento.
D’hebenoè l’hafta, e’I ferro è di tai tenipre.
Che qual tal volta ferifee , uccide Tempre.
K. Daraffi al 'terzo d’immortaréalloro>'r . : -
Degna non pur d’Arcier, ma di Poeta,* I
Ghirlanda, che le fronde hà meffed’oro »
Attorta a un cordoncci di verde fera, ' ;
Pia pofcià di colui , c’havrà tra loro ’
L’ultimo grado in accettar la meta^ ' '
Spiedo di duro e noderofo ccrro , t*‘
Ch’arma la puma di luccnteferro» ; i'. 1
a?. Qui tace, c rifonar fanno l’agone
Cent’altre trombe, e nacchere, ecornette.
Allhor quivi legato ad un troncone
Lontano alquanto un Caurivol fi mette.
Quefto per ordin de la Dea 5’impohe,
Ch’efler deggia bcrfaglio a le factte. '
Et ecco al faettar delira c leggiadra -
Arciera in punto, c frretratàfquadra.
Tempo
CANTO YENTESIMO,
18. Tempo diftruggicor d’ogni bell’opra,
Ch’atfondi i iioini entro Tofeuro oblio.
Conlcu;a il tuo rigor , ch’io narri e feopra
I più degni trà lor nel canto mio.
O Fama e tu, ch’impero cu rno hai fopra
Le forze invitte del Tiranno rio.
Tu mel rammenta, e dal’etate avara
L’oifìilcate memorie a me riichiara.
19. FaflI avante Arabi n , che’n Gubanacquc>
De l’Arabia petrea nobilcittate,
Ma per le lelve eflcrdcar gli piacque
Contro le fere la robufta ctatc.
Vien Silvanel, che colà dove Tacque
Sen va col Tigri a mefcolar TEufrate,
Crebbe in Apamia , avezzo a ferir folo
Le foliche del mar, che vanno a volo-
30. Havvi Forefto, il Troglodito Arderò,
Che’l deferto per patria Irebbe nafcendo>
Selvaggio cacciator più che guerriero,
A gli Elefanti, & a i Leon T remendo.
V’e Ferindo d’Arfacia, il Partirò fiero.
Che combatter non sà, fé non fuggendo,
E’I cavoarnefeal tergo , c’n pugno l’iirco
Di faettame avelenato ha carco.
«
"31. Ermanto v’hà> di cui giamai più dotto
Non Irebbe in quel meftier 1‘lndica terra;.
E Fartetc il P'gmeo , che fu prodotto
Ad haver con le Grù perpetua guerra.
E v’è Fulgcrio ancor, ch’è Cipriotto,
E di mille un fi>l colpo nnqua non erra.
E’I iuperbo Medonte il Battriano ,
Che d’acciaio lunato arma la mano.
55» GLI SPETTACOLI,'
S’accinge a l’opra, e cinge al fianco Ordaurc
Pien di ferrate penne aureo turcaflb. ,
Il figlivolo d’EurIppo, il gran Centauro, ,
Tal gloria ambifcc, e’I Sericano Urnaflb. |
è men di lor Briraonte, & Albimaiiro ■
La brama, Hircano l’un, l’altro CircalFo.
Chiedela aprova UcciufFo,& Anav:.- -bo, '
Quegli.è di Thracia allievo , e qucrà Alarbo
55
•.t
E TI finto, e Filino, i duo fratelli, .
Moftran d’entrar nel numero deliro.
Nati in Thell'sglie, e di ferine pelli
V efliti, e molto efperti a ben ferire.
V oglion cento e cent’altri, e quelli e quelR
Del primo gioco al paragone ufcire.
Vuol per accrefcer liti, Amor’iftellb ,,
A la prova de l’arco efler’ammellò. .
54. Hor per celTar gli fdegni, onde doleriti -*
Sol de la Sorte poi deggian gli efclufi,.
Scriver fà Citlierea nomi diverfi ,
® urna d’or ferrati e chiufi»'
E poich’ivi per entro alfindifpcrfi
Son con piu d’una fcofia, e ben confulìy
Ad un'ad un da l’agitato vafo ; •
Per la man d’un fanciul fà trarrli a calo.
55. Dentro l’urna il fanciul la manaafcofe .
£ Mitrane n’ufci nel primo fcritto.
Mitrane, che lafciate lià le famofe
Sponde.del fiume, onde s’impingua Egitto*
Fatto è l’arco, che’itien, di due ramole
Corna d’un cervo di fua man trafitto.
Et ha nel mczo le divife punte
Con bel manico eburneo infieme aggiunte.
D’u
ACANTO' TBN T E S IMO. yj?
|{, D’an Dragone Afrlcan nnacchiato a ftclle
VotofcogUoiquamoro lià per freccierà,
Efeansherando rhoxrìde mafcelle
o O
lltefchiolerpcncin gli Fa baviera.
Scalze bàie piante, e coii la bionda pelle
Delapiùbravac gcneroCaFera,
Tra quante n’hà Geculia*unquaprodutte,
Ammanta il refto de le membra tutte..
}7) Ponfi per dritto filo Incontro al fegna.
La faretra llaccia, eia dille rra ,
E trahendonc faora alato legno.
S’abbatta, e pofaun de’ ginocchi in terra.
Lo fqnattra intorno, e con induftrie ingegno.
In un punto con V arco il ferro afferra
la cima il tenta; et afta pria fc punge
Indi al cordone il calamo congiunge.
Ticn ne la manca il corno, e lo faetta
Con l’altra mano in sù la fune incorda.
Tratte fin.alàcftro òrccccHio a forza ftretta
Colgroffodito , e l’indice la corda,
Ctt’un’angolo divicn di linearetta,
E i’occttio in tanto conia mano accorda,
E da l’arco incurvato in meza sfera
Pà per l’aria volar l’hafta leggiera.
39. Liberatala canna , ancorché fofle .t
La tetta ita à ferir del Carrivolo,
Però ctt’impaurito il capo ei moffe ,
Di ed* alto, c pafsò viarapida a volo.
11 tronco nondimengiunfc, e percoffe,
.'Dove lo ritenca ftretto il laccivolo
E si forte ad entrarvi andò la firccia,
gli refiò neJa corteccia. .
• ;r Z Fè
54® GLI SPETTACOLI, ì
40. Fù per force U fecondo Arconte Armerà q
Che la man pueril da l’urna traile, y
Di fero latte, & a le Fere in feno i
Nacrito in riva al Sagittario Aralfc , i
LàvcNifated’afprefelvepieno ti
Volga la fronte alpeftra al gelid’alle, ij
E de l a Tigre il fremito dolente
V edovata de' figli, ode fovente. ;;j
41. Rafo il mento,c la chioma, e bruno ilyoìtp ^
Lunga ha là giubba, e d’un tabi cangiante,
Sferico lino in larghe fafee involto. j
Gli celie intorno al capoampio turbante, u
Difeaglic d’orò intarfiatoe fcolco " tc
L’arco ha d’horribil vipera fembiante,
Serpe ralVcmbra, c’n quella parte, e’n quefta
.Chiude reftremicà gemica cella, ^
41. Grolla canna Indiana, acconcia In modo {|
Dì vagina agli ftrali, in campo tratta,
D’un fol boccivol da’un’a l’altra nodo, )
Da l’ilicfla Natura ad arte fitta. l
Prende il fu j pollo, e ben’accuto, e Ibdo* \
Tu ne feieglie tra molti, e poi l’adatta. !
D’un’anel d’oflo il maggior dito cinge, 1
Indi iiixalce v’appoggia, e Parco llringe»
Stringe col pugno manco il legno torco>
Col dritto a pui poter la corda tira,
L’un piede ind etro , e l’altro innanzi fporto>
Curva gli horaeri alquanto in sù la mira, j
$crra il lume fin’ Uro, e Palerà accorto \
Sù 1 balla aguzza, eli braccio al fegcio gira.
Sbarra alfin l’ateo, e quel caccia lo ftraU,
Ir emoao intorno iJauxcyC^lchkft'l’^*^
XicYé
CANrrO VEMTBSIMO 541
44. Lieve più che lyaleii » fendendo il Cielo,
Loilraluel C?iprio a fcimcclolar fen viene.
Noi Sede già, oc pi^r gli tocca il pelo.
Ma nel canape dà, clie prefo il tiene ,
Viene ne la corda ad. incontrarli il telo,
Efàtrcmar’il cor, gelair le vene
AlaFera, che tenta a’i'u-oi legami
Romper in tutto i gì à sfilati ftami.
4J- Septoniì alhor gl* imbofTolati brevi,
E n’e;jfcpa dao, L* un p r lana , e l’àli ro dopo. '
Frizzardo èl’nn, con le cj^uadrel la lievi
NCp a clvlvvs’ occtù ad. affiroatar lo feopo y
Natio ùc V.arCo, e no^n da pioggie,ò nevi
Rinfiefeato giamal clima Erhiopo, |
là dove d’acque, e d’ombre ognor mendica
Soggiace ai primo Sol Siene aprica.
46- Gotta hà Imbelle , e -tutto ignudo il bullo,.
Sol ciuco ih naexo di 11 Itati Uni.
Tu)ge la chioma arficcia, e 1 pelo adullo'
D’odoriferi unguenti e purpurini.
Tien. di piunae vermiglie il capo onulto^
E di folte facttc impennai crinij
E di coronata di sì flrania creila,
E ’far<etra a ViArcicr la propria tefta,
47- I^’uUii»o*èDardircn,lànel’arena
Nato, ov.e nafee il folitario Oron»e.
La cui ferpentc c fleflhofa vena
Hà ir a’d Libano, e*l auro il primo fonte t
Gar^ojn di crcfpo crin, diaria fere ma.
Di vifo grato, ©41 modella fronte ,
Non.fol finiidlò a guerreggiar con l’arm^
madlto dc’fuonl anco , e de’carmi. *
Dnp
ono
IO ouo
^54t
GLI SPETTACOLI^
48, Duo archl^ un da le corde, un da gli ftrall ,
Ufa,con l’un e l’altro egli ferifce.
Quello ftampa inalcrui piaghe vitali ,
Quello dà morte a chi sfidarlo ardifce
E dc’corpi , e corri hà palme uguali
E la dolcezza a la fierezza unilce.
Sembra di doppio arnefe ornato il collo>
Con la faretra, e conia cetra Apollo.
45>. L’arco guerrier* che l’arma, e per trarerCo'
Da l’homero gli pende al fianco cinto,
E’di tallo cornuto , aliai ben terfo,
Con purpureo carcalfo infieme avinto.
Di vario finalto, e di color diverfo
Si com’ Iride in Ciel,.futtoè dipinto^
Iride sì, però che’n guerra ò in caccia
Sempre pioggia di ftrali altrui minaccia.
50. Con lieto mofmorio , con molte e molte
Voci d’applaufo il nome altier fi lelTe,
Perche lapean le turbe intorno accolte
Quanto in quell’arte il giovane valelTe ,
Sapean, che’l nibbio , e Paghi ron più \ olte
Fè ch’araez’aria in su’l volar cadellei
E c’havria,non che’n Cicl giunto ua’aiigello
Divilò con lo Arale anco un capello.
51. Prende allhor l’arco in man prima Frizzane,
Ch’è fabricaio del più bianco dente,
E da la felva, ond’è crinito, un dardo
Svelle qual più gli par ?.ildo , e pungente.
Il fegno, e’ilìto cll'amina «ol gnar^.
Et al vantaggio fuo volgo, la mente.
E arco in mezo foftien conia finiftra.
Conia deftra U quadrelgUibaiiniaifira.
■ ■ T lacoc-
CANTTO VE TSTT E S imo;
Incoccato cK*ci l*Ha pria che Io fcocchi ,
Pria che’l forbito avorio al larghi, cftenda,
Pigliala mira, ftudia l>en con gli occhi
Dove l’undrlxx.1, e coiiae l'altro fplenda.
LadiftaaxamlCura, acciochc tocchi
In parte l’animal> ch.*eg,li l’offcttda.
L’occhio, libraccio ,Ia manoin unra(Tetta>
L’arco a tempo j la. coitela, c lafaetta,
jj. Tragge ilgomito indietro, e la pennuta'
Verga verlb la poppa accolla inheme.
In tondo il fennicircolo fi muta,
Vautvo ahaicdarfi le dua punte eftreme,. ;
SldlCciavala noce > c l’hafta acuta
Salta e ronxa per l’aria, e fogge c freme.
L’alco il fuo fedo alfin ripiglia, e torna
Già rallentata, a dilatar le corna.
/4- Ch’arreftaffe la Fera alquanto II motoi,
UEthlopieo A-rcier non ben foftenne,
Qnd’ellaalUior, ch’ai fibilar diNoto
Senti del novo ftral batter le penne.
Fatto sforxo maggior, non folo a voto
Fu caggion, che la freccia a cader, venne*
Mafpcxiato il capeftro, ond’era avolca.
Perla piazza faggi libera e fdoka.
j5. Per rabbia, e per dolor la delira fclocca
Si morde 11 Negro, che quel colpo ha fatto.
M.a Dardircn, cheli dardo ha sù la cocca.
Piti nonafpettaafcaricarcil tratto.
Senx’ altro indugio a fe tirando il tocca,
E lafcia andarlo impetuofo e ratto.
Per l'aria , che qual folgore divide,
* Stxifcia lo Arale, c ftrepitofo Aride,
j44 gli 'S e T TT a d o
56. Da l’arco Sorian la Fre.ceia uFcica
fi dalaman, che Vinapeco le *
Vn Ifl Fera trovar- -
^‘iiipeco le diede
Valafcra trovar, che Ihicrottira
Movc,giàrotco il laccio, in fucr^ n ,
E la raggiunge, e di mortai ferEl ^ P»ede,
Per lohancolmiftro il cor j *
FI colpo, onde di fangue il ca^^’
Con lieti gridìi! popofe»
'-compagna.
T-:^ : -11 1- _
' - X — *■*•*»■•
57. Tràiquattroalihor Saettar^--
Chcfurdalcafo a earc^^^fl®
lè Citherea diftrlbair^f’,-,,-
A fuon di vari; bro n:. i V ^
Ma Oardireu de'più fiVr.
Comeil più de» 5 ^
3 OC a la ^ *=*
Ti' * •/!’ n* \ corde T\y^
59. Di rigid odo è il . once
ezzar prima fi , efie pertinace
Quello adoprar £Ìo,°’ preearmal
Di rai materia à lT^\ • P«rch^f„a^
MaieId.fciorcjn^^.‘^^5*ta alTai.
firrorfupur, d*;«v,
^ nolcoH
f CANTO T ENTE S IMO. 54^
10. Sotto bemjno c placido Corri fo
Velando allhoraV tuoi tormenti acerbi
laDeaconlieto emanCixeto vifb.
Rifpofc.a quegli accenti aCpri c iiiperbi.
Ragion’c ben, ebe del mìo Adone uccifo
Memoria ancor tra*'Bar bari fi fcrbl.
E perche videben, cli*invidia Upùnic,
M già promefto dono altron’aggiunfc.
11. Qiefta fottile, & inffcgnora rete 1
Prendi (gli dillè) a pi vi col or contefta.
Poco meji ch’lnvifibllì bà le Tete ,
O^ta Ai acne mon dmil e a q uefta. ..
le fere di x,a\&audcdngorde c liete
Vi corron yolontier pe^
Et,a l’augel, cbé*n s\ od nodi c colto>
Il perder Ubertà uon pc£a molsei*
ft. finito ildardeggiar, C©n oldare npte • >
Chiama \a tronca i al ballo.
Po\ tace, c’I vulgo, che tacer non potè,
làbifeisUando lal Cupn breve intervallo.
ecco akt’armoda l’aria pereote,
Vie plà (bave, cbe*l guerricr metallo»
E D^rdirenira’-inufici,ft*^p*wcnti ^ ^
Canta d tript^o i^o con lieti accenti ^
^5. Follerio Uballaritvfuor del drappello
De gli altri tutti in prova ufei primiero
Sfrenato ftrale» ò fiiggitivo augello
Fora di luì men prefto, e men leggiero.
Qucftl una raa corrente agile e fnello
Panxò con arte tanta c magiftero,
Intraipezata di f aflaggi tali,
Gh*cm pi l’alme.immor^i.^
GLI SPETTÀCOLI,
<4. Ond’un par di còturni in premio ei n’hebl
Barbaramente a la ninfàl guerniti.
Al purpureo corame II maftro accrebbe
Ricchi riccami in bel tramaglio orditi i -
E’n guifa> che ftimar non fi potrebbe, .
Di figura d’argento eran fcolpiti.
Ei donogli a terfilla il giorno ifteflb.
Che’l don pagò con mille baci appreflT® .•
^5. Parta innanzi Alibello, un che c»’ falci
S’arrifcbia a far prodigiofe prove.
Sì ftrani fon, fon sì mortali & alti ,
C’horrore infieme, e meraviglie movc.
Lanciafi in aria, e con tremendi aflalti'
In mille fogge inufitate e nove
Su la punta d’or d’un brando, hor d’una \%ch
Hor la fchicna riverfa, & hor la pancia.
46- Poi di ferro la man, di piombo il pied^
Carco, parteggia Paure, e’I del difeorre,
E per la tefa fune andar fi vede
Qual Dedalo novel, da torre a torre.
Vienfi ^fin con ardir, ch’ogni altro eccede
Col capo in giù precipitofo a porre,
E eon i’eftremo fol , pendente in libra
Softien fefteflb, e fi raggira, e vibra.
47. Il feconda Aquilanio, emulo antico,
De gli altri faltator capo fovrano,
Efecohà Clan neo. Delio, Laurico,
E Garbino, e Celauro, e Floriano.
Tutti congiunti allhor coftor ch’io dico,
Fan di sè l’un sù l’altro un groppo eftrano^.
Et ergendo di membra eccelfe mura.
Fan di corpi tefluti alta ftruttura.
Di max-
’ CANTO I MO.
|I.Dimartoralicbberu.n rara c pregiata
Zanio artlficiofo e peregrino ,
Che oli occhi havea di lucida granata,
Elcianncjciexampc Ka'vea d’or fino,
la cuimorbìda pelle erafodraca
D'unbcl fcrico vello ine re melino >
EconlaccldiCeta intorno {parfi
rotcvaalfiancoappcndcrli, c legarfi.
(?■ L’altro jion mcn leggiadr a , c pretiofa .
Epcr materia infieme, e per lavoro
Confoglie di rubino iiel>l>e unaroia,
itonVp'vue di fmalto, e gambo d oro.
Houotaioanccr poi d’alcunacofa
fù ciaCcua’altro de* compagni lor o.
Sùjsù (Venere diiilc^ lior bafti tanto,
Non fi tolga al mio CelTo il proprio vanto*
70* Setbinfi i cor virili 3. lotte, a gioftre.
Non' s’ufur pi Komai V buoni l*arti donnefchc
Vengano, e feopr au lor leNinfe noftrc
Come fàp piani menar carole, c trefcfip. ,
Mlhor vagbe donzelle in varie moftre
Com parvar con fiorite , e con morefehei
E de la balleria di quelle fchiere
Le Gratie eran macftre, e condottiere.
V’èLindaura gentil , Marpefia bella.
Mirtea vezzofa, e Hlantea gioconda,
Albarofa la bianca, e Fior diftella
La bruna, e col crin d’or Fulvia la blonda.
Ma Lilla, a cui queftabelleiza e quella
Di gran lunga non c pari, ò feconda ,
La pupilla d Aprii fembra tra’fiori,
O’ia lampa maggior tra le minori,
t. Pren.
jXì. .
n«
548 Glf SPETTACOLI,
yt. Prence cotì tanta gratta a danzar Lilla '
Il contrapaffo pria, poi la gagliarda, ^
Che d’amor langue, c^di dolcezzabtilla
Il mifero Filen/mentre la guarda*,
E non folo a le Eanamc, onde sfavilla
L’alto Sol de’begli occhi, è forza ch’arda.
Non fol la bianca man lo lega, e fiede.
Ma trafigger fi fente anco d^ piede.
73 . Bel piè ffeco dìcca) mentre che finge
La danza eflercitar mobile c vaga,
N e le tue rote ì cìrcoli dipinge , '
Dove m’incanta la mia bella- Maga.
Tefl’e mille catene, onde mtftringc.
Et incurva milllarchi, onde m’impiaga.
Quc‘giri, ch’ella in tanti nuodi implica,
Sótt labirinti, ovc’l mio core intrica.
74. O felice il terreo , che vai premendo
Deh perche non pols’io cangiarmi in (aflb?
Se ben, mentre che’n te lo guardo intehdò.
L’anima mi calpefti a cìafcun paflb.
Gimè, lènto il tuo moto, e noi comprendo,
Com’éflcr puoi così veloce, ahllafib?
Sì, sì^ola pur lieve a faettarmi,
Poi c’hai l'ali d’ Amor, come n’hai l'armi.
75. Così de la fua Lilla innamorato
L’afflitto Pefeator tràìb- diceas
Et ellaintanto'havea si ben danzato.
Che l’honor riportò da Citherea.
Dono d’unhel I^avpne ammaeftrato
Tràlcraenfe a fervir le fé la Dea.
Con la coda fapea ne^Soli ardenti
Scopar Ic-mofche, e temperar’! venti
CANTO VENT -ESIMO. s^y
UfcIrClltioPaftor pprcia fv Tcorgc,
ChaballarlaCuaFllUinvita c prega,
filli fua che riero! a alqu.ai\ to lorge,
Pur quel che chiede > a l’arcvator non nega.
Levata in piè , la bella man fi porge,
La bella man,cherincatena e lega
Reverente, c tremante egli la prende,
Efibaciala fua, mentre la {tende.
Tl- Seco al tenor de la maeftra cetra
Pian pian s’aggira pria c’Kabbia a lalciarla,
ludi la lafcla , indi da lei s’arxetra,
Indi rivolto a lei , torna a baciarla;
E cortefe un’Inchino anco niiupctra.
Mentre curva IWlnoccliio ad honorarla.
Stadi laNlnfa ln°mcxo al cerchio immota,
Clitio qual elida, intorno al Sol U rota .
7«. Del’honefto favor fatto orgogliofo.
Poiché chlufa più volte egli ha la volta,
Vaffene in atto grave, e gtatiofo. ^
A reftringer la man, che dianzi ha Iciolta,
Torna feco al paflaggio ayenturofo,
E’n tanto egli le parla, ella 1 alcolta;
E trattenendo in baili accenti il gioco.
Scopre l’un l’altro al fuo celato foco,
7>. La Dea trahendo fuor nobil cicuta: , j
Fatta di fette canne in Siracufa, p
Donolla a Clitio , a la cui voce arguì» .
Ben s’accordb la fua canora Mufa.
GaxaVoquacc, ch’iPaftor faluta,
I Filli hebbe indono, in gabbiacburnea chmU
I Humana, lingua
\ E chiunque epnofee a nome app$lU, ,
jf# GLI SPETTACOLI,
50. Due coppie ancor la Dea volfe, c’haveffc ^
DI Colombe vezzofe a meraviglia, •
E lì feconde, che cialcuiia d’elle
Benquattro volte il niefe impregna, c figlia.:'
L’una è sì bianca che le nevi iftclTe,
L’iftello latte nel candor fomiglia. ^
U altra d’uii vago vezzo il collo ha cinto ^
Di varie macchie à più color dipinto, ^
51. Faunia diCitherca fervalafciva ^
Vien dopo loro ad occupar la lizza, ‘
E come baldanzofa, & attrattiva •
Prende Ardelio per man, che'n piè fi drizza '
Incominciano in prima a fuon di pi va,
Secondo Tufo a carolar di Nizza,
Nizza, che di Provenza il bel paefe
Rende fiipcrbo dclfuo forte arnefe.
8t, Mollèrfi al paro, &amboduo ballando
Vedeanfi a man’a man, fola con folo
Prima a parto veloce in mifurando ^
Con giravolte, c feor ribande il fuolo ,
Pofeia l’un l’altra in sù le braccia alzando
Levarli in aria, e s’ir fenz’ali a volo,
E’npiu fcambietti a l’ultima raccolta
Serrar’il giro-, c terminar la volta.
83. Coli vid’io qualhorai campi aprici
f ervon sù’l fil de la ftagionc adulta
Ne le felvc cola liete e felici
De la famola , e fortunata Augnila
Danzatori leggiadri, c danzatrici
A groppo agroppo in vaga rota angulla
Pender girando a fuon d’arpa canora,
£ di plaufi fellanti empir la Dora.
) cmro VENTESIMO. y;i
<Cf>ynp/fo il primo ballo, ecco s’apprefta <
Ucoppla lieta a variar munanza,
Eprendc ad agitar poco modella
Conmill’atti difFortni o£cen.a danza,
ferali Cozzo inventor , cHc tra noi quella
lawdufle prlmier Barbara uCaiiza,
CMama quello fuo gioco empio c profano
Ssrayanda, c Ciaccona il novo Hifpano.
l' Due caftagnette di foiioro bollo
lienne leman la glovinecca arpica,
Ch’accompagnandoli piè con grada mollo
^^nforte adhor’adhor fcroccar ledita.
^eggeun timpano l’altro, llqud percolfo
Con fonagletti ad atteggiar l’invita}
alternando un bel concetto doppio
^ fuono a tempo accordano lo Icopplo,
• Quanti moti alaCcivla, e quanti gelll
l^fOKocar ponno i più pudici affetti,
Quanto Corromper può gli animi honelli
f^apprefcrttario a gli occhi i vivi oggetti.
Cenni, ebaci difegnahor quella , hor quelli,
Fanno i fianchi ondeggiar, feontrar i petti,
^occhiudon gli occhi , e quali infra fé ftelfi •
|Vengon- danzando a gli ultimi compleffi.
!• Letto era un pregio cfpofto in quelle felle ^ "
Con colonne d’eletto el ette e fine,
C’havéan di Sfinge i piè d’Arpiale tclle, ‘
Lcullodie di porpora, c cortine,
E. vergate per tutto e quelle e quelle
Stano d’oro in triplicate trine,
latto U thalamo ricco c pretiofo
Ala viftaparca più ch’ai ripofo. * '
Ce
I
J5» GLI SPETTACOLI» |
SS. De le danxe sfacciate
Volfe la l,>eaj che per trofeo IcrviUfc j
A le voftrc dolclflimc fatiche j»/t- '
Quefto fia’lpremio, e quello
Qui col mio figlio ignudo entro già PliCHC
La prima notte a le beate riffe.
Qui voi dar fide al gioco, &• al difetto ^
Potrette dei ballar lupplir col letto. '3
8^. Diana, che la guancia hàvea vermiglia t
Quegli aiti abominabili tniramlo. i
B tenea tuttavia chine le ciglia t
Per la vergogna del baiar netandoj • i
Non fu lenta a chiamar la Tua fàitiigna» i
Che venne al cenno deldivin comando, j
B fenza uCcir de l’honeftà devuta i
Va riddon cominciò con nona muta.
90. Lucilia bella, che qual Sole ir ragià ,
Lidia gioliva, che* qual fiamma^sfacc,
Parthonia calia, Gloriano fagglu,
Abfinthia cruda. Antifila fagacc ^
f lorifmeno foliuga,Bgle felvaggia,
Lefbia ritrofa, Theftili fugace.
Amaranta fuperba, Altcria
Danzan tutte raccoltcin unàfchicra.
91. Guidato alquanto infieme il ballo tondo^
Ballar volfcr divife ad una ad una,
E con crror feftevolc c giocondo,
Mà col decoro debito a ciaftuna,
Di quante danze hà più leggiadre il mondo
' Nontralafciato in tal vicende alcuna,
Qual più per arte. ò por-vaghezza ag^ada,
Del vcntaglÌQ, deltoj:chloiB<ic ^ pjjj*
DIflda Dea d’ Amo r : X.’ lio nefto, e’I bene
Del meritato honor non (ì defraude.
Nondeevera virtù , ne fi conviene
Senza premio reftarfi , e Tenza laude.
Vuoili qui dimoftrar, cK’a l’opre ofeene
Venerpuòplù , cK'a le contraaie applaude»
E fattafi recar la ftacna d’oro
Derifteffa Virtù., la donò loro.
9J- Non vuol Febo CotFrlr, che la forella
L’honor del bel ballar Cen porti fola, !
Onde de le Cue M.u.ie il cKoro appella,
E l’aureo pletro accorda a la violla.
Vien’tofto liitcfo il fiioii, la fchiera balla.
A l’armonia dé le divina fcola
Eco’legamlde le bracciaiftelTe
Siranioballecto in vaghi nodi intefle.
H- Sotto la trccciade le braccia alzate
Per filo hor quella, hor quella il capo abbalTa
E torrendo le mani iiinancllate
Altra fen’efca, altra (pcentra c pafla.
Poi ch’ai fin le catene ha rallentate
Eabelliirima filza, il campo lalla,
E follettaaballar reftaindirparcc
Ter licore, che Diva è di queU’arcc. •
,9J- Si ritragge da capo , innanzi falli, '
Piega il ginocchio, e move il piò rpedito,
E ftudiaben come diipenfii patii ,
Mentre del dotto fuon fegue l’iavito
Circonda il campo, c raggirando valli
Eria che proceda a carolar più trito.
Si lieve, che porla, bcu clic pr-^fondci
Prem er fenz’aiftmdar le vie de i*ondc.
roCn- ' A» Slì’l
GLI SPETTACOLI,
55 +
^6. Sù’l vago piè fi libra, e’I vago piede
Movendo a palio mifurato e lento,
Con maeftria, con leggiadria fi vede
Portarla vita in cento gHifeecento,
Hor fi fcoita.hor s'accolta,hor fagge,hor ric-
Hor’amaca, hor’ adeftrainun mométo [dc-
Scorrendoilfuoljfi come iiiol baleno
De l’aria elUva il limpido fercno.
97.E confi deliri e ben compofti moti
Radendo in prima i' pian s’avolgc,& erra
C he non fi sa qual piede in aria roti,
E qual fermo dc'duo tocchi la terra.
Fa Cuoi cord , c (uoi giri hor pieni hor voti.
Quando l’orbe dillorna , e quando il ferra
Con partimentl sì minuti elpelfi,
Che’l Meandro non ha tanti refleflì.
9?. Divide il tempo, e la mlfura eguale.
Et offerva in ogni atto ordine e norma. .
I Scccmdo c’hode Ìl Sonatore, e quale
O grave il fuono, ò concitato e i forma ,
. Tal col piede atteggiando ò fcende, ò Tale,
E va tarda, ò veloce aftarapar l’orma.
Fiamma, & onda fomiglia , c turbo , e bifcia.
Se poggl*> ò cala, ò fi rivolga, ò ftrifeia.
Fan bel concerto l’un’e l’altro fianco
Per le parti di mexo, e per l’cftrcme,
^ Moto il deliro non fa, che fubit’anco ^
Non l’accompagni il Tuo compagno inficni^
Concordi i piè, mentre fi vibra il manco ,
L’altro ancor con la punta il terrcn preme ,
f T empo non batte mai fearfo, ò fovcr chio,
Nd tira a cafo inaUinca> nè cerchio.
Tict
CANTO 'V' EM T E S IMO. ' S5S
too. Tiene ne’paflaggl fu.ol modo cilvcrr*.
Come divcrfo è de’contcnti il cuono.
Tanti nefà per dritto, e per traveiifo.
Quanto lepaufe c le periodi tono.
B tutta pronta ad ubbidire al verfo ,
Chc’l cenno infegua del maeftro fnono,
Hot s’avania,hor s’arretra, hor fmonta, hor
Efemprecon ragion. s’abbaXTa, & alza, [balza
*01- Talhor le fughe arrefta, il corpo pofa.
Indi muta tenore in uii’iftanrc,
E con Geometria meravigliofà
A^pre il comparto de le vaghe piante,
Ondeviene^aftampar sfera ingegnola
E rota a quella del Pavon fembiante,
Tengonoi piè la periferia , e‘J centro,
Quel volteggia di fuor, quello ftà dentro.
SùTfiniftro foftlenfì, c’n forme nove
E’ngil corposi ratto agira intorno.
Che confretta minor fi volge e move
^Ivolubil palco, l’agcvol torno. ,
Con grada poi non piu veduta altrove
gentilmente ,ondc parti, ritorno.
^'erge c fofpeudc , c ribalzando in alto
^ompe l’aria per mezo, c trincia ilfalto.
Il capolnchlna pria chc|n alto làglla.
E gamba a gamba intrcccia& incroeichia)
Da le braccia aiutato il corpo fcaglia,
La pcrlbna ritira, c fi rannicchia.
Poi Cpiccall lancio, c mentre l'aria taglia ,
Due volte con l'un pLd’ahro fi picchia,
E« fa battendo, c ribattendo entrambe
Sollevata dal pian, guizzar le gambe.
Aà I 'Pei
ss^
GLI SPETTACOLI,
IO+. Poi ch’ella è giunta in su quanto piupotc.
Là vedi in giù duTiinuir cadente,
E nel cn .ier si lieve il Cuoi percotc,
Che fcoiìa ò calpefUo non Ce nc fentc,
E’bel veda- con che mirabil rote
Sùlofpatio primer piombi repente
Come p ù ùiclla alfin, che ftrale, ò lampo,
DiCcorra à Calti, e cauriole il campo.
Immobilmente il popolo CoCpefo
Pende da’moti di colei, che balla.
StupiCceogn’un che de le membra il pelo
Eldolla al ciel, qual ripercollb pilla.
Serpa in obliquo, ò vada a palio fteCo,
Opra il tutto con arte, e mai non falla.
Otid’alza un gr'do alfin garrulo e roco.
E’I Sol terminali giorno, & ella il gioco.
106. Bla madre d’ Amor con quelle lodi
De le Corcllc Cue celebra il vanto.
Diveimmortali, Vergini cuilodi
Del pregiato licor del fiume Canto,
Da cui per far’al Tempo eterne frodi,
■ Hanno i miei bianchi augelli apprefo il canto
Qual dono offrir vi può, che vii non na,
OTa sfera, ò la terra, ò l’onda mia?
107. Ecco nove corone. H lette quelle
Sono à fregiar le vollrc chiome bionde*
Pefoben degno di si degne tclle,
Poi che de’deli al numero rifponde.
Soa merlate di gemme, e han contefte
Difmcraldofiniffmio le fronde,
La CUI vcMuf a fi conforma al verde
pc Parbor, che giamai foglia non perde.
Aiot
557
canto VE.1SIT esimo.
A te, che fatto hai cq^uÌ novo Hellcona,
Chiudendo il feftcgglar «iiqucfto giorno ^
Oltre c’havrai de la gentil corona,
Come l’ahre compagne, il crine adorno,
Quello ricco monile ancofi dona
Accerchiar nove volte.il collo intorno,
Aa cui di bel zafir prende un branchigllo ,
Che da l’ifole vien del mar vermiglio.
loj. Màtu, che più d’o^ni altrui diletti.
Onde ftimata tei la piu gentile,
Erato mia , che gli amorofi affetti
Spiegando in do Tee e dilicato flile, ,
Lufinghii cori, intenerirci i petti.
Altro havrai, che corona, c che monile,
Aegna per la tua rara alta eccellenza
D’effer de.la mia rota Intelligenza.
II®. Se nonhò cofa chc’l tuo merto agguagli,
Reflabuon voler pago e ‘contento,! ^
Togli quello fcrittoio, ì cui ferragli,
1 cui foderi fon tutti d^argento.
Tien figurato di fottili intagli
In ciafeun ripofliglio ilfuo flronicnto.
Coltelli, erigile, e con mirabil’arte
Dent’altri ari.efi da vergar le carte.
III. E*di terfo diafpro il bel lavoro
De l’uvna, che rinchioftro in fc ricetta,
Fufo in vece d’inchìoftro, hauvi de l’oro.
Di cui l’arco ha il mio figlio , e la faceta,
Del pili candido C'gno, e più canoro
Penna lo fparge infra mill’altre eletta.
E’I vafel de la polve in grembo tiene
Ricche del Gangee pretiofe arene.
i <*oa
€LI spetttacoli.
Ili. Con quefto a gloria mia vò che tu feriva
Verfi foavi ateneri d’ Amore,
E io quallior sù la Caftalia riva
T’ederciti a cantar con Taltrefuorc
Farò che del tuo ftil la vena viva
Dolcezza aliai de Taltrc habbia maggiore, ^
Dando al tuo canto , accio che piu s’ apprezzi,
T urte le gratie mie, tutti i miei vezzi.
Hj. Laftcllamia, che quando il Sol vienfora
' Uhiu^a cade,e’n ciel forge la prima.
Quella , che (veglia a falutar l’Aurora
Infanti Spirti, & a cantar’in rima,
E più che’n altra, è (olita in quelt’hop
D’alzar l’ingegno, ond’alte cofeefprima,
Vò che col raggio fuo fempre feconda
Furor divino a la tua mente infonda,
3 1 4. Difle, e già fuor dc’tencbrofi horror!
Trahca di vive perle II corno pieno
Cinthia , e fpargea di criftallini albori
Il taciturno e gelido fereao.
Taceano i venti, o lang.uidetdi fiori
Giaceano al’herba genitrice in feno.
Nel fuo placido letto il mar dormiva.
Del cui gran fonnd il fremito s’udiva.
115 . Sor fe V encrc bella, e feco tolti ^
Tra mille lumi i peregrini Dei,
Lor provide d’alloggio, e fur raccolti
Ne l ampia reggia ad albergar con lei.
Sgombra fu la gran piazza, anf orche molti
De’riguardanti e nobili, e plebei
Volfer per non lafciar gli agiati luochi
Al'pettar nel cheatro i novi gWochi.
Già
Canto x esimo. 5^^
ii<- Già lampeggiando 11 del l’Alba rrahea
Da le nubi notturne auree fcìntille,
E colte già dal feminarlo havea
Dcle rugiade mille perle e mille,
Onde con larga mano ella fpargea
Dal vafo d’oro ìnn argentate ftUle,
Innebriando di celefli h<imori
l’avidità, raridità de’fiori.
U7, Quando Ciprigna ad ordinar le coli;
Del di lecondo -oicl del ricco albergo,
E de’ lottanti al vi ncitor proprie
^icro Molofl'ojbran macchiato il tergo,
C’havea di piaftre terfe c lumlnofe
D’acciar dorato intorno un forte ulbergo
E d’un cuoio durillirno ferrato,
Xi^ro di punte d”oro, il collo armato.
118. novo premio, e con la luce nova
Ecco piùd’una tromba ad alta voce
De la lotta cittar s’ode a la, prova,
Et incitarla gioventù feroce.
Subito pretto a comparir lì trova
Ciflb il Thebano, Batto il Cappadocc,
E Clorigi è con effi, e Vigorino, ‘
11 primo è Cireneo, l’altro è Bitiuo.
119. Noto a l’Olimpo Olimpio, & al Citerò
Eucitto , un di Thed'aglia, & un di Ponto,
Brancaforte diTarfo, cBellamoro
Di Babilonia, huom celebrato econto,
E col temuto Organo il ficr Bruuoro
Moftrafi anch’egli apparecchiato e pronto.
E Bronco il forte, e l’anlmofo Hedralto
Efl'er bramano i primi al gran contro,
A a 4i Mà
5^0 GLI SPETTACOLI,
110 . Mà Satirifco entro l’Agone intanto
Salta, & afpira a i preparati premi.
D’unaDriada , e d’un Fauno in Erimail€o
Fù generato di confali femi. •
Non è Satiro in tutto, eccetto quanto
Tengon fol de la capra i piedi eltvemi.
Forma Humana ha nel refto, e di due corna»
Con cui cozza lottando, il capo adorna.^^
Ili- Corteccioallhora,uncontadinpolTentc,
Contro coftui per tenzonar s’è mollo,
A le braccia in Arcadiaufo è fovente
Venir con gli Orli, e n’hà le pelli addoflb.
Ha come gli Orli iftelli , irto e pungente
SiVl petto il pel, grande ogni membro e groffo
B de le piante figlio , e de le felve ,
Commun l’albergo, e’I vitto ha con le belve.
ni. Le fèlve a quefto p^olo, c le piante
(Horribile à contar) fui genitrici,
E crebbe poi , robufta turba errante.
Senza cura di fafee , ò di nutrici. ^
Da novo pie calcata, il fuol tremante
ScolTc la terra infin da le radici,
Quandò da’padri fraflini , e da’faggi
Vide i fanciulli ufeir verdi, e felvaggi,
113. Spaventati. & attoniti ftupito
Quel dì, che prima al del gli occhi levato»
E videro alternar con vario giro
De la notte e del giorno il folco ,e’l chiaro.
Fama è , che lungo tratto il Sol feguiro
Quando ofeurar la fera il dì miraro,
Temendo forte (ahi Cemplici) non loro ,
Involalfe per Tempre i raggi d’oro.
Veder
CANTO ventesimo.
jèi
114* Veder duo lottator tanto eccellenti
Da corpo a corpo a contraftarriduttì.
Fu gran diletto , ond’a mirargli intenti
In piè s’aUaro i circoftanti tutti.
Non ftettcr molto a bada i combattenti,
Ambo del par ne reflercitio inllrutti,
Mà fubìto n’andar fenz’altrò dirli
Impetuofamente ad aflalirfi.
*15' Non da fpiedo , ò da ftral talhor feriti
Duo fier Leoni , ò duo Cinghiali alpeilri
Hifonar d’urli horrendi, e di ruggiti
Fancon canto furor gli antri fil veltri,
Con quanto inficme ad affrontarli arditi
Vennero de la lotta i duo madri ,
Efiftrinfero a un tempo, c d’altri gridi
Rimbombar fcr d’intorno I campi, e i lidi,
ii6. Tra Caldi nodi , c rigide ritorte
Avinchiati così ftetter gran pezza. ^
Poi fi ftaccaro, e con rivolte accorte
Cominci aro a moftrar forza, c dcftrezfza.
Pefante è runj, ma ben gagliardo e forte.
L’altro è ieggicr , ma di minor fortezza.
Pur girandoh ognor, con l’arte attuta,
E con la propria agilità s’aiuta.
*17- Poich* ei più volte ha circondato il piano.
Le gambe a’ larga , e ferma i piedi in terra.
Le fpallc incurva, e l'una e l’altra mano,
Dittende innanzi, accinto a nova guerra.
Con minacciofo fcherno il fier ViDano
Sorride, e contro lui ratto fi ferra ,
.£ con un braccio il più forte che potè
Difovtdl^ collottola il percotc.
óx GLI SPETTACOLI^
u8 . Quafi duro baftone, ò grofla trave
Parve battefl'e al Satiro la fronte,
E ftordito refto dal picchio grave ,
Pur come addoflb gli cadeflh un monte.
Mà fi rifeote intanto, e perche pavé
D’un nemico sì ficr l’offcfe, e Tonte,
Cerca di prevaler fagace e fcaltro.
' Con ftratageroi, e con cautele a Taltro..
U9. Mpftrò fortp dolerli ', e d’haver roteai
La tefta/edicader^uafis’infinfe.
Onde colui per dargli un’altra botta
Scioccamente ridendo, oltre fi fpinfe,
E credendo homai vinta haver la lotta,,
Sènza riguardo alcun feco fi ftinfei
Ma tutto in fe medefmo ei fi,raccoire.
Et afpettar quelTimpeto.non volfe.
130. Mentre Cortcccio con Tardir, c’hà prclb»
Rlfoluto ritorna a la battaglia,
E la feconda volta il braccia ftefo ,
Per di novo ferirlo,, a lui fiXeaglia,
La fronte abbafla,c pria che ThabbiaofFcfo
Gli entra di fotto, e fa che’n vaivi’ ailàglia ,
E dà loco a la fùria, e la ruina
Del colpo irreparabile declina.
131. Schivato il colpo, e col fuo deliro braccio
Prefo de Taverfario il braccio manco,
Quafi legato da tenace laccio,
" GÌieTimprigiona, e Tattrav.erfa al fianco
T enta ben Taltro ufeir di quell’impaccio,
MàperclTè greve, ;e travagliato, e fianco,
Ceder gli è forza>-c nclcolpirea voto
£ tirato a cader dal proprio moto.
CANTO ventesimo.
*|x. Tutto in un tempo el gli paùòsfuggcndo
Sotto Tafcella, e gli s’avinfe al collo,
Econle mani il gran ventre cingendo
Gli falcò sù le terga, e circondollo,
Inguifatai , che’n ginocchion cadendo
Quei venne a terra, c nonpocea dar crollo,
Pur con sì fitto sforzo alfinfi torfe,
Che quali in piedi libero riforfe.
*}5- E con quel dimenar diè sì grand’urto
Aldeltro allalicor, chel'havea cinto,
Ch’a l’impro vifo allhor colto , c di furto,
Pù per cadérne anch’egli , indietro fpinco.
Mà pria cli’apien difciolco , e’n piè rifurco,
FulVe Talcler, già poco mcn che Vinto,
il quafi vincitor de la contefa
N on fu già lento a rattaccar la prefa.
134. Robuftamcnce con le braccia'illega.
Con le corna il ferifee a capo chino,
E’I ginocchio di dietro, ove fi piega.
Batte in un punto col calimi caprino,
E tanca forzi ad atterrarlo impiega
Che Lo coftringe a traboccar fiipino.
Far non potè però, quando Topprefle,
Ch.’ ancor fovr^il caduto ei non cadeflè.^
ìjf. Seco abbracciato, c fortemente ftretto
L’abbattuto Paftor in modo il tene
Ch’addoilb'in venir giùTel traile al pett»|
Onde cadere ad amboduo convenne.
Cadder foffovra, c d'onta, e di difpetto ,
L’un’c l’altro fremendo, in piè rivenne,,
E già moveanfi a più rabbiofe rifiè ,
Mà Cithcrcavi i’intcrpofc, e dille.
5<j4 gli spettacoli,
53^. Non convien, che più oltre hoggi proceda.
Giovani valoroh, il fhrorvoftro,
Nè che cotanto un vano fdegno ecceda*
Balli l’alto valor, che qui s è moftro.
Non vò, cke’l fangue alofcherzar faccedaj.
Non è mortai conflitto il gioco noftro-
Ceflìno l’ire-, ambo egualmente flètè
D.;gni di palma, & egual premio havretc,.
x;7. Habbiafi Satirifco il Can promeflo,
^ Ma non s’oblii de l’altro infieme il merto».
Quel Pardo cacciator gli fia conccllo.
eli è di fpoglia ricchiflima coverto.
piCi voleadir,mà sùquel punto ifteflo
Vide Membronio entrar nel campo aperto?
Membronio il fiero Scitha , huom eh a le
Anima Piramide raflembra. [mem ra
138. f embrafbrtefenfibilce fpirante,
Sembra viva montagna a la ft^tura.^
Non giamai (credoj in alcun fuo Gigante
Tanta mafia di c arne unìN atura.
Del vado capo ale tremende piante
Coddifmifurataèla mifiira.
Che tra gli huoraini grandi è quello iltello,
Ch’è trai virgulti piceiolLil cipreflo.
135. Pien di fuperbo e temerarie orgoglio .
■Quelli nel cniufo cerchio entrato apena
Oeponleveltì, cin un confufoinvoglia ■
luriando le gitta in su l’arena.
Poi quali eccelfo & elevato fcoglio ,
De l’ampie fpalle , e de PimmenCa Ichiena
Scopre gli ccceffi, e di terribil’ombra
Ben piantato nel m«o, il piano ingomma.
CANTO VBNTBSma 5^5
140. Qual Tino Rior de la prigion tenace
LiberOj e’n piè levato a veder fora ,
Se l’augd, cnc famelico e mordace >
Le fue feconde vite ere di vora> ^
Da’iioìirc campi, ove diftefo ei giace i
Sorger gli deffe, c rcfplrar talhora-.
Coiai parca ci^iel moftro borrendo e rio-,
CK’i più temuti a fp aventar ufclo.
141. Con bieco fguardo in prima egli fi vide
Torcerle luci, e follevar laf^cia,
Afpra fe fchcrxa. Se hornda fe ride >
Hor chefia fe s’adira, o m minacciai
Indi con formidabili dìsfide^
Ambe (barrando incontr al Cicl le braccia.
Di tal parole audaci & arroganti
Uorecehie fulminò de gli afcoltanti.
141. Hor venga a noi di quanta gente accoglie
Quefta di lottatori ampia adunanza,
<^al più di palme cupido?, c di fpoglic
In fe bda, e’n fua poflanza. ‘
Vedrem chi tanto infane havra le voglie.
Che di meco pugnar prenda baldanza.
Parlo a chiuque intorno ode il mio grido,.
E qu anti qui nc fon, tanti ne sfido.
14.3. bJeffunrifpondeal’oltraggiofcnote^
Salvo fol di Beotia Un Giovinetto ,
Ch’accende allhor, perche foffrir noi potè*
Di vergogna la guancia, c d’ira il petto,
Incomincia a fcgnargli ambe le gote
Del primo pelo un picciolo fregetto,
Mà folto l’ombra de le fila bionde
' JDl qua di là kzawera i[’^condc ^ \
fCg GLI SPETTACOLI, 1
244, Crindor da L’or dei crine egli liebbe nome 1
Perche sibionde, e molli, e dilicate, ;
E sì crefpe, e sìterfe haveale chiome, i
Ch’auree invero pareano , e non aurate» 1
E qualhor da la forbice (fi come »
Sogliono a chi fi ronde) eran cagliate, 1
Per pofleder sì lucido theforo ?
Le compravan le Donne a pefo d’oror j
145. Senza accorciarla unjuftro hà già nutrita;
Labclla chioma, ond’è dififiifa e lunga,
E non è dì , che culca, e ben forbita, .
De’più pregiati aromati non l’unga. ;
Kaà s'hor avien, che da l’imprefa ardita i
Vincitor'efca, ech’a la patria elgiunga.
Troncar promette in voto I capei cari,
E d’Apollo offerirgli a i facri altari. ^
246.Polchc vede , ch’alcun non ofa ancora
Di contraporfi a quelColoflo immane,
Sfibbiafiil manto, e lenz altra dimora
Scinte le fpoglie, ignudo ivi rimane,
£ del corpo virildimoftra fora
fatezze leggiadre e fovrhuraane,
Onde de l ‘altre membra al vago volto
Quel che i dxapia£codeano,ilpregio hà t»lc#
*47. Sentendo nel bravar, che fa colui,
Publica, e generai l’»:igiuria, e l’onta,
£en che debii diibrzc,incontra’aluÌ
Da la voglia è portato audace « pronti^
Nèfenza tema, e meraviglia altrui
Il coraggiofo giovanel'atooma ,
Ma 1 altro con piè fermo, e fronte olfi:ttra
Minacciando l’afpetca,c nulla iicora.
Se-:
CANTO V-RTST T E SIMO. f6.j
148. Sooxi^Ua là ne lo {leccato Ibero
Tauro, cui gente irrlcatrice efpugna,
C^lhor dal carmeg&ìar fatto più fiero,,
iiede il Cicl con. la &onte, il mol con l’ugna^
La codalnalxa , a\>b>a{là il collo altero,
Sbarrale nari, e sfida i venti a pugna,
E par corto le corna, e torvo i lumi
Quando forge dal letc®,ilRcde’fiumi.
149. E che può folle ardir? che puòj che vale
Contro sì fconcla machina, e sì valla?
Che non c’haver proportione eguale.
Con tutto il petto al capo gli fovrafta?
LafciaEìpur crollar, mcntr’el fallale ,
Sollien gli urti innocenti, e non contrada}
Mà'l tempo attende, e con accorto cìglio
Cerca a la treccia d’or darglidi piglio,
I5G. Lacrecciad’oro, ch’ai foffiar del venta
Volava intorno innanellatae fciolta,
Era molto al garzon d’impcdiraento»
B gli occhi gli copria, tant’era folca.
Ónde il Gigante ala vittoria intento
Hebbe pur d’affetcarla agio una volta.
N e L’aureo crin la fiera man gli defe,
B canto ueilracciò, quanto ne prefe.
1. . Come quando calhora aduto Gatto
Il nemico, che rode, ha ne la branca,
>5 on Cubito l’uccide al primo tratto ,
Idàjquinci e quindi lo raggira c fianca,,
Tinche v^gendol poi mezo disfatto,
E che lo fpu to adhor adhor gli manca*
D*ppo lungo fcherzai pur finalmente
A la zampa lo toglie , e dallo al dente. .
5^8 GLI SPETTACOLI,
r^z. Così Membronio altero é furibondo
Poiché foft'crco ha il bel Cr indoro alquanto^
Con oltraggio crudel per lo crin biondo
Lo {batte a terra, e quivi il lafcia intantoj
E difprezzandoinficme il Cielo, cl monclo-,,
L’infolentc parlar raddoppia, c’I vanto.
Perche foffre (dicea) chi più fiftima.
Che gli tolga un fanciul lalotta prima?
Ijj. Venite voi (ch’io taPhonor non curo J v
■ Voi forti, al braccio mio degna fatica.
Venga ciafcun, che vuol provar, fe duro,
O’molle è il fen de la gran madre antica.
Così dìc’cgli con fembiante ofeuro.
Nè Corimbo foftien, che così dica.
Di Crindoro è compagno, anch’egli Greco>
E di ftretta amiftà legato fcco.
J54* Nacque sùI’Acheloo, famofo fiume.
Che lottò già col domator dc’fortij
Econtan, chel ifteffo humidoNumc
Gl’infcgnò l’arte, e mille tratti accorri,
E del pontar la pratica, c’I coftumc,
E le prefe a cangiar di varie fortij
E di perfona cflendo agile e delira,
Vincitor riufei d’ogni paleftra.
1/5. Spiacque a ciafcun la crudeltà villana
DelBarbaro feroce, e difeortefej
Ma’l fido amico a la caduca cllrana
D ira non men, che di pietà s’accefe. ’
V olgiti (difle) à me BclHa inhumana^
Che dilKonori l’honorate imprefe,
Ed’avilìre, c d’infamar ri gonfi
JL’lioiioy de 1« vittorie, c de’crionft
Ko
\j6, Non fopcibir con vanit a.-s\ {ciocca , ;
Pcrcicmole dime mbra Habt>i cotanta, ’
Chcfcfcmbra il tuo corpo eccelfa rocca.
Eccella rocca ancor s’ abbatte c fchianta.
Speffo da giogo altero alpla^ri trabocca
Tronca da.picciol ferro iirimenfa pianta.
Spedo lo (inifurato angue <l’£gitto
Da mlaiato atòmal cacLc trafitto
ij]. Fdrueelfor del ficr Leon TSI cmeo
V'ièplù forfè di te forte, c membruto,
Por nel tallon.tr afitto alfin. cadco
M morfo Col d’un pefciolin brandita.
fùdit^ucUlf io mi fon, del campo Acheo
forfè minor Vefploratore aftuto,
I Purtolfedifuaman con picciol temo
L’arroganza, c la "vita a P olifèrao.
^ i;8.Conun ghigno frexxante, c pien d’orgoglFov
L’afcolta il grande, e cjual fi fia, noi de^na,
Teco non conia man combatter voglio >
Solo il mio piede a ben lottar infegna
Con un calcio di cjuei, eh aventàr loglio.
Ti manderòdo ve Saturno regnai
E’n tornar giù mi recherai novelle
Di ciò che colafbù fanno le ftellc. •
159. Cosi rifpofe, e così dettò prefe ' ' ’ ' •
Un {Ulto tal, che fé ftupir le genti , "
Ne T Apennin fi forte, ò il Monfanelc
Scodò è talhor da prigionieri venti. " ‘ t
Poi d’un grido si fiero il Ciel offefe.
Che la terra crollò da’fondamenti.
Vacillò la gran piazza, crimbombonne
L’aria, c tremaro intorno archi, c colonne.
Con " 1
m
ffb GLI SPETTACOLI, «
jéo. €on sì fatto romor , cjuand’Hcrcol morfci
Aprì.latrandò Cerbero le golei 3
Con tal rimbombo Giove a punir col^ Ji
Del fier Tiran la temeraria prole. t
E con ftrepito egual Poxzuol fé forfè
lyaltofpavento impallidire il Sole, ii
Allhor ch’a lo fcoppiar de le campagne f
Vomitò fiamme, e partorì montagne. 3
Senz’altro motto, al vantator fuperbo ì
' Il buon Corimbo allhor fi drizza, e tace- i
E d’età verde, e di vigore acerbo, ^
Indomito dì cor, dì ftirto audace, f
T utto callo , tutt’oflo e tutto nerbo, 5
Di polpe afcìutto, e d’animo vivace. t
Quadrato hà il corpo, c fovra i fianchi ftretto 5
Gli homcri larghi, e fpatiofo il petto, ij
Stupir le turbe intorno, a cui non era *
Conta la filma del campion gagliardo.
Quando infpcrato , e folo ufcirdifchic»
L’hebber veduto, c’n lui fifaro il guardo»,
Mà tra color, c’havean notitia intera
Di quel valor, che non fu mai codardo.
Meraviglia non nacque, e lor non nove
L’iifate n’attendcan prodezze e prove.
Del pari Ignuda, e Simulata c punta
Da fprone egual, la fiera coppia arriva,
E poiché già conceffo a prima giunta
Libero ad ambo il campo è da la Diva,
Poic’han la pelle immorbidita & unta
Col licor verde de la molle oliva.
Chinanfiaterr'», econ furore c rabbini-
Fregan le mani insù la fecafabbia.
Q^an-
Quando d’arida polve amli o- pr es’ hanno
^antolor baila ad Inafprar le palme,
Noncosì tofto ad abbracciar lì vanno
Quelle dae fenza pari intf epid’alme.
Mide’colpi, ch’ai naoto accingi ftanno.
Ferme nel fucile ben liV>rate Calme ,
Dacapoapièdacpieftoa e da c[ucl canto
Trattengon gli occhi ^ mifiir arfi alquanto.
Xj- Ufadafcunl’induftria , adopra ogni art*
Per haver ne la luce anco vantaggio,
Bfceglie ilfito, e’n gnila il Sol coni parte,
CHegli occhi offenda a raveriàrioilraggloy
Cercandopur di collocar fi in parte,
Dovenonn’habbiala Tua vifta oltraggio,
E’a SI fatta poftura il 1 urne piglia,
ChegUfiedalefpallc, e non le cìglia.
Volge Membro nlo al fuo nemico il vifb,
Tien curvo il collo, e tien le gambe aperte,'
E’ntanto adavincblarlo a l’iraprovllb ,
Larghe le braccia, & inarcate, & erte.
Corìtnbolnsè raccolto , c’nsù Tavifo
Le raan, gli occhil » e 1^: faccia a lui converte
E indietro col piè, col capo avante
Tenta haver ne la prefa il primo iftante.
1^7* Lanciarfi ambo in un tratto , & ìnveftiti
S’aviticchiar con noderofi groppi
Nè polpo a nuovator tra’ falli liti
Tele mal nodi sì tenaci e doppi,
Come fur quei , che di lor membra orditi.
Tentando infidie. e traverfando intoppi,
Strinfell infieme In cento modi eftrani
Con le braccia, co’piedi, e con le mani.
Premier
GLI SP'EttACÓLT,
VP-
168» Premer petto con petto ambo vedreftì,
E (lineo à (lineo, e fronte a fronte apporli.
Ambo a provaiifFettarfi agili e predi
Sotto i lombi, SII i colli , e dietro a 1 dorfì.
Stan così buono ^atio e quegli e quelli, ^
Pur dilbrìgati alnn vengono a fciorlì,
E con gran giri intorniando il loco
Van quinci e quindi, e fan più largo il gioco.
Torna da cwo ad affrontarli, ci petti
Con^iu ngc inlieme la robuda coppia,
E sì forte gli tien ferrati e llrecti ,
Ch’afferma ognù che già vien meno, e fcoppla
Poi fon pur a lafciarfi alfin coftretti,
Indi pur l’un’e l’altro ancor s’accoppia,
E l’un’e l’altro , mentre hor lafcia, nor pende.
Scambievolmente ognor varia vicende.
170. Come in riva paludre, ò in balza alpina
Quando dal furor d’Euro è combattuta.
Minaccia antica pianta alta ruina.
Accenna arbore ecceLfa alta caduta,
Hor la cima frondofa a terra inchina, /
Hoi ’in alto dal vento è foJdcnuta, ?
E’I moto altero de l'altere fronti ’
Fà (lupire,c tremare i fiumi, e i monti.
171, Così fanno que’duo. Sovente vedi
Mutar fogge d’aflalto hor que Ilo , hor quefto.
Il minor dal màggier talvolta credi
Gii foffbcato, & abbattuto, e pedo.
In un momento poi riforto in piedi
Rincalza l’altro, & a ghernirlo è predo.
Hor refpinge il nemico , hor n’è refpinto.
Ne fi diftingue il vincitor dal vinto.
SÙ
jOìc dita Jc’pvè Corlml>o in alto
»aiL.
talhor, ma no n. gli aririva al mento,
Talhor prende a falcar j ma fcinprc infalto
%o butto SI grande è corco e lento.
Non però fv ritraile dal fiero aflalto,
Nedi forzagli cede, ò d’ardimento.
^ittò raccolta è vie più force, e langue
Troppo allargato in un gran corpo il langue
*13l4embr orno Caldo in mezo al canapo, e dritto
Dicraardiaiaacco, e di difefa ftalii.
IVi C di Ci L i. ^ ^
E cerea ftancUeggi ar 1* e nani i n-vatto,
Clieglivà incorno con veloci pai i,
conni
Miper farglifi egual nel gran <^on{litto
Convien, che’l tSrgo itxcvii: vi, e che s abbjffi.
PenCa dargli di piglio* e I altro» ugge,
©ni'dlbuffa. cbeftemmla, e freme. crugge-
74 Qnal'orbo, ì. cui xanxara intorno è pecchia
Vb/a importuna aA infcftar ^ ^^'a.
Et hoc nel “CotVpun
E pm ntorna, quant e p ^ ^
Tal c^uanto P" “ à la tenton le braccia,
Hor qmnci, ^or q^“^
Daldeftto j indarno ftende,
E le man per pignari'-»
r „fi-rmbo afBitìcati e llanchi,
ÀÒrba-natic fparf. ,
Edi moUe ^ battono ifianchi.
Già con fpe j travagliar più (cariì,
tTv?«a fela, e Jr gll'manclu .
f74 GLI SPETTACOLI.
I7tf. P^irdal’lionorfofplntp, iti diè follie ufi ,
E gli ufati furori in sè raccende»
Mà con le vafticà de’membri iminenfi
Pili che conia poflanzaei lì difende.
Il Greco, c’hà più vigorolìi fenfi.
Più frefco a l’opra, c più vivace intende.
Et ecco già que’nervi intanto adocchia.
Che di dietro incurvar fan le ginocchia*
J77. E perche laflb il vede , e pien d’angofcia
Con ladra gli accenna inver la fpalla.
Minaccia al collo , e in un momento pofcia
S'inchina, mà l’effetto al pender falla.
Che la man troppo breve a l'ampia cofeia»
• Inhumidità dal licor di Palla,
Nonpotendo fermar la palma in elTa,
Lubrica a fdrucciolar vien da fe ftelTa.
178. Ilfuperbo diScithia -, ancorché rotto
Da laltanchezza,allhor punto non tarda*
I villolì da lui si malcondotto,
I Par che di (lizza, c difpecto n’arda.
Sovra andar gli lafcia ,e quali fotto ■
Sci caccia in modo con la man gagliarda,
Ch'a l’ombra del gran fcno,onde il foverchU
Tutto l’afconde, e con le braccia il cerchia.
17P. Cosi chi cerca con occulta mina '
L'oro fcpoltoin fotecrranco fpeco,
Se la rupe fi rompe, e‘n giù mina ,
Si che chiufa la buca, ci retti cieco,
Sotto l’alta pcrcolTa c repentina
Tutti gli ordigni fuoi nè traggo ^cco,
-E pon hncln un punto a l’opra atditfl,
4Ì'iugorda avaritia, dea lavica.
No»
I CAMTO VRN T E SIM0. $7S
S». Non perde il cor Corimbo anzi s’affretta
Incaricarlo, c rlpoCar n.oI laffai
E per ch’aàir’un colpo il tempo afpetta,
I Sotto libraccio ocnaicoil capo abbaifa»
Econpiùd’unafcoira, e d’una Uretra
I Gli elee a le cofte. Indi a le fpallc, e palla.
I Di qua, di là con l’ima e l’altra mano
Gli annoda Ifianclil ,c tenta alzarlo invano.
Più volte a delira manca ilfier Gigante
Spinge c refpinge>.^e con gran forza i tira,
Manon men laido il trova, e men collante.
Che grolla cj^nercia a Zefiro, che fpira.
I iegran gambe ognor, de le gran piante
Si ben fondate tien> mentr’ci 1 aggira,
le Colonne, c le bali in su l’srene.
Che la propria graveztain piedi il tiene,
111. Pur*alfin tutto a la vittoria intefo.
Ratto da faccia a faccia a luis’avcnta,
Indi cjuantuncjuc incolerabil pelo.
Sol levandol da terra, alto il {oftenta,
Quando cofi ne l’aria eì l’hàfofpelo,
Non allarga i legami, c non gli allenta ,
Mà con tutto il vigor de la perfona
Là dove pende piùj più s’abbandona,
183. Sovra l’olio del petto alto levato : -•
Calcollo si, chc’l rcfpirar gli tolle,
Quanto d’impeto liavea, tjuanto da fiato
Ne le membra, e nel cor, tutto raccolfc ,
E piegandolo a forza al manco lato,
Lui da fc fpinfe, e fe da lui difciolfc,
Onde cadendo alfin, con l’ampia fchicn»
XljmciBbrucocampion Itampo l’arena>
Moli
/
GLI SPETTACOLI,
184. Non alcrltnend il generofo Alcide
Quando il Libico Anteo pugnando alTalfe, g,
' Poi che de la cagion chiaro s’avide > -j
Ond*ci più volte al Tuo valor prevalfe,
Tra le braccia polfentl & hoinicide
Stringendo, fcherni l’arti fue falfe, ■
E tanto fpatio lo Tolte nne e relle, j
Che violentia fuor Talmanelpreffe. ^ <
185. Cadde con quel fragor , che fuolc al bado
C ader .fmoflb da l’onde argine, ò ponte,
E parve a punto che fcolTelo il fallo,
Veniffe quafi a dirupare un monte.
T uttì a quella mina, a quel fr acallo
Segno moftrar d’altaletitia in fronte ,
E con grido, e ftupore al rifo mifto
Favorire applaudendo ogn’ un fu vitto.
j
tS6. Mentre intorno ridcala turba pazza ,
Confondendo a l’applaufoaltobifblglio.
Fattoli Citherca venire in piazza
Stranio vafel,, volfe a Corimbo il ciglio.
Tua lia quefta (gli dilTe) in quella tazza^,
Che’n India conquiftò lo Dio vermiglio,
Giove bevea nel tempio già, che pria
Di Ganimede a me nuHebe il Cervia,
I
137. La tazza ha il ventre aliai capace e gra
E (come vedi) di CriftalU alpino.
Sorge vite dal fondo, e da le bande
Le icrpc intorno, c fa corona al vino,
Son di fmeraldo l pampini, che fpande.
L’unc fon di topatio, c di rubino ,
E’aguifa tal, che l’arte aflembra calo ,
li cionco inferioi fà piede al vaCo.
CANTO VENTESIMO.
I7f
In raczo al vafo ricco-c prctiofb
Sd con arte mirabile piantato
UticcCpo intier tic l*arbofccl ramofb.
Che fu già da M.eclu.la inranguinatoj
Onde il dolce licor cl’iin frcico ombrofo
Sparge, nè mea cb’ al labro^a l’occhio è grato,
E incl’ce il rollo al verde , e’nfiemc ferra
Le delitic del mare , e de la terra.
iBj De le gemme, c*hà dentro, il prezzo è H ine-
Sirottiirartiflcio è di queft’opra, [no.
Perche mentre la coppo ha voto il Ceno,
Paiono acerbi i grappoli di fopra^
Ma quando poi comincia ad eller pieno.
Tanto, che’l vino Infin a l’orlo il copra.
S’annegriice U rigor de la verdura.
E diventa l’agrefto vua matura.
190. Cosi dic’ella, e glicl’confcgna c porge ,
E veduto lAembronio a la pianura,
Loqual carco dì polve in pie riforge
Vie più che di fupcrbia, e di bravura.
Perche confa fo il mira, e ben s’accorge-,
Quanto Vaffligga il' duol di Tua feiagura,
Non vuol> clValcunoin sìfeftofo giorno
Di lei fi parta con mcftltia, c feorno.
191, Una gran fiafeaindonoottien da !cl.
Opra ben terfa d’acero tornito,
Che d'un bel chiaro ofeuroìnduo carnei
Per la man del gran GnMo è colorito. ^
In una parte de’celefti Dei
X>ipintoò il lauto c fplendido convito»
Nc l’altra un vendemmia badi Baccanti,
Di felvaggi Sileni, e Coribami.
Y9Ì> Ih £ò
578 GLI SPETTACOLI,
ipr. Sovragiunge CrInJoro, ilqual fi lagna
Del torto ingiufto, e moftra interno afFanno^
Dicendo, che da lui ne la campagna
Fiì per fraude abbattuto, e per inganno*
Graffiali il volto, e di bel pianto it bagna,
E vendica nel crìn Tingiuria e’idanno ,
Et accrefcono gratia ala beltate
Le chiome polverofe , e lacerate. '
Ride Ciprigna, e col bel vel fiottile
Gli aficiugadi fiua man gli occhi piangenti.
Poi d’alabaftro candido, e gentile
là due portar ben grandi urne lucenti,
Glàdi ceneri fiacre antiche pile,
Hor tutte piene d’odorati unguenti.
Queftl licori pretiofi c fini
Servanti (difle) a far più molli i crini. ~
j^4. Dopolc liittefaticofie e fiere
La bellicola Dea prende per mano,
E la vuol fieco giudice a federe
Sovra il gran palco, che comanda al piano.
Poi fra le genti armigere e guerriere
Fa per l’Araldo fiuo gridar lontano,
Che chiunque honor brama , in campo vada
A tirar d’armi, & a giocar difipada.
Per incitar, per allcttar con l’efica
Gli animi forti a la tenzon novella,
E perch’a icori arditi ardir s’accrcfica»
Un dolce premio a conquiftar gli appelU»
Vergine addita lor fiorita c frclca
Nata in Corintho, c fra le belle bella.)
Bianca vie più che tenero liguftrb,
E compito ha di pocoU terzo lui^ro.
579
CANTO VENTESIMO.
Fùbeltà canea a i fianchi di coloro,
Chedeveano armeggiar, ftimulo ardente,
Ter ch’ai valor, che langue alto riftoro
1 traftuUid’Amor recan fovente .
Tofto Brandio comparve, & Armidoro,
L’un detto il feritor, Talcro il valente.
Giuro lo fcarmigliaro, Ormiifto il fiero,
Garinto ilrolTo, e Nloribello il nero.
Taurindoil Mofeo , il Tartaro Briferro,
Arguito il Siro, il Perfian Duarte,
E Giramon, che sì ben gira il ferro,
EFulgimarte, il folgore di Marte
Magabizzo, e Spadocco, un ladro, un fgherro
Ambo hor rivolti a piu lodevol’arte
BeliCardo dal guado, Albindal ponte
Groteier del bofeo. Se Olivan dal monte.
I5»8. Mentre fon quelli in gara, & altri Herol,
Di cui la Miifa mia l’opre non narra,
HefperioIfpanOjdi cui prima, ò poi
Huom più audace nonni, prende , la fraarra
E precorrendo i concorrenti fuol ,
Cacciali il primo entro la chlufa {barra.
Indi la man toccando a la donzella,
Con un forrifo altier così favella.
X 99- farà meco pugnando hoggi collel
D’aUraguerra miglior campo il mio letto.
Non fpetei alcun de la beltà di lei
fin c’havrò quella in man, prender diletto.
Chiunque opporli ardifee a i detti miei,
V enga, e’I vieti, fe può , ch’io cui l’afpctto.
Gli otii più dolci fon dopo i fudari ,
Pria cQnyìcn trattar Tarmi, e poi gliamori.
Sèi. Bard*
j8o
GLI SPETTACOLI,
xO0. Bardo il Tofcano allhora oltre s’avanza,
Sdegnofo, che coftui tanto prefuma,
E dice, Nel parlar tanta arroganza
Làdov’è chi più vai non fi coftuma.
Se foftegno non hai d’altra fperanza ,
Già cerai fconipagnato in fredda piuma.
Il guadagno non va fenza il periglio ,
E’i ver piacer de la fatica è figlio.
lOi. E tuchi fei? (replica l’altrofe donde
Il primo a cercar brighe efeì frà tanti?
Spello quand’altri per rimor s’afeonde,^
Chi di tutti è il peggior fi tragge avanti.
Son chi mi fono , e qual mi fia (rifponde}
Son più di te che siti iVimi e vanti,
E di qualunque al par di te s’apprezza ,
Degno di polTeder quella bellezza.
xo\. Havea per cominciar deporto 11 manto.
Ma trovò, che già preìo era l’arringo ,
E chcl’haveagià prevenuto intanto,
E venia contr’Helperìo , Ugo il Fiammingo.
Per attenderne il fin fitraheda canto,
E vede quefto , c quel cauto c guardingo
Mov'crfi a tempo , e’n vaga pugna e nov2t
VicendevoUindurtrie ufar'a prova.
105. Hor s’inchinano al Cuoi curvati c balli
Hor in men d’uu balen levanfi in alto,
Hor finno innanzi, hor tranno indietro i parti
Hor fon rapidi al giro, hor deftri al falto.
Trattienfi alquanto il Belga, c’n guardia ILafifi
Alfins’arrifchiaa più vicino alTalto .
Fà pur l’iftcflb ilbaldanzofo Ibero ,
Mà volge in fimil’atto altro pcnilero.
CANTO Ventesimo. fH
^®4- Diftringcrfi con luì fi riconfiglia,
Enonpone a l’efFetto altra dimora.
De la fpada nemica il debil piglia,
Sichelasforza a l'carlcar di fora.
Eoi con la fua ravincbia, e l’attortiglia,
Viftaaldifcgno fuo cornmoda l’hora.
Intiual modo io non so , sòj che lontano
elicla fà l'velca alfìn balzar di mano.
105. Ride, & inerme il lafcia , & indifejfà J
L’altier, che’ n fuo valor troppo li fida,
Etafchernir più ch’a tchermire intefo,
VolgefiaBardo, ciò minacciac grida.
Colui corre a Tappelloi e d’ira accefo
Vaflene ad affrontar chi lo disfida,
Lo qual contro li vien per fargli il tratto,
Che dianzi a l’altro aftucameme ha fatto.
lofi. Ma qual d’Hctruria, che’l fuo gioco intede.
Svia conia palma il ferro, é Io ratfina.
Con la manca la delira indi gli prende,
E la guardia gli afferra, c gl’incatena ,
E mentre in guifa il cicn', che non l’offende,
Zaffandogli col piè dietro la fehìena,
Di piatto ancor, quafi a fanciul con verga
Al fuperbo Spagnuol batte le terga.
107. Non ripofa egli già, pòi c’hàdel Tago
L’altero Idalgo humiliato c vinto.
Che di nova fatica è ben prefago,
Vifto Olb rando l’ Infubre a pugna accinto,
Che’l capo ha di gran piume ornato e vago,
E di banda purpurea il petto cinto.
Lairgo fa quefti il gioco, e con bravura
Leggiadra da veder più che fecura.
Con
SH GLI SPETTACOLI,
zo8. Con empie rote intorno a lui palleggia,
. E’I taglio adopra a dritto, & a travcrfo.
Senza intervallo alcun Tempre colpcggiJ^,
E tìen nel colpeggiar modo dIverTo.
L’altro ftà ben coverto, e temporeggia
Col ferro al ferro di lontan converfo,
A Ifin quando a mifura eflcr s’accorge.
Il tempo accoglie , c’n contr’a lui lì porge.
^9- Saggio è chi coglie a tempo il tempo lieve
Clic lieve più che ftral vola, è che vento.
Et è picciolo inftante ottimo breve,
indivifibile momento. . '
ogni altro affare eflcr non deve ^
Altri a pigliarlo neghittofoelento,
Più non la fchcrma e neceflàrio affai, "
Che fe’l lafci fuggir, non torna mai.
xio. Tofto ch’a fennoffiogli apre la porta -
Colui, che di ferir 1 aure fi vanta.
Più nonindugia II Thofeo , e non fbpporta>
Mà la ftoccata fubico gli pianta;
E con impeto tal la punta porta,
E fi lancia ver lui con furia tanta ,
Ch’a cader quafi indietro eil’hà coftretto,
E la 1 pada gli rompe in mezo al petto.
zn. Applaudon-cutti allhor ,ma quando Bardo
' G à nel pugno la palma haver fi ftima.
Di lui fi duol lo fchermidor Lombardo ,
E ceder non gli vuol la fpoglia opima.
Anzi perfidoil chiama, & infingardo ,
Con dir, che ratto H brando havea già prima
Nel all'alto d’Hefperio, e fi querela.
Ch’egli per fraude il vinfe, e per cautela.
E quafi
Ma fc’n
CANTO VENTESIMO. 5*5
lu. La fanciulla per man Bardo tenendo.
Vuol pur, che come fua,gli conceda.
L’altro per l’altra ancor lavien trahendo,
Ciafeun brama per fc la nobil preda.
Ma le due Cee gli acquetano, imponendo,
Clì’ancor da capo à tenzonar fi rìeda,
Et acciochc’l giudicio alfin non erri,
Fanvifitar con diligenza! ferri.
113* Per moftrar meglio il ver, la pugnaaccctta
IlGucrrier d’Arno, ancorché d’ira avampL
Et ecco il ferro allhor con tanta freta
Tornai! Bravo a rotar, ch’eccedei lampi.
Ma giade l’altro il Ciel fà la vendetta, ,
E l cafo vuol, che l’avcrfario inciampi,
Ch’un non sò che gli s’attraverfa al paffo,
^E’I piè gli rnauca, e fdrucciola in un faflb. .
Conia chiave del piè guada e feommeffa
tV-^il-iforge Olbrando da le molli arene,
Dblentc sì, che’n mezo al’iraiftefla
Al nobil vincitor pietà ne viene ,
Loqual cortefemente alui s’apprcfla,
A levarli l’aita, e lofoftiene.
Et obliando le difeordie, e l’otite.
Gli forbifee le vedi, c’I bacia in fronte-
M;. La giovane tra lor già litigata
Redò pur finalmente in fuo potere, ^
E l’altro che pur dianzi haveadracciata.
La traverfa vermiglia in sù’l cadere ,
Un’altra n’ebbe intorno intorno orlata
Di merletti di perle a tré filiere,
Et havea di grottefehe, e di fogliami
(Lavordinobil’ago) ampi riccami.
4 Più
5*4 GLI SPETTACOLI,
xi6. Più che propria virtù , deftin fecondo
Diè quella palm a {ei difl'e) al mio rivale.
Colui, che n’erge in alto, e fpingc al fondo.
Dona fpeflo gli honori a chi men vale.
E l’alto allhor : Più dee pregiarfi al mondo
Favor divin d’ogni valor mortale,
Se le delle mi fer si fortunato,
Dunque ihCiel m’ama, c nc ringratio il fato^.
■%
117. Vener qui s’interpofe, c'fciolfe il nodo.
Con un dolce forrifo a la favella : \
V incad pure in qual fi voglia modo ,
Che la vittoria al fin fù Tempre bella. -
Tronco il filo a la lite, e fiflb il chiodo
Al decreto immortai la t ^ ca più bella, ^
Fè dopo quelli ì duo primier campioni
Contenti ancoreftar con altri doni.
ai8. Ponfi pofeia a mirar Martio , e Guerrino,
L’un de quali è Guafeon, Taltre Normano,
L’un’e l’altro iracondo, e repentino,
Chetolerar, chedcftreggiar non fannow
Efce pria l’Aquitano, indi vicino
Fattoli a l’altro, ove le fraarre Hanno,
Perche vinto d’orgoglèo efler non foffre,
De’duo Itili d’accìar la fcelta gU offre»
119. Eran le fmarreben temprate e dure,
Quantunque oltre il dever lunghe , e fottili.
G^uerrin Ibrridei e dice, Altre armature
Sicoivengon, che quelle a cor virili.
Par mi unl'cherxar da pargoletti , ò pure
On pugnar da gueriler codardi , e vili.^
A dirti il ver, meglio amerei provarmi
Con la fpada di tìi, che conqueft’armi.
^ A chi
■j
I .'Cìnto 3Ve n t e s i mo .
Ho. A chi pace non vuol, guerra non manca
(Marno rifponde) In caixipo ecco mi vedù
Voglimi, ò con la riera, ò con la bianca.
Promto Tempre m’havrai,c^ual più mi chiedi
Non vuol Ciprigna, cKe la coppia franca.
Che già novadistida Kà naefla in piedi,
la fefta fua s\ dilecr oCa e lieta.
Macchi di Canguc, e gllel’conccndce vieta.
M. Grida Guerrino , almen fa che ficn tolti
Da le ponte de’ ferri 1 «duo bottoni.
Nè fien da’colpi eccettuati volti.
Mantenga poi clafcuu le lue ragioni.
Non creder ch’io miglior novella afcolti
Ne men brami di te quel che proponi.
Replica Marno, c freme iratamente.
Onde Vener coftretta, alfin coniente.
ni. Non molto In lungo andò trà loro il gioco
Nè l’un de l’altro Hebbc la man men preila%
Si ferrar tofto InGeme i cor dì foco,
E la mira pigliaro ambo ala tefta.
0 nde l’aflalto lor , che durò poco,
Si terminò con attion fuuefca,
E pallaio, e Gquarclato aTimprovilb
L’un con rocchio fello, l’altro col vilb.
sq. Poi c’hà la Dea non fenia doglia acerba
Vitto il tragico fin dclabateaglia.
In rifanar^i con qualch’util herba
I Prega Apollo à moftrar quant’egli vaglia.
Poi dona à Marcio d’agata fuperba
! Da portar nel eappel , ricca medaglia.
Et a Guerrin d’una fattura eftrana
Per ornarfeae il petto aurea collana,
; Sorga
■MI»
SZ6 GLI spettacoli,
ii4* Sorge Altamondo, un’Aleman merabmtt
Di fupei bla, e di vìn fumante, e caldo,
E non attende, che col Tuono arguto
L’inviti in campo a duellar l’Araldo.
Caricho il Greco è contro lui venuto,,
D ofl'a minor, mabenrobuftoefaldo,
Huom di corpo, di piè, di mano attiva, .
Di fpirio pronto, e di coraggio vivo.. : *
YaflTenc il Greco fenza far parole
Per dargli il primo allhor’allhor di piglio».
Afpcttar, che fi fcaldl egli non vole,
N c filma il dargli tempo utU configlio, .
Che la mina di si greve mole
Teme, e’I reftame oppfeflb ègran periglio*
Onde nel rìpararfi c nel colpire
De l’induftria fi ferve, c de l'ardite.
xié. Nclefue guardie hàdifvantaggio grand
E d’huopo è ben, ch’anch’egli il lenno adopi
Ch’ad ogni moto, che le braccia fpande.
De l’arapo corpo una gran parte feopre,
Ma’l picciolo davante, e da le bande
Facilmente fi ferra, e fi ricopre-
E può meglio cangiar fico, e poftura.
Non havendo à guardar tanta ftatura .
^^7.Mencre i colpi il Germano adombra e fing
Con molti tempi , ed tempo indarno fpendi
L’ultima parte del fuo forte ei fpinge
Si che ne] mezoil debile gli prende.
Gli guadagna la fpada, indi u ftringe
Seco, & adoflo gli fi fcaglia e ftende,.
Nè potcndol ferir di piede fermo;
Con.fugace trapaflo ufà altro fchcrmo*.
S
I aì^TO VBN T E S IMO. 587
ul Sù per la fpaàa, die Giariclio hàftefa,
Quegli aWhor trahe di p u. n c a i nvcr Ja faccia}
Màqutftianch’ei di punta a fargli ofFefa
Sotto Ubracclo tuo dcfiro il ferro caccia,
f pcrnon s’arrifchiar Ceco a laprefa,
Chesà, c’hà maggior forze,e miglior braccia
Senz’altro indugio in un medefmo inftance
Lafctifccneliìanco, e paflìa avance.
U9. rerdarglimtefta, con un|tratto accorta
Dlrivcifo al cavar tira Altamondo}
Màl’akro allhor, che (i ritrova al corto.
Mentre la fpada fi rivolge in tondo.
Subito che dei ferro il giro hà feorto
Sù’l primo quarto, il batte col fecondo,
La mifura gli rompe, e con tré paffi
Cautamente veloce, indietro fallì.
' 130. E perche vede, che 1 nemico a molta
Pofl'anxa accoppia ancorfcaltrito ingegno,
E fe fotto gii va fol’una volta.
Non havrà quella furia alcun ritegno,
Fà cò n la mente in sé tutta raccolta ■
Ricorrendo al’aftutie, altro diffegno.
Et ufa ogni arte, accioche vinta ha
Da la fagacità la gagliardia.
Z3I. Torna-, e di novo ancor gli s’avlcina
Fingendo di tentar nove paffate,
Po^ia con gran preftezza il capo inchina
Tra le cofe di lui, che l’hà {barrate,
E in aria con altiflìma mina
Dopò*l tergo fel gitra a gambe alzate.
Si che de le gran membra il vaftopefo , >
quam’egU è lungo, a tcfta ftefoi
lèb 6 .Venere
-?lVnero
Tctojaucw
j8S GLI SPETTACOLI,
Venere una cintura allhor gU dona.-
C’ ha di fottìi riccamo l guernimcnti,
S fon d’oro le brocche, ond’a la zona.
S’affibian col tirante l perpendentL
B’ITedefco, ch’ai fuol conia perfona
Brutta di polve fparge alti lamenti, ^
Guadagna anch’ei, ben turbato, e trlfto^
Contro l’ebrezza unTndico amethifto.
1^5. Ma già Cencio, e Camilla il vulgo afpett%.
Ogni voce nel circe homai gli chiama,
Tantaè l’opinion di lor concetta.
Che’l popol tutto il paragon nebramav
Coppia quefta di maftri era perfetta,
Emuli d’alta ftima, e di gran fama, ^
Ch’ebber per mille palme infra i migliori
Ne le fcole latine i primi honorL
^34* Nacquero in riva al Tebro, ambo Romani
Ma da’nativi lor patri foggiorni
Per defio di veder paefi ftrani.
Capitati eran qui di pochi giorni.
Già di fpada, e pugnale atman le mani,
D’habito lieve, e ralfettato adorni, ^
E fuccinta hanno a ftudio in sù’l farfetto»
Spoglia di bianco lino intorno al petto*
xjj. Etaccioche de’colpiilfegnorefti
Ne la candida tela, e vi s imprima,
Da l’un canto> e da l’altro c (quegli e qucftS
Tinti han di nero i fèrri in suia cima.
Non fono ad affrettarfi ancor siprefti,.
E non fi ftringon fubito ala primaj
Ma fanno intenti ad ogni moto , a cenno»
Moderator de rardimenro ilfenno.
Tcnw:
aNTO VENTESIMO,
Ttm cuCcan. con 1 n gcgnofc prove
'proprio vantaggio adito e'ftrada.
ConcotdeaV corpo il piò, concorde move
l’occWvoala maivo, 6c ala man la fpada.
Hòr minaccia in ixn loco efach’alcrovc
InaCpectataia per coda cada.
Hor riColuto Vun. l'altro incontrando,
Sottcntrainiicme, e d lottraggc al brandbw.
157. In ambo la racri on s’agguaglia a l’ira,
L’un’c l’altro è del pari agile, e forte.
Quegli talhor’accenna , e talhor tira
Colpi furtivi con infldie accorte}
Quefti girando, al ferro hoftil, che gira
Oppon guardie fagaci, aftute porte .
Se l’un con leggiadria chiama fingendt^
L’altro con maeft ria para ferendo.
i}8. Camillo, ove il paflàggio aperto vede,,
Spinge la fpada per entrare veloce.
Ripara hor quefta, dice, e batte, e ficde
Col piè la terra, e l’aria con la voce.
Mà Cencio con la Tua non gliel’conccdcj,
L’urta in sè’l forte, e la ribatte in crocce
Sovra Telfa la ferma, e da l’impaccio
Ritrahe Cubito poi libero il braccio.
In un tempo niedcfmo il ferro abbaffo.
Dritto al còltaro inver la manca parte,^
E mentre impetuofo andar fi laffa,
Grida : Così s’inganna arte con arte.
L’altro il periglio del fìiror che pafla.
Schiva col fianco e traggefi indilpartci
Et arabo! ferri mentr’un poggia, un cala#.
Scorr oncia van, su’ 1 tergp „e lotto Tala, .
Nòli
590 GLI SPETTACOLI,
140. Non molto ftan , ch’eflendo entrambe i»
Di tornarla le prefe, & a le ftrette [punto
Tiran di punta in un medefmo punto
Si ratti, che dei Ciel fembran faettcy]
E’n quella parte ove l’un coglie apunto’.
L’altro nè più nè men la fpada mette.
A colpir quello e quel và sùle cofee,
Si che vantaggio in lor non lì conofee»
141. La rattaccaCamillo, efi prefenta
Col piè deliro davante ardito e francor
E’n palio naturai vi fi follenta
Di profilo col bullo, e mollra il fianco ,
E con. la fpada, che per dritto aventa,
Stende il braccio migliore, & alza il manco»
Ripara un col pugnai la tella in alto,
£ l’altro il colpo dal nemico allalco.
141. Cencio incontro gli va’, nè fi feompone.
Ma col finillro piede oltre s’avanza.
Nel dritto del diametro fi pone ,
Sì ch’ai circol pcrvien de la dillanza,
£ de la manca fpalla il punto oppone
V erfo la linea hollil.poi £a mut '
E dal confin, che dianzi s’hà prcfcf^*
Di moto traverfalmovc il piè dritto®'^
,a4J. Efcedal primo Circolo-, e và ratto
NeLfccondo de quattro a cangiar po{^
E rimofl'o quel punto, annulla a un
De la linea nemica il fegno oppofló
E con moto minor di quel c’hà fatto
Colui, che di ferirlo cradifpofto,
£ del tutto contrario a l’altrui moto, '
J a che, fc vuol ferir, ferifea a voto*
CANTO VENTESIMO. 5^
»44 0ttcgli allhor piede a p lede inficmeaggiuc»
S’apre ir», palio di forza, e viengliadoflo*
E laikoccata fegaita e la punta
Porta. a <juel Tegnopur, ch’è già rimollo,.
E’nluì, ma cosi fcarfo, il ferro appunta,
Che tocco fi può dir più che percolTo.
Il colpo è si leggier, noce sì poco,
Che tiitian dubbio a chi rimirra il gioco.-
x45* ^^ l*altro a un tempo da la parte averla
Contrapoftod’obliqu.o a laferita,
lafpalla delira inconcr’a sèconverfa
eli, hà di ferma imbroccata apieu colpita.
Ecol pugnale intanto gli attraverfa
La fpada ch’ai tornar relia impedita,
l?oi fi ritira , e con la Tuadiftcla
Ponfi , e col corpo in feor ciò a la difefa.
ni. Qui fè cenno agli AraUi.enon, permifii:
Che l’oftina pugna oltre feguifle .
E la coppia
Che di parM mercè fi
E da Ciprignain premio, eda laBellon»
iolgoifna^iebbc Vun. 1 altro Bifaona.
Ambeluara e fingolar bornie,
E quellae qneftafvincola, e sfcv.Ua ,
591
GLI
PETTACOLTj
148. Intanto 11 Sol s’inchina, c fa pa_ agg
0’HcCperla a vifttar l’cflrcnao lino,
B fianco pcrcgrin, del gvan viaggio
Hivcndo il minor circolo fornico^ ^
Carta c il Giel,l*ot>rainchìo£lro,e pena il
Onde cancella il d\, eh* à già compirò,
E’I fin del lungo corlo a lecere vive
D’oro cclcfte in Occidence fcrivc.
*49
Sparito il Sole, in apparir le fielle:
Voto Turco di genti il canapo reità.
Chìfotto le firondofe c verdi ombrelle'
ValVenc ad alloggiar ne la fòrelta^
Chi del Palagio in queltc ltanze,e’n quelle,-
^ in quella cala, c’n quoltai
Altri giace in campagna , c’I giorno accende
Trà pergolati, c padiglioni, c cende.
*50. Mà già traheaad Gange i biondi crini
Apollo i Aioi dorati alberghi,
Bratto fuor de gl*Indici confini
Aivolanti corfier sferzava i terghi
Per venirli a
Tu«odYsdr?“^!^--^
Giàs Aa turb^al n, CavalierC
Già fi vci gon pafiàr 0^^^"
Errar cavalli a mano Scudieri,
eoa livree, con ^re» ’ ' «rr’in volta
E portar quinci e ouT^t* ® cimieri,
n. Alentxte
59Ì
CANTO VBNT ESIMO.
iji- Mentre che del pae£e> e di "ventura
Molta cavalleria concorre al gioco,
Sì che de lalarKltlUìma pianura
aongia pieni i cantoni a poco a poco.
De la Quintana efpcrti Fabcl hancura,
E di piantarla In opportuno locoj
E proprio In sùla Ibarra appo la lizza
Nel mezo de VjZ tela ella ^ drixza.
15J. Stà coverto di ferro un’huom di Ic^no
Con lo feudo In bracclaco, e Telmo chiufo»
Ch’cfpollo al colpi altrui berMioefegno^
Termina llbufto in un volubilmfo,
E s’affigc ala bafe, egli è foftegno
forato ceppo, e ben fondato ingiufo,
Sovra cui, «quando avieri, ch’altri il perca
Agevolmente fi raggira c rota.
154. Tré catene bàia delira e tyiindiàvintò
DI tré globi di piombo il pefo pende.
Sì che qualbor all manco braccio è fpinto,
L!alcre con effe fi rivolge e ftende,
Pur come voglia, a le vendette accinto ,
Caftlgar cbl FaAUfce, e chiTcfFendci
No sì cauto effer può , nè gir si fciolto.
Che sùT tergo 11 guerriernonnefia colto.’
Ite. Un plller di diafpro Interra fitto
Svila porta à l’entrar de lo ftcccato
In eran lamina d’or regge uno fcritto
A note di rubln tutto vergato.
Qui de la gloftra il generale editto.
Che dlan-z-l a fuon di trombe è publicato,
r>i quanto In ella adoperar conviene
I-c leggi per capitoli contiene.
Bella
gli spettacoli,
t^6. Bella è la vifta a meraviglia c lieta.
Varia lagentCjè l’habito diverfo.
Chi fcopre nel veftir gioia fecreta,
Chi tacendo fi duold’Amor perfo.^
Chi cifra hà d'or sù l’armi ,e chi di feta.
Altri in profa alcun breve , e d’altri in verto.
Clafcunoò nel colore , ò nel’imprefa
A l’amata bellezza il cor palefa.
157 . Sidonio in campo è i l primo a comparir^
Sidonio dico, il genero d’ Argene,
L’accorto Amante, il cui felice ardire •
Meritò d’ottener l’amato bene.
Ma mentre tutto intento a ben ferire
Già con la lancia in punto oltre ne viene,
Dala fua Donna, ch’è sCi’l palco alfifa.
Con altr’armi è ferito, e d’altra guifa.
zfS. Quarteggjatc d’argento .armi azurrinc .a
Son le divife fue pompofe e belle.
Di zaffir tempeftate, e di turchine.
Fatte a fembìanza d’onde, e di procelle.
Tra cui comparfe fon d’acque marine , ^
E di brilli cileftri alquante ftelle,^ ^
Che fiinno al Sol, fi com’a i lampi il Butto
Balenar, tremolar l’arnefe tutto.
La lorica è d’argento , adorna e ricca
De le più belle pietre di Levante,
Con fibbie d’or fi ferra, e fi conficca
Con chiodetti pur d oro, e di diamante
Bandato vien d’una «erulea ftricca ,
Con bei fiocchi di feta in giu cafcantcj
E del color medefmo al deliro braccio
Tien di biondi capei trecciato un laccio.
Perche
CANTO VEISITESIMO
5^
<0. Perche Dorifbc axu.rra\ira la verte,
Verte anch’egli l’axurrQ> e l’ula, e Tama,
El’auree fila in c^ucl corion contcrte,
Sonde le chiome pur <lc la fiia Dama.
Con piarne d’or <^uel fariciullin celcrtc,
Quel nudo Arder , eh’ An.i.ore ilmondochia-
Sovra la rota di Fortuna alliCo^ [ma
Porta ne rduio, e n.e lo feudo inciio.
iJi. Bice per forte a tutti gli altri avanti >
E’I primo loco ad occupar fi move.^
Tre volte correr fol lice a’gioftranti
Per leegre de la I>ea figlia di Giove. ^
Soriano hà un corficr, che i primi vanu ^
Riportò de la gioftram cento prove,
E sii chiede co-vingW. accinto alcotfo,
Al fuo Signor laUbcrra dclmorfo.
Ki. Erbaio, edi fattexxeaflalben6e^. .•
Gra(^o petco.ampia groppa, elargo fianco.
Spedo col piè fonoro il terreo batte,
Mora col deft co il xappa. bora col manco.
Quafi notturno Clel folco di latte,
5i divide la fronte un fregio bianco.
Brune hà gambe ginocchia , ebnme chiome
Duo pièbllxani. eBaUanellohanome.
t<J. Di pace impatiente.e di dimora.
Sente l’odor do la ^
?:nt:i a°dh:^odhor gonfia, cdiacrra.
Tutto, fpumofo il ricco fren divora.
Drixxa il collo, erge il crin, gratta la terra.
« /-Vie tré volte ode la tromba.
Par frflo, che volando efeadiftomba.
1
S9^ GLI SPETTACOLI,
a(?4. Gli ftrlnge i fianchi, c l’una c l'altra coila ■
Con ftimuli d’or punge , c ripunge,
E di la dove a punto il colpo apporta,
V à per dritto a ferir non molto lungc. ^
Il buon deftrier, ch’ai termine s’accorta, ' ‘
Para in tré falti, quando al fin vi giunge, ‘ ’
Al mormorio de l’ottemita laude i
Con la tert alta, e col nitrito applaude* I
Trà'i fegoo infcrior, ch’è ne la'gola,
E’I fecondo di mezo il tronco e fpezza,
E ben chel pregio è d’una botta fola, i
V encr, che molto il fuo fedele apprezza.
Col dono avantagglato il riconfola
D’un fornimento pien d’alta richezzaj *
Guernigion da deftrier fuperba e bella
Con temerà, e groppiera, e fafcia,e fella.
aip. Aduifuccede un Saracin di Tarlo, ^
Che la corazza, e la di vifa e nera,
E diferpi d’argento il campo fparfo
De la cotta, che l’arma a la leggiera.
Con l’afta in pugno, è ne l’agon comparii^
Che pur di negro in cimahà la bandiera.
. S u’I finiftro galon curva la ftorta,
E’I turcafl'o con Parco al tergo porta.
i6j. Pafiato un cor d’acuto ftrale e crudo
Ha per cimier la cappellina bruna.
Di gran foglie d’acciar fafeiato feudo,
Scudo a fembianza di non piena Luna,
Cppre fenza bracciale il brado ignudo.
Nè color v’hà, nè v’hà pittura deuna,
^Ighe di bianco, e dice *, O morte,
(L’anima fenza corpo) ò miglior forte.
CANTO VEiNX ESIMO.
Havcaper la bellUHma. Adamanta,
Figlia del Rè a* Arabia il cor feritoia
Era pelò da la vczro£aln£anta
Ogni rcrvieio fuo poco gradi co j
Eben die roflc in lui pro<iex:za quanta
Hluftrarpoffa altrui, languiafchernico *
Perche meato havea ralo, hirfuco labro,
Yifo pallido. Ut un, rugofo, c fcabro.
ih Tofto riconofeiuto a la coverta
De l’armi fò, com’Kuom £amofo c chiaro.
Veggendol poi con la baviera aperta ,
Le cutbe incorno un. lieto grido alzar o.-
Ecco Alabrun, che* n ogni colpo accerta,
Alabrun da la lancia, U campion raro.
Senza dublo egli è dello. Havrà tra poco
Termlu la fefta, e li vedrà bel gioco.
170* Vien portato coftui da un fuo Stornello
Rapido si, che fe’n campagna il vedi
Formar volte e rivolte, agile augello,
Mobil paleo, volubil fiamma il credi.
E fe’n mga ne va Tpedito e fnello ,
Par le procelle a punto habbia ne’piedi.
Vergano a bruno , c picn d’alto aidimentOf
Vola non. corre, c aomehà Pdfavento,
Sovente crin Col leva, erge la tefta, r
E picchia il fuol con la ferrata zampa,
Calza nel corfo l’hcrba, c non la pcfta,
Preme col piè l’arena, c non la ftampa
Soffia boriando , c’n quella parte e’n quella
Sempre fi volge, c d'alto incendio avampa,
Chiude, nè trova al fuo furor mai loco ,
Sotto II cenerdel manto alma di foco.
Conili.
08 GLI SPETTACOLI,
2,72,. Contan, che de l’Arabica pendice
Mentre pafee a l’armcnco i riva al’acque»
Pien dì quella inconftanza, imitatrice
Del mar vicino, in su gli feogU nacque.
Nettunprimler domo Ilo, anzi (1 dice ,
Che talhor di montarlo ei fi. compiacque.
Quel veloce il portava, e vie più. lenti
Ne venian dietro ad emularlo i venti,
K
i7j.Pungendo ei dunque a quel deftrier lapacia,
^E’sì rapace, e violento il moto,
'ch’agio no hi d’arreftar pur la lancia.
Perde l’incontro, e fa t’arringo in voto.
Onde infiammato di roflor la guancia
Ritorna a fpron battuto, e briglia fciolta
A ferrarlo nel corfo un’altra volta.
174. Vana ancora è la botta, & è tra via
Dal foverchio furor difperfa e cruafta.
Che pria che giunto a la Sorti ce cilia.
Per feftefl’a in andar fi rompe l’afta.
Ancor tu contro me Fortuna ria
(DUTe) congiuri? Amor Colo non bafta»
Vtnea il mio Farfallino, e dai fetgenti
Gli a innanzi «eaco a i primi accenti .
i7j. Quefto de l’altro è men carnofo e grandi
Sttettodi ventre, c corto digiunture.
£*del color de l uve, c de le ghiande
Quandoin piena ftagioB fon ben mature.
Biondi, «juafi Leone, e velli fpande.
Evinci vermlgiie, c gambi ofeure.
Membra fvcgliatc ad oìsrI ^
RaWean nef,
CAN'
^99
CANTO VENTESIMO.
C^Lagucrnlturaè candida, e morella
Coabei puntali di lucente fmalco,
Mà di lame acciai* ine arma la fella
Ben ferme e forti ad ogni duro adatto,
Selva difolte piume ombrofae bella
Gl’imbofca il capo, e fi rincrefpà in alto,
^medefrao ei vagheggia. &orgogliofo
ncebi fregi Tuo, non ha ripofo.
il Moro , e de l’error commedb
Tutto ftizzofo, un’altra landa tolfe,
E di meglio colpir fermo in fé ftdTo,
Contra ilFacchin le redine gli fciolfej
^ n fin’al pugno alfin la ruppe in elfo,
E tra’il vifale, e lamafcella il colfcj
E fc non che ftrifciò rafehiando il fogno,
I^cl primo pregio il colpo era ben degno.
17B. Pur da labellaGiudice, chcl gefti
Stava a notar de’gioftiator baroni.
Per compartir conformi a quegli , c quelli
Gli honori a l'opre, a le fatiche i doni.
In pegno di conforto a i penfier meill
Un paio riportò di ricchi fproni.
Che di fin’or le fibbie, c ie girelle ,
E d’aguzzi diamanti havean le ftcllc.
^79. Jloridauro, e Rofano eran* due pegni,
D Una portata infieme al mondo nati°
E pargoletti hereditaro i regni
Cc’Cafpi alpeftri, c de Rifei gelati.
r'L di duo fervi indegni,
Che già dal morto Rè furo eflaltati.
A tradiglon del regio fccctro privi
N’andaro orfani via tcmpoi % fuggitivi.
Crcfcìjttto
6om-
G L f S P E T T A C O L ti
iSo.Crefciutein. forze, e pervenuti t
Mollerò Tarmi intrepidi guerrieri»
E vendicato i ricevuti danni,
E raquiftaro gli ufiir pati imperi-
Horgià vinti, Scuccìfi iduoTiranm,
Quàncvcniasio i giovinetti alteri,
E del color de l’ herbe,* e de le foglie
SparCe di Soli d*oro, havean le Tpoglie»
zSi. L’oro forbito in sù Tarnefe verde
Incorai guiCa folgora- e rifplendc
Che la villa abbai* dagl ia, e la dirperdc-
E’Ifinto'Sol col vero Sol contende,
E contendendo alparagon non perde.
Che fe raggi ne trahe, lampi gli rende-
Ambo egualmente di due belle iiTiprefc
Fanno a Telmo ornamento, al prefe-
181. Ne Tana è un Sole , a cui velar la luce
Tenta vii nube, e ricoprir la faccia.
Ingrata al genitor, che lo produce.
Dice il cordo Ilo, che lo feudo abbraccia»
Nc l'altra il SoTifteffb anco riluce,
CKc'l malnato vapor diffrugge e ftraccia#
Ediceilmotto in Cù la targa al tergo»
Io che'cn alto la traili, io la difpergo»
1,85* Cavalcaquci di placida andatura
Dcftrlcr gentili che nc l* andar pa.legsl<^*
TranncU ciglio, eT calcagno. In cuil^lacura
Sparfe alquanto di bmn , tutto blanchcggU»
il cigno lm«no,c la Colomba Imputa
Nc la camcic del bel pc l paressia ^
Sembu.l'aBd.r.si vago è cju^ civalto,
Siofaiopnflcgglo, d doozcUctta In ballo.
Nacque
j CANTO .VENTESIMO. ^oi
Nacque di padre Xhrecc,^ madre Armena
Nc’ monti là, dov’AqirilQnc alberga,
NominolTi ArmcUmo ,e l’ampia Ichlena
Un profondo canal gli riga e verga.
B ìraorde U mor foi <^e con or l’aiFrena,
E fi lafcia con man palpar le te^a.
Sbavan le labra , e con lafciva sferza
Laluflurla del crin sù’l collo fcherza.
i8j. Picca quefV altro un Barbaro veloce ,
Ch’egualquafi al pcnficro il corfo ftende.
De lo fpron, de la verga, e de la voce
Pria che fenta il comando, il cenno intende.
Fierezza vaga, c leggiadria feroce,
Hiimile al morfo alteramente il rende-
Sterilper arte, e meglio aflài per quello
Fatto ìnhabil maritò, habile al refto.
i86. Chiamali il Turco , e de la furia lieve.
Direfti, e che de Pimpeto fia figlio ,
Lungo, c fottìi la gamba , afeiutto e breve
li-capo, alto la fronte, altero il ciglio. ,
JDi tutto il corpo, ch’c di bianca neve,
L’eftremo della coda hà fol vermiglio.
Picchiato a fchizzi , e di macchiette fofche
Puntellato il mantel, come di mofehe.
tS7- Corfero alternamente, e pria Rofano
. Ben due volte colpi ne la gorgiera.
Corfe la terza poi, ma corfe in vano»
Che la (barra toccò nc la carriera.
Non fé nie^lìo di lui l’altro germanoj
Che due volte tornò con l’hafta intera»
Fallò duo colpi ,&alatcrzabotta
Già fé danno maggior Phavcrl a retta.
' r#/. il. Ce
^0%
gli spe tt acoli,
x88. Mentre che’n ceiito pezzi a la goletta
La rupe con la man pollente e franca.
Una fcaglia volò, come faceta ,
E ficonfille al corridor ne l’anca;
Ond’a contaminar la neve fchietta
Dì quella fpoglia immacolata e bianca
Videli tofto un vermiglictto rivo
Per la piaga fpiccar di fanguc vivo.
189. Di quel cafo pietofa , c dì quel fanguc
Venere il tutto ad ofTervare intenta,
Al primo un bel cimiero in foggia d’angue
Eabricato di gemme, in don prelenta;
A l’altro in vece del deftriero eflànguc
Di pel fimile a l’ambra una giumenta.
Che già di poco ingravidata, il feno
Di parto ancor non ben maturo ha pieno.
1^0. Specchio, e corona de le Frigie Italie ,
Figlia di bella, e generofa madre ,
E de le più magnanime cavalle
Scelta per la miglior fra cento fquadrc ;
Nel petto, ne le groppe, e ne le Ipallc
Pomellata è di macchie afl'ai leggiadre»
Da la vivacità, che’n lei sfavilla,
Il nome tolfe, e s’appellò Favilla.
i^i.Sc^ue M6tauro,huomben corputoegrofl#
Da tei feudieri accompagnato e cinto.
Con l’iftefla livrea, ch’ei porta addoffo ,
Stellata d’oro in un roflbr mal tinto.
Lo feudo alticr, che fimilmente è rolTo,
Tien del gran Giove il fulmine dipinto»
Di corona reai, tutta cornetta
pi gemme c d’or, cerchiato ha l’elmo m tetta
1 CANTO
VENTESIMO.
Ji. E ne la fommità del morione
Parfifchijc fpiri fuor fiamma vivace,
E fpega l'ali, &. apre un fier Dragone
De l’ampia gola il baratro vorace.
Saginato , eiroflìgno ha un fuo ronzone,
Ch’ala grandezza Tua ben fi conface
Nacc^ue in India sù’i Gange, & è cornuto,
E’I corno è lungo, e più che lancia acuto.
IJ- Pende un fiocco di perle al corno in punta
Di perle de le noci afl'ai maggiori.
Porpora con argento in un congiunta
D’un fovrariccio d’or broccata a fiori.
Che de l’eftremo margine trapunta
Di bei fregi hà lafafcia, e di lavori.
Tutto il fuperbiffimo Alicorno
Tien dal capo al callon bardato intorno.
•+. Gonfio di gloria, e di fuperbia pazza
In fé ftefl'o il Guerrier fi pavoneggia,
E quantunque fia folo in sì gran piazza.
Tutta ei folo l’occupa, e fignoreggia i
E ben che forte, e di feroce razza ,
L'animal, che cavalca, c che maneggia,
Sot to il pefo , che porta in sù la fchieua ,
Ficca un braccio le braccia entro l'arena.
'5- E’RèdiRhodo. il regno, a cui comanda.
Con Cipro in sù i confini c fempre in guerra
Queftiin atto fpezzante allhor dabanda
Per gioftrar sù le molTe un tronco afferra.
Ma l’Araldo ne vien, che gli dimanda
Chi fiafi, c di qual gente, e di qual terrai
Rifponde il fier, colmo d’orgoglio , e fdegno
Chi’l Sol AonYcde,ède laluce indegno.
Ce t Sole
Sole c il mio nome, c non è loco alcuno»
Dove chiaro nonfìa, nè più dirotti,
Ch’ell'crben devria qui noto à ciafcuno
Il temuto flagel de’Cipriotci..
Ciò.bafti, c balli fol,. ch'io mi fon’uno,
Ufo a far moiri farci, e pochi mocci.
Non bada a far, ciò detto, altro difcor£b.
La lancia impugna, e s’apparecchia al corlb.
287. L’orecchie a pena il primo fuon gli fiedc
Deltortuofo incicator metallo ,
Che diip.icca un gran crocco , e ne fuccede
L’ctfccco mal, ben c’habbia fcufa il fallo.
Slniftrando il dellrier dal deliro piede,
Cadder curri in un fifcio huomo,c cavallo.
Quel fuo dal corno è poderofo e grave »
E del meftier la pratica non have.
288. Levali in fretta da l’immonda Labbia
Tra (e fremendo irato e furibondo}
E perche quando colpa egli non v’habbla.
Chi mancaal primo arringo, efce al fecondo
Rimonta arfo di fcorno, ebrodi rabbia
In un’altro collier membruto e tondo.
Di non minor pollanza, e gagliardia ,
Che la Dea de gli Amori in don grìnvia.
189, D un Alfana di Scichia, ed’un Centauro
Là nel freddo Pangco fu generato.
1 1 fuo pelame è del color de l’auro.
Il fao nome per > ezzo è lo Sfacciato ,
Perche fol ne la faccia ( il fello c lauro)
D una gran pezza bianca ei va Legnato
Di quatto gambe parimente è Ibdzo,
E camiiia (aitandola balzo a balzo*
Foci»
CANTO VEN T E SIMO.
J6®. PocomlffUor del primo il fecond’atto
5cgui, perche dal fc^no ancor lontano,
lofconcerto, c’idilordìn fCi sì fatto.
Che fi lafciò la lancia nCcir di mano.
Pur la ripiglia, c ftudia il terzo tratto
Per far buon corfo, c non Ferire in vano
Nè dando loco altrui d’entrar’in campo.
Con l’incontro emendar cerca Tinciampa.
jei.L© feudo del FaccKin nel mezo imbrocca,'
Che la feorzakà d’acciar lubrica e lifeia.
Onde vien l’hafta in giù tofto che’l tocca,
Di f'Thembo a fdracciolar con lunga ftrifcla.
Girati il torno, e la catena fcocca.
Che s’ode allhor fifchiar, com’una b ifeia,
Enel paffar con le piombate palle
là lun^e al Cavaller fonar le fpalle.
jot. Qual robnfto caftagno, ò pino alpino
Del celeftc Centauro a i primi orgogli,^
5’avlen, che del bel verde Oftro, o Garbino
La folta chioma, e le gr^n braccia fpogli ,
O’clVa buffe ne feota il contadino
Gl’hiiTutl ricci, e i noderofi fcogli,
Fulmlnà al piano i frutti fuoi fonori.
De le m«nfe brumali ultimi honori.
303. Tal quella mobil machina, che prefta
In sè medefma hraggira e libra,
Faccende allhor fioccar farpratempefla,
11 braccio move, e le catene vibra,
E*n tal guifa al Guerrlcr la fchiena pefta,
Cb’ ogni nervo p;li dole, & ognifibra.
Batte le palme il vulgo, e fifehia, e grida,
.Non è vecchio, òfanciul,che nonne rida
' - Cc 5j Tot-
Zo6 GLI SPETTACOLI,
J04. Tornare i primi a replicar l’antennc ,
Tal n’hebbe honor , che fu biafmato avantcj
E fpeflòll piombo incatenato venne
A (caricarla grandine pefante.
Così la piazza un pezzo lì trattenne
Con gran piacer del popol circoftante j
E cialcun tanto quanto, il vile, e’I prode
N’hebbe, chi più, chimeno,b premio,© lode.
305. Vedegirando poi Vener le ciglia
A coppia a coppia entrar ne la barriera
Di diciotto Guerrier nobil quadriglia^
A i fembianti, & a gli habiti itranieraj^
L’armatura cialcun porta vermiglia.
Salvo colui, che capo è de la (chicrai
E con tal gratia, e maeftà cavalca ,
Che’l palio volontler gli apre la calca.
306. Onde ala làggia Dea de la civetta *
Stupida inatto fi rivolge, e parla.
Che fquadra è quella , che rrà l’altra eletta,
Trahe tutti gli occhi intenti a vagk^ggiarla?
^ E vien con si beU’ordinc riftretta,
Ch’io per me non faprei, fé non lodarla ì
Così dice la Dea na ta da fonde ,
Eia Vergili del Cicl cosi rifponde.
307. AlatuiTlietièbenraglon ,che porti
olio dì fortunato obligo eterno.
Perche mentre pur dianzi i Guerrier forti
"• Prcndendoin picciol légno! flutti a fcherno,
TraCcorreono ifentier torbidi e torti
De rdemento a lei dato in governo
Per honorar la tua famofa fella
L’acque turbò con Cubica teinpella. ^
* Onde
CANTO VET4 T ESIMO. ^07
pS. Onde il drappello ave nturler, ch’errante
Altre imprefe cercando In A(ì a giva.
Stanco dal mareggiar, fermò le piante
In quell’ amena e diletcofa riva.
Hor qui finche s’ ac eque ti 11 mar fonante
Vien per provarli a la r cnxon fcftiva,
Peregrin di collume, e d’idlonia,
E v’è dentro raccolto il fior <li Roma.
509. Chiamala ognun la compagnia del foco.
Perche qual foco, dllfip^. e confuma.
Non trova al fuo valor riparo ò loco,
Arde per tutto, e tutto il mondo alluma.’
Ciafeun deftrlero In vep pugna, ò in gioco
I^itrè penne Canguigneil capo impiumai
Gli elmi, e Var mi fiano eguali,e quelli e quelle
Pian per fregi, c crrriicr fiamme, c fiammelle.
)it>. Tutto, del pari a la medefma guifa
L’inclito ftuol di porporadguermto.
Se non quanto diverm è ladiyifa.
Di cui ciafeun lo feudo ha colorito.
Solo colui (meco lo fguardo alTifa
A quel primier, ch’ioti di mollroaditD)
Come dituttilor fuprema feorta ,
Differente dagli altri il veftir porta.
311. Que«yli è Michel, che quali eccelfoDuce
Vien de la truppa, c condoctier fovrano,
Pompa, gloria, delitia, unica luce)
De facri colli, e de i’honor Romano-,
Scelto fu dagli Heroi, ch’egli conduce.
Dì confenfocommunper Capitano.
Ecco la {barra d’oftro , ceco l’alter©
Leon, che s’erge e tien fra Tunghie il Pero.
C é 4 Colui
t
<o8 GLI SPETTACOLI^
a. Colui, ch’è feco in su la fila prima,
E’il gran Ranuccio, intrepido campione.
Tra i più chiari guerrier di Comma ftima .
Vibri l’haftajò la fpada insù l’arcione»
Onde poggiato de la gloria in cima
Mille l’attendon già palme, e corone
Sù la rotella d’or mira dipinti
Con le foglie cerulee ì fei Giacinti
313. Pietro il feconda, alta fpcranxa, c pregio
D’Italia tutta, e l’honorato ftemma
In celefie color con ricco fregio
D’un’aareoraftro, e di fei ftc II e ingemma.
Marcantonio ò\con lui, giovane egregio ,
Guarda colà mifteriofo emblemma.
Covienpur che foggiacela (il fenfoefprlrae^
L’infernal Drago a f Aquila fublime,
J.14 . L’alto che fegue,c la colonna moftra
Bianca in sù’l minio, & h»à sificr l’afpetto,
Sciarra s’a^pella,e’n guerra mai, ne indolirà
Non fùpiu ardito cor, più franco petto.
Virginio, è quei, che’l puro argento inoftra
Di tré trraverfe di rubino fchietto.
Anima llAuftre, e d’ adornar ben degna
Del tuo bel fior la gloriofaiiilegna.
3iy. Vedi un, che de gli auge! l’alta Reina
T affiata ha di fcacclii, orati e-neri,
Lucido Sol de la virtù Latina,'
Camillo hà nome, a fcritto infra i primieri»
Sabellio feco a par’a par carni na.
Specchio immortai ai Duci, c di guerrieri.
Conofeoben l'ìmpronrafua famofa,
Ch’è la Colomba, c tra i Leon la rof**
Eccone
CANTO VENTESIMO. €09
fié. Eccone un’altra coppia. A* deftro fianco
Veggio un Baron dì gcnerofe prove ,
Ruggier,chc fovra’l fondo azurro,e bianco
Inquartato l’augel porta di Giove.
^ poi Sforzuj che gli vien dal manco.
Ne con minor«baldanza il deftriermovc i
Figura in sù’l curchin l’orbe di fmalto.
Aureo Leon con aureo pomo in alto.
Ji7-'yeG Ifmonda, & Emilio. O fti^^c altera.
Tra le fortune invitta, e tra’perigli.
Quei fovr’alta colonna Aquila nera
Spiega, che fpiega Tali, apre gli arcigti.
Dove ftrcttain catena è quella Fera,
Che riforma lambendo i rozi fi^li,
Quelli, ch’è de’piii celebri, e piu conti,
Un Cornio ha nel brocchier fovra tre monti
'^18. Horatio. e quegli là, che nel vermiglio
Tre lune d’oro ancor crefcenti hàdiCpartc,
Signor d’armi poflente, e dì configllo.
Del guerreggiar, del comandar sà 1 arte.
una Ninéi del Tebro , è coftui figlio,
Onde figlio lo {lima altri di Marte,
Et è ben tal, che Marte ci fcmbra a punto,
Marte quando è però tcco congiunto .
Mario a lato gli va. L’armi, che cinge,
(Fuor lofcudo,ch’è rofib) ha tutte bianche}
Duo Leoni in quel rollò egli dipinge.
Che quattro Pani d’oro han trà le banche.
Annibaldo lalancia a prova llr'nge,
E’n fcmbianzc ne vien feroci, e franche-»
Il bruno Scorpion fcolplfcc in oro.
Che vcflàlo fia poi del fiero Moro.
Cf 5 II
6iQ GLI SPETTACOL.I,
3X0. 1\ buon Curdo procede a lui vicino,
Sciplo con Fabio alfin dietro s’accampa. -
L’un nel targone azur fculco d’er fino
Tien l’animal magnanimo, che rampa.
L’altro il quarder dorato , e purpurino
Di croce trionfai per mezo ftampaj
L’ultimo haliftad’hor, che per traverfo
Scacchicr divide innargentato, e perfo.
jiT. Ma nonvediundilor, c’hagiàl’anteniìo.^
Sovra la cofciajbenche grave, e grolla ,
Lieve giunco gli fembra, & agii penna.
Stiam pur dunque a mirar quant’egli polla. ^
Giù fattofi da capo, ecco ch’accenna
Dritto in sù’l filo entro l’agonlamoffai
Ecco volar qual folgore leggiero ^
La piuma, che fiammeggia in sù’l cimicroi.
In tanto polche furo i npmi ferità
De’Cavalier da 1^ divifa ardente,
E d’olfervare i promulgati ediid
-Giurato, c per mirar tacque la gepte.
Correndo ad un ad un gli emuli invitti
Tutti fi fegnalar notabilmente.
Alcun non fij, che non n’ufcifle apiena
O con vittoria, ò con applaufo almeno.
Reftava fol colui, che de labella
Brigata quali il prlncipal venia.
Quando con foggia infolita c novclLv.
Il lerraglio pafso de la baftiaj
Ne sò s’ alcun sì ben difpofto in fella
giamai di leggiadria.
Dopo tutti coftuìvenne folingo
Signorilmente, a poficdcr Tarringo»
CANTO VENTÉSIMO. 6n
Jt4- II più fapcrbo augcl sù la celata
Trionfante ne l’atto, ha per cimiero,
Qualkor gonfio di fafto apre e dilata
De le conche di fmalto il carchio intero,
E de la piuma florida, e geminata
Spiegando gli orbi, di fue pompe altero.
La bella feena de la coda grande
Di cento fpeechi illuminata fpande.
jtj. Di più color la forra vefta inteflc.
Che la fpoglia non è di Flora, ò dTri,
In cui le cime de le penne iftelfe
Son di fmeraldi in vece ,e di zaffiri.
Sì ben da dotto artefice commdlg.
Che par che intorno il fermamento ci giri
Par con tant’occhi un’Argo, e ferabra armato
Un giardino fiorito, unCidftcHato.
Ji6.CottI’habito ha ildeftrlcr qualch’agguagUa-
Non so s’altro mai tal ne fu veduto. [za>
Bianco ha il mantello, e’h difufataufanza
Sparfo di nere macchie il pel canuto,
Mà le macchie, e le rote hanno lembianza
Di ciglia’e d’occhi,onì’^ei rall'embra occhiato
Cervier s’appella, c par mentre palleggia
L’orgogliofo Pavon quando vaneggia.
3^-7‘ Unfufto intier dlfrallinofilvcftro
Per far buon colpo, abella porta elegge,
Prima fel reca in man dal fianco deftro,
Poi tra via Talza, e'n sù là deftra il regge, •
Ma qual braccio poria forte e Madtro
legarlo pur, non che ridurlo in fchegge
Tré volte corre, e’I Saracinpercote,'
Mà quel duro croncoii rom pc r non potè.
Cc 6> Tr
GLI SPETiTACOLIy
IzZ . Et ecco dopoUii vi comparifce
Alerò ftranicr , ché’l popol folto allarga.
Nel fao volto, e ne gli anni Aprii fiorifee.
Par che raggi d’Amor per tutro fpargà.
Per obliquo hàcoftui tré niexe ftrizzc j
Di lucid’or ne la purpurea targa.)
E sCi l’elmetto, ch’è di falda tempra , ^
La Fenice immortai quando s’inlerapra. .
.^9. Non Colo eterne in quella efprime l’oprc
Del proprio fingolar pregio, e valore.
Ma de la Donna fua la beltà feopre
Ch’è del mio bel Sebeto unico honorc.
Di morato lati l’armi ricopre ,
Color gintil, che pur dinota Amore,
In foggia di mandiglia,ò di guarnacca V
C he con bottoni di rubin s’attacca.
^30. Io non so dir, fc quelfuperboarfc
Di tanti fregi, c lì pompolì adorno
Già del nobil Signor del bel paefe,
A cui fon l' Alpi ampia corona intorno^
Al gran Monarca del valor Frane efe
Donato già nel.trionfal ritorno,
Fufle tal, ch’agCTuagliar potelfe in parte-
Di quella fpogUa ò la ricchezza, ò l’arte»
351. Di genitrice Ifpana , e padre Moro,
Regge un delli’ier,ch’a gli atti,e foco, e ventc^
La groppa, il capo, e tutto il rello hà d’oro.
; Fuor che’l finillro piè, che fembra argentoj
E de la bardatura il bel lavoro
Par d’ oro è tutto, e d’oro il guernimentOj
D’orO le ftalTc , c d’oro il frcnfpumantc ,
E d’or porcai calzare anc* le piante.
CANTO VENTESIMO.
jjt. Del Cavalter che Io cavalca c doma,
El’occhk) deftro, e’I fiordclafuaftalla.
Ei ftelTo II pafce, Francalancia il noma.
Perche dal dritto corfo unqua non falla»
Vedefi infuperblr fotto la foma,
Lieto del pefo, che foftiene in Tpalia»
Cavar fpelib l’arena, e l’or lucente
Delfren fonoro eflcrcitar col dente.
JJJ. Senza mutar cavallo, ò prender fiat®'
Quefti l’huo/R finto in tré carriere afiale»
E ben tré volte in lui del pin ferrato
Rompe fin’a la refta il tronco frale :
E ne la terza ha più fecondo il fato ,
E fa la co^o mi^ior con forza eguale»^
Nclabufiaglida prelTola vifta ,
Si che tre botte in una botta acquifia.
B4- Euor de la lizza ei sè ritratto a pena ,
Quand’ecco in giubba d’or contefta a maglie
Gioftra&or novo. Ufi corfier falbo affrena».
Bravo, e di fommo ardir ne le battaglie.
Sù lacrefta de l’elmo ha la Sirena ,
Tutta fquamofa di dorate fcaglie.
Quel che s’imbraccia da la parte manca »
Con tre gran ^cePincarnato imbianca^
35 5. Bel cavalcante , in maeftofo getto
Con largo giro il chiufo pian circonda.
. Va poi nel raczo, e da quel lato c quefto
Spinge il deftriei'jch’e quali al vento fronda^
Dolce di bocca, & a la mano e pretto,
E di gran core, e di gran lena abondai
Spirito a nome, c gli cenvicne invero >
Ecrch’ oltre juwdo ùfpkitofoc fiero.
' 'Cordali
i^f4- GLI SPETTACOLI^
336. Gordon di fottìi feta il regge a freno.
Barbaro pettoral ronia a tràverfo, ^
Che d’auree borchie è tcmpeftato pieno,
E di gran perle Orientali alperfo ,
A la tefta frontal , fermaglio al fena
Gli fan due bolle di fmeraldo terfo.
E per mczo le coftejov^fi ftringe.
Serica zona, e gioiellata il cinge.
137. Dal più fin’or , ch’invia l’Alpe Arimafpa,
Fricata, e contefta ha fella, e frangiai
Serra la coda,il pavimento rafpa,
E le gemme del fren ruminae mangia.
Con tanta maeftria le braccia innalp^
Con tal’arte in andando il palio cangia,^
Che ne’fuoi vaghi atteggiamenti e mott
Par che’ariafehermifca, e’n terra miti.
Jj8, Poiché conofce, che’l guerrier rifolvc '
Dar fpettacolo grato a l’altrui velie,
Non fai dir, coli deliro eilì rifolvc.
Se vola in aria, ò fe nel fuol fuffifte.
Nè pur col vago piè fegna la polve ,
Nè su la melfc oftènderia l’arifte.
B ijuegli hor lo fofpinge , hor lo ritira.
Hor lo fofpcndc, hor com’un torno iltira^
Afuondi tamburini,edi trombcttCr
Lo cui ftrepito rauco il Cicraflbrda
Tré vòlte, è quattro intorno egli il rimette.
Et al pronto ubbidir l’aiuto accorda,
Sempre applicando a sì làltì , a le corrette
Col dolce impero dcl’àgevol corda
De la gamba, del piede, c del tallone
Hof la Polpa, hor laftaffe, & hor lo fprone.
TaUujr
MW
CANTO VENTESIMO. fìs
^ù. Talhor l’arrefta di falcar, già laflo,
E nel raccorlo , imprime orna Tur’ orma.
Poi di novo il volteggia a (àltoc palTo,
Mutando a un punto c difciplina, e norma,
E mentre va con repolon più baffo
Terra terra ferpendo, un cerchio fonaA;
Chiunque il mira, al variar ftupifee
Di tanti, e tali e giramenti, ebifcc.
Speffo gli fa , fi come cionco, ò zoppo,
O’quefto ò quello alzar de le due bracci^,’
E dandogli un leggier mezo galoppo,
Sovra tre piedi hor quinci,hor quindi il caccU
Fermo nel centro alfin con un bel groppo
Di faletti minuti, alza la faccia,
E’I fa davante al tribunal divino
Inginocchiar con riverente inchino.
34^. Per non troppo ftancarlo , ancorché tuteò
Sia foco, e tutto fpirtòy e tutto nervo ,
E perche sàiCh’è per ufanza inftrutto
Piu ch’ai corfoal maneggio accenno al fervo"
Ch’un n’ha più frefeo e ripofato addutto ,
Mà disfrenato, indocile e protervo?
La coda àlcrin, la gamba, il capo , e’I vifo
Solo hà (tì nero, ilximanente è grifo*
343. Del color del cilitio orna la fpogUa,
Semplice berrettino , c non rotato ,
Onde quandufeir fuol, fuor de la foglia»'
B’daciafcun Simulator chiamato*.
Per manfueto agnel pria che fi fcloglia >.
Sembra unaFuriapoi difeatenatoj
Cofi ricopre a chi non sa fuo ftile
La iuperbia del cor d’habico hunalk.
1
ili GLI spettacoli;
244. Il Cavalìer conlafinlftramano ;
Sii’l pomo de l’arcion la briglia ftende,
. Spiccato uii Icggier ialto indi dal pianc^
Senza ftafFa toccar Covra v’afcende.
Quel ritroCo.e teftìo s’impenna in vanOy
In van s’arretra, e calcitra, e contende.
Che viè più del guinzaglio , e del cdpcftro ,
- Può l’arte in lui del domator maeftro.
34 j. Pria da la verga, e da Io fpron corretto >.
Poi con vezzi addolcito, e fatto molle,
Quantùque ancor pien d’ombre,edifofpcttO
Confentir gli convenne e quant’ei volley
E benché gifle, ov’era agir coftretto.
Con precipitto impetuofo e folle.
Pur gli fé nondimeno un verde falce
Romper con bell’incontro- infin al calce.
j4«. Lafciail poliedro , e fà menar dal paggio
Altro deftrier, ch^è de color del topo.
Superbo sì, ma non così felvaggio ,
E tempre avezzo-ad inveftir lo fcòpa. ^
Spirto hà dlfcreto, e moderato , e uggio>
E fenza fegno alcun capo Ethippo.
Con occhio ardente , e con orecchia aguz:ra'
Fremita, anhela, & annitrifee, e ruzta. '*
347. Di portar per l’Agon l’ufato incarco
Ferve già d’uji defir non mai fatoUoi
E vuolfi de io fpronc efl’crgU parco.
Bafta accennargli, & allentargli il collo.
Va più ratto, cne tirale ufeito d’arco.
Senza dar’a la mano un picciol croi!©.
La via trangugia, e rapido, e leggiero
^uba^ jnan la briglia al Cavagliero^
C/lKTO ventesimo. «17
j48. Dal cotttt trito, e da l’andar foavc ;
Turbine t detto, e 1 turbini trapafla;
deftra allbor di fmlfurata trave
Arma il guerriero cftranoj indi TabbafTa.
E nel Facebin, benché malTicciee^rave,
Tutta ^ual fragni vetro, ei la fracaUa.
Due volte cor Ce, c fc Hlieflo effetto ,
L’unaai guanciale, e l’altra al bacinetto»
Rivoltaallbora a Citherea Bellona»
Che tace, e conftupor la mira in volto,*
Che ti par di coftui {Ceco ragiona)
Ch’ad ogni altro nel corfo il pregio bà tolto?
S’io miro oltreil valor de la periona,
La patria ond’egU ufcì, non mi par molto y
Poi cli’a lei qualunqu’altra in tali affari
Convien che ceda» e da lei fola impali,
550. E’figliodiParthenopefamofaj
Sergio, garzon d’indomito ardimento,
Ch’à i monti di V cnafro, c di V enofa,
E a i piani di Bari, e di Tarcnto,
Gente vincendo invitta e valorofa ,
Importo ha il giogo, e nonhàpelialmentOr
Se’n guerra conquiftò fpoglie, c trofei ,
Chefarà nc le gioftre, ene’torneh
jji* L’erter qui ben montato io ben confcflb, ^
Ch’altrui vai molto, e forali dir menzogna.
Che dal cavallo al Gavalier ben fpeflo
El’honor non rcfulti, e la vergogna.
Ma ch’ardire, e vigore habbia in fe fteflo ■
E di core, e di corpo anco bifogna ,
Lo qualirruginUce, erefta ottufo
Quando non v’è la buona fcola, e l’ufo, i
Vl8 GLI. SPETTACOLI,
551. Qucft’ufo dunque , ch’affinar fi fuolc
Col travaglio, c’I fudor fiorifce quivi,
E non v’ha loco In quanto gira il Sole ,
Dove meglio s’eflerciti e coltivi.
Ma coftuijd’altajftirpe altera prole,
E’tal, che raro fia, ch’altri v’arrivij
Rimira rarmifue colà ritratte ,
Un Ciel di fangue con tré vie di latte.
353. Più vola dir, mal’altra allhor repente
Il parlar l’enterruppe, e difife, Hor guarda.
Guarda que’trè , che fior d’ardita gente
Sembrano in vifta,c n’armeggiar gagliarda.
Mira i fembianti nobili, ^ pon mente
Come ciafeun tra l’armi e fplenda , & arda
Già chi fien ben m’avìfo. E l’Inveutricc
De l’arbofcel pacifico, le dice,
3j4.Son ('s’io mal non m’appongo, e nonvaneg'
Di Savoia i tré lumi, i tré fratelli , [gio
Trà quanti qui nerallemblea ne veggio
Pregiati illuftri, & incliti donz elli,
Tengon nel piano Augufto il reai feggio,
Trà que’confin delitiofi e belli,
A cui con molli braccia , e dure fronti
Fan riparo tré fiumi, e cento monti.
355. Candida è di ciafeun la fovra infegna.
Candide fon le vefti, c le lamierei
Mà l’un ne l’elmo , e nel brocchier difegna
Il Sagittario de 1 eterne sfere.
L’altro in quefto & in quel figura e fegna
Croce, terror de l’ Africane uhiere.
Del terzo adorna il capo , adorna ilfianco
Pofto in campo vermiglio un deilrier bianco
Tutti
Canto ventesimo.
J5^. Tucticoftor, che vedi, & altri molti
Son<]uì per arte pur giunti di Theti.
Ecco i’un dopo l’altro in un raccolti
Cominciano a fpezzar faggi, & abeti.
Dorefio è quei , che già gli occhiali ha fciolti
Al deftrier, ch’à nel cor Ipirti inquieti ,
Buo per gioftra, atto a caccia, ufo in battaglia
Altro il mondo non n’hà dì miglior taglia.
J57. Sottile il capo , il collo ha curvo, & ambe
Brevi l’orccchie, e l’altra acuta ,
Afpre di nervi, e mufcoli le gambe,
Largo petto, ampio fen, groppa polputa.
Spedo (brana le fauci, e lecca c lambe
Il Iren dorato, il labro arriccia, e fputa.
Nè fù di, cor lo mai ,nè mai di core
V elocità, ferocità maggiore.
358. Bruna ha la fpoglia in ogni parte integra
Più che fpento camone, ò pece Ichietta.
Ma bell’aria, occhio vivo, e villa allegra.
Morbida pelle, e rilucente e netta.
Biancheggiar gli fa fol la fronte negra
In forma di cometa una rofetta.
Altri Corvo il chiamo, ma bianca della
Per tal cagione il fuo Signor l’appella.
jy9. Alpino è l’altro , e del Sitano armento
Vivacilfimo allievo, un corfier preme. ^
Ne’campi là del fertile Agrigento
Pafeiuto, e nato del più nobil Teme.
Vede raantel tutto leardo argento.
Se non che fofche hà fol le parti cdrerac,
E l’ampia groppa, e fpianate fpalle
Gli ara con lunga lida un nero calle.
Ito
GLI SPHXXACOI-Ia
CI
340. Svi la cervice de la delira parte
Gli pende il crine > elpcllo ilcjiialla e fcotc.
S’a2gira, e per l’arenc intorrxp jfparte
TeUe prigioni, e lab>lrinti> e rote
Quant’è dal liiol fin-’a la cingKia ad arte
Parche milÀiri, c’n vani* aure percote-
Ringhla, nè volentier ioggiace al freno.
Scorre cjnal lampo, e clnamaii Balcno-
iù
3
a
• ' — a. V» wx.
Vedi , cKi già per dritta linea angafta
Senvabroccando ilcorridor, c’Ha focco^
Il piodude Organata, c col pennello
pjollarebbc pittor £brmar piu bello.
jét. Non mal Saturno in svi leggiadre fpogUc
Sonar d’aUl nitriti intorno^ ^
PciynvolarA a gelofia mo^ie.
Leforcac di P.-Uo, c di PeneS^
Al ^u-1 1 '-uiA'cnco.
Al nabli volacor la palma toRlle,
ni'r'ir"” B'» per l’aria il mio P
Perfeo.
jr — * A.*. A A ni.10 irci-i-cv^»
E Lucl^r^ «d'icl che domò PoUucCi
ELucitcro detto è da la luce.
fi^atetae e (ignorili
« Éimof^ Ari^Ll r ‘‘‘
Vergin non " «ebe corCc.
Inircccc, c*n vr' ò si (otti
Si come moli? cappelli attor (c,
lebclle fete ® ‘ fP‘=S»
">«=nnaftro d’or U lega.
■yì'..-
fama
r-a/
. CANTO YENTESINfO. 6ti>.
J^4- Fama c, c’hi^vcndoil Sol, giuntoa l’Occafo
Difciolto il Carro in su Tareiia ibera.
Del Teme di Piioo coucecco a cafo
Partorillo del Tago una deftriera.
Partita con bel tratto infin'al nafo
Hà di bianco la fronte, alquanto nera*
E di v^hi coturni innar^eiicatl
Tutti mfal ginocchio i piè calzati,
j^5- Il refto di gran pezze hà vario il manto.
Quali per arte a più collo tellute;
E*lbelcandor , che togUeal’Alpi il vanto
Qnando al Verno maggior fon più canute,
Seminato di bigio è tutto quanto
la fpeffcftelle, c’n gocciole minute.
Eccetto il capo, il piè la coda, e’I crine,
Spruzzato par di ceneri, e di brine. >
}66.. Già già fi move, e fuor del folto ftuolo
Del cor disfoga I generofi ardori.
Ecco lievi ondeggiar per l’aria a volo
Del cimier bianco i tremolanti albori.
Par l’aura il porti, a pena liba il lliolo,
E’I fuo Duce conduce afommi honori,
Là dove per valor più che per Ibrte,
Rompe II faldo troucon col braccio forte.
j5y. Col dicca Minerva, e ben di quanto
Parlato hàvea veraci erano i detti.
Pcrch’altaraence a le lor prove intanto
Pollo, havcan fin gli armcggiatori eletti.
Onde volendo, oltre la loàa,c’l vanto.
Remunerargli con cortcfi effetti,
Con quello dir L dlfpcnfiera bella
RÌT»lfc a lor la fiiccvb c U divella.
61Z
GLI SPETTACOLI
— A ^ ^ -w -w — - — y
JiS.Hor qual cofa Jhavrò mal, ch’ai voftro merco
nviti/Iìmi Heroi, ben fi convegna?
p mar l’^rrario aperto,
cchezza havria di tal valor condegna;
an che larga altrui dona, io so ben certo,
Pur -r^f
Gradire, a
’wIcÌpf4atrofiV'l°^
T ' o”P voler vi dono
L una e carbonchio e v*^ i •
Cinto di fiamme il «an Re.ofa 1° “ "’ì*
C’h^Tr^ '«“nanel d’eletto
Ne lattt°Dt"^ÌtÌcn"rr'‘ S"'-
Delquintocerchi^egrce' .
Qucfto elmoaccet§*lii^nM corfo,
Raflbmigllaaved«.rlr» c lucente.
E k pup^i, hi di piropo" rdf’’’?
Le gran fauci fpaiJ ^ P ardente J
CANTO VENTESIMO. tfzj
J71- Nè fpiaccla a tc , degna progenie e chiara
Di quel fangue Lodato, honor degli oftri,
Per cui col l'ebro altero in nobil gara
Fia che’l Rheno minor contenda e giollri,
Ea cui già con Pelli na prepara
Il Vaticano plùrublimi^nchioftri.
Il pronto, ancorché povero tributo
Prender’in grado, al tuo valor devuto ,
17 1. Ecco unafpoglia , che i fuoi (lami fini
Intinti ha nel licor de le cocchiglie,
Ordita a fovrapofte, e di rubini
fregiata, e d’altre ancor gemme vermiglie.
Molti piccioli fpecchi adamantini
Accrefcondellavor le meraviglie,
Conlparfi in lei sì chiari e lampeggianti,
Ch’abbarbaglian la viftaa’riguar danti.
174. L’oftro infieme,e’I criftallo accoppiar volli
A dinotarti con duo faggi avifi
E la reai grandezza, a cui t’eftolli ,
E la chiara prudenza, in cui t’affili.
Ond’havran maggior gloria i facri colli
Da te, dà’cuol ne l’alta fede affili,
Che quando in altra età Roma felice
Fù di mille favelle Imperadricc.
7j. Quello di fila d’or manto telTuto,
Che infin’al lembo è figurato a {Ielle,
Là dove tutti han di diamante acuto
FIfIà al centro una punta e quelle e quelle,
T uo fia Signor, c’hai qui recar faputo
D’arneli in campo invention si belle ,
Che non fia mai , che’n gioftra altri compau
Con portatura più leggiadra, egaia.
^1+ GEI SPETTACOLI, (
17^. E’infienije a voi, cheda’coiifinleftremi
Del nobil Latioper sì lunghi errori
Seco venifte, e d’altri pregi, e premi
Non mancheranno ancor publici honori.
Ma fé da farvi al crìn degni diademi
Palme Idume non ha, Parnafo allori, J
Disè s’appaghi il gran valor Latino :
^ Lumi eterni di Marte, e di Quirino.
377. Tacquefi,*& ecco allhor mentre I deftrierii
Già già t'ebo inchinava al mar d’ Atlante,
Per di^erfo camin duo Cavalieri
* In un teinpo venir, d’alto fembiante. .
. Dorati hà l’un di lor gli arnefi interi, I
Sovra l'elmo l’augel del gran Tonante,
’ E nel tondo d’acciar rampante e dritto
Il tcrocc animai d’Hercole invitto.
578. Vienfene affifo in un Giannetto Ibero,
Figlio del vento, e ben l’agguaglia al corCo.
Zefiro nominato è quel dcllriero.
Picciolo il capo, & ha folcato il dorfo.
Raro crin, tolta coda, occhio guerriero,
Lunato il collo, c fovra’l petto il morfo.
Fremendo il rode, e pien dì fplrti arditi
Squarcia l’aria co’paifi, eco’ nitriti.
579. Salvo la fronte, oveper mezo feende
Candidiflima riga, è tutto foro.
Barde hà purpuree, e di puree bende
Gli fa ricco monile arnefe Moroj
Sonora piggìa, e tremula eli pende
Giù da la [guancia di fquil lette d’oro. • '
Alto la ftafth, e coturnato il piede ^
Con lungo fproHc il Cavali^! lo fiede.
L’ka-
CANTO VENTESIMO.
jlo. ybdbko del Guerricr, che fegue appreflb,
E’cU feiamitoazur, fatto a fogliami,
E dì gigli minuti un nembo IpefTo
V‘è Iparfo/il cui contefto è d’aurei ftami.
Sculto in mezo a lo feudo ha il fiore iftefio.
Un Giglio fol maggior che nc’riccaini i
Et erge per cimicr di gemme adorno
Il follecico augel, cli’annuaita il giorno.
Governali fren d’un gran Frifon corcaldo,
Ch’è del color del dattilo maturo »
A par d’un monte, ben quartato è faldo,
E tré talloni ha bianchi, e l’altro ofeuro,
Moftra ne l’occhio il cor focol'o c calda ,
Segna la fronte nera argento puroj
E col pie forte, e col gagliardo pollo
Stampierale velligia anco nel fallo.
581. Petto largo hà tre fpanne, e doppia fpinai
E corta fchiena, e fpatlofa coda
Boccafquarciata, e tefta ferpentina,
Dì corno terfo unghia fonante e foda.
Leva a tempo, e ripon quando camìna
Le grolle gambe, e le ripiega, e fnoda.
Tremoto è il nome fuo , però che’n guerra
Ciò ch’urta abbatte , e fa tremar la terra.
383. Ne l’Incognita coppia ognuno affili e
Pien diletto, e di ftuporc il ciglio.
E come un doppio Sol quivi apparille,
D’cgni intorno ne nacque alto bilbiglloi
Il nome d’ambo duo prima fi fcrìfle.
Il Guerrier dal Leone , e quel del GlgUoi
Indi far de la Sorte in egual loco
A vicenda deipari ammelfi al gioco.
VeL H. Dd Di
5T-
6^6 GLI SPETTACOLI,
384. Dà di piedi al deftrier prima colui,
Che’l Ciglio porta, e rompe in sù la creftat
Quel che porca il Leon, và dopo lui,
E nel loco medefmo il colpo affeftai
Altre due volte corrono ambodui,
Nc v’hà vantaggio in quella parte, ò in quella
Che l’un'e l’altro con tré lance rotte
Viene eg